domenica 26 marzo 2017

Naim Mu-so alla prova

Un componente decisamente interessante, il Mu-so della Naim, prestigiosa casa inglese dai molti estimatori, tradizionalista fino a qualche anno fa ma negli ultimi decisamente impegnata anche sul fronte digitale. Ne abbiamo già parlato, fornendo una breve descrizione, nel post dedicato ai nuovi modi per sentire la musica. Ora è stato provato, e possiamo verificare insieme se le ottime recensioni che si leggono sul web hanno un fondamento.

La prima parte della prova si è svolta in un noto negozio di Roma ed era finalizzata ad una scelta tra un impianto tradizionale e appunto il Mu-so, che lo sostituisce quasi del tutto.

La prova riguardava ovviamente il Mu-so standard, non il super.compatto QB
Rimando al post precedente per la descrizione dell'oggetto, ricordo solo che è un componente che include tutto tranne la sorgente (normalmente chiamato wireless speaker) e può suonare musica proveniente da una connessione wi-fi (streaming o web radio), da una connessione wi-fi + DLNA (network storage esterno), da una porta USB (pen drive o disco USB), da un lettore digitale (ingresso digitale ottico o coassiale) e anche da una sorgente analogica (jack stereo piccolo). Riproduce il tutto con un DAC interno e un sistema di altoparlanti attivi a 3+3 vie con bass-reflex passivo.
Il tutto in un elegante e ben rifinito parallelepipedo di dimensioni 12 x 62,8 x 25,6 cm. (AxLxP) che ha come ideale collocazione un tavolo basso.

L'elegante e sintetico manuale del Mu-so
La prova di ascolto
La scelta della musica da provare non era mia ma del potenziale acquirente (mio fratello) che ha gusti un po' diversi dai miei e, come è giusto, era basata soprattutto su quello che sente abitualmente e che quindi conosce bene. Si è cominciato quindi, in una saletta di prova attrezzata allo scopo, con un moderno musical, ovvero con la colonna sonora di La La Land. Impasto di voci e grande orchestra jazz con fiati, prima prova convincente, le voci e gli strumenti erano ben distinte, ma non conoscevo bene il brano e non avevo termini di confronto. Si è proseguito poi ancora con la musica vocale, ma antica, il Messiah di Handel, eccellente la possibilità di riconoscere ben separate le voci maschili e femminili alle varie altezze, un po' carente l'impatto dell'orchestra, sembrava debole la parte bassa dello spettro sonoro.

La tecnica del Mu-so parzialmente in vista togliendo il pannello frontale: sei altoparlanti più 2 woofer passivi con amplificazione attiva e trattamento tutto digitale sino agli ampli analogici. Nessun intervento di equalizzazione e di simulazione con tecniche surround della ricostruzione spaziale.
Si proseguiva sempre con la musica barocca, una sonata per clavicembalo e poi un piccolo gruppo strumentale sempre di Bach. Non amo il clavicembalo ma ho notato una riproduzione molto precisa, niente da dire sulla sonata successiva con gli strumenti ben delineati. Stavamo concludendo che la musicalità era buona ma la carenza di bassi rispetto all'impianto da sostituire, molto tradizionale ma non certo povero di bassi (AR 3a con Nad 3130) e il commesso del negozio ci stava spiegando che tecnicamente la carenza poteva derivare anche dal posizionamento, nel senso che i woofer laterali del Mu-So hanno bisogno di una superficie di base ampia per sfruttare le riflessione (cosa che non era, il piano di appoggio era poco più largo del componente Naim) quando è arrivata la sorpresa con un brano dal vivo dall'ultimo concerto dei Pentangle, il doppio album "Finale" da poco uscito, con le registrazioni dei concerti della reunion del 2008 (che sono andato a sentire a Londra all'epoca). Il brano era la loro nota versione senza strumenti a fiato di Good Bye Pork Pie Hat, il celebre tema di Charles Mingus, e qui il contrabbasso iniziale di Danny Thompson usciva con grande presenza e quasi prepotenza, poi seguito dalle chitarre in dialogi di Rembourn e Jantsch. Una esecuzione veramente notevole. Confrontata più tardi a casa sul mio impianto non sembrava proprio che si perdesse niente rispetto alla riproduzione con diffusori a torre e doppio woofer di ben altre dimensioni.

Vista posteriore con la griglia di raffreddamento che diventa un motivo estetico
In sintesi stavamo concludendo che il suono sembrava più da mini casse precise ma con pochi bassi, stile anni '90, ma ci dovevamo ricredere, la carenza che percepivamo dipendeva anche dalla scelta delle registrazioni da provare e dalla spazialità del suono. Che, per la costruzione del Mu-So, forzatamente era meno "spaziale" (e quindi con meno riflessione ambientali) rispetto ad un impianto con diffusori a distanza di 2-3 metri tra loro. Con un contrabbasso registrato nello spazio sonoro ristretto di un piccolo gruppo di 4 elementi i bassi attivi (ed equalizzati) del Mu-So facevano il loro lavoro scendendo abbastanza in basso da restituire una riproduzione realistica.

Il touch-screen dial del Mu-so, ovvero la manopola a rotazione infinita retro illuminata e touch screen con cui si comanda tutto. Molto bella e intuitiva nell'uso, ma in pratica si fa tutto con l'app per smartphone o (meglio) tablet in dotazione.
La seconda prova
In seguito c'è stato un secondo ascolto approfondito, questa volta nella configurazione e installazione definitiva, e con materiale in alta definizione. Portato ora da me, quindi con i dischi test che conosco meglio, a iniziare da Diana Krall ed il suo classico duetto con il contrabbasso di Christian McBride (All Or Nothing At All). Un contrabbasso veramente realistico, e la voce della pianista canadese era quella profonda ed espressiva che conosco bene nella riproduzione delle mie casse e delle mie cuffie. Prova superata anche con classica a forte dinamica (un quartetto di Prokofiev) e con i bassi profondi di Black Crow nella versione di Cassandra Wilson.


Altro ascolto per un classico dei test audio, la reunion dei Weavers al Carnegie Hall del 1963, proprio Guantanamera. E qui la esecuzione del piccolo Mu-So (piccolo se confrontato con un impianto tradizionale, e tutta sua, la sorgente era una pen-drive) era veramente notevole. Le voci di Lee Hays e di Pete Seeger ben divise e poi quella della cantante Ronnie Gilbert che interveniva limpida e potente, con le chitarra di accompagnamento ben presenti. Voci precise, ben posizionate ma soprattutto, realistiche, molto realistiche, sembravano li nella stanza, per usare una espressione abusata, e si faceva fatica a credere che tutto provenisse da quel parallelepipedo lucido.
Rimaneva invece aperta l'osservazione sul tono più chiaro di quello che ricordassi proprio su alcune voci femminili; non tutte, quelle nella zona tipica di mezzo soprano come quelle di Joni Mitchell o Christine McVie. Apparentemente il Mu-so ha bassi più profondi (relativamente, e' ovvio) ben presenti ma una carenza in alcune registrazioni sui medio bassi. Niente di intollerabile ma devo notarlo anche per suggerire questa particolare prova in caso di seduta d'ascolto.

Infine dalla installazione finale sono arrivati altri elementi sulla ricostruzione spaziale, che non si concretizza a poca distanza dal componente, come ci si aspetterebbe, ma a maggiore distanza, e ciò presumibilmente grazie alla maggiore efficacia delle riflessioni nella stanza (che era regolare, abbastanza grande e mediamente assorbente).

Naturalmente nelle prove non poteva mancare, come da tradizione, una immagine di Diana Krall
In sintesi
Tirando le somme, quello che si perde rispetto ad un (buon) impianto tradizionale è qualcosa in spazialità, nel senso che bisogna cercare bene il punto d'ascolto ottimale, e soprattutto l'impatto e la dinamica con la grande orchestra. Ma il tutto è compensato dalla precisione timbrica e quindi dalla riconoscibilità degli strumenti e delle sezioni dell'orchestra e dalla possibilità di seguire efficacemente lo sviluppo dinamico e "coloristico" della musica che ascoltiamo. Con particolare efficacia quindi nelle voci e nel coro. 
Non fa il miracolo di sostituire un grande e ben assemblato impianto a più componenti, ma si avvicina di molto. Fornendo poi il vantaggio di una versatilità, semplicità operativa e facilità di installazione non comparabili.
Il tutto ad un prezzo (circa 1250 €) che sembra alto se confrontato con altri wireless speaker (che comunque partono dai 500 in su) ma è inferiore a quello di un impianto equivalente a componenti separati.

All'appassionato la scelta se rinunciare a qualcosa sul lato della dinamica (ma dipende anche molto dalla musica che si sente con più frequenza) o cambiare tutto per guadagnare molto sul lato della semplicità operativa, e anche qualcosa sul dettaglio e sulla fedeltà del suono (se rimaniamo nella stessa fascia di prezzo). Mio fratello dopo un secondo ascolto in negozio ha deciso di cambiare.

venerdì 17 marzo 2017

Un DAC per Chromecast

Chromecast Audio è una brillante ed economica soluzione per collegare il mondo dell'alta fedeltà tradizionale con il nuovo mondo degli smartphone e dei tablet, ormai diventati strumenti potenti per scoprire ed ascoltare musica. In concreto, consente di usare il nostro tablet come lettore per seleziona la musica da ascoltare da uno storage DLNA o da un servizio streaming, ed ascoltarlo via wi-fi sul nostro impianto. Sul post c'è un articolo di presentazione ed un secondo articolo sul possibile utilizzo in HD.
Il DAC che si occupa della conversione da digitale ad analogico nella configurazione base è quello interno al compatto componente proposto da Google. Tutt'altro che disprezzabile come qualità, ma un ascoltatore esigente può pretendere di più. E la cosa è possibile. Vediamo prima una semplice prova pratica e poi alcuni suggerimenti.

L'output composito analogico / digitale di Chromecast
Normalmente Chromecast si connette all'impianto, quindi a un ingresso del l'amplificatore, con un normale cavo sbilanciato, mini jack stereo da un lato e pin-jack (o RCA) stereo dall'altra. Lo stesso ingresso però, come nei Mac Mini, può essere usato anche per un connettore digitale ottico S/PDIF, e connettere quindi Chromecast Audio ad un DAC di nostra scelta, e di classe superiore a quello interno. Non sulla porta USB però. Il connettore è standard e si può trovare nei negozi fisici oppure online, ma per il test ho preferito acquistare il componente venduto da Google, di colore giallo, che si vede nella foto. La connessione sull'altro lato è a standard mini Toslink, compatibile con il classico e diffusissimo mini-jack stereo.

Il corto cavetto ottico arriva in una grande scatola
Per provare la connessione serve un ingresso digitale, per la prova invece che un DAC ho usato il mio lettore / registratore Mini Disc, che ha un ingresso Toslink. Non è la cosa più logica, ma il DAC con ingresso digitale che ho non è più compatibile con Windows 10 e non lo è mai stato con il Mac, e i due lettori a dischi ottici hanno solo una uscita digitale e non un ingresso, come è comune dotazione per questi componenti.

Tornando al test, il Chromecast Audio si connette con il cavo digitale all'ingresso digitale del lettore / registratore, un Sony MDS, il lettore si mette automaticamente in modalità registrazione da digitale, si attiva il monitoraggio e tutto funziona, nel senso che si ascolta regolarmente sull'impianto la musica trasmessa in wi-fi dal mio iPad. Nessun incremento di qualità in questo caso, perché il DAC interno del Sony oltre ad avere circa 15 anni (la tecnologia si è molto evoluta) lavora su un flusso digitale preventivamente compresso in ATRAC, lo standard del Mini Disc, un po' meglio dell'Mp3 ma sempre "lossy". Ma era solo un test funzionale, e ha mostrato che la connessione, come da premesse, è semplicissima e senza sorprese.

Un DAC per Chromecast
Quindi le caratteristiche tecniche di un DAC per Chromecast sono ben definite:
  • Ingresso digitale ottico
  • Alimentazione separata, non solo USB
  • Buona qualità (altrimenti ci teniamo il Chromecast), ma non esagerata, perché i file audio che possono essere trasmessi via wi-fi possono essere al massimo 16/44.1 (almeno per ora)
  • Anche il DSD non serve, non si trasmette via wi-fi da un tablet
All'occorrenza ci sarà sempre anche un secondo ingresso USB per collegare anche un music server custom, a meno di usare addirittura due DAC separati (uno per il Chromecast ed uno di prestazioni superiori per HD e DSD). Non un network player, perché di solito non hanno un ingresso digitale ottico ma soprattutto perché non servirebbe Chromecast: tutti gli ultimi modelli supportano wi-fi e servizi di streaming anche lossless come Tidal.

Fatte queste premesse di componenti con queste caratteristiche ce ne sono molti ma non moltissimi. Ad esempio i DAC della Pro-Ject: DAC Box E (99 €) o  DAC Box S FL (159 €) oppure la nuova versione del classico Arcam rDAC II (ca. 350 €). Ovviamente ce ne sono molti altri ma salendo parecchio di prezzo e in questo caso l'investimento sarebbe giustificato se venisse usatp anche per la propria musica in HD. Come per esempio gli apprezzati modelli della North Star Design, a partire dall'entry level Intenso (che però sta già sui 1000 €) o i modelli superiori della Pro-Ject. Oppure i modelli MyTek già compatibili MQA.

Il Pro-Ject DAC Box E davanti e dietro (sotto)

Il modello superiore S sempre davanti e dietro



L'Arcam rDAC II
Infine il modello Intenso della North Design