mercoledì 23 novembre 2022

Abbiamo bisogno di un amplificatore per le cuffie stereo?

La risposta era probabilmente no, quando tutti gli amplificatori avevano un'uscita per le cuffie (siglata "phones") e le cuffie erano usate solo in studio di registrazione o a casa, quando l'appassionato voleva ascoltare di notte, o apprezzare alcuni dettagli della musica che ascoltava oppure controllare se sulle casse acustiche qualcosa non andava. Le marche erano poche e il mercato se lo dividevano la Koss per le cuffie chiuse e la Sennheiser per quelle semi-aperte. Poi i tempi sono cambiati e, partendo dai walkman, le cuffie hanno conquistato il mondo, diventando il dispositivo di ascolto principale in mobilità e fuori casa, con una produzione vastissima e anche di livello e costo molto alti. Un raro mercato in crescita nel nostro settore, nel quale si buttano in tanti.

Durante questo percorso le cuffie hanno perso di importanza per l'ascolto casalingo, gli amplificatori per essere o sembrare hi-end hanno perso progressivamente comandi tra cui l'uscita cuffia, rimasta solo sui rari ampli moderni versatili (come gli entry level Rotel) o per case particolari come la Naim.

L'amplificatore dedicato alla cuffie
Ovviamente negli ampli l'uscita per le cuffie è servita da un piccolo amplificatore dedicato, al quale arriva il suono della sorgente selezionata, e la chiusura del circuito disconnette automaticamente le casse acustiche confermando l'utilizzo preferenziale di "ascolto privato".
La potenza richiesta è poca, il compito poco impegnativo e di conseguenza per le uscite venivano (e credo vengano ancora) utilizzate soluzioni molto economiche. Già negli anni d'oro quindi si cominciava a intravedere la necessità di un ampli dedicato di maggiore qualità e qualcuno ha cominciato a produrlo, anche se non è mai diventato un componente comune. Ora è però proprio una necessità, se vogliamo ascoltare le sorgenti collegate all'amplificatore con le cuffie stereo, a casa nostra,

Quello che vogliamo e come ottenerlo
Ci basta quello che consentiva un classico ampli degli anni '70, un Marantz o uno Yamaha: ascoltare una qualsiasi delle sorgenti connesse all'ampli, silenziare le casse acustiche, un'amplificazione corretta e curata come quella destinata alle casse. Ma non è così semplice ora, dipende dalla flessibilità come ingressi dell'ampli delle casse (e dell'ampli cuffie, vediamo dopo alcuni modelli). Vediamo i vari casi

La connessione standard
Gli amplificatori per cuffie analogici sono pensati per un amplificatore che ha almeno una uscita "line", che a suo tempo era chiamate di solito "tape" o "recorder" perché serviva soprattutto per registrare la musica su registratore a cassette o nastro. Questa uscita bypassa il pre e quindi il controllo di volume e lascia quindi il controllo del volume all'ampli per cuffia, come vogliamo. Perché sia utilizzabile immediatamente per collegare le cuffie è necessario però che l'amplificatore abbia anche la "doppia barra di registrazione" ovvero che possa inviare l'input sia all'uscita line, sia alle casse. Serviva per registrare una cosa mentre ne ascoltavi un'altra, esigenza sentita nell'era delle musicassette.
Nel nostro caso serve invece a silenziare le casse, perché la doppia barra (che consiste in un secondo selettore input) include anche una posizione "off" che serve per registrare senza ascoltare nulla, ed è quello che cerchiamo.

I workaround: se la doppia barra di registrazione non c'è
Questa è le situazione di praticamente tutti gli ampli moderni, con poche eccezioni come ad esempio gli integrati Accuphase (mio sogno proibito) che propongono la più recente e raffinata tecnologia mantenendo la grande versatilità degli ampli di un tempo (vedi immagine sopra, integrato E-270), con un occhio di riguardo anche per chi vuole perseverare nella registrazione analogica (su nastro a bobine, ovviamente).

In questo caso bisogna aggirare il problema, e di solito è abbastanza facile: dato che l'ingresso line (ancora presente su molti integrati recenti) non passa per il controllo volume basta portare a zero il volume. Quasi sempre, perché se il volume è "digitale", ovvero a step, può darsi che portandolo a zero si annulli anche l'uscita line. Così è ad esempio nel mio Audio Analogue Puccini Rev2.0. Serve quindi un aggiramento doppio, mettere il livello a mute e passare al primo step. Alle casse arriverà qualcosa ma a livello bassissimo. 

L'amplificatore integrato Primare Prisma I-25 è un esempio di ampli moderno con uscita Line e uscita Pre

I Alternativa: L'uscita pre
Quando non c'è neanche l'uscita tape potrebbe esserci l'uscita del preamplificatore, di solito assieme all'ingresso del finale. Servono per sostituire il finale con uno più potente o per utilizzare l'integrato come finale. Nel loop pre-finale può essere inserito un altro componente e quindi anche un ampli per cuffie. L'ampli cuffie ha un interruttore che invia l'input alle cuffie o all'indietro al finale dell'ampli principale chiudendo il loop e cosi garantisce che nell'ascolto in cuffie le casse siano silenziosem ma anche ci si possa passare facilmente all'ascolto dalle casse,

E' la configurazione più semplice anche nell'uso ed è ben comprensibile in questa immagine di un economico ma molto valido ampli per cuffie, il Schiit Magni+, come si vede ci sono un ingresso e una uscita RCA e il selettore Input (suona la cuffia) oppure output (suonano le casse connesse al finale o le casse attive). Magni+ funziona quindi come pre.


Rimangono però due problemi: 1) il volume del pre è attivo, degrado probabilmente non avvertibile ma il segnale passa per due pre, e bisogna bilanciare bene i due volumi 2) e, soprattutto, non sono molti i moderni ampli con pre e finale.

II workaround: Se c'è solo uscita pre
Gli amplificatori integrati della Rotel hanno solo l'uscita pre, e presumo non siano i soli, L'ampli per cuffie può essere collegato come nel caso precedente con lo stesso non fondamentale limite del doppio comando del volume. Ma c'e'  un problema più importante: le casse continuano a diffondere la musica. Il fatto è che questa connessione serve proprio a questo, attivare un secondo finale e un secondo paio di casse, magari in un'altra stanza, per soluzioni multiroom. Almeno sui componenti Rotel un workaround però si trova; su questi amplificatori le uscite ad alto livello per le casse sono doppie, se la seconda copia di casse non c'è, basta selezionare la seconda uscita come "tappo" dal quale non esce il suono.

Amplificatore Rotel A12-MK2, l'uscita pre è il numero 22

L'alternativa digitale
Tutto quanto riportato sin qui riguarda un ascolto in cuffia che preservi le sorgenti analogiche senza alcuna conversione, e nel quale sorgenti digitali basate su supporti fisici (CD o SACD) siano rappresentate da lettori che effettuano anche la conversione in analogico. Se invece l'impianto è incentrato sulle sorgenti digitali, quindi il componente centrale non è un amplificatore ma un "music server". In questo caso il problema è di facile soluzione se il "music server" (non esiste un nome, ogni produttore usa il suo) ha un'uscita digitale. In questo caso basta scegliere un amplificatore per cuffie con DAC (o, se preferite, un DAC con uscita cuffia) e il problema è risolto. A patto che abbia prestazioni superiori a quello dell'ingresso cuffie del music server, perché col ritorno delle cuffie è tornato anche questo, Un esempio è lo streamer Marantz 6006 che ha, come si vede in figura, sia un'uscita digitale ottica che un'uscita "line" (qui la chiamano "fixed" e può usare tutti i tipi di ampli per cuffie.

Ma, cercando esempi, ho notato che se il music server è completo e include anche l'amplificatore per pilotare le casse acustiche, l'uscita digitale spesso non c'è. Forse dipende dal fatto che il componente promette di includere tutto. Con questi componenti (gli esempi sono il Cambridge Audio Evo 75, nella foto, il Naim Uniti Atom,  Roksan Attessa) usare un ampli cuffie esterno non è possibile, a meno che trai molti comandi non ce ne sia uno che inibisce l'uscita alle casse.


In sintesi:

  • per collegare un amplificatore per cuffie serve sull'ampli una uscita che bypassa il pre, denominata di solito "line", "tape" o "fixed", se è anche presente la doppia barra di registrazione è meglio ma non indispensabile;
  • in alternativa può essere usata anche una uscita pre, regolando opportunamente il volume, a patto che l'amplificatore abbia anche l'ingresso finale per chiudere il loop;
  • se c'è solo una uscita pre, è presente solo per collegare un secondo sistema in multiroom e non è adatta a collegare un ampli per cuffie
  • se tutti gli ingressi sono digitali o convertiti in digitale su un music server si può adottare un ampli per cuffie con DAC
  • la maggior parte dei nuovi amplificatori o music server hanno un ingresso cuffie di serie, in questo caso un ampli dedicato per cuffie ha senso solo quando è di qualità superiore a quella dell'ingresso interno.
Gli amplificatori per cuffie
Dopo aver spiegato come si collegano è utile aggiungere anche una sezione sui componenti in quanto tali, si tratta di un settore molto specializzato, i produttori raramente sono di primo piano, e quindi alcuni esempi possono essere utili per sapere di cosa si parla. Ovviamente sono riferimenti destinati a diventare obsoleti, considerato l'elevato turn-over che ormai caratterizza anche il mercato hi-fi.

Schiit Magni+
Campione nel rapporto qualità / prezzo secondo molti recensori, costituisce certamente la prima alternativa da considerare. Nella figura precedente si vedono gli ingressi e uscite, quando si connettono le cuffie l'uscita viene automaticamente annullata. Il selettore frontale consente di impostare il guadagno su tre valori (0dB, +15dB, -10dB) per adattarsi alle diverse sensibilità delle cuffie stereo. Costa ca. attualmente 109 $. 



Tra i 5 modelli di headphones amp prodotti da Schiit, che è un produttore USA con sedi in California e Texas (progettazione USA e produzione in oriente) c'è anche un modello superiore Magni + che costa circa il doppio che ha in più uscite bilanciate sia per le cuffie che per l'uscita verso finale o casse amplificate, Più interessante la versione a valvole chiamate Vali, identiche funzionalità e comandi, costa solo 149$  attualmente, per chi vuole sperimentare se il suono delle valvole (una in questo caso) è veramente magico. Altri due modelli sono a valvole ma senza trasformatori (OTL) in uscita (considerati di classe più elevata), modello Valhala e infine il top Lyr che è ibrido, a scelta valvole o stato solido.

S.M.S.L. SH 8S
Un'alternativa tutta cinese ma di una ditta che produce molti buoni DAC e componenti vari è questo modello tutto analogico. Costo sempre sui 100 € come il Magni+ ma in più ci sono ingressi e uscite bilanciate (le cuffie con ingresso bilanciato sono in crescita). Secondo le recensioni è un componente che punta alla massima trasparenza del suono. Una caratteristica coerente con l'uso delle cuffie come analizzatori della qualità della sorgente e del materiale audio, e come confronto con le casse. Ma non sempre apprezzata per l'uso di puro ascolto perché piuttosto severe con materiale audio carente per età o cattivo mastering. 

iFi Audio Zen CAN Signature 6XX / HFM
Salendo nell'investimento si può pensare anche a un ampli per cuffie prodotto in UK da una ditta sempre più apprezzata e valutato addirittura come finalista nel settore accessori dalla prestigiosa rivista online Stereophile. Particolarmente positivo il giudizio sul suono raffinato di questo modello dalla forma vagamente retro e dai comandi non proprio ergonomici. Caratteristiche simili agli altri, particolarità anche qui gli ingressi e uscite bilanciate e in più i 4 livelli selezionabili per il guadagno la possibilità di equalizzazione. Una particolarità curiosa di questo componente e possibile plus è che viene venduto in due configurazioni equalizzate e personalizzate : la 6XX per le diffuse Sennheiser HD250 e la HFM per le cuffie prodotte dal marchio HIFIMAN, attualmente di grande successo (molti modelli, alcune nel range 200-400 e gli altri che costano in genere più delle STAX). L'equalizzazione si può escludere (e perdere) da chi ha cuffie di altre marche e modelli, una scelta di marketing quindi piuttosto curiosa, i modelli prescelti sono molto diffusi, ma modelli e marchi di cuffie sono molti e in crescita. Circa 300 € il prezzo attuale.




sabato 15 ottobre 2022

Il tramonto della musica liquida

"Musica liquida" ovvero "non solida" è l'efficace nome che Paolo Nuti, nome importante dell'Hi-Fi italiano e fondatore della rivista Audio Review, ha dato al nuovo modo di distribuire e ascoltare la musica, che nasceva agli albori del millennio dall'unione della digitalizzazione del messaggio musicale e della possibilità di trasporto illimitato dei file audio tramite Internet, ovvero la ragnatela mondiale ovvero "il web". In sintesi, la musica digitale,

Il nome ha avuto fortuna in Italia, molto meno all'estero dove la diffusione e distribuzione della musica digitale è stata da subito chiamata semplicemente "digital download".

La storia del digital download
La storia del digital download o, se preferiamo la definizione italiana, della musica liquida, la ricordiamo bene: prima l'esplosione grazie alla compressione MP3, ai protocolli peer-to-peer (Napster, eMule,  BitTorrent ecc.) e alla diffusione gratuita, ma illegale, poi il ritorno allo sfruttamento economico con la geniale idea di Steve Jobs, l'accoppiata iPod - iTunes (che è anche stato il trampolino di lancio per la Apple, futuro n.1 al mondo) aiutata anche, ammettiamolo, dal deciso contrasto della pirateria avviato dalle case discografiche superstiti.

Il terzo step per il passaggio definitivo doveva essere la disponibilità in digital download anche della musica in formato lossless, quindi alla stessa qualità del CD, e poi a seguire quella in qualità HD. Ma qui il processo si è incagliato sui veti delle case discografiche, che hanno escluso molti Paesi (l'Italia fino a pochi anni fa), preteso prezzi superiori al CD (ormai sempre più economici perché in crisi di vendita, e con un sempre più esteso mercato dell'usato) e molto superiori per il poco HD disponibile.

Mentre iTunes rimaneva solo in formato compresso (e non era più strategico per Apple, che nel frattempo aveva lanciato l'iPhone, e cambiato il mondo), ben poche case discografiche hanno creato il loro sito di digital download e nessun altro investitore ha avuto la forza o l'idea di creare un iTunes per la qualità CD e quindi una possibile alternativa al CD. Il digital download rimaneva ristretto a pochi siti specializzati come il celebre HDtracks e alla pirateria. che proseguiva con altri mezzi (ma meno globale). La situazione ideale per un nuovo strappo verso la dematerializzazione e virtualizzazione della musica.

Arriva lo streaming
Lo strappo, reso possibile dalla velocità sempre crescente della rete, è consistito semplicemente nell'abolizione della parola "download": perché scaricare in locale un album quando lo puoi ascoltare direttamente da dove, nel vasto web, è archiviato? Qualcosa che nei fatti già esisteva e che già era la fonte della musica per molti utenti smartphone e che si chiamava YouTube, nato per altri scopi (video) ma che veicolava moltissima musica, ascoltabile direttamente e senza scaricarla, Il tutto gratis, salvo un po' di pubblicità.
Due imprenditori svedesi hanno ipotizzato che qualcuno poteva essere interessato a pagare una ridotta cifra mensile per un'alternativa di YouTube, orientata solo alla musica e nella quale gli album disponibili erano ben organizzati e facilmente ricercabili, più altre funzionalità, ed è nata Spotify, aggiungendo per prudenza anche il servizio free ma con pubblicità,

Il seguito lo conosciamo
Ed è sintetizzato in questo grafico a torta, che riguarda il mercato USA nel 2021, e mostra il ruolo ormai marginale del digital download. E' sceso ora al 4% del mercato (nel 2015 era ancora il 66%) ed è poco più di un terzo della musica su supporto fisico che, ai tempi dell'invenzione del termine "musica liquida" avrebbe dovuto soppiantare. Il restante 83% è appannaggio della musica che viene semplicemente ascoltata, non importa dove sia e come faccia ad arrivare alle nostra cuffie e alle nostre orecchie quando la scegliamo.

La proprietà della musica
Lo streaming ha definitivamente diviso in due categorie gli ascoltatori: quelli che la musica l'ascoltano per il tempo necessario a fruirne e quelli che vogliono anche possederla, quindi esserne proprietari anche quando non l'ascoltano. La differenza fondamentale è che possederla non è obbligatorio per sentirla, salvo pochi casi di musica molto particolare, e anche quelli del secondo gruppo possono ascoltare tutta la musica del mondo, basta sottoscrivere un contratto streaming, anche gratuito eventualmente.

Essere proprietari della musica che si ama, scelta in base ai propri gusti personali, ha motivazioni di altro tipo, Ne ho parlato altre volte: c'è la testimonianza visiva e trasmettibile a chi ci conosce o verrà dopo di noi delle nostre scelte, dei nostri gusti, della nostra cultura. C'è il piacere di avere in mano un oggetto fisico, di consultare un libretto anziché un sito web, di essere almeno per un po' staccati da computer, smartphone e tablet, della manualità nello scegliere e caricare la musica sul lettore. Tutte esigenze che caratterizzano l'appassionato di musica, e che non interessano se non occasionalmente il consumatore di musica.

Supporti fisici e supporti digitali
Non tutti hanno questo desiderio di proprietà e questa necessità di trasmettere la loro idea di musica e, per gli USA, sappiamo anche quanti erano nel 2021: il 15% dei consumatori. Penso che in Italia la percentuale non sia molto diversa, non è poco tutto sommato, 
La maggioranza dei "prprietari" sceglie, e sceglierà sempre più, probabilmente, un supporto fisico: vinile, CD, SACD. E' logico, se le motivazioni sono quelle riassunte sopra. Non c'è paragone tra l'efficacia con cui trasmette un messaggio una libreria fisica, rispetto a una libreria J River o Roon mostrata (con intenzione di farlo) sullo schermo di un tablet. E non c'è paragone come valore (non solo simbolico) tra una collezione di vinili, o anche di CD (prezzi in aumento, ne riparlerò) rispetto a un hard-disk di PC con Terabytes di musica, che però si può ascoltare tranquillamente con ogni servizio streaming, incluso YouTube.

Ed infine, elemento decisivo: il costo. Sui servizi di digital download rimasti il costo di un album è dello stesso ordine di grandezza dell'equivalente fisico. Probabile la scelta del supporto fisico, si spende per qualcosa che si vede e che rimane e, anche se solo in digital download e in qualità CD, si potrà ascoltare comunque in HD in streaming, se si vorrà. Perché l'appassionato di musica ha sempre anche un contratto streaming, per scoprire e testare nuova musica.

Ultima domanda: a chi sono rivolti le librerie digitali come Roon, J River, Audirvana?
Sembra una contraddizione la mia previsione sul declino del digital download, visto l'interesse crescente per questi prodotti e per i music server che possono fornire servizi analoghi "PC free" dal costo sempre più elevato nell'ordine delle migliaia di Euro.
Ma è una contraddizione solo parziale, perché gli acquirenti son per una buona parte appassionati che hanno digitalizzato la loro vasta discoteca, e ne possono fruire con maggiore facilità (mantenendola).
Inoltre, sia Roon che Audirvana supportano anche i servizi streaming, e Roon fornisce le sue funzionalità aggiuntive (molto apprezzate) anche per l'ascolto da streaming. Lo streaming quindi può coesistere, e servizi come Roon o music server che liberano l'utente da PC hanno uno spazio. 

In sintesi
Il mondo cambia continuamente, e a volte corregge anche quelle previsioni che non valutano tutti gli aspetti dei nostri desideri e dei nostri bisogni.



sabato 1 ottobre 2022

L'alta fedeltà come hobby

Sulle riviste e anche su questo blog si criticano spesso gli appassionati dell'impianto, quelli che ascoltano l'impianto più che la musica, che dedicano più tempo alla messa a punto che all'ascolto, che cambiano frequentemente i componenti per sperimentarne di nuovi e mai ascoltati, che si dedicano ai miglioramenti veri o presunti con piedini speciali, liquidi pulisci contatti e simili. 

Giuste critiche per chi da' priorità alla musica, ma ormai, con il digitale che ha raggiunto  ampiamente livelli qualitativi comparabili con quelli dei componenti analogici di fascia alta. Per esempio, con prodotti come le recenti casse acustiche attive wireless Kef LS60 che ho descritto nel precedente post, che garantiscono oltre al resto anche dinamica e risposta sui bassi riservati sinora solo a grandi impianti di fascia alta, un appassionato di musica e basta può ascoltarla praticamente senza compromessi avendo un impegno di installazione e configurazione del tutto analogo a quello necessario per un TV a grande schermo di ultima generazione. E avendo come unico componente aggiuntivo la app di Qobuz o Tidal da installare sul suo smartphone e tablet. 

Sono lontani i tempi in cui, per potere mettere un LP sul piatto e ascoltare in stereo (più o meno) venivano venduti sistemi integrati come questo, o il mitico compatto di Selezione del Reader's Digest (è una pubblicità su un numero di Linus del 1972.

Pubblicità sulla rivista Linus, anno 1972. Impianto Furcht Hi-FI Equipment MKII

Per il salto di qualità era necessario acquistare una "catena" giradischi - amplificatore - casse acustiche, e qui per scegliere bene e per installarla nasceva la necessità di diventare esperti (più o meno) andando ogni mese in edicola ed acquistare una rivista di alta fedeltà, quindi Stereoplay o Suono Stereo.

Ricerca della perfezione
Ora non è più così, ormai l'ultimo confine è superato, e per decidere il salto all'impianto "custom", scelto e composto dall'appassionato, servono quindi ormai motivazioni extra musica, che quindi trasformano l'impianto dell'oggetto di un vero e proprio hobby a sé state. Una motivazione che può essere (ed è forse prevalente), l'esplorazione dei limiti a cui arrivare la tecnologia nella riproduzione fedele del messaggio musicale, e quindi la scelta di puntare a impianti di livello ancora più alto, che adottano tecnologie innovative e/o esclusive e dedicare una buona parte del proprio tempo a verificare i miglioramenti ottenuti o le carenze da superare. 

Scoprire e dominare tecnologie vintage
Oppure, affiancare al piacere di ascoltare la musica quello di ascoltarla con apparecchi basati su tecnologie superate dall'avanzata del modo digitale ma che, se applicate con rigore e attenzione e scontando costi superiore e preparazione più complessa e impegnativa, garantiscono un piacer d'ascolto comparabile se non superiore, o magari percepito come tale proprio in ragione dell'impegno necessario per raggiungerlo. Tanto da ottenere un effetto sorpresa, per esempio dalla estensione della risposta e dal realismo nell'ascolto di un vecchio LP comprato usato o dalla presenza nella ricostruzione spaziale ottenuta riproducendo un vecchio nastro a bobine.

L'alta fedeltà personale
Altra motivazione che accompagna questo mondo da sempre è il do it yourself, realizzare in proprio i componenti per comporre l'impianto. Un tempo per risparmiare qualcosa sul componente, con i kit per appassionati che erano già attrezzati con attrezzi da segheria casalinga o saldatore, come i kit della Kef degli anni '70, che arrivavano pre-montati o gli amplificatori a valvole o a transistor da costruire con i progetti delle riviste Elettronica o Audiocostruzioni o del sito TNT-Audio. Ma anche obiettivi più ambiziosi e personalizzati: sfidare i produttori top con progetti di diffusori basati su altoparlanti particolari come i gamma intera (full range) Lowther o senza compromessi sulla risposta ai bassi, quindi senza limiti di dimensioni.
Non comprare ma costruire e addirittura progettare, diventare creatori in proprio degli oggetti che ci consentono di ascoltare l'amata musica, e raggiungere obiettivi fuori portata economica. Grande soddisfazione per chi vuole essere homo faber.

Uno dei tanti progetti realizzati utilizzando l'altoparlante full range Lowther, in questo caso con u caricamento acustico a labirinto si sfrutta l'emissione posteriore per estendere la risposta sui bassi

L'alta fedeltà allora è un pretesto?
Questo si potrebbe pensare riguardo alle motivazioni ipotizzate qui sopra. Ma non è esattamente così, senza la musica, senza questo risultato finale (ascoltarla bene e con emozione) tutto il lavoro di selezione dell'impianto, messa a punto, sperimentazione, sostituzione, costruzione, progettazione, perde di senso completamente. Sono hobby, passione tecnologica e anche a volte collezionistica, che si affiancano alla fruizione casalinga di una forma d'arte. Rubando un po' di tempo alla seconda, questo è vero.

In sintesi
Quindi ritengo che si debba avere tolleranza per chi non ritiene che i componenti per ascoltare, con le loro multiformi e numerose scelte tecnologiche, siano solo un mezzo privo di interesse in sé, ma qualcosa che fa parte della storia musica, come gli strumenti musicali, e quindi si appassioni anche alla riscoperta della loro storia, alla sperimentazione delle potenzialità raggiungibili o dei limiti superiori che s possono forse ancora alzare.

In particolare devo ritenerlo tale io, da quando mi sono reso conto che faccio parte del gruppo. Non cambio spesso i componenti, ma ho messo assieme negli anni un impianto che va ben oltre le esigenze base e mi consente di ascoltare la musica per mezzo di quasi tutti i supporti fisici o immateriali inventati per distribuirla: vinile microsolco, CD, SACD, DVD-Audio, Dual-Disc, MiniDisc, FM Stereo, Musicassette, Nastri a bobine,  Musica digitale archiviata in locale, Streaming HD. Manca solo il DAT, un formato per il quale però non è mai stata prodotta musica pre-registrata, a quanto so. E formati veramente di scarsa diffusione come le Elcaset degli anni '70 o la cassetta digitale DCC della Philips, sconfitta dal MiniDisc Sony.

domenica 4 settembre 2022

Casse acustiche con woofer laterali e lato frontale stretto

Avrei potuto scrivere il titolo del post in inglese e forse si capiva meglio: "Side woofers and narrow baffle speakers". Il tema è comunque l'adozione o meno di queste scelte di configurazione nel progetto delle casse acustiche e la loro efficacia nel consentire di raggiungere i tre sostanziali vantaggi (incolmabili) delle casse acustiche rispetto ai sempre più diffusi speaker wireless compatti: la ricostruzione spaziale dell'evento musicale, l'estensione verso i bassi e una dinamica comparabile ad un evento dal vivo.

I vantaggi di un baffle stretto
Il termine anglosassone per indicare il pannello frontale di un diffusore, quello dove sono montati gli altoparlanti, è baffle, mutuato probabilmente da altri settori (nel dizionario è "paratia" o "griglia"). Se è stretto, il diffusore approssima meglio una sorgente puntiforme e quindi la sorgente della musica registrata, dove la posizione degli strumenti viene ricostruita grazie alle differenze di fase e intensità (facendola semplice). Il piccolo mondo dell'Hi-Fi ha raggiunto la consapevolezza di questo importante requisito negli anni d'oro delle mini-casse, ma in realtà anche modelli che avevano conquistato molti appassionati adottavano una sezione frontale ridotta al minimo montando gli altoparlanti in "casse" e "cassettine" di diverse dimensioni, come ad esempio nelle Dahlquist DQ10 e nelle prime B&W 801. Era anche questo il segreto del loro successo.

Sonus Faber Minima Amator

Gli svantaggi di un baffle stretto
Escludendo i diffusori "sezionati" citati prima per loro natura più costosi, un baffle stretto (idealmente alle dimensioni del midrange) pone problemi per scendere sulle basse frequenze, e infatti nelle Minima Amator o nelle LS3/5A, per citare le due mini-casse più famose e grandi responsabili del successo di questa categoria di diffusori, la questione era risolta facendo fare al mid anche il woofer, ma garantendo, con una progettazione evoluta della configurazione bass reflex e un'accorta scelta dell'altoparlante e del circuito di cross-over, una risposta sui bassi non estesa ma comunque adeguata a un ascolto Hi-Fi.

Rogers LS3/5A

L'evoluzione della tecnologia degli altoparlanti (spinta anche dal settore car-audio) ha reso disponibile col tempo woofer in grado di scendere in frequenza e garantire una pressione adeguata anche con diametri inferiori a quelli dei wooer classici. Negli anni '60 una cassa seria doveva avere al minimo un 30 cm, poi lo standard è diventato un 25 cm o anche un 20 con il passaggio al bass-reflex e ora si scende ancora, fino ai 16-15-13 cm. Il trucco ormai assai diffuso è utilizzare più altoparlanti in serie, di solito 2 ma anche 3 o più. In questo modo la quantità di aria che si sposta, e quindi la pressione sonora, eguaglia più o meno quella dei grandi woofer di un tempo, ma con una estensione verso l'alto e una risposta ai transienti molto migliori. Rimane il vincolo fisico della discesa verso i 20-25Hz ma ci sono i subwoofer per chi non ne può fare a meno, oppure diffusori composti da più sezioni separate come i modelli costruiti con più sezioni come i B&W e Dahlquist citati prima.

B&W 801 1a Serie

Dahlquist DQ10, nell'immagine sotto l'interno con la struttura in pannelli separati
 

Il woofer laterale
Esiste però una soluzione molto più semplice ed elegante. I diffusori stretti, per garantire ai woofer un volume d'aria comunque sufficiente per un efficace recupero della emissione posteriore, hanno una forma stretta di fronte ma profonda sul lato lungo. Dove si può inserire facilmente un woofer anche di grandi dimensioni. Si potrebbe pensare che due altoparlanti non rivolti all'ascoltatore ma ognuno di fronte all'altro abbiano un effetto negativo sulla localizzazione degli strumenti e sulle riflessioni in ambiente. 

JBL L7, un modello anomalo per la casa americana

Ma non è così, anzitutto se il woofer è limitato alle basse frequenze non direttive, ovvero se è tagliato in basso. In questo caso le due emissioni sono molto simili e, unendosi al centro tra di esse producono un rinforzo dell'emissione, teoricamente di 3dB quindi del doppio. Ricordiamoci sempre che in un impianto stereo individuiamo la posizione del contrabbasso o della batteria solo grazie alle corde pizzicate o alle percussioni e ai charleston. Anche se però il woofer è tagliato per l'emissione più in alto è da considerare il diagramma di emissione, che è quasi omnidirezionale per questo altoparlante e si estende quindi a 90° raggiungendo anche il punto di ascolto.

Uno svantaggio c'è, ma esiste il rimedio
La soluzione del side woofer sembra ideale, ma è adottata da pochi produttori pur essendo più economica. Presenta infatti un particolare problema realizzativo: il woofer ha movimenti avanti-indietro che provocano vibrazioni alla cassa (per il principio di azione-reazione) che non sono contrastate dalla lunghezza della base (come succederebbe se fosse sul baffle) e  potrebbero essere non tanto "micro" e influire sul suono. La soluzione c'è: un secondo woofer speculare che muove il diaframma in senso inverso.

Il sistema Dual Core di Kef per muovere i woofer in senso opposto con un solo driver

 Questa configurazione si chiama "dual force canceling speaker" (o simili denominazioni) e consiste nel contrapporre un secondo woofer sul lato opposto, che si muove in fase acustica (spinge fuori l'aria in sincronia con il gemello) ma ovviamente in senso opposto essendo sul lato opposto. Il risultato è un eccellente annullamento delle vibrazioni. migliore anche di quello ottenibile con rinforzi o aumento del peso della cassa acustica. L'emissione aggiuntiva sulle pareti opposte può provocare al limite un eccesso di bassi da controllare con il posizionamento. Questo sistema ha anche altre applicazioni, ovviamente per i subwoofer ma anche per diffusori particolari come gli ibridi elettrostatici-dinamici Martin Logan. Nei modelli più grandi è usata per annullare le vibrazioni del woofer, in una cassa elettrostatica potrebbero estendersi anche al pannello con effetti negativi sul suono.

Martin Logan Renaissance ESL 15A

I due woofer contrapposti nel modello Renaissance di Martin Logan



La configurazione D'Appolito o MTM
Sul baffle stretto gli altoparlanti, quindi solo tweeter e midrange, sono posizionati normalmente sovrapposti e centrati, con il tweeter sopra per arrivare più facilmente alla famosa "altezza degli orecchi" dell'ascoltatore seduto non per terra. Il  noto progettista di componenti elettronici Joseph D'Appolito ha notato però diversi anni fa che con questa intuitiva configurazione la dispersione verticale non è uniforme, poiché si formano due "lobi" non allineati in fase e con interferenza tra loro (vedi le immagini, tratte da Biro Technology (Vertically Symmetric Two-Way Loudspeaker Arrays)

Velodyne DF661, un  riuscito esempio di applicazione della configurazione D'Appolito

Con una configurazione MTM (Midrange-Tweeter-Midrange) allineate in verticale a distanza prestabilita e usando un filtro crossover opportuno (Butterworth 3° ordine) la risposta torna coerente sul piano verticale e simile a quella di un coassiale Tweeter-Midrange, senza le complessità di realizzazione di un coassiale.

L'effetto all'ascolto è una maggiore precisione nella riproduzione avvertibile come una più efficace localizzazione delle origini del suono (quindi spazialità) grazie alla origine del suono che approssima meglio una sorgente puntiforme, con un effetto di realismo soprattutto sul piano verticale. Un miglioramento non così radicale però, perché altrimenti tutti i diffusori di una certa pretesa sarebbero MTM, e invece non è così.

Applicazioni pratiche
Al termine di questa rapida rassegna tecnica abbiamo visto che un sistema ideale deve avere un frontale stretto, tweeter e midrange allineati e, per una buona estensione sui bassi, può utilizzare una configurazione con woofer laterali, che possono anche essere duplicati per raggiungere così anche l'obiettivo di eliminare le dannose vibrazioni della cassa (o cabinet).

Come, ad esempio, questo diffusore dalla forma insolita, recensito ovunque in modo molto positivo, e che mi piacerebbe avere a casa mia, se non costasse quello che costa e se mia moglie accettasse di farlo entrare nella nostra sala. Il frontale è stretto e in più curvilineo, midrange e tweeter sono allineati nell'ormai classico UNI-Q, ormai molto perfezionato dopo 30 anni di miglioramenti e 12 versioni, i bassi sono gestiti da 4 unità da 25 cm contrapposte per annullare le vibrazioni. E' il modello top della KEF, dal nome immaginifico Blade One. C'è anche un Blade Two un po' più economico, con woofer da 16 cm.

Le Blade One in un scenografica ambientazione proposta dalla Kef

Qualcuno potrebbe avere perplessità sulla riproduzione corretta delle frequenze medio basse, ed in effetti l'unità UNI-Q è tagliata a 320 Hz e le frequenze basse diventano non direttive circa a 200 Hz. Ma i woofer ome anticipato non sono direttivi e irradiano ben oltre i 180°, anche se con pressione sonora decrescente. In particolare a 90° hanno tipicamente un calo di 3db (quindi la metà) ma essendo  contrapposti recuperano quasi completamente la pressione e anche i medio bassi in ambiente sono preservati (spiegazione ovviamente molto semplificata, mi perdonino gli esperti). Così è in effetti per le Blade secondo le recensioni unanimi, mi pongo l'obiettivo di ascoltarle prima o poi.

Per chi preferisse una configurazione più tradizionali la Kef propone una configurazione "super" D'Appolito, che include i woofer, come nelle Reference 3.

KEF The Reference 3

Anche in questo caso i woofer sono tagliati abbastanza in alto essendo il midrange UNI-Q versione 12  di diametro di 5"( ovvero 12,5 cm), quindi riproducono anche le medio basse, e beneficiano della ottimizzazione dei lobi di dispersione consentiti dalla configurazione D'Appolito. Inoltre essendo doppi hanno una pressione sonora analoga a quelle di un woofer equivalente alla loro superfice totale collocati di lato.

Kef R5

La Reference 3 prodotta in UK costa ancora un po' e chi rinuncia a qualche raffinatezza e soprattutto ha un ambiente che non può valorizzarle in pieno può scegliere le R5 non fabbricate in UK (indovinate dove) che ottengono risultati analoghi con woofer da 13 cm. grazie anche in questo caso alla configurazione e al raddoppio delle unità. Le R5 sono, per inciso, le mie casse acustiche attuali. Per chi ha più spazio esiste però anche una R7 con doppi woofer da 6,5" (16,5 cm).

KEF R7

Per completare la rassegna di come possono essere applicate queste tecniche di progettazione da un'azienda che punta alla tecnologia per raggiungere i risultati che si propone, sono da segnalare in evidenza anche le recenti LS60, casse attive che sono un upgrade con risposta estesa verso i bassi delle formidabili LS50 (vedi prova d'ascolto) e che adotta proprio i woofer laterali con una configurazione force cancelling. Obbligata in questo caso vista la forma particolarmente stretta e alta del frontale (penso che con musica con molti bassi potrebbero crollare su un lato). Non è la stessa usata nelle blade e in modelli di altri produttori ma una soluzione Kef interessante, perché più compatta ed economica,  che hanno chiamato Uni-Core Force Cancelling Driver. Il driver è unico per le due unità ma con un equilibrismo tecnologico le spinge in direzioni opposte.

KEF LS60 in tre colori

In sintesi
Una rassegna di alcune promettenti tecnologie usate da alcuni produttori per i diffusori, con esempi tratti soprattutto dall'attuale produzione Kef, non per pubblicità, ma per il semplice motivo che ho scelto i diffusori Kef da anni e quindi li conosco abbastanza bene. Potrei fare una rassegna analoga per il principale concorrente, B&W, che segue strade in parte diverse e comunque altrettanto apprezzate, ma avendole ascoltate poco e in condizioni non ideali sarebbe solo una rassegna di quello che si trova sul web.

domenica 24 luglio 2022

Una discoteca con 10.000 CD?

Leggo a volte nelle auto-presentazioni di chi chiede consulenze su TNT-Audio o scrive ad Audio Review, che l'appassionato in questione ha creato negli anni una propria discoteca di 5.000, 7.000 o anche 10.000 CD, oppure, per quelli che hanno iniziato prima, migliaia di LP seguiti da migliaia di CD, che arrivano sempre a cifre di questi ordini di grandezza.  Sono numeri che per prima cosa mi fanno sospettare di essere un appassionato molto modesto, visto che tra LP, CD e digital download ne ho accumulati circa 1.500.
Mi chiedo dove li mettono, visto che pur avendo una casa di medie dimensioni, un discreto numero di CD, ormai digitalizzati, stanno in uno sgabuzzino, nonostante mia moglie sia molto accondiscendente sull'impatto casalingo di un marito audiofilo, ma c'è qualcos'altro che mi lascia perplesso.

Da quanti anni compriamo i CD?
In Italia la commercializzazione, ad opera della CBS, è iniziata nel 1983 con 180 titoli promozionali di musica classica, in qell'anno la quasi totalità dei nuovi titoli in uscita erano ancora su LP e ben poche erano le riedizioni. Nel 1984 è iniziata la diffusione nei negozi di dischi ed è iniziata la produzione dei nuovi titoli anche su CD, nel 1985 è iniziato il boom con l'album "Brothers in Arms" dei Dire Straits che ha raggiunto il milione di copie vendute. 

Una proposta che puntava alla qualità non al prezzo
Il CD era stato lanciato come "la perfezione del suono digitale" in grado quindi di raggiungere prestazioni impossibili per il vinile, e di aggiungere a questo plus anche la compattezza, la resistenza ad urti e graffi e la comodità d'uso, ovvero la possibilità di selezionare facilmente un brano,  saltarei brani o cambiarne l'ordine. 

Un salto in avanti (nel futuro digitale) che giustificava il prezzo
I CD quindi erano proposti a un prezzo superiore a quello degli LP, che già costavano un occhio (circa 14.000 lire nel 1982), pur avendo, i CD, un costo di produzione inferiore. Se non ricordo male era almeno il 20-30% in più, sulle 18.000. Per fare un confronto uno stipendio medio nel 1982 (erano tempi di inflazione, fare raffronti precisi è difficile) era sulle 700.000 lire, quindi, all'incirca, nel 1982-83, un LP costava l'equivalente di 40 € e un CD di 50 €. E infatti nei negozi di dischi Ricordi i CD erano sotto chiave. D'altra parte allora qualcuno riusciva addirittura a rubare gli LP mettendoli sotto la giacca a vento.

Anche  i primi lettori non erano economici
Ovviamente serviva anche un lettore, che nel 1982 poteva essere ovviamente soltanto Sony e Philips, rispettivamente i due storici lettori CDP-101 e CD-100. Costavano come un giradischi alto di gamma, i modelli economici sono arrivati dopo un paio d'anni quando è aumentato il numero dei produttori.

Il Philips CD-101. Da me comprato per passare al CD verso la fine degli anni '80, quando era in
 svendita e poi incautamente venduto. Non per la qualità ma per l'interesse storico

Un ritmo di acquisti piuttosto sostenuto e un impegno considerevole
Iniziando dal 1983 e considerando i 10.000 raggiunti nel 2021 sono 38 anni di acquisti, quindi, arrotondando, sono in media, 263 CD all'anno e 22 al mese. Un impegno economico consistente, che per uno stipendio medio dei primi anni '80 richiedeva circa metà della retribuzione (400.000 lire) e anche un discreto impatto sull'arredamento, visto che a questo ritmo ogni anno richiede 2,6 metri lineari di scaffali in più per posizionare i nuovi CD (il jewel box ha uno spessore di 10 mm). Ma l'audiofilo appassionato spende cifre di un ben più elevato ordine di grandezza per amplificatori a valvole e giradischi esoterici e quindi investire 5.000 € all'anno in CD (riportando ai costi attuali) per questo soggetto non è un problema.

Come può non esserlo lo spazio in casa, visto che per lui sono o sono stati prodotti (e venduti) mastodonti come le Wilson Audio WAMM o le Klipsh La Scala (e altre decine). E poi, per 10.000 CD e quindi 100 metri lineari  da sistemare in una libreria, basta una parete di 6 metri (larghezza) e 3 metri (altezza) può ospitare una libreria alta 2,85 metri con 18 ripiani di altezza 15 cm (il jewel box del CD è alto 10 cm) che hanno quindi una lunghezza totale di 108 metri (6x18) e che quindi può ospitare 10.000 CD. D'altronde l'hanno chiamato proprio "disco compatto". Il problema sarà casomai trovare l'album che l'appassionato vuole ascoltare (ammesso che si ricordi tutti quelli cha ha comprato).

Il problema non è questo
Disponibilità economiche e spazio non sono infinite ma possono essere estese moltissimo per un appassionato facoltoso. Quello che non è estendibile, come purtroppo sappiamo, è il tempo. I 22 CD da acquistare ogni mese corrispondono proprio, casualmente, ai giorni lavorativi di un mese, con l'orario standard di 5 giorni a settimana. E infatti, mantenere il ritmo di 22 CD al mese (per 38 anni) sembra proprio un lavoro, che consiste anzitutto nello scegliere i CD da acquistare, leggendo recensioni o ascoltando alcune canzoni estratte dall'album alla radio o in altro modo, poi nell'acquistarli in un negozio (dove sicuramente l'appassionato sarà conosciuto e accolto con gioia) e infine arrivare al loro scopo, ovvero ascoltarli. 

Circa un'ora al giorno per CD non sembra un impegno eccessivo, eppure, per chi fa anche altro nella vita (tipo lavoro, impegni famigliari, esigenze della vita materiale e altri impegni ricreativi, come andare al cinema o leggere un libro o fare sport) può non essere così semplice ritagliare questo spazio. E in ogni giorno perso si accumula un altro CD da ascoltare, almeno una volta. In sintesi, più che una passione diventa un lavoro, per 38 anni, che, casualmente, aggiungendo il riscatto degli anni di laurea, sono proprio il periodo che serve per maturare (almeno per ora) la pensione anticipata. L'appassionato audiofilo, se avesse avuto l'accortezza di assumersi da solo e pagarsi i contributi, potrebbe ora, nel 2022, finalmente ritirarsi ed ascoltare i CD che ha già, smettendo di comprarne di nuovi.

Ma forse non è proprio così
Ci sarà forse qualcuno che ha veramente 10.000 CD, magari comprati in buona parte in quei cofanetti con l'opera omnia di questo e quello, e che di solito rimangono in buona parte inascoltati e magari anche nel cellophane, e magari ci scriverà un commento per dire la sua. ma è possibile che i 10.000, o 7.000 o 5.000 dichiarati non siano esattamente CD. Certamente lo erano in origine, ma prima di essere stati "rippati" e messi a disposizione di tutti, gratis, su eMule o quasi gratis su qualche sito di "cyberlocker" russo o neozelandese.
La discoteca quindi non avrebbe bisogno di 100 metri di scaffali né richiederebbe di investire cifre consistenti e incompatibili con uno stipendio medio. Rippati lossless, in un hard disk esterno da 1TB, che costa ormai meno di 40 €, ci entrano 4.000 CD, se però sono in MP3 compresso a 256bps  riescono a entracene anche 10.000. 

In sintesi
Una discoteca da 10.000 album pubblicati su CD non è affatto impossibile, un po' più difficile ascoltarli tutti. D'altra parte a tutti capita di avere dei CD mai ascoltati o abbandonati dopo un paio di brani, io ne avrò almeno una ventina. In questo post ho scherzato un po' sull'ansia di accumulo che prende a volte gli audiofili (me compreso) e sulla necessità ineluttabile di considerare sempre il fattore tempo, se pensiamo all'uso per cui sono nati (ascoltarli, magari più di una volta). 


giovedì 23 giugno 2022

Il Backup, ovvero come mettere al sicuro la propria musica digitale

Mettere al sicuro la musica su supporto fisico, vinile o CD, significa essenzialmente riporla bene, visto che il maggior rischio è la caduta rovinosa e questo quasi solo per gli LP, perché nei CD la cosa più fragile è il famigerato jewel box (quello di plastica, che però si può ricomprare). Servono quindi armadi capienti, ben fissati al muro e con gli sportelli a prova del gatto di casa, che magari sceglie i bordi degli LP per rifarsi le unghie. Anche i furti sono improbabili, considerato lo scarso valore per il ladro, a meno che siano dischi da collezione, tipo la prima stampa di Please Please Me o una rara copia di un LP del progressive italiano. Ma i collezionisti sanno come proteggere i loro tesori.

In fondo anche Arianna aveva pensato a un backup (casualmente, Labyrinth di Ian Carr è uno dei miei album preferiti, suggerimento di ascolto)

Problemi inediti
La libreria musicale digitale pone invece problemi inediti, che meritano un'integrazione al precedente post sul sistema di archiviazione, il NAS (Network Attached Storage). Una libreria digitale deve essere maggiormente protetta considerando quanto è costata per l'acquisto (la parte acquisita in download) nonché per il tempo impiegato per crearla (il ripping di CD o LP) e, soprattutto, quanto è facile e rapido farla sparire. I rischi infatti sono:

  1. rottura del disco/i su cui è archiviata la libreria musicale
  2. cancellazione accidentale di file audio (alcuni, molti, tutti) per un errore manuale
  3. cancellazione accidentale di file audio (alcuni, molti, tutti) per rottura del NAS o malfunzionamento del software
  4. furto temporaneo delle libreria per mano di ladri informatici che usano virus di tipo ransomeware (sistema del ricatto)
Il rischio (1) si risolve semplicemente acquistando un NAS al minimo con RAID 0 (2 dischi) e intervenendo tempestivamente in caso di warning inviati dal software.

Per risolvere con la massima sicurezza il (2) e il (3) la soluzione si chiama "Backup incrementale" e consiste nella possibilità di tornare sempre indietro, a prima dell'incidente.

Per risolvere con la massima sicurezza il rischio (4), a quanto pare ormai non più tanto improbabile, la soluzione si chiama "Backup Disaster recovery", Vediamo le ultime due.

Backup incrementale della libreria musicale
E' un sistema di sicurezza fortemente consigliabile in ambienti di lavoro dove file dati sono modificati di frequente (sviluppo di software, produzione di contenuti ecc.). Il normale cestino non può bastare per recuperare "2 errori fa" e per alcuni errori manuali. Non è questo il caso di una libreria musicale, dove i file audio non vengono modificati se non in casi molto rari (es, conversioni di formato) e al peggio possono essere cancellati per errore, e in questo caso basta abilitare il cestino.
Inoltre, i file audio che contengono un album non sono originali e possono essere quasi sempre recuperati, se sono CD o vinili facendo nuovamente il ripping, se sono acquisiti da un sito di digital download scaricandoli di nuovo (tutti i siti consentono di scaricare più volte un album acquistato). Se poi sono andati persi o rubati, si possono sempre ricomprare, solo innrari casi saranno introvabili su quasiasi supporto fisico o "liquido".

Per la maggiore tranquillità si può comunque decidere di attivare anche il backup incrementale, oltre alla copia in parallelo su due dischi. Ma bisogna considerare che è piuttosto impegnativo in tutti i sensi, per i seguenti motivi:
  • le dimensioni della libreria, che viene ulteriormente raddoppiata
  • la relativa staticità della libreria, che solitamente viene creata a partire da una libreria fisica, e a seguire con un numero di integrazioni non rilevanti rispetto alle dimensioni iniziali
  • il tempo necessario per la copia completa (che va effettata la prima volta, ma anche ripetuta periodicamente per maggiore sicurezza)
  • la possibilità di recuperare eventuali file audio aggiunti (o cancellati per errore) dalla copia fisica o con un nuovo download,
Non è invece un problema il costo perché esistono eccellenti software di backup, come Uranium Backup, anche in versione free.
Un problema può essere invece la velocità di trasferimento. E' consigliabile che sia il PC sui cui gira il software di backup sia il NAS siano collegati in Ethernet al router,

Copia di Disaster recovery della libreria musicale
Se effettivamente gli incrementi non sono numericamente consistenti e frequenti, può essere sufficiente anche la copia per il disaster recovery. Si tratta di una copia completa, da effettuare su un hard disk esterno di sufficiente capacità e affidabilità e, soprattutto, da tenere sempre offline dopo la copia, al sicuro quindi dal blocco dei dati, che può essere attuato da un software pirata ransomware che riuscisse a penetrare nel PC che controlla la libreria musicale, superando le protezioni degli antivirus.
La periodicità dell'operazione dipende molto dai tempi necessari, ma certamente non deve essere frequente, per ridurre l'esposizione sul web e quindi il rischio di contagio. Tenendo conto della presenza di altri backup un buon compromesso potrebbe essere una volta al mese. In molti casi avvenuti e di cui si è saputo, si è scoperto che per DB professionali la periodicità era anche più lunga (quando un sistema di disaster recovery era previsto, e non sempre pare che sia così).

In sintesi
La libreria musicale è un capitale, in termini di impegno economico e di impegno personale per realizzarla e mantenerla, un capitale che quindi va tutelato. Riepilogando, le azioni che si suggerisce caldamente di mettere in campo sono:
  1. Archiviare la libreria su un NAS a livello di ridondanza doppio disco (obbligatorio)
  2. Conservare i supporti fisici originali (obbligatorio)
  3. Fare a cadenza almeno mensile un salvataggio completo  per "disaster recovery" su una terza unità, da mantenere poi offline dopo il completamento della copia (fortemente consigliato)
  4. Configurare e un processo di backup incrementale dell'intera libreria su una quarta unità di medesima capacità. (opzionale). 
La dimensione complessiva richiesta per gli archivi dipende ovviamente dal numero di album. Se sono tutti in formato CD, la dimensione di un album può variare da 250 a 450 GB (esempi: un album uscito su vinile come Sticky Fingers dei Rolling Stones: 278GB, oppure un disco recente e abbastanza lungo uscito su CD come Songs in A Minor di Alocia Keys; 405 GB) un disco da 1 TB può archiviare 2.800-3.000 album. Se un certo numero sono in HD o, ancor più, in DSD, il numero ovviamente cala ma almeno 1000-1500 album possono essere archiviati, con un mix realistico.

Quindi per una libreria musicale da 1TB, serve un NAS con 2 dischi da almeno 2 TB più 2 altri hard disk esterni da 1 TB ciascuno, in totale 4 TB.

lunedì 9 maggio 2022

Amazon Music Unlimited HD alla prova

Da poco meno di un anno ai due servizi di musica in streaming che consentono anche l'ascolto in alta definizione (High-Res), ovvero Qobuz e Tidal, si è aggiunto anche il servizio streaming del gigante Amazon. Per quest'ultimo l'ascolto in High-Res era possibile in USA e altri Paesi anche in precedenza, ma è stato esteso anche all'Italia e ad altri Paesi. Quindi è un'alternativa, e in questo post vediamo analogie e differenze con gli altri, e anche un flash sull'ascolto.

Doverosa premessa sul costo, che è uguale a Qobuz per un abbonamento a cadenza mensile (14,99 € / mese) mentre Tidal è a 19,99 € / mese,

Amazon Music si presenta così


Una presentazione dei contenuti che punta quindi alle playlist e ai generi musicali più popolari e non orientati a un ascoltare giovane (magari mi hanno profilato), Niente classica, niente jazz e soprattutto è ignorato il formato album. Grosse differenze quindi, ad esempio con la pagina iniziale di Qobuz, dedicata agli album novità, di tutti i generi, anche se classica e jazz sono un po' di meno di quelli di musica popolare moderna.

L' approccio diverso e maggiormente diretto a un pubblico generalista si vede anche nella seconda (scarna) pagina di ricerca ...


... che mette in evidenza la musica di accompagnamento e di sottofondo (radio e playlist). la musica più ascoltata, di successo (classifiche) e infine le novità. Il target quindi è ben definito: il target a cui l'alta definizione non interessa, e forse non la conosce neppure (vedi il post recente su Spotify). Forse ci sbagliamo, forse Amazon vuole anticipare i tempi, forse aggiungerla non gli costa niente o quasi e quindi lo fa.

Il catalogo
Considerando la potenza della corporation ci aspettiamo che sia il più vasto di tutti, come anche è dichiarato, per sapere se c'è veramente un plus di solito verifico su alcuni artisti che in Qobuz non si trovano, come ad esempio Van Morrison che ha (aveva) una presenza ridotta a pochi titoli per beghe sul copyright. Test fallito perché il suo catalogo ora è completo anche su Qobuz, ma dovendo scegliere qualcosa in High-Res da ascoltare sono rimasto su Van Morrison e sul suo album più popolare, Moondance, disponibile anche in alta definizione. 

La scelta del brano e le funzioni del player
Quindi rimanendo sulla produzione di Van Morrison vengono proposti come sempre per primi i brani più celebri, una selezione degli album e l'elenco completo. I suoi molti album mi sembra ci siano tutti.


Non manca ovviamente la scelta per brani, i più popolari o quelli scelti da qualche algoritmo.

Scegliamo invece Moondance album, come anticipavo.

Amazon Music ha una funzione esclusiva, il testo visualizzabile durante l'ascolto nella app, che scorre a tempo come nei karaoke.


Torniamo al catalogo con altre ricerche
Per trovare conferme della maggiore ampiezza di Amazon Music sono andato sulle recensioni di Audio Review di jazz e inseriti nella sezione "non la solita musica" alla ricerca di artisti veramente poco noti. alla fine dopo una decina di tentativi un album non disponibile su Qobuz ma invece ascoltabile su Amazon l'ho trovato: un album di musica ambient costruito a distanza da due specialisti del genere, Roedelius e Tim Story, dal titolo 4 Hands,

Però durante la ricerca avevo anche trovato in precedenza un album di jazz di Walter Bishop JR's 4th Cycle (Keeper On My Soul, una ristampa di un album minore degli anni '70) che si trova su Qobuz ma non su Amazon Music.
Per fare emergere una completa valutazione dell'effettiva ampiezza del catalogo servirebbero prove più estese, ma da questo primo test non sembra che questo sia un plus decisivo per lo streaming di Amazon.

L'ascolto e le sue sorprese
Dopo aver selezionato Moondance ovviamente ho anche avviato l'ascolto per verificare che tutto andasse bene, in particolare che effettivamente l'audio fosse in alta definizione. Il mio DAC ha un display a LED e correttamente indicava 96Kbps come sample rate. Tutto bene, salvo che dopo qualche minuto di ascolto qualcosa non mi tornava, la voce di Van Morrison, che mi è sembrata più chiara di quanto mi ricordavo e anche la base musicale, che era piuttosto scarna e con con bassi"freddi", che sembravano così senza code. Ho fatto subito un confronto con l'ascolto in locale, perché è un album che ho anche in digital download e in HD, e ascoltando con Foobar2000 ma sullo stesso DAC tutto andava a posto, suono e voce pieni e con tutte le sfumature, 

Un problema del master usato da Amazon? Ho provato allora a confronto altri brani che conosco bene e che uso per i test, All Or Nothing At All interpretato da  Diana Krall, accompagnata solo dal suo piano e dal contrabbasso di Christian McBride, e Black Crow interpretata da Cassandra Wilson. In misura minore ma l'effetto "camera anecoica" persisteva. Infine l'ultima prova sempre con Cassandra Wilson con un album in HD (l'album con Black Crow è in qualità CD) e la sua cover di Fragile, primo brano del suo album Glamoured e qui la differenza si sentiva bene, ancora  una sensazione di musica asciugata e priva di contorni e sfumature,

Improbabile che fosse un problema nei master, bisognava indagare sul player, controllando magari la  sua configurazione. Ebbene, probema risolto, era in modalità di ascolto standard e non Ultra HD. In Amazon quindi considerano "standard" un ascolto in alta definizione (apparente) ma compresso (e molto immagino).

Dovevo controllare prima e non fidarmi solo del sample rate. Ma senza volere ho fatto un test interessante (per questo lo riporto qui) sulla differenza tra musica compressa e musica in HD, che si percepisce piuttosto bene e che si può anche individuare nelle sue conseguenze più evidenti senza grande impegno o competenza.

Inutile aggiungere che posizionando l'ascolto in Ultra HD le differenze tornavano nell'area delle non percepibili ad un ascolto anche attento ma limitato a pochi brani e all'ascolto in cuffia.

In sintesi
Da questa prova a mio parere non emergono elementi di vantaggio di Amazon Music rispetto ai due player a confronto. Se devo dare una preferenza mi permetto di consigliare ancora Qobuz.

giovedì 5 maggio 2022

"Svelato il segreto dei violini Stradivari"

(Post breve)  - Il segreto, come si apprende dall'articolo dell'AGI citato sotto, è che "suonano bene". A parte l'umorismo involontario, leggendo la descrizione di questa ricerca che ha impegnato il CNR, 70 maestri liutai, il Politecnico di Milano e l'Università di Padova, possiamo ricavare qualcosa che interessa anche a noi "audiofili" che non sappiamo suonare un violino.

Il metodo scientifico che è stato adottato per questa ricerca multidisciplinare è stato infatti l'ascolto affidato a esperti (70 liutai) già in possesso delle capacità di individuare e valutare i vari parametri che concorrono alla gradevolezza del suono. Seguendo questo metodo è stato confermato che i violini Stradivari hanno oggettivamente caratteristiche di equilibrio timbrico superiore a violini più recenti o di altre scuole, che li fanno preferire agli altri usati per confronto.

La violinista Lena Yokoyama suona con uno Stradivari alla Villa Reale di Monza

Nessun segreto sulla tecnica di costruzione degli storici violini di Cremona  è stato svelato, ma è stato individuato un riferimento, una particolare combinazione di parametri, anche fissata con misure sulle vibrazioni, lacui conoscenza può servire nella realizzazione e nella messa a punto della timbrica di violini moderni.

A noi interessa in particolare il metodo usato, basato su un audio da ascoltare il più possibile neutro, ascoltatori esperti, e ascolto in doppio cieco, ovvero né gli ascoltatori né gli organizzatori sapevano quale dei suoni a confronto provenivano da violini Stradivari e quali no. 

Con questo metodo, non so poi se da definire scientifico o più semplicemente di buon senso, si è anche smentito il test di alcuni anni fa nel quale passanti ed anche musicisti avevano preferito violini moderni ad uno Stradivari o non avevano individuato le differenze. Così come chi beve vino e lo apprezza non è detto che sappia distinguere due annate di un Sassicaia, anche un violinista non è detto che sappia riconoscere due violini diversi e possa preferire uno o l'altro in base ai suoi gusti personali.

In sintesi, è consigliabile mantenere adeguata cautela nel fare propri i giudizi e le descrizioni del suono di un componente Hi-Fi (incluse quelle che faccio io, quando mi ci avventuro), se non è stato effettuato un confronto in doppio cieco, o almeno in cieco (ovvero, mai, sulle riviste online e no). Meglio considerarli un parere da approfondire,