venerdì 25 maggio 2012

I Metadati

Per sfruttare al massimo le potenzialità della musica liquida bisogna occuparsi anche dei metadati (o metadata, all'inglese). Sembra qualcosa di tecnologico e complicato e invece si tratta di una cosa che già conosciamo bene e che ora viene chiamata con un nuovo nome più raffinato. Nella musica registrata su un supporto o su un file il dato è la musica stessa opportunamente codificata. Il metadato, ovvero il dato sul dato (o dato sul contenuto del dato, per i pignoli), è qualsiasi informazione aggiuntiva sulla musica stessa, il nome dell'autore e dell'interprete, il titolo del brano e così via.

I metadati analogici
I metadati quindi c'erano già anche nella musica analogica, nei dischi in vinile erano le etichette sul vinile stesso che, come in quest'esempio, da uno storico LP dal vivo dei Jefferson Airplane, fornisce già molte informazioni sull'album e sui brani contenuti, inclusa la durata di ciascuno di essi. Non era molto agevole utilizzare questi dati mentre il disco girava e per questo, già da molto prima, i vinili erano venduti di solito con copertine che contenevano informazioni sul contenuto. Non necessariamente le stesse della etichetta e non sempre. Sino ai primi anni '60 molti singoli a 45 giri venivano venduti con una copertina generica, con solo il nome della casa discografica.


Il CD Text
I metadati sono molto più semplici da gestire nel mondo digitale, a cominciare dal fatto che la quantità che può essere inserita è teoricamente molto maggiore, a differenza della etichetta degli LP che, come abbiamo visto, ha uno spazio limitato all'origine. Nello standard per i CD, il Red Book, non hanno pensato però a suo tempo di inserire questa funzionalità. E' stata aggiunta in tempi successivi (di poco) come estensione allo standard, poi formalizzata da Sony, con il nome di CD Text.
Una funzionalità che qualunque utilizzatore di un PC conosce bene, perché accessibile da qualsiasi masterizzatore, come ad esempio Nero, e che consente di inserire liberamente molte informazioni nel CD che si sta creando, che possono poi essere lette dal display del lettore CD (se supporta il CD Text, ovviamente) evitando di dover andare a leggere la copertina del CD per sapere il titolo della canzone che si sta ascoltando. Cosa piuttosto utile, ad esempio, in auto.
Per motivi misteriosi però quello che qualsiasi amatore realizza senza difficoltà alcuna pare essere fuori dalla portata delle case discografiche, che difatti non inseriscono quasi mai questi metadati nei CD commerciali. Forse c'entra il fatto che non fa parte del Red Book standard e quindi i CD non sarebbero conformi ad esso, ma questo scrupolo le case discografiche non l'hanno avuto quando hanno inseriti i (peraltro inutili) sistemi anti-copia. Non conosco il motivo, magari qualche lettore ci illuminerà, ma è così.
Quindi nei CD ufficiali nulla cambia sotto questo aspetto rispetto ai vinili. Le informazioni continuano ad essere riportate sulla copertina e sul libretto e, anche se non sempre, su retro del dischetto.

I metadati su iTunes
Nella musica liquida invece i metadati sono sempre inseriti all'origine, o ci pensano i media player a reperirli automaticamente. Sono i cosiddetti tags. Come in questi esempi di metadati visualizzati su iTunes. Dove, per accedere alle informazioni, basta selezionare appunto "Informazioni" con il tasto destro del mouse e si aprono più schede (Sommario, Info, Video, Ordine, Opzione, Testo, Illustrazione).  L'esempio, Fortunate Son dei CCR nella cover di Cat Power, è di un brano acquistato da iTunes Store, come è dichiarato nel sommario, assieme al detentore dei diritti (Matador). Nella scheda Info sono inseriti già tutti i dati del brano. Altre informazioni si possono aggiungere a cura dell'utente, come ad esempio il testo della canzone, come si vede nella immagine successiva.




Il secondo esempio invece è di un brano "rippato" in formato non compresso Wav e inserito su iTunes a partire da un CD ufficiale (Diana Krall che interpreta Nat King Cole, in questo caso). Come si vede anche in questo caso le informazioni ci sono e sono state acquisite automaticamente da iTunes nel suo DB, mentre non compaiono nel sommario le informazioni sul copyright, che nel CD non erano presenti.



Il terzo esempio, da un album solo di Bert Jansch (l'eccellente Birthday Blues)  è un brano inserito in rete da un ignoto rippatore. Che ha provveduto ad inserire una serie di metadati, corretti in questo caso (non sempre è così).



Tutte le schede sono editabili dall'utente di iTunes, e si possono quindi arricchire a piacere i metadati con altre informazioni sul brano o sull'album, incrementando la funzione di "banca dati" della nostra libreria musicale. A quale scopo? Solo per mania della perfezione? Ci torno sopra nel seguito.

I metadati su Foobar2000
Le stesse funzionalità sono presenti su tutti gli altri media player, ad esempio su Foobar2000 che anzi anche da questo punto di vista è molto potente.
Nella guida pubblicata in precedenza erano descritte passo a passo le modalità con le quali si potevano completare le informazioni recuperandole in modo automatico da vari DB presenti in rete. Quindi non ci torno perché sarebbe una duplicazione.
Vediamo soltanto come si presentano  i metadati su Foobar2000 per materiale audio acquistato da siti di download ufficiale, in questo caso Hyperion.


Le informazioni sono complete, è vuoto solo un campo per i commenti, a disposizione dell'utente.


Che può essere usato per inserire informazioni ulteriori che possono essere usate in seguito, in ricerca, per visualizzare ad esempio tutti i quartetti o tutta la musica da camera.


Foobar2000 si conferma comunque prodotto molto flessibile e con il comando Tools si possono aggiungere anche altri campi a volontà, per ogni altra esigenza (ad esempio per classificare materiale registrato).

Sono indispensabili i metadati?
Per ascoltare la musica ovviamente non servono, ma per organizzarla, cercarla e trovarla sì. E anche per sapere qualcosa di più su quello che si sta ascoltando. Grazie ad Internet si potrebbe cercare anche in rete e addirittura, con Shazam, ritrovare anche il titolo e l'interprete di un brano di cui non ci ricordiamo più nulla, semplicemente ascoltandolo. Ma è sicuramente più pratico avere i dati essenziali a disposizione nella libreria. Anche perché nella musica liquida la confezione del CD normalmente non c'è, quindi niente copertina, etichetta, libretto o altre informazioni, diventa tutto immateriale. Un piccolo sforzo di verifica e integrazione dei metadati è quindi necessario per una libreria musicale organizzata e fruibile, ed è man mano più necessario quanto più la libreria è ricca di titoli.

domenica 20 maggio 2012

Le riviste di alta fedeltà

Negli anni '70 il boom dell'alta fedeltà in Italia è nato con le riviste specializzate. L'alta fedeltà è diventata in pochi anni, da tecnologia conosciuta e acquistata da pochissimi super appassionati, una passione per moltissimi giovani, che proprio in quel periodo scoprivano e apprezzavano le complesse trame musicali del genere progressive e, attraverso questa mediazione, anche la musica classica e, poco dopo, la musica barocca. E si accorgevano che solo con un impianto adeguato si potevano godere in pieno. Ancora pochi anni e, complice l'abbassamento dei prezzi (e della qualità. purtroppo) grazie alla produzione di massa, l'impianto hi-fi è entrato, se non in tutte le case, in molte, un alro "elettrodomestico" da avere obbligatoriamente, dopo la lavatrice e il TV.

Audio Review
Settembre 2002
Le riviste creavano il bisogno, lanciavano le novità tecnologiche, recensivano e davano i voti ai vari prodotti, proponevano impianti di varie fasce, partendo dal super economico, sul modello della rivista alpha tra i mensili specializzati in Italia, Quattroruote. Soprattutto, costavano molto meno di quello che proponevano o pubblicizzavano, e consentivano di sentirsi esperti anche senza possedere alcun impianto. E arrivavano così a tirature che rivaleggiavano con quelle della sopra citata Quattroruote, e ai primi posti tra i mensili, anche a 100 mila copie e più, e con tariffe e raccolta pubblicitaria conseguente.
Riviste che ad oggi in Italia sono tre (quelle dedicate unicamente all'audio): AudioReview, Suono e Fedeltà del Suono.

Le riviste oggi
Hanno ancora senso con l'alluvione di informazioni e notizie che si possono trovare su Internet per questo settore (come per tutti gli altri)?
Se effettuano prove che richiedono mezzi non alla portata di privati o riviste web prive di mezzi, se i recensori e i giornalisti hanno una competenza superiore, se sono indipendenti dai produttori, la risposta non può che essere affermativa. Ma è così?

Le misure
Suono Stereo
Marzo 1976
Le principali riviste sono nate, penso su modelli stranieri, proprio attorno al laboratorio per le prove. L'aspettativa dei primi potenziali acquirenti di soluzioni hi-fi era di leggere prove a confronto sorrette da misure oggettive che potessero stabilire il valore di amplificatori, giradischi e così via. Come avveniva nel mondo dell'auto dove si misurava la potenza effettiva del motore, la velocità massima, il consumo e così via.
Le prime riviste, che hanno avuto modo di intercettare più pubblicità in un settore in crescita, hanno potuto investire negli strumenti di misura e nelle misure necessarie e hanno quindi potuto mettere a punto in pochi anni una serie di test anche complessi che raccoglievano una vasta gamma di misure di parametri che potevano influenzare il suono. Con relativo corredo di polemiche tra riviste concorrenti su quali fossero i parametri più significativi.
A una standardizzazione delle misure non si è poi mai arrivati, a parte quelle di base (come risposta in frequenza, potenza e distorsione) le varie riviste italiane e internazionali continuano a misurare parametri in parte diversi.
Il fatto è che dagli anni '90 qualcuno ha incominciato a notare che esistevano componenti, come gli amplificatori a valvole o i giradischi in vinile che, pur ottenendo misure molto inferiori al più economico amplificatore a stato solido o lettore CD, all'ascolto suonavano meglio anche in maniera sensibile. A questo apparente paradosso ho dedicato un post a suo tempo e quindi non ci ritorno.

Il declino dei misuroni
Audio Review
Settembre 1995
Hi-fi in buona salute (258 pagine)
Alcune riviste ed esperti del settore hanno quindi iniziato a contestare i "misuroni", quelli che pretendevano di giudicare un componente solo in laboratorio, contrapponendo ad essi l'ascolto come unico metodo di valutazione. Alcune riviste hanno abolito i test di laboratorio. Altre nuove non li hanno più considerati necessari. Abbassando peraltro in questo modo sensibilmente i costi editoriali, e facendo sorgere il sospetto nei "misuroni" che ci fosse anche una convenienza dietro a queste contestazioni.
Erano gli anni in cui si passava dall'alta fedeltà per tutti all' "hi-end", settore per pochi raffinati (e facoltosi) che si distinguevano dalla massa. Nel quale, grazie anche all'assenza di qualsiasi riscontro oggettivo, si potevano anche produrre (e vendere) componenti dal costo spropositato rispetto al contenuto. La cosiddetta alta fedeltà esoterica, a cui ho dedicato a suo tempo un altro post.

E le riviste?
Le più diffuse dovevano convivere con il fenomeno, quindi affiancavano una sezione di prove di solo ascolto (come "Audio Club" di AudioReview) alle prove di laboratorio, che comunque non abbandonavano e anzi sviluppavano (per esempio sul digitale) per non perdere specificità e competenze riconosciute nel tempo. E anche perché fatalmente le vendite in edicola erano diminuite di molto dagli anni del boom e i lettori che rimanevano erano in gran parte quelli affezionati da sempre, che alle misure erano abituati.

Gli ascoltoni
Fedeltà del Suono
Ottobre 1995
Small size, la rivista italiana
ascoltoni (no test)
Il giudizio e il consiglio che il lettore cercava acquistando la rivista era quindi in gran parte demandato al recensore, in grado (a differenza di lui) di percepire e descrivere le differenza tra i componenti, e anche di avere il tempo e gli impianti per farlo con più comodità di quanto si possa fare in un negozio.
Chiaramente dopo l'ennesima recensione entusiastica con corredo di parole auliche a descrivere il suono "trasparente" le "tende che sembra spariscano davanti alla musica", il "micro dettaglio da primato" a qualcuno è venuto il dubbio se questi esperti negli ascolti fossero veramente tali e chi avesse dato loro questo titolo.
E' rimasta in questo senso celebre la lettera di un lettore che chiedeva la curva audiometrica di un noto recensore di una delle principali riviste, per avere una controprova oggettiva che possedesse veramente quelle "orecchie da pipistrello" che si attribuivano ai cosiddetti ascoltoni.

Richiesta disattesa ma comunque ingenua, il maestro Abbado sicuramente non ha l'udito di un ventenne senza la sua cultura musicale, ma sicuramente sa cogliere meglio di lui la stonatura di un violino in seconda fila.
Resta il fatto che nelle riviste non vengono mai pubblicati né i titoli né le referenze e competenze degli esperti che firmano le recensioni sugli ascolti, sappiamo a volte chi sono e cosa fanno leggendo le recensioni stesse (che di solito spaziano su vari temi) ma non sappiamo quasi mai, ad esempio, che cultura musicale abbiano, se conoscano la teoria musicale o sappiano suonare uno strumento, elementi che sembrano fondamentali per fornire giudizi ad altri. Ci aspettiamo, ad esempio, che un recensore di una rivista di auto sappia guidare, e magari abbia fatto anche qualche corso di guida veloce e qualche giro di pista.

Il test alla cieca
Altro elemento classico di dubbio è il rifiuto sistematico di effettuare test alla cieca. Nessun dubbio che un orecchio allenato possa riconoscere i dettagli e le sfumature tra due preamplificatori phono, così come un liutaio li riconosce tra un violino prima e dopo la revisione. Ma saremmo più confidenti se queste sfumature le riconoscesse anche con un test alla cieca.
Che però non vengono più effettuati sin dagli anni '70 da nessuna rivista, almeno a mia conoscenza.

La indipendenza
Audio Review
Dicembre 2000
L'elemento massimo di polemica rispetto alle riviste è però, come è logico, la indipendenza rispetto agli inserzionisti. Nel periodo d'oro delle grandi tirature era più facile sicuramente. Ora che le riviste dipendono in gran parte dagli inserzionisti il sospetto diffuso è che difficilmente un recensore stroncherà o anche solo criticherà blandamente un prodotto proposto da uno di essi.
Sospetto che potrebbe essere confermato dal fatto che le recensioni non sono mai negative. Tutti i componenti provati sono promossi a pieni voti, capita solo ogni tanto che, tra le righe, vengano evidenziati alcuni marginali difetti, ma in genere questo avviene per componenti economici, dove la economicità stessa giustifica la presenza di qualche limite alle prestazioni.

Si potrebbe addirittura dedurre che tutta la produzione del settore è eccellente e quindi si può acquistare in assoluta tranquillità, trascurando anche l'esigenza di comprare le riviste, salvo che poi nelle recensioni il componente di turno (ottimo) viene spesso confrontato genericamente con altri meno buoni ("... c'è anche un filone meno corretto tra molti sedicenti monitor, ma non è questa la sede per approfondire ...", "... questa del dettaglio apparente ottenuto con una gamma altissima in leggera salita è una tecnica adottata da molti progettisti ed ottiene immediatamente un effetto accattivante, ma alla lunga genera fatica acustica ...", due esempi tratti da AudioReview n. 333). Soltanto che non ci fanno mai i nomi di questi "sedicenti monitor" e dei "molti progettisti" che ricorrono a questi accorgimenti. Sarebbe interessante saperlo, per evitare incauti acquisti.

Annuario Suono 2008
Tra le righe o a lettori che chiedono il motivo di questa perenne positività viene risposto che le prove sono concentrate sui componenti che vale la pena di provare e di cui consigliare almeno un ascolto.

Chi fornisce i componenti da provare
C'è anche questo aspetto, e riguarda anche le riviste on-line senza pubblicità. Non vengono comprati in modo anonimo in qualche negozio, ma forniti gratuitamente per un periodo di tempo dal distributore o dal costruttore. Con i costi che hanno la maggioranza dei componenti hi-fi non c'è molta alternativa. Se è anche un inserzionista la recensione negativa è problematica, ma anche per un cortese distributore che consente di pubblicare la rivista non sarà facilissimo. Magari si chiederà una messa a punto e un secondo test di prove, immagino.

La rivista ideale
Tirando le somme come dovrebbe essere fatta la rivista ideale? Da quello che ho scritto dovrebbe: a) fare anche test e analisi di laboratorio, almeno quelli universalmente riconosciuti, per valutare il corretto rapporto tra il prezzo e la componentistica usata e a scanso di abbagli all'ascolto; b) comprare in modo anonimo i componenti da testare in negozi sempre diversi, anche a costo di limitarsi a soli componenti di prezzo medio; c) pubblicare il curriculum dei recensori delle prove di ascolto; d) affiancare alle prove di ascolto singolo anche prove in cieco; e) pubblicare anche i test di componenti che presentano aspetti negativi;  d) pubblicare le inserzioni pubblicitarie, in presenza dei punti precedenti la loro efficacia sarebbe anzi rafforzata.
Una rivista così non credo ci sia nel mondo, on-line o tradizionale che sia  e penso anche che sarebbe difficile ci fosse con un mercato ridotto come quello attuale, per i costi troppo elevati.

Le riviste reali
In conclusione conviene comprarle ancora? O basta fare riferimento a forum o riviste on-line?
A parte la sezione di recensioni musicali che, almeno per Audioreview, curata da Federico Guglielmi, è eccellente e giustifica l'acquisto, la mia opinione è comunque sì.  I test di laboratorio e gli approfondimenti tecnici sono al di fuori della portata di qualsiasi rivista on-line e sono utili per i motivi che indicavo prima. Le prove di ascolto devono essere lette con attenzione, e anche tra le righe, ma qualcosa di interessante si può provare ad ascoltarlo anche da noi in un negozio. La gamma di test è più completa sulla produzione attuale. Una lettura che deve essere consapevole dei vincoli che le riviste hanno, ma comunque utile.

lunedì 7 maggio 2012

iTunes Match per l'alta definizione

La Apple ha anticipato il concorrente Google ed è riuscita ad arrivare per prima in Europa (e in Italia) con il suo servizio di archiviazione della musica su cloud, chiamato iTunes Match, disponibile da una decina di giorni anche da noi. In questo modo anticipa anche i concorrenti americani Zune e Rhapsody (e l'europeo Spotify in diversi paesi) consolidando la posizione di leadership di iTunes. Evidentemente è riuscita a superare il veto delle case discografiche (che considerano terra di pirati buona parte dei paesi europei, tra cui sicuramente l'Italia) grazie al fatto che iTunes è ormai indispensabile per i profitti delle case discografiche (vedi il precedente post sul mercato 2011).


Su Internet sono già presenti diverse prove pratiche del nuovo servizio (molto utile) ad esempio quella abbastanza chiara di iPhone Italia.
Nessuna però prende in esame la possibilità di usare iTunes Match anche con materiale audio in alta definizione o in qualità CD. Quelle che seguono sono per intanto informazioni raccolte e sistematizzate dalla documentazione disponibile, mi riservo in seguito di fare un test.

Come funziona
Prima di tutto una sintesi su come funziona iTunes Match. Una volta abbonati al servizio alla modica cifra di 25 € all'anno si può trasferire la propria libreria musicale su iTunes sulla "nuvola" iCloud, il servizio di archiviazione centralizzata di Apple. In realtà vengono trasferiti solo i link, perché se il brano è già presente su iTunes in quanto portale (quindi praticamente, per tutta la musica moderna internazionale) viene semplicemente abilitata la possibilità di scaricarlo o ascoltarlo. La musica che invece sul portale non c'è (musica italiana meno nota o d'annata, ad esempio buona parte del beat, e soprattutto la maggior parte della classica) viene effettivamente trasferito il file sui server della Apple, fino ad un limite massimo di 25.000 brani (o files).

Come avviene l'ascolto
La libreria centralizzata su cloud può essere condivisa fino a 10 dispositivi, che possono essere i PC o i notebook di più persone di una famiglia, sia Mac sia Windows, o gli iPhone o iPad o iPod Touch per un ascolto in mobilità. Non però smartphone o tablet con Android perché lì non c'è iTunes.
L'ascolto avviene accedendo a iTunes o alla app standard Musica come si è sempre fatto, solo che il brano viene prelevato dalla "nuvola" e trasferito in locale per l'ascolto.
Le modalità sono due: download o streaming. Sulla rete ci sono molte discussioni in merito, ma la differenza in realtà è minima. Il vantaggio dello streaming è che si può iniziare ad ascoltare quasi subito, ma in caso di ritardi di connessione l'audio può interrompersi per qualche attimo, come avviene su YouTube. Con il download invece bisogna aspettare che tutto il file sia trasferito in locale ma poi non ci saranno interruzioni. In ogni caso anche con lo streaming il file rimane in locale su una memoria temporanea per eventuali ascolti nei giorni successivi.

La qualità
La cosa buona è che, indipendentemente dalla qualità del brano che avevamo nella libreria musicale, se è presente su iTunes sarà ridistribuito con la massima qualità disponibile sul portale stesso, quindi in molti casi a 256Kbps sul formato AAC, che per la musica moderna è sufficiente per un ascolto di livello non molto lontano dal CD. In caso contrario per la distribuzione dovrà essere usato il file che avevamo nella nostra libreria. Se era in formato compresso lossy, o con perdita (MP3 o AAC che sia) sarà trasferito e ascoltato con lo stesso livello di compressione che già aveva. Se era in formato lossless, o senza perdita (ALAC) sarà trasferito in qualità ridotta, ma sarà mantenuto nella libreria il livello di qualità originario. Per la precisione, come riportato nel supporto Apple, i file in formato Wav, AIFF (equivalente al Wav in ambiente Apple) e ALAC saranno transcodificati in AAC 256 Kbps in locale, in un'area di lavoro separata, e poi trasferiti su iCloud.

In ascolto dalla "nuvola" quindi si avrà anche per questi file audio, in origine in qualità CD o HD, lo stesso livello di qualità del materiale compresso, al miglior livello di compressione supportato.

L'ascolto in alta definizione
Quindi come si fa preservare la qualità audio dei file in alta definizione archiviati su iTunes? Semplice, non usando iTunes Match. Il servizio infatti non è sostitutivo di iTunes, ma aggiuntivo, e la libreria iTunes originale rimane dov'era. Accedendo alla libreria dal PC principale, quello nel quale vengono effettuati i download, gli acquisti o i caricamenti di nuovo materiale musicale. Ovviamente l'applicazione è abbastanza intelligente da ricercare sulla nuvola la musica che si vuole ascoltare solo se non la reperisce in locale, e quindi, sulla libreria direttamente accessibile. Se qui il materiale è HD, sarà ascoltato in HD.
A patto che, lo ricordo, la device sia un PC o notebook Mac, mentre sarà comunque "abbassato" a 16/44.1 se è un dispositivo mobile Apple o un PC o notebook Windows con iTunes.

L'utilizzo tipico vede quindi un PC principale connesso allo storage locale e all'impianto Hi-Fi di casa, come sempre, con in più però la possibilità di accedere all'intera libreria anche da altri PC nella stessa casa e soprattutto all'esterno, in mobilità, o nella casa delle vacanze e così via. E ogni aggiornamento sarà sempre visto da tutti.

E se invece io preferivo Foobar2000?
Non c'è dubbio che scegliere la comodità di iTunes Match comporta come logica conseguenza anche la scelta di iTunes come media player e archivio musicale. E quindi, per i cultori dell'HD, almeno per ora, anche l'obbligo di utilizzare computer con sistema operativo Apple. In teoria però l'utilizzo di Foobar2000 o di JRiver sarebbe sempre possibile, condividendo la stessa libreria fisica, se viene archiviata su una unità di storage in rete locale. E' solo una questione di comodità e di preferenze personali.

Ripulire la musica
Un altro tema che non riguarda l'alta definizione ma che è molto dibattuto è la sorprendente funzione di ripulitura della musica fuori copyright che iTunes Match consente. Il servizio non prevede alcun tipo di controllo sulla proprietà dei file audio che erano sulla libreria iTunes locale e che saranno caricati sul cloud (d'altra parte sarebbe stato assai difficile realizzarlo), e inoltre dichiara che nessun dato ottenibile dal servizio sarà fornito a terzi. Di conseguenza gli MP3 scaricati a suo tempo non da iTunes ma da qualche altra parte o copiati dal disco di qualche amico daranno ora il diritto a scaricare da iTunes Match le stesse canzoni, ma provenienti dall'archivio del portale iTunes e in qualità spesso migliore (AAC 256Kbps).
Com'è possibile questa improvvisa benevolenza?
Tanto per iniziare non c'è nessuna "amnistia" o regolarizzazione da parte di iTunes. In caso di controlli successivi il titolare del contratto di servizio dovrà sempre dimostrare la proprietà del materiale musicale presente. Se è scaricato da iTunes portale avrà una ricevuta di acquisto, se rippato da un CD potrà mostrare il CD originale, altrimenti ... nulla di nuovo.
E' indubbio però che il processo è particolarmente "aperto" rispetto a quello che vediamo attualmente, con la chiusura operata dalle case discografiche, che spesso non rendono disponibile materiale digitale neanche in acquisto in certi paesi (in Italia in primis).

Il meccanismo di iTunes Match
Il motivo è che con il sistema messo a punto da Apple le case discografiche qualcosa ci guadagnano. Per l'ascolto in streaming è infatti previsto il pagamento dei diritti d'autore. E il pagamento avviene per tutti i file audio caricati su iTunes Match, che siano stati regolarmente acquistati o meno. Questo significa che quelli irregolari, se rimangono sul PC di qualcuno, non generano alcun fatturato per il titolare dei diritti d'autore, mentre riportati sulla nuvola fruttano qualcosa, molto poco, ma comunque più di zero. Escono, si potrebbe dire, dalla clandestinità.
E da dove arrivano i soldi per questi diritti? Dai 25 € all'anno, ovviamente. Quindi, non sono note le fee, ma parliamo ovviamente di forfait e di importi minimi, ma sufficienti a quanto pare a vincere le resistenze delle case discografiche. Tutto è reso possibile dalla potenza di Apple e dai numeri che avrà il servizio, oltre che dal fatto che non tutti lo useranno in pieno, come sempre avviene per i servizi in abbonamento. Più i ricavi collegati (pubblicità, merchandise, download generati du iTunes ecc.).


(Nelle immagini, a parte il logo del nuovo servizio (che qualcuno abbrevia in iMatch) le immagini di copertina degli album più scaricati da iTunes nel 2011 in Giappone e in USA e infine qui sopra il malinconico messaggio del concorrente Google Music, evidentemente non altrettanto potente con i possessori della musica.)

sabato 5 maggio 2012

Alta definizione inutile e dannosa

Siamo d'accordo che una sana diffidenza rispetto alle nuove tecnologie è sempre opportuno mantenerla. Può essere una sana strategia di sviluppo del mercato sfruttando nuove funzionalità che effettivamente i potenziali clienti attendevano. Oppure può essere una strategia di marketing volta a creare "in vitro" nuovi bisogni e processi di emulazione.

Ma nel campo della musica, e per i nuovi formati che finalmente e faticosamente stanno rinnovando l'interesse verso l'ascolto di qualità, vedo diffondersi qualcosa che va al di là della sana diffidenza, e che assomiglia al negazionismo tipo 11 settembre (l'aereo sul Pentagono l'ha inventato il governo USA, vai a sapere il perché) o sbarco sulla Luna avvenuto solo in TV.

Si citano (anche su TNT-Audio, questa volta, mi spiace, non sono d'accordo con loro) studi comparativi della Boston Audio Society per verificare la differenza tra alta definizione e CD  e ponderosi articoli della xipgh.org Foundation (una organizzazione, si legge sul blog, che si pone l'obiettivo di impedire che  Internet dal controllo dei privati nel campo multimediale) volti a dimostrare che l'alta definizione non serve o peggiora le cose.

Ora, riguardo ai test a confronto in cieco che sono citati, penso di essere capace anch'io di dimostrare che un campione di persone anche vasto non sia in grado di distinguere due formati a confronto, basta scegliere persone che non hanno mai ascoltato musica dal vivo con strumenti acustici e che conoscono poco o per nulla la musica. Visto che la maggior parte delle persone (senza che ciò sia una colpa, ognuno ha le sue priorità nella vita) sono in questa situazione, in un campione casuale sarebbero prevalenti e l'esito del test scontato.
Come controprova avrebbero dovuto provare prima se distinguevano un MP3 da un CD, o se preferite un vinile da un CD, e continuare solo con quelli che superavano questo screening.
E tutto ciò supponendo che tutti gli altri elementi per un test in cieco fossero rispettati (vedi in fondo all'articolo per qualche elemento in più).

Ma non voglio avventurarmi in una specie di debunking di questo famoso test (che è anche di parecchi anni fa, del 2007. Diamolo pure per completamente corretto.

Dovremmo concludere allora che il tanto vituperato CD era veramente, come proclamavano Sony e Philips al momento del lancio (30 anni fa) la perfezione del suono digitale.
Strano, sarebbe l'unico settore nel quale avviene che il primo standard digitale è già perfetto. Nella fotografia sono stati proposti nel tempo sensori a risoluzione sempre maggiore, che hanno velocemente annullato la distanza con la fotografia analogica, tanto che anche grandi fotografi certamente indipendenti come Steve McCurry sono passati al digitale, e non si sente proprio nessuno sostenere che una Nikon di 10 anni fa sia migliore di una di adesso. Nel video digitale la superiorità dell'alta definizione la può vedere chiunque, basta che non sia una immagine fissa di un muro bianco. Solo nella musica il campione a 16 bit e la frequenza di campionamento a 44.100 Hz, che erano stati scelti perché erano il massimo possibile per i codec e i supporti di memorizzazione che si potevano realizzare 30 anni fa (che non sono pochi) si sono dimostrati miracolosamente adeguati, anzi non migliorabili.

Un po' strano, forse è opportuno applicare una sana diffidenza anche a queste analisi e a questi test.

Il digitale non va bene per la musica
Un volino Stradivari.
In test a doppio cieco citati
dalla stampa e svolti in USA
la maggior parte del campione
non ha riconosciuto uno Stradivari
da un violino moderno
Ma forse in realtà è proprio il digitale che non è adeguato per la musica: è stato un errore dall'inizio abbandonare il vinile e i nastri a bobina. La musica può essere riprodotta e diffusa in modo corretto solo con sistemi analogici.
Speriamo che non sia così e che sia solo un problema di risoluzione non adeguata, perché tutta la musica prodotta dagli anni '80 in poi è registrata in digitale. E proprio in digitale ad alta risoluzione, per di più. Quindi c'è poco da fare, si può solo decidere di ascoltare unicamente musica eseguita oltre 30 anni fa e rinunciare a tutta la musica successiva.

L'alta definizione non serve
Sto procedendo volutamente per paradossi, ma le argomentazioni di TNT-Audio e di xipgh.org sono in realtà più raffinate, e si concentrano sulla inutilità dell'alta definizione. Sul lato dell'ascolto, poiché la differenza è rilevabile solo con impianti di alta qualità, promettere un nuovo nirvana musicale e con questa mossa tentare di risollevare le magre vendite sarebbe una mera operazione commerciale.
Sono d'accordo, ma chi mai starebbe tentando questa operazione? Non certo le major che non pubblicano niente in alta definizione. Non certo la Apple che su iTunes non mette a disposizione neanche la qualità CD.
E poi allora perché far perdere tempo alla gente con il vinile? Anche qui con impianti di basso livello di differenze se ne sentiranno ben poche.
Xipg.org se la prende invece con i 24 bit, utili per la fase di registrazione ma inutili e costosi per la distribuzione della musica. Non so dove vivano e come facciano a considerare "costosi" file di 1GB con il costo attuale delle memorie e le reti da 100Mb e con la nonchalance con cui si spostano e gestiscono i file video, di un ordine di grandezza più grandi,

In sintesi
Vogliamo sempre il meglio in tutti i settori, e non vedo perché non dovremmo volerlo proprio nella musica, considerando anche che non costa assolutamente di più. Senza con questo buttare via quello che c'è, il CD, che non è di certo la perfezione, ma che, come sappiamo, con un buon DAC può essere una sorgente molto valida.

E se qualcuno ha dei dubbi sulla differenza effettiva tra alta definizione e qualità CD può fare il semplice test che ho proposto parecchio tempo fa e verificare se con il suo impianto e con le sue orecchie la differenza effettivamente c'è.

Appendice sul test
Il test della Boston Audio Society in effetti è un po' strano. Si può cominciare, per farsi venire qualche dubbio, a leggere i commenti sulla pagina web che ne riassume i risultati. Poi si possono approfondire le condizioni di test che sono pubbliche, a differenza dei risultati completi, per i quali sono disponibili solo commenti di chi li ha letti (speriamo). Il sistema di test infatti, invece di mettere a confronto i due formati con lo stesso codec, usando due supporti con gli stessi contenuti musicali e formati diversi, come mi sembrerebbe naturale fare, utilizza un solo lettore (SACD o DVD-Audio) con un apparato custom che a valle effettua un downgrade a 16/44.1. Un commentatore esprime il dubbio che il downgrade sia effettivamente realizzato. Non saprei. Certo il codec di un SACD di 5 anni fa non è lo stato dell'arte che abbiamo adesso. E non parliamo del DVD Audio dove il lettore,  almeno per una parte dei test. era un DVD consumer della Yamaha del 2005.
Poi sarebbe interessante vedere i dettagli dei risultati del test. Ma ce n'è uno che proprio non mi torna: le donne coinvolte nel testi riconoscevano le due sorgenti con esattezza molto meno dei maschi!
Secondo me questo test è obsoleto e può essere tranquillamente dimenticato. Che non sia stato confutato da nessuno e soprattutto dalle case discografiche mi sembra un'ulteriore conferma che a loro dell'alta definizione non è mai importato nulla.