sabato 29 marzo 2014

Dilemma: streaming o download (o CD)?

Parliamo ancora della musica moderna e delle possibilità concrete che ci sono, dopo 4 o 5 anni di gran parlare di musica liquida, di fare effettivamente a meno del CD.
Qualcosa è cambiato, vediamo le nuove possibilità, sempre con esempi pratici.

Le recensioni nell'era dello streaming
Come facciamo a scegliere la musica che vogliamo ascoltare? Se un musicista risponde ai nostri gusti musicali, la scegliamo spesso in base alla fiducia, quindi cerchiamo il suo ultimo album anche se ancora non l'abbiamo sentito. Magari, per chi ha questa innocua fissazione, anche per collezionismo, per averli tutti. Se puntiamo a qualcosa di nuovo leggiamo le recensioni, sulle riviste specializzate o in rete. Se ascoltiamo dalla radio qualcosa che troviamo stimolante, se riusciamo a carpire il nome del musicista o del brano, lo ricerchiamo. Per conferma poi nel negozio di dischi vediamo se è possibile ascoltarlo (in qualche negozio, per esempio Discoteca Laziale di Roma, recentemente rinnovato dagli ottimisti proprietari, a meno che sia di qualche major, è ancora possibile).

Nel mondo digitale è tutto più semplice, da un lato, e più difficile dall'altro. Tanto per cominciare grazie allo streaming se leggiamo una recensione che parla in termini positivi di un album di un musicista sconosciuto (caso molto frequente, la produzione discografica aumenta continuamente) ma abbiamo qualche dubbio sugli entusiasmi del recensore, possiamo verificare se c'è in streaming ed ascoltare tutto l'album. Anche per quello che ascoltiamo casualmente dalla radio la tecnologia aiuta. Di solito il titolo non sarà annunciato o fatalmente lo perderemo, ma c'è Shazam, che si può anche lasciare sempre attivo (se la batteria del vostro smartphone regge). Peccato che le radio che trasmettono musica di un qualche interesse e non facciano solo heavy rotation nel frattempo si siano estinte.

Una prova pratica
Ma passiamo dalla teoria alla pratica. Prendendo come punto di partenza le recensioni molto positive, dal voto 8 in su, comparse nella sezione musicale negli ultimi due numeri della rivista Audio Review. I più votati sono stati questi:

  • Cate Le Bon - Mug Museum (la musicista nelle foto qui sopra)
  • Brendan Benson - You Were Right
  • Linda Thompson - Won't Be Long Now
  • Laura Marling - Once I Was An Eagle
  • Eleanor Friedberger - Personal Record
Lo so che non sapete chi sono. Non li conoscevo neanche io, tranne Laura Marling e, ovviamente, Linda Thompson, ma secondo i recensori sono tra le cose migliori appena uscite, tra folk e rock rinnovato. Anche se come sempre non tutti (es. Onda Rock) condividono il giudizio.

Il nostro giudizio
Nel nuovo mondo digitale però il giudizio possiamo darlo direttamente noi, perché tutti e cinque questi album in Spotify ci sono, integralmente, e possiamo passare dalla lettura della recensione all'ascolto senza altre intermediazioni. E scoprire che, come sempre, le recensioni possono dare una idea diversa. Per esempio di questo songwriter americano, Brendan Benson, dalla recensione mi sembrava che proponesse un crossover molto creativo con qualche momento energico, lontano dalle lentezze un po' noiose che a volte assume il new folk. In realtà è un disco di rock con qualche vago tentativo di introdurre idee musicali se non inaspettate, almeno inconsuete; in sostanza, astraendosi un momento, potrebbe essere stato registrato una quarantina d'anni fa (tranne che per l'età dell'autore).
Altri potranno giudicare diversamente questo o i restanti album di questa selezione, ma rimane il vantaggio di non averci rimesso nulla, avremo soltanto, al massimo, sottratto ad altri ascolti più stimolanti parte del nostro tempo prezioso. Mentre sappiamo che di delusioni, leggendo solo le recensioni, ne abbiamo incontrate parecchie.



Sorpresa. Sono disponibili anche in HD
Dopo l'ascolto si pone il dilemma: è un album degno di far parte della mia collezione? Soprattutto e ancor prima: lo sentirò ancora? Se le risposte sono due SI,  può venire il desiderio di acquistarlo con la massima qualità possibile (sulla qualità dell'ascolto con Spotify torno dopo). In un impeto di ottimismo ho cercato questi album di musicisti certo non notissimi in HD (usando il motore di ricerca specializzato Find HD Music recensito nel post precedente). E due ci sono, quello della songwriter gallese Cate Le Bon (nessuna parentela con Simon Le Bon) e quello della signora del folk Linda Thompson. Si trovano proprio su HDtracks e sono liberamente acquistabili anche fuori dagli USA. Gli album sono pubblicati da due etichette indipendenti che evidentemente si fanno meno problemi delle major. Tra l'altro la Wichita Recordings, l'etichetta della Le Bon, rende disponibile in HD anche l'ultimo disco del gruppo indie-rock Los Campesinos! (sono abbastanza noti nel genere) gallesi anche loro, come l'etichetta, supponiamo. 
E per gli altri tre? Rimane solo il CD. Ma comprandolo su Amazon UK cambio e spedizione compresi, ricorrendo magari all'usato (anche se sono novità, ci sono già) si rimane sui 10-11 € ciascuno (17,98 $ ovvero circa 13 € invece da HDtracks). 



L'ascolto con Spotify
Veniamo a quest'ultimo, non secondario, aspetto, e vediamo anche perché si fa riferimento solo a questo servizio e non agli altri (che sono, lo ricordo: Sony Unlimited e Google Play Music Unlimited). Perché, come riportato da altri blog e come sperimentato, la codifica adottata dal servizio svedese, OGG Vorbis con bitrate 320Kbps, garantisce per la musica moderna e non troppo complessa una qualità di ascolto molto buona. Soprattutto se la registrazione originale è ben fatta o comunque funzionale al genere di musica. Con ascolti a confronto anche se "a memoria" siamo a un livello migliore rispetto all'AAC a 256Kbps adottato da iTunes Match e anche in seguito da Sony. Mentre Google utilizza MP3 a 256Kps o 320 che è senza dubbio inferiore. Non sono differenze evidenti, semplicemente alla fine di un album ascoltato da Spotify la sensazione è di completezza e di piena soddisfazione, mentre con iTunes Match (il confronto che ho fatto, ovviamente con DAC identici e di qualità) in alcuni momenti e in alcuni brani sembrano intervenire quelle asprezze e forzature che riconosciamo come suono compresso. Dipenderà magari dalla diffusione via streaming, dallo stato delle connessioni, dalle tecniche di ottimizzazione che usano, non sono confronti facili da valutare. Ma sono facili da replicare e quindi chiunque legge questi post può provare in cuffia o sul suo impianto un album di genere moderno via streaming con uno o l'altro servizio o dal CD, scegliendone uno a sua scelta. E dare il suo giudizio sulla qualità di ascolto con Spotify.


In sintesi
L'ascolto con Spotify sembra essere del tutto soddisfacente, trovare un album veramente memorabile e senza "filler" è arduo, la logica conseguenza è che per il genere moderno l'ascolto in streaming, magari ripetuto, rimarrà l'unico. I musicisti sono comunque pagati, pochi centesimi a brano (ma non so quanto di meno rispetto al CD) e quindi anche la coscienza è a posto.
Preferiremmo lo streaming anche in qualità CD ma forse possiamo accontentarci. Tanto anche la mitica qualità CD ormai non è altro che una forma di compressione, nel senso di perdita di informazioni musicali, visto che il master è sempre a 24 bit e frequenza di campionamento 96 o 192KHz o anche oltre. Aspettiamo fiduciosi lo streaming in qualità HD, possibilmente prima dello sbarco dell'uomo su Marte.










sabato 8 marzo 2014

Il download digitale in alta definizione nel 2014. Come cercarlo in rete.

Riprendiamo l'analisi di quello che offre il mercato anche alla luce delle recenti novità, con le restrizioni alla vendita fuori dagli USA imposte recentemente anche ad HDtracks.

Il download digitale sul web
Se cerchiamo musica in formato compresso non abbiamo problemi neanche se abitiamo nell'inaffidabile (a giudizio dei discografici) penisola italiana (o in Europa in generale). Chi insiste, nonostante la scarsa convenienza economica, a praticare il download ha a disposizione iTunes con centinaia di milioni di brani, tutta la musica mondiale o quasi. Chi è già passato allo streaming ha a disposizione Spotify (la scelta che appare migliore per qualità e versatilità), oppure Google Play Music Unlimited o Sony Music Unlimited, e anche in questo caso la possibilità di trovare la musica che si vuole ascoltare, seppur un poco inferiore, è sempre vicina al 100%. Se poi non interessa troppo la qualità e non infastidisce il relativo caos nelle ricerche, e si accetta la intrusione della pubblicità, c'è YouTube.
Tutto ciò riguardo alla musica moderna, per la musica classica la situazione è leggermente diversa, ma in senso migliorativo: minore disponibilità su iTunes e in streaming (lato interpreti) ma disponibilità alternativa, anche in formato non compresso o HD, su siti e portali specializzati.

Negozi e distributori
Qualcuno ricorda la situazione prima della musica sul web, quando la musica si poteva acquistare solo su supporto fisico (vinile o musicassetta)?  C'erano i negozi di dischi (qualcuno resiste ancora) "multi-etichetta", che avevano in negozio una parte (ovviamente non tutta, anche per motivi logistici) della produzione distribuita nel Paese per le etichette trattate. Poi c'erano i negozi "mono-marca", di una specifica etichetta (Ricordi in Italia, Virgin in UK) ma che vendevano anche i dischi delle altre. Infine c'erano i distributori per ogni Paese, e quindi una certa parte della produzione straniera non era distribuita in Italia, era disponibile solo "import".



La situazione per il download di musica in HD o anche in qualità CD è molto simile, ma le limitazioni sono persino maggiori. I negozi "multi-etichetta" sono i portali, come eClassical, The Classic Channel, iTrax, HDtracks, Linn Records. Questi ultimi due in realtà sono "negozi" legati ad una etichetta, ma la gran parte del materiale che vendono appartiene ad altre etichette. In più c'è il vincolo legato alla distribuzione per Paese, nel senso che non tutto quello che hanno negli scaffali virtuali è disponibile per il paese da cui proviene il visitatore. Come se al cliente del negozio Virgin a Londra venisse chiesto il passaporto prima di vendergli un disco. Nel moderno mondo web però non esistono neanche i negozi "import". O, almeno, non sono legali.

La situazione attuale
Una impostazione arcaica nel mondo globalizzato e su web, ma è quella che cercano di imporre da sempre le case discografiche, qui ci riescono con maggiore successo perché la domanda è meno forte. Il motivo è soltanto economico (ci tornerò sopra in un altro post) anche se i risultati, con il calo costante dei fatturati e il fallimento progressivo delle major (3 su 6 negli ultimi 10-12 anni) non confermano la capacità di fare i propri interessi delle suddette case discografiche.
Nella pratica questo comporta che il materiale in alta definizione (che comprende anche la qualità CD, non ci sono grandi differenze) esiste e anche in discreta quantità (di più sulla classica) ma è distribuito su un numero molto elevato di canali che applicano prezzi diversi e, per di più, hanno disponibilità solo di una parte dell'offerta, e spesso non sono abilitati a venderlo in Italia. Acquistare non è facile e richiede pazienza e determinazione.

Aggirare il problema
Questa è la situazione e prima o poi cambierà. O per la definitiva sparizione delle case discografiche, o sulla spinta di un player globale come Apple o Google che decide di lanciare l'alta definizione, o per un risveglio del mercato. Se ne parla da anni e la prima analisi che ho fatto su questo blog sul download digitale in alta definizione  risale alla seconda metà del 2009. Tempi remoti per la tecnologia e per la rete, nel 2009 si doveva ancora affermare l'iPhone (c'era il 3GS), non era iniziata la invasione degli smartphone, e l'iPad era ancora una idea nella mente di Steve Jobs. Per dire a che livello di immobilismo siamo nella distribuzione della musica.
Seguendo l'approccio pragmatico di Candide di vivere nel migliore dei modi nel peggior dei mondi, cerchiamo di vedere come aggirare il problema ed ottenere il massimo possibile al momento. Sfruttando quello che abbiamo, cioè la rete.

Motori di ricerca specializzati
Una situazione frammentata e dispersa e la conseguente difficoltà nel trovare quello che si cerca, non è una novità in Internet, per dare una risposta sono nati e si sono affermati come risorsa principale del web i motori di ricerca. Nel caso della musica in alta definizione però serve un motore di ricerca specializzato, perché la ricerca su Google non da' risultati utilizzabili, i termini da usare sono troppo generici e soprattutto i risultati sono oscurati dagli infiniti siti che propongono (o affermano di proporre, ma è solo uno specchietto per le allodole) musica in modo non legale. Che è una strada alternativa ma che, occorre saperlo, a parte le giuste considerazioni di ordine etico, è diventata ormai praticabile solo usando estrema attenzione. Non tanto per il rischio di essere intercettati e tracciati da chi difende il copyright quanto per la certezza di incappare in raffinati sistemi di spyware e malware che sono veicolati assieme al materiale gratuito.

Find HD Music
Il motore di ricerca specializzato che sembra al momento più completo ed efficiente si chiama Find HD Music. Sembra essere una iniziativa privata (benemerita) non collegata alle case discografiche e alla IFPI (dove pensano solo alla musica compressa) e che trae il suo profitto dalla pubblicità. Molto ben organizzato, basta andare ad esempio sulla lista dei siti che offrono download in HD per avere un elenco veramente completo e, ritengo, periodicamente aggiornato, delle risorse in rete. Sulla pagina inziale sono messe in evidenza le offerte speciali, si possono confrontare i prezzi e la organizzazione della ricerca è molto intuitiva ed efficiente. Il limite è che è un sito USA e quindi comprende anche il materiale non disponibile da noi. Non è però un grandissimo problema perché come risultato della ricerca vengono mostrate tutte le alternative e, conoscendo i siti o semplicemente cliccando, si può verificare se la disponibilità nel paese c'è.

Ad esempio cercando l'ultimo album di Diana Krall, Glad Rag Doll, vengono mostrati numerosi risultati. Alcuni sono su siti USA che in tutto (Highresolutionaudio) o in parte (HDtracks) non sono disponibili, ma si scopre anche che l'album è disponibile in Europa (e in Italia) tramite Linn Records.
Si scopre che è disponibile anche in Giappone dal sito Onkyo. Ma il cambio con lo Yen non è favorevole e alla fine costa come pagarlo in Euro (alla Linn che pure è fuori zona Euro). Di più che in USA, e forse si capisce qualcosa sulla mancata disponibilità.


Cerchiamo ancora qualcos'altro di recente in alta definizione, provando ad esempio con Mumford & Sons; non ce lo saremmo aspettato, ma vediamo che il loro secondo album (e inaspettato successo mondiale) è disponibile anche in HD 24/48.


Attivata anche la funzione di confronto dei prezzi, notiamo che le barriere doganali imposte dalle case discografiche (che rimpiangono evidentemente l'ottocento) sono reciproche, nel senso che anche i siti europei come Linn Records o Qobuz non sono disponibili in USA. Salta all'occhio il prezzo molto conveniente di Qobuz, che però, ça va sans dire (sono francesi) non è disponibile in Italia. Loro però affermano, se si tenta di accedere, che "We are working hard to make Qobuz available in your country". Vedremo.

Grazie all'informazione fornita successivamente da un gentile visitatore (vedi i commenti) si è scoperto che l'acquisto su Qobuz è possibile, ovvero la indisponibilità è aggirabile. Basta registrarsi e poi inviare una richiesta al loro supporto di acquistare dall'Italia. Dovrebbero rispondere subito (come nel test che ho fatto) e abilitare l'acquisto. Dopodiché è possibile acquistare normalmente quanto disponibile a catalogo.

Facendo altre ricerche si conferma la utilità del motore di ricerca specializzato e si scoprono anche altri negozi on line o le disponibilità di quelli noti. In particolare da segnalare Linn Records, che ha stretto accordi con molte case discografiche maggiori (tra cui la Universal, come si è visto) e che ha un'offerta ormai interessante anche nella musica moderna. A prezzi alti, ma è l'unico al momento.

Invito i visitatori e lettori a fare autonomamente le ricerche e le verifiche su che è di loro interesse proprio perché la situazione appare molto mutevole ed eventuali risultati pubblicati qui sul blog potrebbero diventare obsoleti, o nuove risorse più interessanti potrebbero emergere in seguito.

mercoledì 5 marzo 2014

Audio Review un anno (e mezzo) dopo

Ad ottobre 2012 un editoriale dell'allora direttore Roberto Lucchesi sul numero 337 annunciava, senza che nessuno ne avesse avuto sentore prima, la cessazione immediata delle attività della principale rivista di alta fedeltà presente nel nostro Paese, Audio Review, erede di Suono Stereo, il primo e storico mensile che ha accompagnato il boom del settore negli anni '70 e '80, essendo fondata dallo stesso team capitanato da Paolo Nuti.

Nelle settimane successive un gruppo di redattori della rivista e dei periodici collegati e pubblicati dallo stesso editore New MediaPro (che entrava in gestione fallimentare) non accettava la prematura scomparsa delle testate e riusciva a far ripartire le pubblicazioni con la formula "tre riviste in una", associando ad Audio Review il periodico specializzato negli impianti per auto (RCS - Radio Car Stereo) e quello dedicato agli autocsotruttori (Auto Costruzione). In più veniva operata una parziale revisione del piano editoriale per adattarlo al mercato in forte cambiamento, assieme ad azioni per riequilibrare il conto economico, rappresentate dall'abbassamento della qualità della carta e dall'innalzamento del prezzo di vendita.
Un anno e mezzo dopo la rivista è ancora in edicola con la stessa formula, la carta appena un po' migliore, un po' più di pubblicità (nei primi numeri auto gestiti era quasi sparita, e non per scelta) e una paginazione tornata ai livelli originali o quasi. Sempre a cura dello stesso editore in gestione fallimentare, come dichiara il nuovo direttore, Mauro Neri, nell'editoriale del numero di gennaio 2014.
Cosa sia successo veramente non si è mai capito bene, se c'erano anche contrasti interni a valle della decisione o meno, ma ci interessa poco. Lo storico fondatore Nuti sembra essere uscito dal mondo dell'hi-fi e segue solo l'altra sua attività nel settore Internet (è il fondatore anche di MC Link e presidente dell'associazione tra i provider italiani), così come Lucchesi. Alcuni redattori e recensori non si vedono più tra le firme ma i più noti ci sono ancora tutti (Cicogna, Benedetti, Montanucci, ecc.) e Guglielmi continua a seguire la parte musicale con il gruppo dei recensori musicali già noto.

Tutto risolto dunque?
Il post che avevo scritto a caldo, e che è stato visitato moltissime volte producendo anche un gran numero di commenti (e anche incredibilmente alcune polemiche, in Italia attualmente si riesce a polemizzare su tutto) era intitolato "Audio Review: fine di un'epoca". A differenza di quanto ha deciso di fare Lucio Cadeddu di TNT-Audio ho deciso di mantenerlo anche dopo aver saputo che la rivista non finiva lì la sua storia. Non so cosa avesse scritto Cadeddu, non lo sa nessuno perché ha deciso di non pubblicarlo, ma a mio parere quella decisione, poi in qualche modo superata (e mi fa veramente piacere per tutte le persone che ci lavoravano), certificava la fine della fase di espansione dell'hi-fi come componente elettronico da avere in una casa che si rispetti, e quindi anche come oggetto del desiderio e come oggetto che distingue il possessore. Per diventare qualcos'altro, uno strumento a disposizione di nuove esigenze, che ho cercato di individuare in un post su "l'ascoltatore post-hi-fi".

Una rivista di un'altra epoca?
Migliore o peggiore che sia (l'altra epoca) questa sembra essere oggi Audio Review, nonostante gli apprezzabili e volonterosi sforzi di aggiornamento che si intravedono. Io continuo a comprare e a leggere la rivista, ma faccio parte del gruppo, un tempo nutrito, di chi ha sviluppato un interesse non solo per la musica ma anche per gli strumenti per riprodurla al meglio. Il problema di Audio Review come delle altre riviste specializzate di qualsiasi genere, è il ricambio. Il mondo sta andando velocemente verso i contenuti fruiti soltanto online e a ricerca immediata, quando servono. L'approfondimento, la riflessione, l'interesse a diventare "esperti" si concentra su altri settori (la cucina creativa al momento va per la maggiore, direi) e sconta anche la illusione di poter diventare esperti con poca fatica, un iPad, la rete, Wikipedia e qualche sito o blog di riferimento. Questo, almeno, è ciò che si osserva e che in molti ripetono.

Direzioni divergenti
A queste criticità generali se ne aggiungono di specifiche del settore, sempre più diviso tra quelli che non si appassionano agli strumenti, ma vorrebbero ascoltare la musica al meglio, e sono alla ricerca quindi di soluzioni veloci e definitive, e quelli che invece continuano a fare dell'alta fedeltà un hobby. I soggetti del secondo tipo sono in diminuzione e a ricambio lento, così come le aziende che producono per loro e i negozi nei quali possono esercitare una azione fondamentale per questo hobby (e per l'acquisto impegnativo in genere): l'ascolto. Ma non stanno sparendo e non spariranno. Diventa un classico "settore di nicchia" come molti altri, le nicchie aumentano e aumenteranno. I primi sono molti o forse quasi tutti in varie fasi della vita e della evoluzione degli interessi, ma non sono disposti ad impegnare il tempo necessario all'approfondimento, sono alla ricerca di risposte immediate.

Anche il mercato si divide per i due soggetti: prodotti tradizionali da marchi consolidati per gli "appassionati" e prodotti spesso innovativi e con ciclo di vita ridotto per gli "ascoltatori post-hi-fi". Con differenze di prezzo che confermano le direzioni divergenti: semplicemente spropositati per gli ascoltatori post-hi-fi quelli dei componenti tradizionali, talmente bassi da non essere credibili, per gli "appassionati", quelli dei componenti rivolti al mercato di massa. L'esempio più evidente di questa differenza di percezione è rappresentato sicuramente dagli amplificatori in classe D, a partire dall'ormai storico T-Amp.

Una rivista oggi
Non può rivolgersi solo al settore di nicchia degli appassionati, non ha sufficiente massa critica per reggere i costi della distribuzione, deve uscire e arrivare anche agli altri. Come sta tentando di fare AR con prove come quella delle cuffie "per giovani" del numero di gennaio 2014 o le prove di componenti per musica liquida, ampli con DAC integrati di basso costo e così via. Un obiettivo non facile, ma riguardo al quale facciamo glia uguri al nuovo staff della rivista, perchè rivolto ad una fascia di potenziali lettori che prende difficilmente in considerazione l'idea di cercare quelle risposte in una rivista da comprare in edicola, che sembra per di più richiedere una specifica competenza per essere letta.

L'autorevolezza
Non mi metto certo qui a individuare possibili soluzioni pratiche o dare consigli, non mi compete e non è il mio campo. Noto soltanto che quello che sicuramente chi cerca risposte sul web cerca, in ogni settore e anche in questo, è l'autorevolezza. Sapere che lì su quel blog, o anche su quella rivista da comprare in edicola, magari solo per il periodo che serve, c'è una risposta autorevole, attendibile, imparziale, che non sarà smentita in seguito. Il web e ancor più i social media propongono a raffica risposte apparentemente autorevoli e altrettanto velocemente smentite, con polemiche connesse. E' uno dei punti critici dell'intero sistema, intrecciato anche alla diffusione dei siti che puntano a rendere autorevole la rete stessa grazie alla forza dei grandi numeri, sul modello di TripAdvisor.

Come rendere una rivista hi-fi autorevole, con tutta la storia pregressa e la forzata contiguità con le imprese del settore (anche loro alle prese con una difficile transizione) non è certo facile. Gli elementi di base sono però sempre i soliti: la competenza di chi da' giudizi, la imparzialità rispetto a chi è giudicato. Il profilo professionale dei recensori, comprensivo delle loro competenze in campo musicale (conoscere la musica e saper suonare uno strumento, ad esempio) e la totale indipendenza rispetto al componente provato (acquistato in modo anonimo, pubblicità solo indiretta) non sarebbero interventi semplici, ma farebbero una grossa differenza.