domenica 5 novembre 2023

Nuova vita per la Tivoli Audio Model One

La  Tivoli Audio Model One è una radio FM totalmente analogica, mono e dl suono sorprendente per le dimensioni che ha. Apparentemente fuori tempo quando è stata proposta sul mercato (era il 2000, massima espansione del CD e tramonto ormai totale dei sintonizzatori negli impianti Hi-Fi) è invece diventata nel tempo uno status symbol, per una volta a ragione, perché consentiva di ascoltare le radio musicali, anche di classica, con ottima qualità e costo accessibile. Ma era anche un oggetto dall'estetica minimal e raffinata, che era piacevole esibire in casa, evidentemente.

In un post di diversi anni fa (2011) ho descritto questo piccolo miracolo di tecnica e di semplicità e quindi rimando per informazioni su come è fatta al post La Tivoli Audio. Io ne ho comprato due tra il 2005 e il 2010, una per la cucina e una per lo studio, ma da qualche anno erano inutilizzate perché il "far west dell'etere" in Italia e specialmente a Roma non è mai stato regolato, le emittenti si sovrappongono tuttora dopo 57 anni dalla liberalizzazione  una all'altra e sovramodulano per farsi ascoltare. Le poche radio musicali sopravvissute e che trasmettono con qualità ragionevole sono praticamente inascoltabili per una radio tutta analogica, essendo pesantemente disturbate da radio commerciale che invadono le loro frequenze. 


Un uso alternativo (ma non troppo) di Alexa
Molti anni dopo ho comprato, stimolato dalla curiosità, Alexa di Amazon, ho scoperto che comprende con grande efficacia i miei comandi ma che, come assistente, la uso poco, per lavoro uso molto PC e iPad e le informazioni che mi servono posso trovarle sul web come ho sempre fatto. Ma è anche una radio volendo, può fornire un sottofondo musicale, ma con la qualità dell'altoparlante di uno smartphone. Sotto un certo livello di qualità la musica non la sento e così Alexa è rimasta un soprammobile.

Fino a che non ho avuto una idea molto semplice, quelle del tipo "perché non ci ho pensato prima?" ovvero usare La Tivoli Audio come altoparlante di Alexa, Entrambi gli oggetti hanno una uscita / ingresso mini jack stereo e quindi basta un cavetto doppio maschio per collegarle. Certo si perde l'ottimo sintonizzatore analogico FM a component discreti della Model One e il suono arriva invece da chipset digitali di qualità commerciale grande serie, sia per il sintonizzatore digitale sia per il DAC digitale-analogico, si perde qualcosa in finezza (ma solo se la radio selezionata trasmette in buona qualità) ma in compenso si ha la comodità dei comandi vocali per cercare le radio, che includono anche le emittenti DAB (tra cui Lifegate, unica trasmittente di quasi solo buona musica non classica).

Un consiglio tecnico: l'ingresso AUX della Tivoli Audio è "minimal" come tutto il resto, non è un circuito separato e quini è in comune col sintonizzatore FM, si limita a silenziare il flusso sonoro della emittente e a far passare quello dell'ingresso esterno. Ho notato però che se la emittente sovramodula o distorce i disturbi passano e sporcano il suono dell'ingresso AUX. La soluzione è individuare una stazione che viene ricevuta senza disturbi, con la spia di ricezione (la luce gialla) è' al massimo della luminosità e stabile. Non importa che sia una radio dei romanisti o Radio Maria, non si sentirà nulla della emittente ma neanche disturbi.

In sintesi
Con un pizzico di soddisfazione per la piccola rivincita sulle mie odiate radio commerciali, ora la Tivoli Audio mi accompagna ancora quando voglio accompagnare con musica che mi piace le mie attività. E la rinascita ma ha dato lo spunto per riusare anche la seconda, portandola nella casa al mare, che è in una zona tranquilla e poco popolata dove qualche radio decente (come Rai 3) si riesce ancora a sentire grazie al minor numero di radio commerciali nella zona.



giovedì 26 ottobre 2023

Bassa fedeltà e Infima fedeltà

Come ascolta la musica la gente? Non ci sono statistiche che possano rispondere a questa domanda  ma un primo dato possiamo dedurlo: sono molto pochi quelli che l’ascoltano in “real stereo” ovvero con due casse acustiche con estensione sufficiente e ben posizionare, nonché pilotate da un front end hi/fi. Lo si deduce dal fatto che questi componenti sono spariti ormai da più di un decennio dai mega-store di elettronica tipo Media World e simili e che i negozi specializzati superstiti sono pochissimi (meno di 5 a Roma). 

Non è un acquisto che si può fare su Amazon (anche se qualcosa c’è) e quindi è evidente che la domanda di nuovi impianti è minima, è un settore di nicchia riservato ai pochi che vengono a sapere magari col passa parola che un altro ascolto è possibile, oltre ovviamente ai “boomers” contagiati dalla passione Hi-Fi negli anni '70-'80. Che sono poi quelli che ancora sostengono questo strano mercato con centinaia di produttori e prezzi spesso senza senso.

Quindi proseguendo con l'ascolto della musica, che si sceglie, e calando in qualità di ascolto,  possiamo incontrare una nuova generazione di ascoltatori che scelgono componenti all-in-one come il Naim Muso, o utilizzano (a volte per un ascolto da scrivania) casse attive economiche,  ma comunque quasi hi-fi, in vendita  su Amazon collegate a un PC o a uno smartphone/tablet. Per restare in campo hi-fi da citare ovviamente anche  le cuffie stereo per smartphone/tablet. Che anzi possono avere qualità e prezzo molto elevati.

Andando più giù  troviamo ancora i pesanti “compattoni” con bassi pompati, dedicati ai cultori della musica techno o simili, per ascolti anche in esterni oppure come colonna sonora dei game preferiti. Ma siamo ormai del tutto fuori dal concetto di H/Fi.

Più o meno allo stesso livello di qualità (molti meno bassi ma minore distorsione) c'è il mezzo probabilmente più usato in assoluto, ovvero lo smartphone, con gli auricolari, con una cassettina Bluetooth o anche da solo .

Un ascolto che quindi nel minore dei casi fa i conti con molti compromessi, ma nella maggio parte dei casi inevitabilmente in BASSA FEDELTA' , una scelta molto spesso inconsapevole.


Ma si può fare di peggio ...
Sì, perché finora ho considerato gli ascoltatori  che scelgono la loro musica: il brano o l'album oppure la stazione radio o web conforme ai propri gusti oppure all'umore del momento. Ma la musica ci insegue in ogni ambiente, anche i più incongrui, cercando a quanto pare di cancellare un benefico e preferibile silenzio da ogni momento della nostra vita in città. In ogni supermercato, dal barbiere o dal parrucchiere per le donne, nelle sale d'aspetto, nei negozi di abbigliamento e in particolare  in quelli di moda per giovani (fascia 15-55 al momento) anche con invasiva musica techno a tutto volume, in palestra,al ristorante (esclusi in genere quelli stellati: il silenzio si paga e pure caro), negli stabilimenti balneari, nei bagni degli autogrill, perfino, e siamo forse al punto più basso, nel parcheggio dei centri commerciali o dei supermercati. 

E arrivare alla INFIMA FEDELTA'
La salsedine di una spiaggia e del vento del mare, i gas di scarico e l'umidità di un garage, l'umidità e l'aria stagnate di un bagno pubblico, sono minacce pericolose per un altoparlante se non è ben protetto (esistono gli altoparlanti per esterni). Però ne servono parecchi, e i gestori delle spiagge attrezzate, i celebri "balneari" spesso protagonisti della politica italiana (siamo un Paese speciale) e i proprietari dei centri commerciali vogliono senza dubbio osservare l'obbligo (evidentemente è cosi, ma non so da chi sia stato imposto, forse da Soros e Bill Gates) ma non spendere troppo. Tanto la qualità non è un problema, basta che si capisca che è musica. e così adottano altoparlanti come quelli della foto sopra, fotografati nello storico centro commerciale Cinecitta 2 di Roma (storico perché stato il primo nella capitale) aperto negli anni '80.

Altoparlanti della nota ditta RCF realizzati con la stessa tecnologia dei megafoni, altoparlanti a tromba ripiegata studiati per amplificare al massimo la voce parlata con poca potenza, senza curarsi troppo della distorsione inevitabile. Qualsiasi brano musicale ha una estensione molto più ampia della voce umana e si può immaginare cosa esca fuori da questa specie di tritacarne musicale. Che sarà anche qualche accorgimento  per diffondere in qualche modo  anche un contenuto musicale, ma vi assicuro che anche i brani pop più semplici e banali escono da questi tubi collocati in quantità sul soffitto con una distorsione tremenda, oltre che tagliati pesantemente in basso in alto.

Invitando così a salire al più presto in macchina, a chiudere i finestrini e lasciare al più presto il parcheggio. Ma forse era questo il vero obiettivo di questa sonorizzazione.

In sintesi 
Noi sappiamo che è possibile un ascolto coinvolgente della musica, e ci sono anche nuove generazioni che ne sanno qualcosa, ma non hanno probabilmente interesse a sperimentarlo, considerando questa alternativa troppo costosa ed essendo convinti che basta così per quello che la musica da a loro. E bisogna dire che se la musica che interessa e’ quella di Lazza o Ariete forse hanno anche ragione. Non per disprezzare questa musica, ma perché obiettivamente l’ascolto hi-fi in questi casi aggiunge poco.


Il silenzio.
Ma l'abitudine a sentire male la musica rende evidentemente anche sopportabile sentirla pesantemente distorta nei luoghi più impensati, tagliata in basso in alto, la espressività del o della cantante svanita, le parole quasi incomprensibili. E fa dimenticare il meraviglioso suono del silenzio, di un lago, di un bosco, di una notte d'estate a finestre aperte in campagna, rendendo sopportabili, o anche preferibili, i suoni distorti che accompagnano quasi tutti i nostri passi.

(Rantasalmi, Finlandia, Foto di A,M, Truffi)

venerdì 4 agosto 2023

L'alta definizione ha vinto. Ma nessuno se n'è accorto

Su questo blog negli anni passati sono stati pubblicati molti post dedicati all'alta definizione in musica, che doveva essere il passo successivo verso la massima qualità per la musica digitale, dopo il primo passo rappresentato dal CD. Ci sono stati tentativi falliti (la sostituzione del CD con il SACD) polemiche e un discreto numero di appassionati che la ritenevano solo una mossa commerciale, perché loro non sentivano alcuna differenza, test accademici di esito favorevole o contrario, c'è stata una diversione invece apprezzata dai suddetti appassionati (il DSD). E, soprattutto, c'è stato un boicottaggio ostinato da parte delle case discografiche, che hanno tentato per due decenni di venderla a un prezzo maggiorato, che quasi nessuno però voleva pagare. E invece ora, 22 anni dopo, la situazione è questa.

Questa è la rassegna delle novità discografiche proposta da Qobuz oggi. Come si vede (anche scorrendo la pagina) salvo poche eccezioni le nuove uscite sono proposte in alta definizione. Il che è abbastanza logico visto che sono registrate sempre in alta definizione, e nella diffusione in streaming o in download non ci sono esigenze diverse per l'ascolto o l'acquisizione con la qualità CD o i formati compressi. In altre parole, si usano le stesse app.

Quello che cambia tra i vari album è la frequenza di campionamento, che spazia su tutti le possibili opzioni (anche in questo piccolo campione), dove ci sono album HD a 192, 96, 88.2, 48 e 44.1 KHrz. Il campionamento a 44.1 KHrz è abbastanza penalizzante rispetto alla qualità, mentre gli altri 4 formati garantiscono comunque un ascolto HD.

La scelta del campionamento è delle case discografiche e, faccio un'ipotesi, dipende probabilmente dalla necessità di banda in mobilità, che può essere insufficiente per frequenze superiori a 48KHz, una criticità facilmente aggirabile in streaming potendo abbassare la frequenza nel lettore, ma che richiede però un intervento umano e un possibile passaggio ad un altro album. Quindi, potrebbero scegliere la frequenza in base al target, 192 per chi probabilmente ascolta a casa o in zona WiFi e via a scendere. Il che pare confermato dalla preferenza che si osserva del 44.1 per gli album classificabili in area pop,

Quindi l'alta definizione, anche se talvolta è media definizione, è diventata lo standard per la musica diffusa via web, sia  ascoltata in streaming che dopo download, ovvero è disponibile per il 90% delle persone che ascoltano musica, anche se devono scegliere un servizio che non sia Spotify o YouTube., ovvero pagare qualcosa. Rimane  esclusa la distribuzione su supporti fisici, che rimane confinata alle poche etichette di classica che pubblicano ancora su SACD.

Nessuno se n'è accorto?
Pare proprio di sì,i Le riviste che spingevano a tutto spiano l'alta definizione non ne parlano più e la citano solo incidentalmente. Nei test raramente è specificato (e qualche volte è il Pure Audio Blu Ray), nella sezione musica non è mai specificato nelle recensioni, nelle quali l'informazione è solo sul supporto fisico o meno (CD,LP; DL = Download), l'avevo fatto presente via email ma pare sia troppo complicato acquisre considerando il numero di recensioni pubblicato, anche perché le case discografiche non lo evidenziano sempre. (Faccio riferimento alla principale rivista del settore in Italia) .Anche sul web il tema sembra sparito o trattato solo occasionalmente quando si parla di DAC, D'altra parte è logico visto che il massimo sforzo dell'industria del settore, in parallelo con il massimo interesse degli appassionati, è rivolto al vinile.

E il DSD?
Sembrava per un po' il nuovo Nirvana musicale, ma rimane un Nirvana per pochi (ammesso che lo sia). Sullo streaming nessuno prova a proporlo (costa di più e il target potenziale è molto piccolo o forse proprio non c'é) e le etichette che provano a proporre contenuti sono molto piccole, e quindi i contenuti o sono di musicisti semisconosciuti o arrivano da master storici e molto datati (spesso registrati in mono) dove l'apporto della qualità della codifica DSD è tutto da vedere.

In sintesi
E' tutto sommato una buona cosa che la lunga diatriba e il tempo passato abbiano abbassato l'aspettativa sull'alta definizione, come tecnologia che renda sistematicamente migliore l'ascolto. E' ormai opinione condivisa che la registrazione e la creazione del master sono  gli elementi che incidono maggiormente sul risultato finale. Ma resta il fatto che proprio le registrazioni più accurate e quindi più vicine all'evento musicale o all'idea dell'artista meritano di essere ascoltate con la massima qualità e precisione possibile oggi.




domenica 9 luglio 2023

La durata della musica (e dei film)

Molte recensioni ai film recenti rimarcano che sono troppo lunghi, che si perdono in un eccesso di storie laterali o di ripetizioni. Effettivamente lo standard per un film sia "commerciale" che "artistico" (o presunto tale) sembra essere arrivato a una durata di due ore o più. I film dal 2015 circa sono tutti proiettati in digitale e quindi la durata non è più un problema tecnico né per la proiezione né per la distribuzione, e quindi si suppone che sia quest il motivo scatenante esi rimpiangono inevitabilmente i tempi della pellicola analogici, quando la durata standard era di 90' divisi i due tempi di 45'.

In realtà non era sempre così, ad esempio era così nei film di "serie B" tipo L'insegnante con Edwige Feneck o La supplente con Carmen Villani, ma anche nei "film d'autore" come praticamente tutti quelli di Bergman, di Godard e anche di Nanni Moretti. Mentre nei film che avevano più protagonisti, o una storia che si snoda su più anni e più vicende, come Una vita difficile di Dino Risi, C'eravamo tanto amati di Ettore ScolaLa vita è meravigliosa di Frank Capra la durata arrivava sopra i 100' e spesso anche sopra le due ore. E non mancavano quelli "extra large" come Il Gattopardo di Luchino Visconti (3h25') o C'era una volta il West di Sergio Leone (2h55') assieme a molti altri.

Non c'era quindi alcun vincolo dovuto alla tecnica analogica, che infatti già all'origine scontava un problema di dimensioni della pellicola 35mm. I film sin dai primi anni del 900 erano distribuiti in bobine (reels) delle dimensioni di circa circa 27 cm che contenevano 304 metri di pellicola (1000 ft) per una durata di 11' di film (a 24 ft/sec). In seguito, dal secondo dopoguerra, sono state usate bobine più grandi, da 2000 ft (22')  e diametro 38 cm, e poi anche da 3000 ft, Con il contenitore una bobina da 11' arrivava a circa 30 cm e cosi è nata la definizione italiana di "pizze di film". Ne servivano quindi 8 per un film da 90', o 4 se di durata doppia,

Quindi solo i primi film, le comiche ad esempio di Chaplin o di Stanlio e Ollio potevano essere proiettate in due tempi, gli altri film, anche dei tempi del muto, avevano durata maggiore, come La corazzata Potemkin di Eisenstein (67') o Dracula il vampiro (quello del 'ì '31 con Bela Lugosi, 68').
Per la visione continua il sistema più semplice era l'uso di due proiettori. Con marcature semi-manuali o sincronizzazione realizzata in vari modi la visione passava da un proiettore all'altro  in modo continuo, e in quello non in uso il proiezionista caricava la bobina successiva. Con questo sistema si poteva proiettare un film di qualsiasi lunghezza.

L'unico limite era il tempo massimo di attenzione dello spettatore, che infatti era messo in conto per il tipo di film. Ad esempio i cartoni animati avevano una durata inferiore (60-70') così come i documentari. Nei film per grandi valeva un altro elemento.

Mi ha stupito infatti in questi controlli scoprire che un capolavoro di Billy Wilder come L'appartamento, con Shirley MacLaine e Jack Lemmon, che pure non ha complessità nella trama né una vicenda he copre molti anni, ha una durata di 2 ore e 5'. Eppure io che l'ho visto anche 2 o 3 volte, non l'ho mai considerato un film "lungo" (come penso nessun altro), ma un film in cui tutto quello che c'era era essenziale, e nel quale la mia attenzione, e il piacere della visione, non sono mai calate, anche nella visione televisiva, che non beneficiava dell'interruzione tra primo e secondo tempo.

Quindi questo è il problema dei film attuali "troppo lunghi": non tutto quello che proiettano è essenziale, ma questo non lo impone la tecnologia digitale. Questa casomai fa "venire la tentazione" di fare un film lungo a piacere, ma a volte bisogna resistere alle tentazioni.


Torniamo alla musica
Questa lunga introduzione era significativa secondo me, perché nella musica il passaggio al digitale (avvenuto 30 anni prima) ha incontrato lo stesso problema, per quanto riguarda la musica registrata. Nella musica a differenza del cinema il limite esisteva veramente, ed era la durata del supporto. Con i 78 giri era di 3' per facciata e di conseguenza l'unica tipologia di musica supportata era l"aria"di un'opera lirica o il lieder della musica classica, gli antenati della canzone, e la canzone. Estratti d'opera lirica o di musica per orchestra erano comunque realizzati, usando più dischi, ma l'ascolto continuo non era possibile,

Il microsolco, ovvero l'LP
Tutto é cambiato col microsolco (il "vinile") nel secondo dopoguerra, ora si poteva registrare un concerto su un solo lato (30' minuti ma) e una sinfonia su un disco (se non era la nona o una di Mahler o Bruckner). Ma soprattutto, aveva il via la stagione di un nuovo formato per la musica moderna, l'album, applicabile al jazz, al rock, al pop, al songwriting, a tutti i generi moderni. La durata si è stabilizzata nel corso del tempo sui 45', nel senso che la grande maggioranza degli album in vinile nel periodo d'oro del LP stereo (dal 1960 alla fine degli anni '70) avevano questa durata, che non sfruttava tutta la capienza garantendo così una qualità leggermente superiore, alcuni album di progressive potevano essere più lunghi (ad esempio alcuni dei Genesis) e soprattutto esistevano i dischi doppi su 4 facciate, a partire dal celebre "Disco bianco" dei Beatles del 1968.

Per una strana combinazione però anche nelle musica è prevalsa una lunghezza "aurea" degli LP, ovvero i 45' citati prima, la metà (un tempo) di un film "standard", anche se in realtà su un LP con un po' di impegno (e compromessi di qualità) si poteva arrivare a un'ora e più.
In questa durata entravano 10-11 canzoni di durata  superiore allo standard del singolo 45 giri, giustificando la maggiore importanza (e prezzo) del 33 giri oppure si poteva, con l'arrivo del progressive, dedicare una facciata a una suite  classicheggiante (come in Atom Heart Mother dei Pink Floyd o Valentyne Suite dei Colosseum), e nei dischi doppi si poteva dedicare un disco a esecuzioni dal vivo e l'atro a registrazioni in studio (come in Ummagumma dei Pink Floyd o Sweet Child dei Pentangle).


Con questo minutaggio e con questo accorto uso del frazionamento su più facciate (e relative scelte oculate sul primo e ultimo brano di ogni facciata) sono stati creati un numero imprecisato di LP pressoché perfetti, ovvero dove non si "butta niente", dove ogni canzone è essenziale e nessuno può sentire il desiderio di saltare una traccia. Ognuno ha i suoi ovviamente, ma i primi che mi vengono in mente per dare un esempio sono If I Could Only Remember My Name di David Crosby, Sticky Fingers dei Rolling Stones, John Barleycorn Must Die dei Traffic.

Poi è arrivato il CD
Partiva all'origine da 70' ma è arrivato presto a 80', non era obbligatorio riempirlo tutto ma, poiché veniva messo in commercio a un prezzo molto superiore al disco in vinile preferivano riempirlo di musica come compensazione.
E così si è persa progressivamente quella durata "aurea" che si allineava perfettamente con i tempi di mantenimento della massima attenzione da parte degli ascoltatori appassionati, nonché della capacità creativa non sempre infinita dei musicisti.

L'epoca dei filler (e delle cover)
Ed è così che l'era del CD è diventata l'era dei filler, i brani riempitivo inseriti al solo scopo di arrivare a un minutaggio superiore a quello tipico degli LP. Una crescita progressiva, perché gli album degli anni '80 continuavano a essere pubblicati anche su LP, e così i classici anche di maggior successo come Brothers in Arms dei Dire Straits  erano ancora entro i 45', ma dalla fine del decennio la durata è cresciuta fino ai 55-60' (Achtung Baby degli U2, Siamese Dream degli Smashing Pumpkins).

Questi sono esempi di album storici tra i migliori e più apprezzati del periodo, di artisti al loro momento migliore e che potevano reggere l'attenzione dell'ascolto. Ma la crescita valeva per tutti e quindi è nata la necessità dei filler, i brani riempitivo, che un tempo erano una cover o due ed ora diventavano un po' di più, brani nuovi su cui gli autori e i produttori non erano troppo convinti, ma che magari a qualcuno potevano piacere, ma inserirli a quanto pare era sempre meglio che presentare un CD povero perché conteneva troppa poca musica.
E poi, se un brano non piaceva, c'era sempre la possibilità, grande novità del CD, di saltarlo e passarlo al successivo.

Un esempio: Under The Pink di Tori Amos (1993)
Qui entriamo nell'area dei gusti personali ma credo che chiunque può trovare i suoi esempi. Questo è un album famoso e apprezzato, grande successo. Dura quasi 57' e contiene alcuni brani di grande efficacia come Cornflake Girl , God, Pretty Good Year, Past The Mission. Ma una certa uniformità e brani non sempre di attacco immediato diluiscono il piacere di ascolto. Come sarebbe stato più efficace questo album se la cantautrice avesse rinunciato a 12 minuti e selezionato solo i brani di maggiore presa.

Un contro esempio: Out Of Time dei R.E.M. (1991)
Una selezione drastica che hanno fatto invece i R.E,M. nel loro periodo di più grande creatività diretta (nel senso che arrivava subito a tutti), altri brani pronti ne avevano certamente, visto che l'anno dopo hanno presentato un altro capolavoro del rock come Automatic For The People. Stipe e compagni, anche se eravamo nel 1991, sono rimasti nei 45' e così hanno creato un album dove tutti i brani sono "killer" e non  c'è nessun "filler", un album che si può sentire molte volte tutto di seguito e senza stancarsi mai.

In sintesi
Proprio perché la musica attualmente fa fatica a mantenere quel livello di uniforme qualità che caratterizzava il periodo di grande creatività degli anni '70, sarebbe bello che chi la crea, gruppi o songwriters, fossero più selettivi, e ci regalassero ancora album da ascoltare, scoprire e riascoltare, che non ci facciano cadere nelle tentazione di pigiare il pulsante "prossima traccia" sul telecomando o sulla app. Ma mi rendo conto che è un'esigenza di chi è affezionato al buon vecchio formato album, mentre una parte credo molto maggioritaria degli ascoltatori lo ha abbandonato da tempo per la playlist, spesso neanche personale, ma creata da un'applicazione del servizio streaming.

sabato 11 marzo 2023

Un nuovo supporto fisico analogico: la cassetta audio

Vintage + analogico è una formula che suscita interesse crescente, al punto che è ormai avviato il ritorno in vendita anche per le cassette audio, ovvero le musicassette Philips (sigla MC), che chiamerò nel seguito, semplicemente cassette, come abbiamo sempre fatto. Accompagnato dal ritorno in produzione  dei registratori a cassette, i componenti hi-fi  che gli anglosassoni chiamano "cassette deck" e noi traducevamo come "piaste a cassette",

Sembra una cosa priva di senso, ricordando i limiti di questo sistema che quasi tuti i boomers hanno ampiamente sepimentato, ma forse per i  millenials il presunto "suono analogico" del nastro  costituisce una attrattiva sufficiente, che giustifica un vero interesse commerciale, speciale..

La produzione di registratori cassette nuovi
Chi ha in casa filmini Super-8, registrazioni audio o nastri preregistrati su bobine (reel-to-reel), video in formato VHS, Betamax o DV, diapositive 35 mm o 120, DAT, mini-Disc se vuole riprodurre i contenuti di questi supporti ha co e sola opzione di cercare e comprare sul mercato dell'usato.

C'era sinora un solo supporto fisico che si era sottratto al progressivo oblio e alla necessità di cercare nell'usato componenti in grado di ascoltarli o vederli, ed è ovviamente il disco microsolco, il vinile come ormai universalmente chiamato. Anzi, marche e modelli di giradischi sono ora in numero molto superiore a quelli disponibili nei tempi d'oro, quando il microsolco non aveva alternative o quasi.
Ma l'unica alternativa analogica al vinile, la cassetta, pare abbia trovato qualcuno che crede in lei come alternativa anche in questo bizzarro mondo vintage e analogico, ed è ricominciata sia la pubblicazione di nuovi album su cassetta che di "piastre" a cassetta nuove. Vediamo.

Entra sul mercato un nuovo supporto fisico analogico: la cassetta
C'erano stati tentativi di piccole etichette ma ora pare proprio che l'industria del disco sia puntando seriamente a rimettere in produzione le cassette, intravvedendo un mercato promettente, sulla scorta  della crescita costante del vinile, Perché non proporre un'alternativa? E così anche le ultime uscite della cantautrice numero uno al mondo, senza rivali, ovvero Taylor Swift sono state pubblicate anche su cassetta. I tre screenshot da Amazon italiano il 10 marzo 2023 illustrano meglio di mille parole la motivazione economica e marketing di questo ritorno, che qualche riga sopra avevo definito insensato.





Come si vede il prezzo è basato sull'aspettativa del potenziale cliente. Chi si limita desiderare un supporto fisico come testimone della "sua" musica (vedi post precedente) ha il CD, chi ha fede nel "suono analogico", con soli 10 euro in più del CD può sperimentarlo senza le complicazioni e i costi di un set giradischi, basta magari solo tirare fuori da qualche cantina la "piastra cassette" (cassette deck) e infilarci una inattesa cassetta del 2023. E infine, per chi non accetta compromessi e cerca il vero e indubitabile "suono analogico" con solo altri 10 euro in più rimane comunque il mitico vinile.

I nuovi registratori a cassette
Da molte parti si ripete che la produzione di registratori-lettori a cassette è ripresa, ma in realtà si trovano solo, almeno per ora, alcuni componenti della Teac, più altri, molto simili, commercializzate da una ditta USA che si chiama Pyle, che in catalogo ha anche forni per esterni, termometri industriali e una quantità di altre cose. Visto che le piastre Teac non hanno nulla a che fare con la produzione storica viene il dubbio che siano entrambi oggetti economici made in Ciina brandizzati. Quello disponibile anche in Italia su Amazon e altri shop Online a un prezzo tra i 350 e 450 € è questo modello W-1200.

Come si vede già dall'immagine e poi si conferma leggendo le funzionalità, sembra prodotto per altri scopi, diversi dal godimento del vero "suono analogico". E' un dual cassette, funzionalità un tempo usata per fare due copie in un colpo solo del disco appena comprato o prestato da un amico, e non si capisce a chi possa essere utile ora, poi è anche digitale, può convertire al volo in digitale, ma solo in MP3 a 128Kbps, ed è un tradizionale modello con testina lettura /scrittura Dolby B.

L'impressione è che sia pensato per un mercato rimasto a 50 anni fa, nel quale le cassette ancora sono usate e servono per  copiare e moltiplicare i CD, ancora cari. Paesi così ce ne sono.
Sono presenti nel sito anche altri modelli, non si capisce se ancora in produzione, accoppiati con lettore CD o radio.e senza doppia cassetta.

Se l'obiettivo è ascoltare il suono analogico, bisogna suonarle bene queste cassette
Non è facile capire cosa sia questo suono analogico, ma l'unica cosa certa è che distinguerlo non è facile, e serve un impianto in grado di percepire le differenze, e valutarle. Ma, prima ancora, serve una sorgente che riproduca il master con precisione e un lettore che la trasformi in audio senza introdurre distorsioni e altre alterazioni.

La cassetta preregistrata
Riguardo alla prima esigenza, la cassetta preregistrata (quelle di Taylor Swift lo sono) ha una pessima fama di bassa qualità, giudicata universalmente inferiore al CD ma anche agli stessi album registrati con cin cura con la piastra di casa, E magari dipendeva anche dal nastro, che non era dei tipi più evoluti come i famosi nastri al cromo. Erano quindi poco diffuse  ma non solo per questo motivo, anche perché costavano quasi come un LP e quindi conveniva comprare l'LP e registrarlo, e si aveva anche la grande confezione con la copertina 30x30.  Erano vendute essenzialmente per l'ascolto in auto da parte di persone che non avevano né registratore né impianto.

Secondo alcune rare recensioni che danno importanza a questo tema le la qualità del suono delle cassette di Taylor Swift prese a esempio è ottima e a livello del CD.
Mi accontenterei di sapere su quale tipo nastro sono registrate, se standard o CR02 (biossido di cromo) e con quale sistema di riduzione del rumore di fondo (qui dovrebbe essere Dolby B).
Ma non si trova da nessuna parte questa informazione di base (cercherò ancora) il che però mi fa temere che non sia la qualità (vera) la caratteristica più ricercata,

Il lettore di qualità
Diciamo "lettore" perché la funzione di registrazione, comunque sempre presente (e tuttora disponibili le cassette vergini) non ha senso nei Paesi con una rete Internet e 4G-5G diffusa e a basso costo, a meno che ci sia qualcuno convinto che copiando un CD su una cassetta con il registratore di casa si ottiene il sullodato "suono analogico".
Ma sulla scarsa qualità delle cassette come supporto  fisico bisogna sfatare un mito. Negli ultimi anni, prima di essere spazzate via dai masterizzatori, le cassette avevano raggiunto una qualità che poteva realmente stare testa a testa col vinile.

Technics RS-B100 (1984)

Questo grazie alla disponibilità su piastre dal costo accessibile della brillante soluzione di Ted Nakamichi delle testine separate per lettura e scrittura, Una testina dedicata consente di ottenere la massima qualità, mentre la testina unica è una soluzione di compromesso con i relativi e inevitabili limiti.

Seconda innovazione sono stati i riduttori di rumore di fondo superiori al Dolby B standard (comunque  benemerito per il successo del supporto). Erano il Dolby C e il  DBX.

TEAC V-5000 (1991)

Trovando sul mercato dell'usato piastre di questa classe come i registratori a cassette con 3 testine  TEAC V-5000  (con Dolby C) e Technics RDS-B100 (con DBX e compensazione di fase) visibili in queste foto, si poteva effettivamente copiare su cassetta un LP senza riduzione della qualità e con una correttezza di ascolto comparabile al vinile,  anche con musica più complessa e ad alta dinamica come la classica o il progressive. Si trovano usati in buine condizioni entrambi intorno ai 500 €.

Questo servirebbe, assieme ovviamente ad una cassetta di qualità,  per verificare veramente un livello di qualità superiore (o comunque preferibile in base ai gusti personali) rispetto al CD o alla musica digitale in genere, che giustifichi i costi e  l'impegno dell'ascolto "moderno" su cassette,

In sintesi
Le motivazioni economiche delle case discografiche le intuiamo, i margini con lo streaming sono ridotti e si compensano solo con grandi numeri di vendita, i supporti fisici invece consentono alti margini anche con numeri ridotti. Se si crea una moda e un mercato di nicchia come per i vinili l'interesse economico c'è, a maggior ragione perché i costi della produzione delle cassette sono anche inferiori.

La motivazione per gli acquirenti è invece meno chiara, e difatti nei vari articoli che con parole molto simili annunciano questa nuova era digitale (c'è il sospetto che la fonte sia chi li produce) viene sempre ripetuta la possibilità che offrono di accedere al mitico "suono analogico" che ho citato più volte.
Un risultato improbabile, de non nella propria immaginazione, per chi pensa di raggiungerlo solo con le cassette ma non ha un impianto adeguato. Più probabile per chi invece ha già un buon impianto e investe nella ricerca e acquisto di un registratore a cassette top come quelli citati (ma ce ne sono altri), Qui ancora una volta prevale la soddisfazione e il piacere di far rinascere tecnologie del passato e dimostrare la validità che conservano, 

giovedì 2 marzo 2023

Come ricordiamo la "nostra" musica, e cosa c'entra con i supporti fisici?

Se sentiamo citare un quadro o una scultura non abbiamo difficoltà a visualizzarlo nella nostra mente, sono arti figurative e quindi basta recuperarli nella memoria con la loro immagine, memorizzata perché l'abbiamo vista coi nostri occhi in una galleria o in museo, o perché l'abbiamo vista con una riproduzione stampata o sul web.

Nessuna difficoltà, per esempio,  a richiamare alla mente l'omaggio di Canova a Paolina Bonaparte Borghese che guarda i visitatori nel Museo Borghese di Roma (la foto è stata presa durante una installazione a contrasto di opere dello scultore inglese Damien Hirst)

Per i libri è diverso, è letteratura, dobbiamo ricordare la trama, o alcune parti, o i personaggi, tutte informazioni da ritrovare nella nostra mente, che possiamo aiutare solo chiedendo al web o agli amici.

Per la musica è ancora diverso, è l'arte più astratta che ci sia, se è musica strumentale non fa riferimento a nulla di reale, se non quanto è legato alla sua creazione (strumenti, citazioni ecc.) mentre se è accompagnata da un testo vuol dire che è un'opera in parte letterario e vale quanto detto per i libri.

L'immagine della musica
E quindi come fa a ricordarla, a ricrearla nella mente chi non conosce la musica (quindi la maggioranza delle persone) e non la sa riprodurre se non con grande approssimazione? E, se è una canzone straniera, chi non conosce la lingua?

Forse proprio per questo dagli anni '50 e '60 in poi, per ricordarla meglio e quindi anche comprarla meglio, è stata aggiunta alla musica un'immagine, la copertina, aggiungendo un'informazione visiva che aiuterà molto il ricordo, tanto più quanto più è efficace. Un ausilio  strettamente legato al modo con cui si è venduta tutta la musica fino al 2000, ovvero con un supporto fisico che deve essere protetto con una confezione, che è il veicolo ottimale per aggiungere alla musica la sua immagine.

Quando però i supporti fisici sono diventati superflui, per l'ascolto della musica scelta e acquistata da noi l'immagine, ora solo simbolica, è rimasta lo stesso anche se la confezione non c'era più,  e in tutti i servizi di digital download o di streaming l'album o la canzone da acquistare o da ascoltare è accompagnata dall'immagine di copertina, anche se (per alcuni album succede) il supporto fisico proprio non è stato realizzato.

Sentiamo la mancanza di un supporto fisico?
Il fatto che, seppur simbolico e dematerializzato, continuiamo a usarlo, fa propendere per il sì, ma forse è solo una comodità, un segnaposto per aiutare la memoria. Ed è in effetti così per chi la musica la usa come un rullo senza fine, melodie e parole da ascoltare come sottofondo o occasionale fonte di emozione e poi da sostituire con altre.
Ma per tutti quelli per cui la musica è importante, per chi costruisce nel tempo, come per i libri, le proprie preferenze e i propri punti fermi nel mondo della musica,  per chi va ai concerti degli artisti preferiti, per chi quindi costruisce nel tempo la "sua" musica è diverso. Serve qualcosa di più di una immagine di copertina virtuale, utile e visibile solo per sé stesso, una specie di libreria personale, interiore, privata.
Come in fondo è anche la libreria di libri di chi li prende solo in biblioteca e li restituisce o di chi, più numerosi, usa solo Kindle o Kobo. 

Per gli altri, quelli che desiderano trasmettere (anche a sé stessi nel tempo) la loro storia personale di conquista della cultura e della bellezza e non viverla solo nel loro mondo interiore  l'unica opportunità sono i supporti fisici superstiti, da riservare agli artisti e alle opere da non dimenticare, ovviamente.

Questo è il motivo per cui i supporti fisici sono ancora prodotti e venduti, nonostante non abbiano più alcuna motivazione pratica, dal momento che è possibile ascoltare con i servizi streaming la stessa musica con la stessa qualità (a volte anche superiore) con costi molto inferiori e impegno molto ridotto. Sono (siamo) non molti a comprarli, una piccola percentuale dei consumatori di musica, ma sufficienti per sostenere, seppure sempre a livello di nicchia,  la crescita del vinile, il ritorno (che ormai si intravede) dei CD e persino delle musicassette.

In sintesi
Concentrarsi, come rifugio rispetto alla enorme e inarginabile produzione musicale odierna, nelle musiche che sappiamo di nostro gradimento e consolidare la "nostra" musica su supporti fisici, oppure esplorare liberamente ma inevitabilmente a caso tutte le musiche del mondo e del tempo grazie allo streaming? Il bello di questa nuova e inedita possibilità è la possibilità di scelta, e di passare liberamente da un approccio all'altro. Nei tempi d'oro era impossibile e anche inimmaginabile, e anche ora è possibile solo nella musica, non nel cinema, non nella letteratura.

mercoledì 23 novembre 2022

Abbiamo bisogno di un amplificatore per le cuffie stereo?

La risposta era probabilmente no, quando tutti gli amplificatori avevano un'uscita per le cuffie (siglata "phones") e le cuffie erano usate solo in studio di registrazione o a casa, quando l'appassionato voleva ascoltare di notte, o apprezzare alcuni dettagli della musica che ascoltava oppure controllare se sulle casse acustiche qualcosa non andava. Le marche erano poche e il mercato se lo dividevano la Koss per le cuffie chiuse e la Sennheiser per quelle semi-aperte. Poi i tempi sono cambiati e, partendo dai walkman, le cuffie hanno conquistato il mondo, diventando il dispositivo di ascolto principale in mobilità e fuori casa, con una produzione vastissima e anche di livello e costo molto alti. Un raro mercato in crescita nel nostro settore, nel quale si buttano in tanti.

Durante questo percorso le cuffie hanno perso di importanza per l'ascolto casalingo, gli amplificatori per essere o sembrare hi-end hanno perso progressivamente comandi tra cui l'uscita cuffia, rimasta solo sui rari ampli moderni versatili (come gli entry level Rotel) o per case particolari come la Naim.

L'amplificatore dedicato alla cuffie
Ovviamente negli ampli l'uscita per le cuffie è servita da un piccolo amplificatore dedicato, al quale arriva il suono della sorgente selezionata, e la chiusura del circuito disconnette automaticamente le casse acustiche confermando l'utilizzo preferenziale di "ascolto privato".
La potenza richiesta è poca, il compito poco impegnativo e di conseguenza per le uscite venivano (e credo vengano ancora) utilizzate soluzioni molto economiche. Già negli anni d'oro quindi si cominciava a intravedere la necessità di un ampli dedicato di maggiore qualità e qualcuno ha cominciato a produrlo, anche se non è mai diventato un componente comune. Ora è però proprio una necessità, se vogliamo ascoltare le sorgenti collegate all'amplificatore con le cuffie stereo, a casa nostra,

Quello che vogliamo e come ottenerlo
Ci basta quello che consentiva un classico ampli degli anni '70, un Marantz o uno Yamaha: ascoltare una qualsiasi delle sorgenti connesse all'ampli, silenziare le casse acustiche, un'amplificazione corretta e curata come quella destinata alle casse. Ma non è così semplice ora, dipende dalla flessibilità come ingressi dell'ampli delle casse (e dell'ampli cuffie, vediamo dopo alcuni modelli). Vediamo i vari casi

La connessione standard
Gli amplificatori per cuffie analogici sono pensati per un amplificatore che ha almeno una uscita "line", che a suo tempo era chiamate di solito "tape" o "recorder" perché serviva soprattutto per registrare la musica su registratore a cassette o nastro. Questa uscita bypassa il pre e quindi il controllo di volume e lascia quindi il controllo del volume all'ampli per cuffia, come vogliamo. Perché sia utilizzabile immediatamente per collegare le cuffie è necessario però che l'amplificatore abbia anche la "doppia barra di registrazione" ovvero che possa inviare l'input sia all'uscita line, sia alle casse. Serviva per registrare una cosa mentre ne ascoltavi un'altra, esigenza sentita nell'era delle musicassette.
Nel nostro caso serve invece a silenziare le casse, perché la doppia barra (che consiste in un secondo selettore input) include anche una posizione "off" che serve per registrare senza ascoltare nulla, ed è quello che cerchiamo.

I workaround: se la doppia barra di registrazione non c'è
Questa è le situazione di praticamente tutti gli ampli moderni, con poche eccezioni come ad esempio gli integrati Accuphase (mio sogno proibito) che propongono la più recente e raffinata tecnologia mantenendo la grande versatilità degli ampli di un tempo (vedi immagine sopra, integrato E-270), con un occhio di riguardo anche per chi vuole perseverare nella registrazione analogica (su nastro a bobine, ovviamente).

In questo caso bisogna aggirare il problema, e di solito è abbastanza facile: dato che l'ingresso line (ancora presente su molti integrati recenti) non passa per il controllo volume basta portare a zero il volume. Quasi sempre, perché se il volume è "digitale", ovvero a step, può darsi che portandolo a zero si annulli anche l'uscita line. Così è ad esempio nel mio Audio Analogue Puccini Rev2.0. Serve quindi un aggiramento doppio, mettere il livello a mute e passare al primo step. Alle casse arriverà qualcosa ma a livello bassissimo. 

L'amplificatore integrato Primare Prisma I-25 è un esempio di ampli moderno con uscita Line e uscita Pre

I Alternativa: L'uscita pre
Quando non c'è neanche l'uscita tape potrebbe esserci l'uscita del preamplificatore, di solito assieme all'ingresso del finale. Servono per sostituire il finale con uno più potente o per utilizzare l'integrato come finale. Nel loop pre-finale può essere inserito un altro componente e quindi anche un ampli per cuffie. L'ampli cuffie ha un interruttore che invia l'input alle cuffie o all'indietro al finale dell'ampli principale chiudendo il loop e cosi garantisce che nell'ascolto in cuffie le casse siano silenziosem ma anche ci si possa passare facilmente all'ascolto dalle casse,

E' la configurazione più semplice anche nell'uso ed è ben comprensibile in questa immagine di un economico ma molto valido ampli per cuffie, il Schiit Magni+, come si vede ci sono un ingresso e una uscita RCA e il selettore Input (suona la cuffia) oppure output (suonano le casse connesse al finale o le casse attive). Magni+ funziona quindi come pre.


Rimangono però due problemi: 1) il volume del pre è attivo, degrado probabilmente non avvertibile ma il segnale passa per due pre, e bisogna bilanciare bene i due volumi 2) e, soprattutto, non sono molti i moderni ampli con pre e finale.

II workaround: Se c'è solo uscita pre
Gli amplificatori integrati della Rotel hanno solo l'uscita pre, e presumo non siano i soli, L'ampli per cuffie può essere collegato come nel caso precedente con lo stesso non fondamentale limite del doppio comando del volume. Ma c'e'  un problema più importante: le casse continuano a diffondere la musica. Il fatto è che questa connessione serve proprio a questo, attivare un secondo finale e un secondo paio di casse, magari in un'altra stanza, per soluzioni multiroom. Almeno sui componenti Rotel un workaround però si trova; su questi amplificatori le uscite ad alto livello per le casse sono doppie, se la seconda copia di casse non c'è, basta selezionare la seconda uscita come "tappo" dal quale non esce il suono.

Amplificatore Rotel A12-MK2, l'uscita pre è il numero 22

L'alternativa digitale
Tutto quanto riportato sin qui riguarda un ascolto in cuffia che preservi le sorgenti analogiche senza alcuna conversione, e nel quale sorgenti digitali basate su supporti fisici (CD o SACD) siano rappresentate da lettori che effettuano anche la conversione in analogico. Se invece l'impianto è incentrato sulle sorgenti digitali, quindi il componente centrale non è un amplificatore ma un "music server". In questo caso il problema è di facile soluzione se il "music server" (non esiste un nome, ogni produttore usa il suo) ha un'uscita digitale. In questo caso basta scegliere un amplificatore per cuffie con DAC (o, se preferite, un DAC con uscita cuffia) e il problema è risolto. A patto che abbia prestazioni superiori a quello dell'ingresso cuffie del music server, perché col ritorno delle cuffie è tornato anche questo, Un esempio è lo streamer Marantz 6006 che ha, come si vede in figura, sia un'uscita digitale ottica che un'uscita "line" (qui la chiamano "fixed" e può usare tutti i tipi di ampli per cuffie.

Ma, cercando esempi, ho notato che se il music server è completo e include anche l'amplificatore per pilotare le casse acustiche, l'uscita digitale spesso non c'è. Forse dipende dal fatto che il componente promette di includere tutto. Con questi componenti (gli esempi sono il Cambridge Audio Evo 75, nella foto, il Naim Uniti Atom,  Roksan Attessa) usare un ampli cuffie esterno non è possibile, a meno che trai molti comandi non ce ne sia uno che inibisce l'uscita alle casse.


In sintesi:

  • per collegare un amplificatore per cuffie serve sull'ampli una uscita che bypassa il pre, denominata di solito "line", "tape" o "fixed", se è anche presente la doppia barra di registrazione è meglio ma non indispensabile;
  • in alternativa può essere usata anche una uscita pre, regolando opportunamente il volume, a patto che l'amplificatore abbia anche l'ingresso finale per chiudere il loop;
  • se c'è solo una uscita pre, è presente solo per collegare un secondo sistema in multiroom e non è adatta a collegare un ampli per cuffie
  • se tutti gli ingressi sono digitali o convertiti in digitale su un music server si può adottare un ampli per cuffie con DAC
  • la maggior parte dei nuovi amplificatori o music server hanno un ingresso cuffie di serie, in questo caso un ampli dedicato per cuffie ha senso solo quando è di qualità superiore a quella dell'ingresso interno.
Gli amplificatori per cuffie
Dopo aver spiegato come si collegano è utile aggiungere anche una sezione sui componenti in quanto tali, si tratta di un settore molto specializzato, i produttori raramente sono di primo piano, e quindi alcuni esempi possono essere utili per sapere di cosa si parla. Ovviamente sono riferimenti destinati a diventare obsoleti, considerato l'elevato turn-over che ormai caratterizza anche il mercato hi-fi.

Schiit Magni+
Campione nel rapporto qualità / prezzo secondo molti recensori, costituisce certamente la prima alternativa da considerare. Nella figura precedente si vedono gli ingressi e uscite, quando si connettono le cuffie l'uscita viene automaticamente annullata. Il selettore frontale consente di impostare il guadagno su tre valori (0dB, +15dB, -10dB) per adattarsi alle diverse sensibilità delle cuffie stereo. Costa ca. attualmente 109 $. 



Tra i 5 modelli di headphones amp prodotti da Schiit, che è un produttore USA con sedi in California e Texas (progettazione USA e produzione in oriente) c'è anche un modello superiore Magni + che costa circa il doppio che ha in più uscite bilanciate sia per le cuffie che per l'uscita verso finale o casse amplificate, Più interessante la versione a valvole chiamate Vali, identiche funzionalità e comandi, costa solo 149$  attualmente, per chi vuole sperimentare se il suono delle valvole (una in questo caso) è veramente magico. Altri due modelli sono a valvole ma senza trasformatori (OTL) in uscita (considerati di classe più elevata), modello Valhala e infine il top Lyr che è ibrido, a scelta valvole o stato solido.

S.M.S.L. SH 8S
Un'alternativa tutta cinese ma di una ditta che produce molti buoni DAC e componenti vari è questo modello tutto analogico. Costo sempre sui 100 € come il Magni+ ma in più ci sono ingressi e uscite bilanciate (le cuffie con ingresso bilanciato sono in crescita). Secondo le recensioni è un componente che punta alla massima trasparenza del suono. Una caratteristica coerente con l'uso delle cuffie come analizzatori della qualità della sorgente e del materiale audio, e come confronto con le casse. Ma non sempre apprezzata per l'uso di puro ascolto perché piuttosto severe con materiale audio carente per età o cattivo mastering. 

iFi Audio Zen CAN Signature 6XX / HFM
Salendo nell'investimento si può pensare anche a un ampli per cuffie prodotto in UK da una ditta sempre più apprezzata e valutato addirittura come finalista nel settore accessori dalla prestigiosa rivista online Stereophile. Particolarmente positivo il giudizio sul suono raffinato di questo modello dalla forma vagamente retro e dai comandi non proprio ergonomici. Caratteristiche simili agli altri, particolarità anche qui gli ingressi e uscite bilanciate e in più i 4 livelli selezionabili per il guadagno la possibilità di equalizzazione. Una particolarità curiosa di questo componente e possibile plus è che viene venduto in due configurazioni equalizzate e personalizzate : la 6XX per le diffuse Sennheiser HD250 e la HFM per le cuffie prodotte dal marchio HIFIMAN, attualmente di grande successo (molti modelli, alcune nel range 200-400 e gli altri che costano in genere più delle STAX). L'equalizzazione si può escludere (e perdere) da chi ha cuffie di altre marche e modelli, una scelta di marketing quindi piuttosto curiosa, i modelli prescelti sono molto diffusi, ma modelli e marchi di cuffie sono molti e in crescita. Circa 300 € il prezzo attuale.




sabato 15 ottobre 2022

Il tramonto della musica liquida

"Musica liquida" ovvero "non solida" è l'efficace nome che Paolo Nuti, nome importante dell'Hi-Fi italiano e fondatore della rivista Audio Review, ha dato al nuovo modo di distribuire e ascoltare la musica, che nasceva agli albori del millennio dall'unione della digitalizzazione del messaggio musicale e della possibilità di trasporto illimitato dei file audio tramite Internet, ovvero la ragnatela mondiale ovvero "il web". In sintesi, la musica digitale,

Il nome ha avuto fortuna in Italia, molto meno all'estero dove la diffusione e distribuzione della musica digitale è stata da subito chiamata semplicemente "digital download".

La storia del digital download
La storia del digital download o, se preferiamo la definizione italiana, della musica liquida, la ricordiamo bene: prima l'esplosione grazie alla compressione MP3, ai protocolli peer-to-peer (Napster, eMule,  BitTorrent ecc.) e alla diffusione gratuita, ma illegale, poi il ritorno allo sfruttamento economico con la geniale idea di Steve Jobs, l'accoppiata iPod - iTunes (che è anche stato il trampolino di lancio per la Apple, futuro n.1 al mondo) aiutata anche, ammettiamolo, dal deciso contrasto della pirateria avviato dalle case discografiche superstiti.

Il terzo step per il passaggio definitivo doveva essere la disponibilità in digital download anche della musica in formato lossless, quindi alla stessa qualità del CD, e poi a seguire quella in qualità HD. Ma qui il processo si è incagliato sui veti delle case discografiche, che hanno escluso molti Paesi (l'Italia fino a pochi anni fa), preteso prezzi superiori al CD (ormai sempre più economici perché in crisi di vendita, e con un sempre più esteso mercato dell'usato) e molto superiori per il poco HD disponibile.

Mentre iTunes rimaneva solo in formato compresso (e non era più strategico per Apple, che nel frattempo aveva lanciato l'iPhone, e cambiato il mondo), ben poche case discografiche hanno creato il loro sito di digital download e nessun altro investitore ha avuto la forza o l'idea di creare un iTunes per la qualità CD e quindi una possibile alternativa al CD. Il digital download rimaneva ristretto a pochi siti specializzati come il celebre HDtracks e alla pirateria. che proseguiva con altri mezzi (ma meno globale). La situazione ideale per un nuovo strappo verso la dematerializzazione e virtualizzazione della musica.

Arriva lo streaming
Lo strappo, reso possibile dalla velocità sempre crescente della rete, è consistito semplicemente nell'abolizione della parola "download": perché scaricare in locale un album quando lo puoi ascoltare direttamente da dove, nel vasto web, è archiviato? Qualcosa che nei fatti già esisteva e che già era la fonte della musica per molti utenti smartphone e che si chiamava YouTube, nato per altri scopi (video) ma che veicolava moltissima musica, ascoltabile direttamente e senza scaricarla, Il tutto gratis, salvo un po' di pubblicità.
Due imprenditori svedesi hanno ipotizzato che qualcuno poteva essere interessato a pagare una ridotta cifra mensile per un'alternativa di YouTube, orientata solo alla musica e nella quale gli album disponibili erano ben organizzati e facilmente ricercabili, più altre funzionalità, ed è nata Spotify, aggiungendo per prudenza anche il servizio free ma con pubblicità,

Il seguito lo conosciamo
Ed è sintetizzato in questo grafico a torta, che riguarda il mercato USA nel 2021, e mostra il ruolo ormai marginale del digital download. E' sceso ora al 4% del mercato (nel 2015 era ancora il 66%) ed è poco più di un terzo della musica su supporto fisico che, ai tempi dell'invenzione del termine "musica liquida" avrebbe dovuto soppiantare. Il restante 83% è appannaggio della musica che viene semplicemente ascoltata, non importa dove sia e come faccia ad arrivare alle nostra cuffie e alle nostre orecchie quando la scegliamo.

La proprietà della musica
Lo streaming ha definitivamente diviso in due categorie gli ascoltatori: quelli che la musica l'ascoltano per il tempo necessario a fruirne e quelli che vogliono anche possederla, quindi esserne proprietari anche quando non l'ascoltano. La differenza fondamentale è che possederla non è obbligatorio per sentirla, salvo pochi casi di musica molto particolare, e anche quelli del secondo gruppo possono ascoltare tutta la musica del mondo, basta sottoscrivere un contratto streaming, anche gratuito eventualmente.

Essere proprietari della musica che si ama, scelta in base ai propri gusti personali, ha motivazioni di altro tipo, Ne ho parlato altre volte: c'è la testimonianza visiva e trasmettibile a chi ci conosce o verrà dopo di noi delle nostre scelte, dei nostri gusti, della nostra cultura. C'è il piacere di avere in mano un oggetto fisico, di consultare un libretto anziché un sito web, di essere almeno per un po' staccati da computer, smartphone e tablet, della manualità nello scegliere e caricare la musica sul lettore. Tutte esigenze che caratterizzano l'appassionato di musica, e che non interessano se non occasionalmente il consumatore di musica.

Supporti fisici e supporti digitali
Non tutti hanno questo desiderio di proprietà e questa necessità di trasmettere la loro idea di musica e, per gli USA, sappiamo anche quanti erano nel 2021: il 15% dei consumatori. Penso che in Italia la percentuale non sia molto diversa, non è poco tutto sommato, 
La maggioranza dei "prprietari" sceglie, e sceglierà sempre più, probabilmente, un supporto fisico: vinile, CD, SACD. E' logico, se le motivazioni sono quelle riassunte sopra. Non c'è paragone tra l'efficacia con cui trasmette un messaggio una libreria fisica, rispetto a una libreria J River o Roon mostrata (con intenzione di farlo) sullo schermo di un tablet. E non c'è paragone come valore (non solo simbolico) tra una collezione di vinili, o anche di CD (prezzi in aumento, ne riparlerò) rispetto a un hard-disk di PC con Terabytes di musica, che però si può ascoltare tranquillamente con ogni servizio streaming, incluso YouTube.

Ed infine, elemento decisivo: il costo. Sui servizi di digital download rimasti il costo di un album è dello stesso ordine di grandezza dell'equivalente fisico. Probabile la scelta del supporto fisico, si spende per qualcosa che si vede e che rimane e, anche se solo in digital download e in qualità CD, si potrà ascoltare comunque in HD in streaming, se si vorrà. Perché l'appassionato di musica ha sempre anche un contratto streaming, per scoprire e testare nuova musica.

Ultima domanda: a chi sono rivolti le librerie digitali come Roon, J River, Audirvana?
Sembra una contraddizione la mia previsione sul declino del digital download, visto l'interesse crescente per questi prodotti e per i music server che possono fornire servizi analoghi "PC free" dal costo sempre più elevato nell'ordine delle migliaia di Euro.
Ma è una contraddizione solo parziale, perché gli acquirenti son per una buona parte appassionati che hanno digitalizzato la loro vasta discoteca, e ne possono fruire con maggiore facilità (mantenendola).
Inoltre, sia Roon che Audirvana supportano anche i servizi streaming, e Roon fornisce le sue funzionalità aggiuntive (molto apprezzate) anche per l'ascolto da streaming. Lo streaming quindi può coesistere, e servizi come Roon o music server che liberano l'utente da PC hanno uno spazio. 

In sintesi
Il mondo cambia continuamente, e a volte corregge anche quelle previsioni che non valutano tutti gli aspetti dei nostri desideri e dei nostri bisogni.



sabato 1 ottobre 2022

L'alta fedeltà come hobby

Sulle riviste e anche su questo blog si criticano spesso gli appassionati dell'impianto, quelli che ascoltano l'impianto più che la musica, che dedicano più tempo alla messa a punto che all'ascolto, che cambiano frequentemente i componenti per sperimentarne di nuovi e mai ascoltati, che si dedicano ai miglioramenti veri o presunti con piedini speciali, liquidi pulisci contatti e simili. 

Giuste critiche per chi da' priorità alla musica, ma ormai, con il digitale che ha raggiunto  ampiamente livelli qualitativi comparabili con quelli dei componenti analogici di fascia alta. Per esempio, con prodotti come le recenti casse acustiche attive wireless Kef LS60 che ho descritto nel precedente post, che garantiscono oltre al resto anche dinamica e risposta sui bassi riservati sinora solo a grandi impianti di fascia alta, un appassionato di musica e basta può ascoltarla praticamente senza compromessi avendo un impegno di installazione e configurazione del tutto analogo a quello necessario per un TV a grande schermo di ultima generazione. E avendo come unico componente aggiuntivo la app di Qobuz o Tidal da installare sul suo smartphone e tablet. 

Sono lontani i tempi in cui, per potere mettere un LP sul piatto e ascoltare in stereo (più o meno) venivano venduti sistemi integrati come questo, o il mitico compatto di Selezione del Reader's Digest (è una pubblicità su un numero di Linus del 1972.

Pubblicità sulla rivista Linus, anno 1972. Impianto Furcht Hi-FI Equipment MKII

Per il salto di qualità era necessario acquistare una "catena" giradischi - amplificatore - casse acustiche, e qui per scegliere bene e per installarla nasceva la necessità di diventare esperti (più o meno) andando ogni mese in edicola ed acquistare una rivista di alta fedeltà, quindi Stereoplay o Suono Stereo.

Ricerca della perfezione
Ora non è più così, ormai l'ultimo confine è superato, e per decidere il salto all'impianto "custom", scelto e composto dall'appassionato, servono quindi ormai motivazioni extra musica, che quindi trasformano l'impianto dell'oggetto di un vero e proprio hobby a sé state. Una motivazione che può essere (ed è forse prevalente), l'esplorazione dei limiti a cui arrivare la tecnologia nella riproduzione fedele del messaggio musicale, e quindi la scelta di puntare a impianti di livello ancora più alto, che adottano tecnologie innovative e/o esclusive e dedicare una buona parte del proprio tempo a verificare i miglioramenti ottenuti o le carenze da superare. 

Scoprire e dominare tecnologie vintage
Oppure, affiancare al piacere di ascoltare la musica quello di ascoltarla con apparecchi basati su tecnologie superate dall'avanzata del modo digitale ma che, se applicate con rigore e attenzione e scontando costi superiore e preparazione più complessa e impegnativa, garantiscono un piacer d'ascolto comparabile se non superiore, o magari percepito come tale proprio in ragione dell'impegno necessario per raggiungerlo. Tanto da ottenere un effetto sorpresa, per esempio dalla estensione della risposta e dal realismo nell'ascolto di un vecchio LP comprato usato o dalla presenza nella ricostruzione spaziale ottenuta riproducendo un vecchio nastro a bobine.

L'alta fedeltà personale
Altra motivazione che accompagna questo mondo da sempre è il do it yourself, realizzare in proprio i componenti per comporre l'impianto. Un tempo per risparmiare qualcosa sul componente, con i kit per appassionati che erano già attrezzati con attrezzi da segheria casalinga o saldatore, come i kit della Kef degli anni '70, che arrivavano pre-montati o gli amplificatori a valvole o a transistor da costruire con i progetti delle riviste Elettronica o Audiocostruzioni o del sito TNT-Audio. Ma anche obiettivi più ambiziosi e personalizzati: sfidare i produttori top con progetti di diffusori basati su altoparlanti particolari come i gamma intera (full range) Lowther o senza compromessi sulla risposta ai bassi, quindi senza limiti di dimensioni.
Non comprare ma costruire e addirittura progettare, diventare creatori in proprio degli oggetti che ci consentono di ascoltare l'amata musica, e raggiungere obiettivi fuori portata economica. Grande soddisfazione per chi vuole essere homo faber.

Uno dei tanti progetti realizzati utilizzando l'altoparlante full range Lowther, in questo caso con u caricamento acustico a labirinto si sfrutta l'emissione posteriore per estendere la risposta sui bassi

L'alta fedeltà allora è un pretesto?
Questo si potrebbe pensare riguardo alle motivazioni ipotizzate qui sopra. Ma non è esattamente così, senza la musica, senza questo risultato finale (ascoltarla bene e con emozione) tutto il lavoro di selezione dell'impianto, messa a punto, sperimentazione, sostituzione, costruzione, progettazione, perde di senso completamente. Sono hobby, passione tecnologica e anche a volte collezionistica, che si affiancano alla fruizione casalinga di una forma d'arte. Rubando un po' di tempo alla seconda, questo è vero.

In sintesi
Quindi ritengo che si debba avere tolleranza per chi non ritiene che i componenti per ascoltare, con le loro multiformi e numerose scelte tecnologiche, siano solo un mezzo privo di interesse in sé, ma qualcosa che fa parte della storia musica, come gli strumenti musicali, e quindi si appassioni anche alla riscoperta della loro storia, alla sperimentazione delle potenzialità raggiungibili o dei limiti superiori che s possono forse ancora alzare.

In particolare devo ritenerlo tale io, da quando mi sono reso conto che faccio parte del gruppo. Non cambio spesso i componenti, ma ho messo assieme negli anni un impianto che va ben oltre le esigenze base e mi consente di ascoltare la musica per mezzo di quasi tutti i supporti fisici o immateriali inventati per distribuirla: vinile microsolco, CD, SACD, DVD-Audio, Dual-Disc, MiniDisc, FM Stereo, Musicassette, Nastri a bobine,  Musica digitale archiviata in locale, Streaming HD. Manca solo il DAT, un formato per il quale però non è mai stata prodotta musica pre-registrata, a quanto so. E formati veramente di scarsa diffusione come le Elcaset degli anni '70 o la cassetta digitale DCC della Philips, sconfitta dal MiniDisc Sony.

domenica 4 settembre 2022

Casse acustiche con woofer laterali e lato frontale stretto

Avrei potuto scrivere il titolo del post in inglese e forse si capiva meglio: "Side woofers and narrow baffle speakers". Il tema è comunque l'adozione o meno di queste scelte di configurazione nel progetto delle casse acustiche e la loro efficacia nel consentire di raggiungere i tre sostanziali vantaggi (incolmabili) delle casse acustiche rispetto ai sempre più diffusi speaker wireless compatti: la ricostruzione spaziale dell'evento musicale, l'estensione verso i bassi e una dinamica comparabile ad un evento dal vivo.

I vantaggi di un baffle stretto
Il termine anglosassone per indicare il pannello frontale di un diffusore, quello dove sono montati gli altoparlanti, è baffle, mutuato probabilmente da altri settori (nel dizionario è "paratia" o "griglia"). Se è stretto, il diffusore approssima meglio una sorgente puntiforme e quindi la sorgente della musica registrata, dove la posizione degli strumenti viene ricostruita grazie alle differenze di fase e intensità (facendola semplice). Il piccolo mondo dell'Hi-Fi ha raggiunto la consapevolezza di questo importante requisito negli anni d'oro delle mini-casse, ma in realtà anche modelli che avevano conquistato molti appassionati adottavano una sezione frontale ridotta al minimo montando gli altoparlanti in "casse" e "cassettine" di diverse dimensioni, come ad esempio nelle Dahlquist DQ10 e nelle prime B&W 801. Era anche questo il segreto del loro successo.

Sonus Faber Minima Amator

Gli svantaggi di un baffle stretto
Escludendo i diffusori "sezionati" citati prima per loro natura più costosi, un baffle stretto (idealmente alle dimensioni del midrange) pone problemi per scendere sulle basse frequenze, e infatti nelle Minima Amator o nelle LS3/5A, per citare le due mini-casse più famose e grandi responsabili del successo di questa categoria di diffusori, la questione era risolta facendo fare al mid anche il woofer, ma garantendo, con una progettazione evoluta della configurazione bass reflex e un'accorta scelta dell'altoparlante e del circuito di cross-over, una risposta sui bassi non estesa ma comunque adeguata a un ascolto Hi-Fi.

Rogers LS3/5A

L'evoluzione della tecnologia degli altoparlanti (spinta anche dal settore car-audio) ha reso disponibile col tempo woofer in grado di scendere in frequenza e garantire una pressione adeguata anche con diametri inferiori a quelli dei wooer classici. Negli anni '60 una cassa seria doveva avere al minimo un 30 cm, poi lo standard è diventato un 25 cm o anche un 20 con il passaggio al bass-reflex e ora si scende ancora, fino ai 16-15-13 cm. Il trucco ormai assai diffuso è utilizzare più altoparlanti in serie, di solito 2 ma anche 3 o più. In questo modo la quantità di aria che si sposta, e quindi la pressione sonora, eguaglia più o meno quella dei grandi woofer di un tempo, ma con una estensione verso l'alto e una risposta ai transienti molto migliori. Rimane il vincolo fisico della discesa verso i 20-25Hz ma ci sono i subwoofer per chi non ne può fare a meno, oppure diffusori composti da più sezioni separate come i modelli costruiti con più sezioni come i B&W e Dahlquist citati prima.

B&W 801 1a Serie

Dahlquist DQ10, nell'immagine sotto l'interno con la struttura in pannelli separati
 

Il woofer laterale
Esiste però una soluzione molto più semplice ed elegante. I diffusori stretti, per garantire ai woofer un volume d'aria comunque sufficiente per un efficace recupero della emissione posteriore, hanno una forma stretta di fronte ma profonda sul lato lungo. Dove si può inserire facilmente un woofer anche di grandi dimensioni. Si potrebbe pensare che due altoparlanti non rivolti all'ascoltatore ma ognuno di fronte all'altro abbiano un effetto negativo sulla localizzazione degli strumenti e sulle riflessioni in ambiente. 

JBL L7, un modello anomalo per la casa americana

Ma non è così, anzitutto se il woofer è limitato alle basse frequenze non direttive, ovvero se è tagliato in basso. In questo caso le due emissioni sono molto simili e, unendosi al centro tra di esse producono un rinforzo dell'emissione, teoricamente di 3dB quindi del doppio. Ricordiamoci sempre che in un impianto stereo individuiamo la posizione del contrabbasso o della batteria solo grazie alle corde pizzicate o alle percussioni e ai charleston. Anche se però il woofer è tagliato per l'emissione più in alto è da considerare il diagramma di emissione, che è quasi omnidirezionale per questo altoparlante e si estende quindi a 90° raggiungendo anche il punto di ascolto.

Uno svantaggio c'è, ma esiste il rimedio
La soluzione del side woofer sembra ideale, ma è adottata da pochi produttori pur essendo più economica. Presenta infatti un particolare problema realizzativo: il woofer ha movimenti avanti-indietro che provocano vibrazioni alla cassa (per il principio di azione-reazione) che non sono contrastate dalla lunghezza della base (come succederebbe se fosse sul baffle) e  potrebbero essere non tanto "micro" e influire sul suono. La soluzione c'è: un secondo woofer speculare che muove il diaframma in senso inverso.

Il sistema Dual Core di Kef per muovere i woofer in senso opposto con un solo driver

 Questa configurazione si chiama "dual force canceling speaker" (o simili denominazioni) e consiste nel contrapporre un secondo woofer sul lato opposto, che si muove in fase acustica (spinge fuori l'aria in sincronia con il gemello) ma ovviamente in senso opposto essendo sul lato opposto. Il risultato è un eccellente annullamento delle vibrazioni. migliore anche di quello ottenibile con rinforzi o aumento del peso della cassa acustica. L'emissione aggiuntiva sulle pareti opposte può provocare al limite un eccesso di bassi da controllare con il posizionamento. Questo sistema ha anche altre applicazioni, ovviamente per i subwoofer ma anche per diffusori particolari come gli ibridi elettrostatici-dinamici Martin Logan. Nei modelli più grandi è usata per annullare le vibrazioni del woofer, in una cassa elettrostatica potrebbero estendersi anche al pannello con effetti negativi sul suono.

Martin Logan Renaissance ESL 15A

I due woofer contrapposti nel modello Renaissance di Martin Logan



La configurazione D'Appolito o MTM
Sul baffle stretto gli altoparlanti, quindi solo tweeter e midrange, sono posizionati normalmente sovrapposti e centrati, con il tweeter sopra per arrivare più facilmente alla famosa "altezza degli orecchi" dell'ascoltatore seduto non per terra. Il  noto progettista di componenti elettronici Joseph D'Appolito ha notato però diversi anni fa che con questa intuitiva configurazione la dispersione verticale non è uniforme, poiché si formano due "lobi" non allineati in fase e con interferenza tra loro (vedi le immagini, tratte da Biro Technology (Vertically Symmetric Two-Way Loudspeaker Arrays)

Velodyne DF661, un  riuscito esempio di applicazione della configurazione D'Appolito

Con una configurazione MTM (Midrange-Tweeter-Midrange) allineate in verticale a distanza prestabilita e usando un filtro crossover opportuno (Butterworth 3° ordine) la risposta torna coerente sul piano verticale e simile a quella di un coassiale Tweeter-Midrange, senza le complessità di realizzazione di un coassiale.

L'effetto all'ascolto è una maggiore precisione nella riproduzione avvertibile come una più efficace localizzazione delle origini del suono (quindi spazialità) grazie alla origine del suono che approssima meglio una sorgente puntiforme, con un effetto di realismo soprattutto sul piano verticale. Un miglioramento non così radicale però, perché altrimenti tutti i diffusori di una certa pretesa sarebbero MTM, e invece non è così.

Applicazioni pratiche
Al termine di questa rapida rassegna tecnica abbiamo visto che un sistema ideale deve avere un frontale stretto, tweeter e midrange allineati e, per una buona estensione sui bassi, può utilizzare una configurazione con woofer laterali, che possono anche essere duplicati per raggiungere così anche l'obiettivo di eliminare le dannose vibrazioni della cassa (o cabinet).

Come, ad esempio, questo diffusore dalla forma insolita, recensito ovunque in modo molto positivo, e che mi piacerebbe avere a casa mia, se non costasse quello che costa e se mia moglie accettasse di farlo entrare nella nostra sala. Il frontale è stretto e in più curvilineo, midrange e tweeter sono allineati nell'ormai classico UNI-Q, ormai molto perfezionato dopo 30 anni di miglioramenti e 12 versioni, i bassi sono gestiti da 4 unità da 25 cm contrapposte per annullare le vibrazioni. E' il modello top della KEF, dal nome immaginifico Blade One. C'è anche un Blade Two un po' più economico, con woofer da 16 cm.

Le Blade One in un scenografica ambientazione proposta dalla Kef

Qualcuno potrebbe avere perplessità sulla riproduzione corretta delle frequenze medio basse, ed in effetti l'unità UNI-Q è tagliata a 320 Hz e le frequenze basse diventano non direttive circa a 200 Hz. Ma i woofer ome anticipato non sono direttivi e irradiano ben oltre i 180°, anche se con pressione sonora decrescente. In particolare a 90° hanno tipicamente un calo di 3db (quindi la metà) ma essendo  contrapposti recuperano quasi completamente la pressione e anche i medio bassi in ambiente sono preservati (spiegazione ovviamente molto semplificata, mi perdonino gli esperti). Così è in effetti per le Blade secondo le recensioni unanimi, mi pongo l'obiettivo di ascoltarle prima o poi.

Per chi preferisse una configurazione più tradizionali la Kef propone una configurazione "super" D'Appolito, che include i woofer, come nelle Reference 3.

KEF The Reference 3

Anche in questo caso i woofer sono tagliati abbastanza in alto essendo il midrange UNI-Q versione 12  di diametro di 5"( ovvero 12,5 cm), quindi riproducono anche le medio basse, e beneficiano della ottimizzazione dei lobi di dispersione consentiti dalla configurazione D'Appolito. Inoltre essendo doppi hanno una pressione sonora analoga a quelle di un woofer equivalente alla loro superfice totale collocati di lato.

Kef R5

La Reference 3 prodotta in UK costa ancora un po' e chi rinuncia a qualche raffinatezza e soprattutto ha un ambiente che non può valorizzarle in pieno può scegliere le R5 non fabbricate in UK (indovinate dove) che ottengono risultati analoghi con woofer da 13 cm. grazie anche in questo caso alla configurazione e al raddoppio delle unità. Le R5 sono, per inciso, le mie casse acustiche attuali. Per chi ha più spazio esiste però anche una R7 con doppi woofer da 6,5" (16,5 cm).

KEF R7

Per completare la rassegna di come possono essere applicate queste tecniche di progettazione da un'azienda che punta alla tecnologia per raggiungere i risultati che si propone, sono da segnalare in evidenza anche le recenti LS60, casse attive che sono un upgrade con risposta estesa verso i bassi delle formidabili LS50 (vedi prova d'ascolto) e che adotta proprio i woofer laterali con una configurazione force cancelling. Obbligata in questo caso vista la forma particolarmente stretta e alta del frontale (penso che con musica con molti bassi potrebbero crollare su un lato). Non è la stessa usata nelle blade e in modelli di altri produttori ma una soluzione Kef interessante, perché più compatta ed economica,  che hanno chiamato Uni-Core Force Cancelling Driver. Il driver è unico per le due unità ma con un equilibrismo tecnologico le spinge in direzioni opposte.

KEF LS60 in tre colori

In sintesi
Una rassegna di alcune promettenti tecnologie usate da alcuni produttori per i diffusori, con esempi tratti soprattutto dall'attuale produzione Kef, non per pubblicità, ma per il semplice motivo che ho scelto i diffusori Kef da anni e quindi li conosco abbastanza bene. Potrei fare una rassegna analoga per il principale concorrente, B&W, che segue strade in parte diverse e comunque altrettanto apprezzate, ma avendole ascoltate poco e in condizioni non ideali sarebbe solo una rassegna di quello che si trova sul web.