La seconda lezione d'ascolto condotta con il supporto dell'impianto top B&W + Classe' Audio installato nello Studio 3 dell'Auditorium di Roma era dedicato ad un confronto di grande attualità tra gli audiofili in questi ultimi anni, vinile contro digitale. All'inizio doveva essere tra incisioni in vinile e su CD tratte dallo stesso master analogico e digitale, usando un lettore CD di fascia altissima della Esoter, ma nell'incontro precedente avevo proposto al competente e simpatico Giancarlo Valletta, direttore marketing di Audiogamma e conduttore della serata, di incentrare invece il confronto sul digitale in alta definizione, per renderlo più equo. E l'invito era stato accolto, potendo ascoltare così a confronto proprio il master a 24/96 sia derivante da un trasferimento ed editing dell'originale analogico, sia nativo in digitale.
Il materiale musicale utilizzato era in buona parte lo stesso del precedente incontro, proveniente da master realizzati da Peter Gabriel, che collabora come noto con la B&W da diversi anni, e un altro realizzato proprio all'Auditorium utilizzando l'impianto da studio che stavamo ascoltando per mettere a punto la resa sonora, e dedicato a performance recenti di Gino Paoli accompagnato dal pianista jazz Danilo Rea e dalla sua sezione ritmica, un set rigorosamente acustico.
Protagonista della serata era anche il giradischi. Un nome che va un po' stretto ad una macchina da musica costruita con le tolleranze di un componente di una navetta spaziale (e costo proporzionale), prodotta da una società inglese specializzata in meccanica di precisione per il settore automotive (tra i clienti principali e' citata l'Aston Martin) ma il cui proprietario e' anche appassionato di musica e di analogico. La marca e' la ben nota Avid e il modello Acutus, il monumento al disco nero in vinile nella foto qui sopra, che non è neanche il top della gamma, ma è decisamente lontano dal concetto di entry level. Testina a bobina mobile Ortofon e pre phono sempre Classe Audio, se ricordo bene.
Di classe decisamente diversa il set digitale. Un convertitore della HRT, il modello Music Streamer HD con uscite bilanciate (ca. 500 €), buon componente ma certo non al top tra i DAC, e un MacBook Air con VLC come player. Meglio così, se si voleva verificare la potenzialità dell'alta definizione in quanto tale.
Il materiale musicale era ancora una volta proveniente dai master analogici e digitali di Peter Gabriel, che collabora da anni con la B&W, e da recenti registrazioni di Gino Paoli accompagnato dal pianista jazz Danilo Rea con la sua sezione ritmica, tutto rigorosamente acustico, messe a punto utilizzando proprio il notevole impianto dello Studio 3 che stavamo ascoltando. Anche questa volta ero con mio fratello, ascoltatore esperto che predilige musica operistica barocca, ma che non rifugge dal pop e dal rock. E con altri 50 appassionati, tra cui questa volta anche una discreta presenza femminile. La sala era del tutto piena. Potenza evocativa e presente del vinile.
Gli ascolti come la volta precedente erano in sequenza e dichiarati, quindi niente blind test e niente confronti immediati, difficili da organizzare con così tante persone e avendo poco tempo a disposizione per le sessioni di ascolto, più difficile sfuggire alla forza della suggestione, era necessaria grande concentrazione e astrazione.
Il primo ascolto era dedicato a Don't Give Up, il duetto di Gabriel con Kate Bush, master digitale da cui è stato tratto anche un vinile (da 180 grammi, prima qualità) ascolto prima del vinile e poi del master in HD. Diversi dei presenti hanno dichiarato di preferire il vinile. Ma si trattava a mio parere di una suggestione. Più lineare, musicale ed equilibrata la riproduzione in HD, si percepiva un alone di eco sulla voce di Kate Bush che prima non c'era, il basso era più netto e preciso. Anche se qualcuno aveva giudicato più naturale quello meno netto e lievemente gonfio del vinile. Sfumature ovviamente, ma la differenza a un orecchio appena attento non sfuggiva.
Il secondo ascolto a confronto partiva invece da un master analogico di parecchi anni prima, Shock The Monkeys, questa volta rimasterizzato in digitale. Qui era il vinile ad uscire meglio, più equilibrato, in linea con quello che ci si aspetta da un brano di forte impatto. Qualche asprezza e qualche forzatura avvertibile nel digitale, sempre a mio parere (ma condiviso) pur nei limiti di un brano pieno di suoni sintetici.
Conclusione: può essere che l'editing sia una operazione rischiosa e che sia meglio scegliere la tecnologia master originale? Mi guardo bene dal tirare questo tipo di conclusione con soli due ascolti.
Altri ascolti da un vinile di The Wall dei Pink Floyd da cui abbiamo ricavato che è una favoletta la storia delle B&W non adatte al rock (impressionante l'impatto nella grande sala, certo, avevano a disposizione 600W in multiamplificazione) e Gino Paoli a volume un po' troppo elevato per poter dare un giudizio sul realismo della riproduzione.
Quindi viva il vinile per chi ha tempo e risorse per dedicarsi a questa affascinante tecnologia vintage, ma avanti col digitale in alta definizione per chi mette al primo posto la conoscenza e l'ascolto della musica e un passo più indietro la scelta e la cura dell'impianto.