martedì 14 dicembre 2021

Un DAC esterno per iPhone o iPad

Tutti gli smartphone hanno un DAC interno per riprodurre i contenuti audio, sull'altoparlante o sull'uscita cuffia. Nei modelli recenti è certamente di discreta qualità, ma sui modelli Apple e in diversi Android la risoluzione massima è limitata a 24/48 o anche a 16/44.1 e, considerando il costo sempre più abbordabile dei DAC e i servizi streaming ormai disponibili in HD (Tidal, Qobuz e Amazon Music) può essere interessante dotarsi di un DAC esterno di buona qualità.

Personalmente ho risolto il problema da tempo passando per una connessione wi-fi, con Chromecast Audio, che però non è più in vendita, le alternative sono costose o non molto pratiche (anche quella proposta nel post precedente, con Chromecast Video via HDMI) e, soprattutto, non sono adatte all'uso in mobilità, E' quindi interessante provare l'alternativa rappresentata da una semplice connessione fisica via cavo, verificando in particolare come si realizza e se anche in questo caso mantiene la risoluzione del file audio in ascolto senza introdurre un downsampling. 

La connessione fisica
Gli smartphone hanno una sola uscita digitale con standard diverso a seconda del produttore, la Apple adotta un suo connettore proprietario che chiama Lightning (fulmine), un connettore a 8 pin compatto e senza verso. I vari produttori Android adottano in massima parte un connettore USB compatto, che può essere il vecchio standard Micro-USB nei modelli meno recenti o il più recente USB-C di caratteristiche analoghe al Lightning (anche questo è senza verso ed è più affidabile nell'inserimento).
Sull'altro lato i DAC hanno sempre un ingresso USB, che può essere USB-B, Micro-USB o USB-A, affiancato, nei DAC che hanno anche ingressi digitali ottici e/o coassiali da un altro ingresso USB per l'alimentazione.
In sintesi, occorre normalmente un cavetto speciale o un connettore di passaggio, e solo in pochi casi è utilizzabile direttamente il cavo di serie che termina con un USB-A maschio da inserire nella spina / adattatore per la presa elettrica da muro. Nel mio caso, ho tre DAC, due con USB-B ed uno con Micro-USB, che sono in effetti gli ingressi più diffusi. 

Il cavetto per il test
Il DAC da utilizzare per il test (il solito S.M.S.L. M3) ha un ingresso Micro-USB e avevo bisogno di un adattatore. Invece che utilizzare per collegare l'iPhone il normale cavetto USB-A ho deciso di provare il cavo Lightning - USB-C che viene fornito ora con gli ultimi modelli di iPhone per la connessione con i power bank o gli adattatori a muro più recenti, che stanno convergendo su questo standard, più pratico e universale. Il motivo di questa scelta (poco felice, come si vedrà) era che l'adattatore è molto compatto ed economico, coerente con le caratteristiche del piccolo DAC. L'adattatore USB-C <> Micro-USB è disponibile su Amazon in confezioni da 2 a poco più di 5 € ed è arrivato in un paio di giorni, Ma il test non è andato a buon fine.  I connettori sono fatti per connettere e non mi attendevo sorprese, ma collegando l'iPhone non succedeva niente: il DAC non vedeva la nuova sorgente accendendo il suo LED, e l'iPhone continuava a suonare l'audio che avevo selezionato per il test sul suo altoparlantino, ignorando il collegamento.

Analisi del problema
Ovviamente i sospetti si sono subito concentrati sull'economicissimo adattatore, ma per escludere ogni altra possibile causa ho voluto verificare se invece:

  1. la trasmissione audio verso un dispositivo USB deve essere abilitata su IOS
  2. il cavo che stavo usando è limitato solo alla funzione di caricamento della batteria. 
  3. lo standard USB-C ha limitazioni sulla trasmissione audio

Solita ricerca sul web e sulle varie guide YouTube ma nessun riferimento all'abilitazione per audio, solo che è necessario abilitare USB per ragioni di sicurezza, pensavo quindi di aver trovato la causa. Riprovato, nessun cambiamento.
Riguardo al cavo per confermare che fosse limitato in una sua funzione di base era necessario il collegamento al PC, per questo scopo serviva però un altro connettore, da USB-C femmina a USB-A maschio. Ormai avevo iniziato e dovevo continuare e l'ho comprato, soliti 7  Euro circa. Provato, funziona. L'ipotesi 2 è da escludere.
Per escludere la 3 dovevo collegare l'iPhone col cavo standard, questo richiedeva un connettore USB-A femmina - femmina che ho, e anche in questo caso la ipotesi è stata esclusa, perché non funzionava neanche in questo modo, escludendo l'economico adattatore sotto accusa.

La scoperta del cavo OTG
Ormai dovevo venirne a capo e ho esteso la ricerca, resa più difficile dal fatto che la connessione audio è molto  meno trattata, rispetto al video, alle foto, o alla ricarica con power bank di ogni tipo. La mia attenzione è però stata catturata da una sigla che compariva su alcuni cavi di connessione e non su altri: OTG ovvero On-To-Go, riferito di solito alla possibilità di connettere una videocamera o una fotocamera all'iPhone (o smartphone in genere). 

Sorgeva spontaneo un sospetto: anche i file video e foto sono file dati, ed evidentemente non vengono trasmessi a un'unità USB dall'iPhone se il cavo non è OTG e l'unità esterna non è un PC. Non ho voluto cercare il motivo di questa limitazione, mi sono limitato a cercare una conferma. Che ho trovato solo sulle recensioni Amazon di uno di questi cavi, nelle quali due acquirenti confermavano di averlo usato per collegare il loro DAC a un iPhone.
Bastava quindi comprare un cavo OTG Lightning <>USB-A femmina per connettersi al cavetto standard del DAC, collegarlo all'iPhone e ascoltare finalmente l'audio in cuffia pilotato dal DAC. E così è stato.

Tirando le somme
Ho perso un po' di tempo ma ho imparato un paio di cose: 1) mai fidarsi della parola "standard", i produttori di hardware sono in grado di rendere fuori standard anche gli standard di connessione più comuni, con varianti ed evoluzioni, 2) utilizzare col giusto distacco critico le guide  che abbondano su YouTube e sul web su ogni cosa, quelle che ho consultato (più d'una) per verificare se sbagliavo in qualcosa perdevano più della metà del tempo e dello spazio a spiegare cos'è un DAC ma ce ne fosse stata una che pronunciasse la sigla magica OTG.

Ho anche scoperto le motivazioni della nascita dell'USB-C: le prestazioni insufficienti per video 4K o foto RAW in alta definizione dello scomodo Micro-USB. E anche perché praticamente nessun DAC adotta la connessione USB-C: per l'audio anche in HD non ci sono problemi con le prestazioni dell'USB 2,0.

Il test
Ho collegato quindi l'iPhone e l'iPad al DAC esterno inviando in riproduzione audio in risoluzione a risoluzione superiore allo standard 16/44.1 avendo la conferma che viene inviato in riproduzione senza riduzione di qualità, come si vede nella seconda delle due immagini che documentano la riproduzione di un album di Simon & Garfunkel ora disponibile a risoluzione 24/96, che risultava correttamente inviato e gestito dal DAC.



La stessa trasparenza dovrebbe essere garantita anche per audio in risoluzione 24/192, poiché se ci fosse un intervento del driver IOS questo sarebbe già accaduto a 24/48, in base alla poca informazione esistente. Non posso però confermarlo con questo set di misura perché il DAC sulla porta USB gestisce audio in input solo fino a 24/96 e quindi fornisce questa informazione al dispositivo mobile, che effettua automaticamente un downsample.

mercoledì 1 dicembre 2021

L'alternativa a Chromecast Audio esiste ... è Chromecast

In realtà volevo semplicemente collegare YouTube all'impianto stereo. YouTube infatti è teoricamente un servizio per diffondere video, ma in buona parte (forse prevalente) diffonde musica, spesso accompagnata solo da un'immagine fissa della copertine o qualche foto. Per scelte non so da cosa motivate però su YouTube è selezionabile per l'invio solo Chromecast standard ovvero per video e non Chromecast Audio.

Poiché ho comprato tempo fa un convertitore da HDMI a digitale ottico o analogico mi è venuta l'idea di utilizzarlo per far arrivare tramite Chromecast standard il solo audio di YouTube all'impianto. Chromecast standard ha una sola uscita HDMI che può essere collegata a un monitor TV, che esegue poi la conversione dei contenuti digitali per la proiezione e l'ascolto, quindi il dispositivo non ha un convertitore interno. Che invece è presente nel convertitore (che si chiamava TianCai quando l'ho acquistato ad aprile ed ora, quasi uguale, si chiama Tihokilem, sempre su Amazon, costo simile intorno ai 20 €). L'input del convertitore è ovviamente un ingresso HDMI femmina, nel quale va inserita l'uscita Chromecast, affiancato da un selettore per input multicanale 5+1, stereo 2ch o bypass, sullo stesso anche l'alimentazione,


L'output ha invece tre uscite:

L'uscita centrale SPDIF ottica (toslink) consente di collegare un DAC per la conversione in analogico. In alternativa si può usare il DAC interno di questo componente per collegarsi direttamente ad un ingresso dell'amplificatore con le due uscite RCA. In più un'uscita HDMI consente di inviare in uscita anche i contenuti video in parallelo a quelli audio sulle altre due uscite.

Come funziona
In teoria abbiamo così a disposizione tutto quel che serve, non resta che provare. Sia Chromecast che il convertitore devono essere alimentati e quindi servono due prese vicino all'amplificatore, e questa è stata l'unica difficoltà che ho dovuto affrontare, nello spazio angusto che ho a disposizione il risultato è stato un intrico di cavi esteticamente non molto attraente.
Il funzionamento è immediato come da aspettative, avendo solo cura di collegare bene i vari cavi. Il primo test era ovviamente con il collegamento diretto all'uscita analogica.

Il dispositivo Chromecast HDMI è quello sulla sinistra (l'altro è Chromecast Audio)

Connessione con DAC esterno e verifica risoluzione
Il secondo test è invece sulla connessione alternativa con un DAC esterno, che ovviamente è il solito utilissimo e compatto S,M.S.L. M3. Un test che consente anche di verificare se con questa serie di passaggi la risoluzione dell'audio sorgente viene modificata o ridotta.

Si connette quindi con un cavo ottico toslink il convertitore al DAC, come si vede nella foto tra l'intrico di cavi, e il DAC oltre che suonare, mostrerà la risoluzione che vede in input.



Come si vede meglio nella seconda immagine la risoluzione in input al collegamento è 24bit / 48KHz, ovvero la risoluzione standard per l'audio nei contenuti video. Per verificare se il convertitore ha aggiunto qualcosa occorre provare cosa succede con risoluzione inferiore (44.1) o superiore (96). Il primo test (lo vediamo dopo) è con un album di qualche anno fa di Donna Summer ripubblicato in HD 24/44,1: si conferma che il convertitore opera in by-pass perché sul DAC è mostrato 44.1. Seconda prova a 24/96 con un album di Simon & Garfunkel, Bookends: la risoluzione in ingresso al DAC è ora 48KHz. Il dispositivo Chromecast quindi fa un downgrade in uscita per ricondurre il flusso allo standard audio-video. Non è grave, anche 24/48 è HD.

L'ascolto
Il primo test è stato fatto direttamente utilizzando una applicazione per la quale non è previsto Chromecast standard, ovvero Qobuz, L'album scelto casualmente (è una recente riedizione in HD) è I'm a Rainbow di Donna Summer. Come si vede nel secondo screenshot Chromecast standard (Sala da pranzo) è selezionabile.

L'album di Donna Summer del 1996 preso come esempio
Da Qobuz sono selezionabili entrambi i Chromecast
La selezione sul Chromecast "non audio" va a buon fine senza problemi

A questo punto proviamo anche con YouTube, la scelta cade sul simpatico gruppo USA Southern Raised.
Chromecast standard è ovviamente selezionabile

E l'ascolto parte senza problemi sull'impianto

Qualità dell'ascolto
Come riportato in precedenza abbiamo due alternative: collegare un DAC esterno in digitale ottico oppure sfruttare il DAC interno del convertitore, collegandolo direttamente a un ingresso ad alto livello (RCA) dell'amplificatore. Nella prima configurazione il dispositivo Chromecast effettua solo il trasporto del flusso dati senza elaborazione, se non il downgrade del campionamento a 48KHz se la risoluzione in ingresso è superiore (88, 96 o 192). Gli effetti di un'azione di questo tipo non sono facilmente percepibili e l'ascolto risulta quindi del tutto soddisfacente senza rilevare evidenti differenze a confronto con Chromecast Audio.

Diversa è la situazione nella seconda alternativa, dove la delicata operazione di conversione da digitale ad analogico è affidata a un chipset interno di un componente che fa molte altre funzioni e che è costato 17 € (e nei modelli ora disponibili continua ad essere in questo intorno di prezzo). La tecnologia procede continuamente verso rapporti prezzo / prestazioni sempre più favorevoli ma a quanto pare (e si sente) c'è ancora un limite inferiore da superare, e l'ascolto è risultato ad un livello di qualità insufficiente.

Il confronto l'ho fatto molto semplicemente con l'ascolto da YouTube degli stessi brani (jazz per Youn Sun Nah e soul per Cat Power) tramite Chromecast e convertitore rispetto all'ascolto  direttamente in cuffia dall'iPad. Con la prima configurazione l'ascolto non è adeguato, molto spostato sugli alti e anche poco preciso sui bassi, basso elettrico in particolare. Il semplice confronto in cuffia ha escluso problemi sui contenuti presenti su YouTube (dove l'audio è come noto sempre compresso) non mostrando nessuna anomalia evidente e consentendo comunque un ascolto piacevole. Non posso affermare che altri modelli di convertitore abbiano gli stessi problemi ma sappiamo da tempo che è sempre consigliabile usare un DAC esterno. Che peraltro ormai può costare anche meno di 100 € pur garantendo una qualità veramente Hi-Fi (come quello citato).

In sintesi
Chromecast Audio era una soluzione pratica, versatile, performante e super-economica per collegare un servizio streaming a un impianto tradizionale, ma Google ha deciso di sospenderne la vendita. Le alternative esistono e sono parecchio più costose (Bluesound e Sonos) o più limitate (Yamaha, non collegabile a DAC esterno). Fare ricorso al Chromecast superstite consente di ottenere quasi le stesse prestazioni a un costo comparabile (costa 25-30 € più i 20-30 del convertitore). Può essere quindi un'alternativa interessante, a patto che Chromecast video sia accompagnato da un buon DAC. Il DAC, perché l'operazione rimanga economicamente interessante anche non ricorrendo a un DAC già presente nell'impianto, potrebbe essere un DAC entry level come quello citato e le molte alternative anche più recenti, oppure quello già incluso in molti modelli recenti di amplificatore.

mercoledì 24 novembre 2021

Come è proseguita questa passione per l'Hi-Fi (2)

Non mi è ancora chiaro a quanti è interessata la mini-storia dell'alta fedeltà degli inizi negli anni '70, ma ormai ho iniziato e quindi devo finire. Ero arrivato, partendo da un compattone Lesaphon Vertical, che suonava anche 8 LP in sequenza, a un impianto con pretese Hi-Fi, formato da un giradischi Thorens TD 166, una testina Empire 2000 E, un amplificatore Rota Two Twenty e due casse acustiche Dynaco A25.

Ascoltavamo con discreta soddisfazione i pochi LP comprati (costavano un occhio della testa, con il prezzo di uno ci mangiavi a un discreto ristorante) e i non molti di mio padre, pur se la collocazione delle casse (sullo scaffale alto della mia stanza) e alcuni oggettivi limiti dell'impianto non facessero percepire un grande realismo, la magia dell'Hi-Fi, diciamo. 

Il "piatto forte" del primo impianto, quello che ha poi sfidato gli anni.

L'anello debole della catena
Quando una sera prima di cena, volendo ascoltare qualcosa assieme a mio fratello, accendendo l'amplificatore, senza mettere un disco nel piatto, sentiamo uscire dalle casse con voce potente "
Aqui November Papa, responde si puedes! aqui November Papa!". Eravamo piuttosto sorpresi che l'ampli suonasse anzi parlasse senza nessuna sorgente accesa. Poi ci siamo ricordati dell'alta antenna presente da tempo sul tetto del palazzo. Non avevamo captato il Comandante Raimundo Navarro di Alto Gradimento: un condomino era un radioamatore, aveva montato l'antenna, il suo nickname (diremmo oggi) era November Papa, e stava tentando di mettersi in contatto in onde corte con l'Argentina. Solo che il primitivo ingresso phono del Rota, probabilmente mal schermato, aveva captato non so in che modo un po' di onde corte.

Avevamo quindi un motivo oggettivo per mettere mano all'anello debole della catena (l'impianto era chiamato proprio così, peraltro; la catena hi-fi), abbiamo strappato un nuovo budget ai miei, appoggiato anche da qualche successo negli studi (non ricordo di chi di noi due)  e ci siamo messi all'opera, stavolta con l'intento anche di sentire a confronto i candidati, Ovviamente l'obiettivo era un Marantz, ma ormai, essendo un "nome" erano fuori budget, se non il modello base, il 1030 (15+15W) che temevamo potesse essere un altro componente di passaggio. Si parlava molto bene dell'amplificatore Dynaco SCA-80, un buon integrato da 40W, un modello recente di questa casa USA allora molto apprezzata. 

Nei selettori in basso alcune funzionalità speciali del Dynaco: la miscelazione mono-stereo utile per l'ascolto in cuffia, la possibilità di pilotare assieme due coppie di casse acustiche, la possibilità di attenuare gli alti o in alternativa i bassi.

Era un po' fuori budget ma siamo andati lo stesso a sentirlo in un negozio di Hi-Fi (uno dei 2-3 rimasti) e ce lo hanno fatto ascoltare in azione in confronto (se non ricordo male) con un Marantz. Il venditore ci faceva notare la evidente superiorità del Dynaco ma io, ingenuamente, gli ho detto che in realtà non riuscivo a sentire alcuna differenza (era un pezzo di classica che aveva scelto lui). La sua risposta è stata molto netta e ci ha fatto uscire dal negozio con la coda tra le gambe, ci ha detto, con tono di sufficienza: "se non riuscite a sentire la differenza non puntate a componenti hi-fi di questo livello". Non sono mai più tornato in quel negozio fino ad anni recenti ma forse non aveva tutti i torti, anche se voleva chiaramente puntare a venderci quel modello e non altri.

Una scelta sulla carta
Dopo quell'episodio abbiamo iniziato a selezionare gli LP più adatti a evidenziare le differenze e a portarceli dietro quando andavamo, a volte io da solo, a volte con mio fratello, ad ascoltare componenti. Ma l'amplificatore l'abbiamo scelto sule riviste e sulle recensioni. Perché in quel periodo la Yamaha aveva deciso di fare sul serio per entrare nel mondo dell'Hi-Fi e aveva lanciato la mitica serie CA  (Control Amplifier) con quattro modelli CA-400 (20W), CA-600 (30W), CA-800 (40W) e CA-1000 (50W). A parte la miriade di comandi (anche utili in realtà) erano i primi ampli di grande serie realizzati come ora: alimentazione surdimensionata, capacità di pilotare anche carichi difficili, potenza crescente con la resistenza delle casse (a 4ohm era il 50% in più) e così via. Infatti pesavano il doppio o il triplo dei pari wattaggio nominale, e i watt effettivi erano parecchi di più. Poi erano esteticamente molto belli, anche ora.

Il prezzo però era ancora abbordabile e con un discreto sforzo si arrivava al CA-600, che abbiamo comprato non ricordo bene in quale negozio, ma resistendo alle resistenze dei super-scontisti che stavano nascendo e non li facevano neanche ascoltare, quando è arrivato a casa e l'ho montato per farlo ascoltare  a mio padre, ha tolto le cuffie dopo qualche minuto e ci ha detto "si sente un canale solo". Era vero, difetto d'infanzia si dice, ma era in garanzia e dopo un paio di settimane è tornato e funziona ancora, anche se una approfondita revisione la richiede.

Le casse acustiche di seconda mano
Con l'arrivo dello Yamaha l'impianto stava diventando serio e ho fatto un altro intervento necessario: spostare le casse all'altezza delle orecchie. Nella mia stanza, che era anche la stanza della musica, c'era una libreria svedese e le casse Dynaco, che erano di tipo "bookshelf" ovvero "da scaffale" le ho messe appunto in due degli scaffali, togliendo i libri, sdraiate, con i tweeter ai lati, e finalmente nella riproduzione arrivava un primo accenni di spazialità, I bassi però già un po' debordanti in quei diffusori erano così un po' troppo enfatizzati, scurendo il tutto. 

Bisognava ovviamente aspettare un po' e, soprattutto, le casse erano l'acquisto più oneroso e si voleva puntare in alto, magari alle mitiche AR 10Pi le migliori della migliore casa (così la consideravamo, non del tutto a torto). Totalmente fuori da ogni ragionevole budget però. Così siamo andati in cerca di alternative, con i nostri LP di riferimento sotto il braccio: il jazz con Dexter Gordon e One Flight Up, la classica con il triplo concerto di Beethoven nell'edizione con David Oistrach al violino, Emil Gilels al piano, Mtislav Rostropvich al violoncello e Von Karajan direttore (!) e acustica e voce con Cruel Sister dei Pentangle. In un negozio, uno di quelli che resiste, ascoltando diverse casse ho sentito per la prima volta una chiara differenza a memoria: un passaggio complicato del violino perfettamente risolto nota per nota invece che l'inviluppo che ne faceva la Dynaco. Me le ricorderò sempre, erano le Goodmans Achromat, casse e produttore inglese poi perso nel tempo.

Le Goodmans Achromat degli anni '70: due vie con reflex passivo, una configurazione molto simile alla più nota Kef 104, best-seller del tempo.

Ma nel frattempo l'alta fedeltà si era diffusa abbastanza da rendere possibile la nascita di un mercato dell'usato. Così ci è venuta l'idea di puntare ad un modello abbastanza diffuso, che era in pratica la versione precedente della desiderata AR 10Pi: la AR 3a, che si trovava abbastanza in offerta nella seconda versione "Improved" (la precedente risaliva a qualche anno prima, quando l'hi-fi in Italia era cosa di pochi eletti, questa era la versione Europea e differiva solo per il cabinet e pochi altri particolari). Differiva in pratica solo per il raffinato crossover, mentre era sempre un tre vie, con woofer da 30 cm, midrange da 3,8 cm  e tweeter da 2 cm a cupola morbida (a proposito, che fine hanno fatto i midrange a cupola?). Usate diventavano un target raggiungibile.


Offerta numero 1. La ricerca è iniziata andando a casa di chi le proponeva per ascoltarle, ci accompagnava un amico di mio fratello, musicista dilettante. In una delle prime visite le AR 3a erano state verniciate di color nero, bene, mantenendo la venatura del finto legno, per uniformarsi all'arredamento. Ero piuttosto perplesso, ma le abbiamo ascoltate lo stesso, poi ho chiesto di rimuovere le tele di protezione degli altoparlanti, come logico, ed è arrivata la seconda sorpresa, la cupola di uno dei tweeter era deformata come se qualcuno ci avesse affondato un dito. Chiesto al proprietario mi ha detto che era proprio così, era stato il figlio piccolo una volta che le aveva lasciate senza tela. Ed in effetti visto che le aveva appoggiate per terra, erano alte come un bambino e la cupola era appunto, morbida. "Ma suonano lo stesso bene come avete ascoltato" ci disse. Intuivo che, anche se spostavano lo stesso l'aria, se i tweeter avevano una forma a cupola un motivo doveva esserci e così gli abbiamo detto che ci avremmo pensato, e la cosa è finita lì.

Offerta 2. Questa era molto lontana da casa e il proprietario le vendeva perché nella sua sala non aveva spazio, infatti aveva comprato delle Bose 901 omnidirezionali che aveva appeso in alto (idee e ingegnosità). Anche queste si scopriva che avevano qualche pecca (per questo entravano nel nostro budget) una volta erano cascate e si era ammaccato leggermente l'angolo di una, ma gli altoparlanti non avevano avuto danni, e inoltre su un tweeter erano dovuti intervenire per problemi nelle connessioni. le abbiamo ascoltate lo stesso a lungo, con accurata ricerca dei difetti. Non ce ne andavamo più, e così a u  certo punto è arrivato il bimbo del padrone (avrà avuto 5 anni) e ha chiesto "ma le comprano quelle casse, papà?".

Queste erano le omnidirezionali Bose 901 con 9 altoparlanti a larga banda per diffusore. Progetto di grande successo del professor Amar Bose che ha dato il via a un marchio ben presente ancora oggi. Suonavano bene.

La domanda del bimbo ci ha fatto sorridere ma non ci ha intenerito, abbiamo continuato i test, ma alla fine le abbiamo comprate. Montate non so come sulla 500 (pesano 25Kg l'una) e portate a casa, e anche queste usate per molti anni, riconate e attualmente ancora da riconare, Suono indimenticabile, superato per diversi aspetti ma coinvolgente come pochi.

Ma come? Un amplificatore da 30W con le AR 3a?
Lo so e lo sapevamo anche noi, sono casse dure, a bassa efficienza, richiedono finaloni di potenza per esprimersi al massimo ecc. ecc. Noi però ci siamo fidati della buona fama dello Yamaha, del fatto che la mia stanza non era molto grande, e che con le Dynaco girando anche molto poco la manopola del volume la musica si sentiva fino in cucina (e ai piani sopra e sotto). Forse quei watt erano veri.

E così è stato. Le AR 3a Improved sono state sdraiate anche loro su due scaffali (dove entravano appena) hanno riprodotto benissimo rock, West Coast, jazz, folk e classica, e ricordo ancora l'ascolto di un LP di musica corale (era la Passione di Matteo di Bach) quando ho sentito distintamente davanti a me le voci del coro alla giusta altezza, spandersi nella sala come le avevo sentite qualche anno prima in Ungheria durante una visita guidata alle chiese storiche. Non sono un appassionato di musica sacra, l'ascolto solo occasionalmente, ma è uno dei test più probanti che ci siano per la spazialità. Era peraltro un disco della Germania Est, rinomato per la qualità della registrazione.

Rimaneva il dubbio su come se la sarebbe cavata il CA-600 in una stanza più grande. Approfittando di una settimana nella quale i miei erano in viaggio all'estero abbiamo spostato l'intero impianto nella sala, molto grande, un salone doppio, abbiamo montato le casse su supporti che abbiamo trovato, e con alcuni amici abbiamo ascoltato l'effetto che fa. Musica classica, sinfonica, rock, nessun accenno di compressione o di distorsione  percepibile almeno alle nostre orecchie e al nostro senso critico di allora (ma c'erano anche un paio di musicisti anche se giovani), La sistemazione ideale aumentava anzi la qualità della riproduzione, rendendola ancora più realistica. Un altro mito dell'alta fedeltà infranto, almeno per me.

Finale
Ovviamente era scritto, laurea, finito il militare, sposato, lavoro, una nuova casa, l'impianto è rimasto nella casa dei miei e il successivo impianto ha dovuto fare i conti con le spese di avvio di una nuova famiglia di due sposi nella loro prima casa, come per tutti e come sempre, ma "il primo impianto non si scorda mai".

domenica 21 novembre 2021

Come è iniziata questa passione per l'Hi-Fi

Ho visto tempo fa sul blog di Stereophile che uno dei suoi autorevoli redattori ha inserito un post con la sua personale storia di appassionato Hi-Fi. Visto che leggendola mi sono ricordato tante cose provo a fare lo stesso, magari può interessare a qualcuno.

La scoperta
Per prima cosa, come sono venuto a sapere che esiste qualcosa chiamato Hi-Fi. Il che è accaduto per caso, da studente liceale, parlando col falegname che stava realizzando una libreria su misura nel nostro corridoio, dove mio padre doveva mettere qualche migliaio dei suoi libri. L'impianto di casa all'epoca era un Lesaphon Vertical, una "fonovaligia" in teoria portatile, che conteneva giradischi (con discesa automatica di 8-10 dischi, LP inclusi!), amplificatore e casse monovia, neanche piccole. Era anche il primo giradischi di casa, fino alle medie la poca musica che si sentiva a casa proveniva dalla peraltro ottima radio extra large Telefunken.

Non ricordo perché questo falegname (un raffinato signore, i falegnami già all'epoca erano così) ha citato l'alta fedeltà, forse perché aveva visto il suddetto Lesaphon, io ho risposto che sapevo cosa intendeva, per un suono perfetto avremmo dovuto avere come minimo uno di quei mobili all-in-1 della Grundig, che avevo visto in una pubblicità su una rivista di mio zio. Tipo quella qui sotto.

La vera alta fedeltà
Ma lui con un'alzata di spalle mi ha informato che quella non era vera alta fedeltà, bisognava rivolgersi a ditte specializzate, come ad esempio, Marantz, Thorens o AR. Ci sono rimasto un po' male, ma la cosa è rimasta lì. Fino a quando, un paio di anni dopo, sono cominciate a uscire le riviste di Hi-Fi e si è iniziato a parlarne, in casa mia con mio fratello che aveva diversi amici che suonavano e incominciavano a interessarsi anche all'Hi-Fi. La prima rivista che ho comprato era di uno dei primi guru dell'alta fedeltà, non ricordo il nome, magari in qualche cantina ne ho ancora un paio di copie, ma comunque l'ho abbandonata presto perché nel frattempo era uscita Suono Stereo Hi-Fi, tutto un altro livello, prove con strumentazioni di misura serie (era il tempo dei "misuroni") belle foto (credo già del mio ex compagno di classe Dario Tassa), bella rivista.

Il tempio dell'alta fedeltà
La portavo con me ogni tanto alle lezioni nel primo anno d'ingegneria, per leggerla nei cambi d'ora, e tramite la rivista ho conosciuto Mario, anche lui interessato all'Hi-Fi poi amico e infine anche mio testimone di nozze. Lui era già più avanti, aveva già un ottimo impianto (es. casse acustiche Bose 501) e un giorno mi ha consigliato, per farmi un'idea, di fare una puntata a un negozio in Piazza Dante a Roma, che si chiamava Filc Radio.
Ci sono andato con mio fratello e ho scoperto quello che è stato per tutti a Roma il primo tempio dell'alta fedeltà.

Questo era il pre MK16 quadrafonico, aveva bisogno del fantastico finale MK16 con i circuiti in vista dietro a un vetro arancione, ma non trovo una foto decente. Leggermente più terreno. stessa estetica, l'integrato MK120.

C'era ogni ben di Dio (anche per oggi) ma i componenti che mi hanno colpito di più sono state le casse Acustiche JBL-100 Century qui sotto, appese in negozio alla grande parete (con altre) e il mitico e avveniristico amplificatore Galactron qui sopra (made in Italy), lontanissimo dal minimalismo hi-end degli anni a venire, come si nota facilmente.

Mai comprati in seguito e neanche sentiti all'epoca, perché eravamo entrambi intimiditi da quel grande negozio pieno di questi magnifici componenti, e noi ragazzi eravamo evidentemente privi di risorse economiche adeguate. Ma ormai ero stato catturato, per sempre, pare.

Il primo impianto in 3 passi
E' iniziato allora un piano ben preciso di superamento dell'inadeguato Lesaphon Vertical. Ovviamente erano necessarie risorse economiche, ovvero convincere della necessità mio padre (che aveva deciso l'acquisto anni prima). La molla è stata la scoperta che la puntina piezoelettrica rovinava irrimediabilmente i vinili e serviva assolutamente un giradischi moderno. Mio padre in realtà non era un appassionato di musica, ma gli piacevano alcune cose, tipo il primo jazz, dixieland e swing, e alcune cose di classica, tipo il Bolero di Ravel o Vivaldi, e poi ogni tanto gli regalavano LP.  Ma penso che se ci ha finanziato è stato perché ci voleva bene, assieme a mia madre, non per salvare i suoi dischi, e meno che mai i miei.

Il Thorens TD 166, best sellers nei primi anni '70

Così su consiglio di Mario sono andato a un negozio che si diceva facesse gli sconti più alti per i Thorens, stava vicino a Piazzale della Radio (sparito come quasi tutti i negozi Hi-Fi dell'epoca a Roma, tranne credo due) di cui non ricordo il nome. Un commesso giovane e gentile mi ha illustrato i vari prezzi e ho capito che il mio budget arrivava solo fino al modello più economico, il TD 166, d'altra parte, mi ha spiegato che si distingueva dal TD 165 quasi solo per le manopole di plastica nera invece che di alluminio e dal TD 160 quasi solo per il contro-piatto di plastica invece che di alluminio. Credo ci fosse qualche differenza anche nel braccio ma comunque era (ed è) un ottimo giradischi e ho fatto bene a non risparmiare nella testina. 

Che è stata la più grande sorpresa. Perché quella che mi ha consigliato, una Empire (allora se la batteva per il predominio con Shure) era presentata così, come un gioiello. Assieme a un affascinante booklet interno in miniatura con tutti i modelli e le assurde e anomale casse Empire (prima o poi devo scannerizzarlo e metterlo sul blog).

La testina Empire Made in USA modello base veniva venduta e presentata così

Montato il giradischi e la testina e portato a casa, bisognava passare alla fase due, farlo suonare. A questo avevamo pensato prima, grazie all'aiuto di un compagno di classe e amico di mio fratello, precoce genio dell'elettronica, che era intervenuto sull'amplificatore interno del Lesaphone Vertical creando un ingresso aux, la correzione della curva RIAA era già presente per la testina piezolettrica e per il problema dell'uscita a basso livello della testina magnetica si provvedeva ad alzare il volume e non chiedere di più (o aveva inserito anche un pre rudimentale? non ricordo). In ogni caso i preziosi vinili erano salvi. 

Anche se forse i timori sulle testine piezo, che all'epoca erano chiamate 'o zappatore, erano esagerati, visto che alcuni vinili che l'hanno a suo tempo sperimentata e che ho ancora, suonano ancora bene senza difetti eccessivi. D'altra parte era già programmato lo step successivo, ovvero l'amplificatore, scelto con un criterio semplicissimo: era il più economico disponibile in Italia. Della marca giapponese poi sparita ROTA, e modello base. Costava poco e dopo un mese o due è arrivato. Non ho nessuna foto e non so che fine abbia fatto (regalato a qualcuno, mi pare, non era commerciabile) ma incredibilmente una foto, un po' sbilenca, l'ho trovata.

Le casse erano ancora quelle del Lesaphon, semplici altoparlanti monovia montati su una cassa aperta dietro per la massima efficienza, piuttosto lontane dall'alta fedeltà anche se per suonare suonavano. Anche per le casse, dopo qualche mese e altre trattative (nella mia famiglia non mancava niente, ma non si potevano fare sprechi) è arrivato il secondo componente di buon livello. Non provato, comprato sulla fiducia delle recensioni delle riviste e in base al fatto che erano le best-seller per rapporto qualità / prezzo: le Dynaco A-25, che scopro ora essere una delle poche casse con tecnologia "aperiodica", pensavo che fossero bass-reflex invece erano una variante della sospensione pneumatica, a 2 vie con woofer da 25 cm (!) e tweeter a cupola.

Non sono le mie, a suo tempo le ho vendute, avevano ancora un buon mercato

Con qualche mese di trattativa e parecchi compromessi l'hi-fi era entrata in casa, nonostante gli evidenti limiti del Rota. Una volta fatte scendere dalla sommità della libreria svedese le nuova casse acustiche, era arrivata la musica riprodotta con discreto realismo.

(1 - Continua con l'impianto buono)

domenica 7 novembre 2021

A cosa serve un music streamer?

E anzitutto, cos'è un "music streamer"? Pare sia il nome su cui alla fine stanno convergendo produttori e stampa specializzata, per quel componente che costituisce la "centralina" in un impianto che suona anche, soprattutto o solo musica digitale. Nel tempo è stato chiamato "network player", "network audio player", "music server", "music player", ma pare che alla fine il nome sarà questo.

In realtà non ha una configurazione fissa (come peraltro il suo principale predecessore: l'amplificatore) può essere in altre parole più o meno versatile e quindi gestire impianti più o memo complessi.

La "centralina"
Così chiamavano l'amplificatore gli audiofili (che ancora non si chiamavano così) negli anni '70, perché concentrava le varie sorgenti, consentiva elaborazioni del segnale incluso il controllo del volume, la selezione della sorgente da ascoltare, e passava il tutto alle casse acustiche per eseguire il solo indispensabile compito finale. Le sorgenti erano di due tipi, a basso livello (giradischi) o alto livello e potevano essere più di una, per impianti che potevano comprendere  due giradischi (es. uno per i 78 giri), due registratori (es. uno a bobine ed uno a musicassette), un sintonizzatore, e poi alcuni ingressi aux per altre sorgenti (es. un DAT, un lettore CD, pochi anni dopo).

La nuova "centralina"
La vediamo con un esempio, il recente streamer EVO 150 di Cambridge Audio, premiato dalla EISA quest'anno e che è un componente molto versatile. Come si vede gli ingressi sono di tre tipi: digitali, analogici alto livello, analogici basso livello (giradischi)

Gli ingressi
Guardandoli da sinistra a destra e dal basso in alto vediamo (cliccare sull'immagine per ingrandire, se serve):

  • 3 ingressi digitali: 1 coassiale e due ottici Toslink
  • 1 ingresso analogico ad alto livello bilanciato a standard XLR
  • 1 ingresso analogico ad alto livello sbilanciato a standard RCA
  • 1 ingresso analogico a basso livello con equalizzazione RIAA phono a standard RCA
  • 1 ingresso digitale HDMI ARC
  • 1 ingresso USB type-B per la connessione di sorgenti USB (sopra)
  • 1 ingresso USB type-A per la connessione di hard disk o memorie USB
  • 1 ingresso Ethernet per la connessione alla rete e al web
  • 1 ingressi wireless (Bluetooth) (questo ovviamente non si vede, ma c'è)

In totale 11 ingressi per 11 diverse sorgenti, una versatilità anche superiore agli amplificatori più versatili come gli Yamaha della serie CA degli anni '70, che avevano 7 ingressi di cui due a basso livello "phono". A cosa possono servire? Facciamo un esempio:

  • ingressi digitali: 
    • 1 lettore CD con DAC di qualità inferiore a quello interno del EVO 150
    • l'output dello smart TV
    • l'output del decoder Sky o di un decoder satellitare
  • Ingresso analogico bilanciato XLR: 1 lettore SACD
  • Ingresso analogico sbilanciato RCA: 1 registratore a bobine o 1 registratore a musicassette o un pre-phono di un giradischi con testina a bobina mobile
  • Ingresso analogico sbilanciato RCA "phono" MM: 1 giradischi
  • Ingresso HDMI ARC: uno smart TV che usa l'impianto "comandato" dallo streamer come speaker
  • Ingresso USB type-B: un notebook o un Mac Mini dove gira un Media Center come J River o un server Roon 
  • Ingresso USB type-A: un hard disk esterno o una memoria USB con musica digitale
  • Ingresso Ethernet: 
    • connessione al web per servizi streaming come Qobuz o Tidal
    • connessione in rete locale a un NAS che contiene una libreria musicale digitale
  • Ingresso wireless: connessione a device mobili (smartphone o tablet) usate come sorgenti

Una versatilità che consente di ascoltare musica anche da più di 10 sorgenti diverse. Unica limitazione è l'unico ingresso sbilanciato RCA che potrebbe essere una limitazione per un impianto dove ci fossero sia un bobina che un cassette, oppure un giradischi con testina a bobina mobile o con un pre-phono di pregio.

Le uscite
Sempre da sinistra a destra e dal basso in alto, vediamo:

  • Le uscite per due coppie di casse passive (A e B, ai due lati). Questo streamer infatti include anche un amplificatore (in classe D da 150W)
  • una uscita a basso livello per un sub-woofer attivo
  • una uscita pre per collegamento a un finale separato o casse acustiche attive
Manca però su questo streamer un'uscita digitale per utilizzare un DAC esterno invece di quello interno. L'unica uscita digitale è la HDMI ARC che è bidirezionale e potrebbe trasferire l'audio digitale a un DAC tramite un convertitore HDMI-Toslink.
Si tratta però di una scelta della Cambridge Audio. Molti altri Music Streamer, come ad esempio il Rose 150, altro premiato EISA per la fascia alta, ha uscite digitali ottica e coassiale per collegarsi a un DAC esterno oppure a un registratore digitale (vedi immagine).


Cosa succede dentro lo streamer
Ovvero come passa e con quali trasformazioni il contenuto musicale digitale o analogico (è utile saperlo per le successive considerazioni):
  • ingressi digitali: sono veicolati verso il DAC interno
  • ingressi analogici: sono presi in carico da un ADAC (Analog to Digital Audio Converter) e passati al DAC interno
  • uscita analogica del DAC: inviata all'amplificatore interno (se presente) ed in parallelo all'uscita preamplificatore
L'interfaccia dello streamer
Quasi tutti i modelli in commercio hanno uno schermo frontale di dimensioni variabili che fornisce informazioni su cosa sta suonando e come, ma ne esistono anche alcuni totalmente "muti", eleganti scatole metalliche senza pulsanti nè display.
Perché tutto si fa con la app del produttore, disponibile per smartphone e tablet, per iOS e per Android. Dalla quale si possono selezionare gli ingressi, regolare il volume e anche gestire la libreria musicale su NAS o i servizio streaming.

A chi non serve un music streamer?
La domanda doveva essere "a chi serve?" ma ci si arriva meglio partendo dall'elenco di quelli a cui non serve, che sono:
  • Un appassionato audiofilo che sull'impianto hi-fi ascolta solo da sorgenti analogiche (e questo è evidente)
  • Un appassionato audiofilo che sull'impianto hi-fi ascolta anche da sorgenti analogiche; e questo è meno evidente, ma dipende da quello che c'è scritto nella sezione precedente: con un music streamer gli ingressi analogici subiscono normalmente una doppia conversione annullando quindi la purezza, vera o presunta, del suono analogico, che giustifica la loro presenza in un impianto che ne potrebbe fare a meno. 
  • Un appassionato audiofilo che ascolta solo in streaming: le funzionalità dl music streamer sarebbero quasi tutte inutilizzate
  • Un appassionato audiofilo che ha una libreria musicale gestita da un media server player come J River, Audirvana o Roon: il music streamer sarebbe usato solo come DAC e quindi sarebbe sotto-utilizzato. In questo caso basta, appunto, un DAC, eventualmente quello incluso nei moderni amplificatori, come il Rotel Michi X3 premiato sempre da EISA.

Quindi, a chi serve un music streamer?
Dall'elenco precedente sembrerebbe che sono escluse tutte le categorie di audiofili, ma ne rimangono invece almeno tre che possono essere interessati:

  • Gli audiofili che ascoltano quasi solo in digitale, ma hanno anche un giradischi, però unicamente  per scenografia domestica e personale,
  • Gli audiofili che hanno veramente un elevato numero di sorgenti digitali, e hanno quindi effettiva necessità di un "hub" (altro nome moderno per "centralina") per gestirle tutte.
  • Gli audiofili che hanno una libreria digitale personale e non sono troppo esigenti nella gestione di essa o del servizio streaming e ritengono sufficiente per i loro scopi la app messa a disposizione dal produttore dello streamer, che potrebbe anche includere il disco (anche SSD) contenente la libreria musicale.
Le prime due categorie esistono ma non sono molto numerose. Lo è invece la terza categoria, e chi fa queste scelte non ha tutti i torti.

L'alternativa
Perché non ha tutti i torti? Perché l'alternativa al music streamer esiste, è più economica e più flessibile , ma richiede un certo impegno personale, sia per la configurazione personalizzata, sia per upgrade e manutenzione. Le stesse funzioni di gestione della libreria musicale effettuate dallo streamer  possono essere svolte infatti da un PC dedicato (tipicamente un notebook, un MAC Mini o un Mini PC) con installato J River MC, Audirvana o Roon e collegato a un DAC. Il DAC può essere anche di livello stratosferico e quindi eccedere le prestazioni all'ascolto di qualsiasi music streamer. 

E' quindi per quelli della terza categoria, quelli che vogliono approfittare e godere della grande disponibilità di musica digitale, arrivando al risultato nel modo più semplice e veloce e col minimo impegno personale (anche se spesso con funzioni e flessibilità molto ridondanti, ma vale anche per gli smartphone recenti) che i produttori di hardware propongono sempre nuovi modelli di "music streamer" rispondendo a una domanda che appare in crescita, non solo di audiofili d'annata che vogliono aggiornare l'impianto, ma anche di new-entry attratte dalla grande offerta e certamente benvenute.

In sintesi
Il music streamer è un componente proposto da molti produttori di hardware, ma è pensato e diretto ad una categoria di ascoltatori di musica ben delimitata, ovvero quelli che hanno una libreria musicale digitale, ottenuta con download ufficiale o meno, e che ascoltano i suoi contenuti su un impianto tradizionale. Sono quindi in maggioranza appassionati audiofili consolidati, che preferiscono una soluzione pronta all'uso piuttosto che basata su software da installare su un PC. Chi fa parte di questa categoria ha a disposizione molti prodotti su una vasta gamma di prestazioni e prezzo.

Appendice
Per correttezza e completezza vediamo anche i due music streamer "ospiti" di questo post anche di fronte.
Cambridge Audio Evo 150


Rose RS150

mercoledì 27 ottobre 2021

Lo streaming può essere Hi-End?

La domanda che era rimasta aperta nel precedente post era se l'ascolto della musica in streaming, ora possibile anche in qualità CD o HD può raggiungere livelli di qualità comparabili a quelli possibili per un impianto tradizionale, senza tradire del tutto  la semplicità del "impianto zero" a soli due componenti (tablet/ smartphone + casse acustiche wireless).  

I limiti che erano indicati nel precedente post erano:

  1. Assenza di una struttura ad archivio almeno per la musica preferita
  2. Accesso tramite ricerca web per le informazioni su musica e artista in ascolto
  3. Ascolto dei formati ad altissima definizione e in particolare con codifica DSD
  4. Incremento della qualità Audio
In questo post vediamo cosa è possibile fare per incrementare la qualità ed essere al livello richiesto dalla location scelta dalla Dynaudio per l'immagine dei suoi diffusori attivi XEO 20, un esempio di "impianto zero" (lo smartphone, l'elegante giovane signora, non sappiamo se proprietaria dell'appartamento o curatrice del museo, l'ha lasciato da qualche parte). 

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1. Funzionalità di archivio
Un motore di ricerca più avanzato con filtri anche per genere, anno di pubblicazione, forma musicale, lingua ecc. non sarebbe difficile da inserire sulla app del servizio streaming o sulla app del sistema in altoparlanti wireless. Qualcosa del genere c'è in servizi streaming specializzati come Idagio (musica classica).

2. Ascolto arricchito
Questo è il punto di forza principale del sistema Roon che sta imponendosi nel mondo digitale di fascia alta, Il suo target principale sono gli audiofili con ampie librerie musicali digitali su NAS, ma analoghe funzionalità di arricchimento dell'esperienza d'ascolto sono fornite anche per i servizi streaming HD Qobuz e Tidal. In pratica l'interfaccia standard dei due servizi viene sostituita da quella di Roon, incrementando da un lato l'usabilità e quindi l'accesso diretto alla musica e dall'altro il complemento di informazioni e riferimenti su quello che si cerca o si sta ascoltando messi a disposizione dell'utente in modo assistito, senza ricerche specifiche sul web.

3. Nuovi formati (DSD)
Qui lo streaming deve passare la mano. Teoricamente sarebbe realizzabile anche in DSD ma richiede più banda e soprattutto interessa troppo poco agli audiofili che ritengono il DSD una codifica superiore da giustificare gli investimenti necessari a lanciare un servizio. Inoltre fare ricorso ai diffusori acustici wireless avrebbe meno senso perché si dovrebbe rinunciare alle funzioni DSP e quindi a un plus importate. Il DSD richiede un impianto tradizionale, come il vinile.

4. Qualità audio
Un componente come il Bluesound Duo premiato da EISA consente a qualsiasi impianto, anche stratosferico e rigorosamente analogico, di avere come sorgente di input un servizio streaming, Ma non era questo l'obiettivo, era invece arrivare ad una qualità superiore mantenendo la semplicità dell'impianto. Volendo invece migliorare un impianto che ha questo schema (quello già mostrato nel post precedente) si vede subito che gli unici interventi possibili sono sulla connessione e sulla interfaccia utente.
Connessione wi-fi: la soluzione WISA
La musica, convertita in digitale, viene trasportata con una connessione wireless e codifica wi-fi e non dovrebbe subire alterazioni e quindi degrado di qualità essendo la trasmissione gestita con sistemi ormai molto avanzati a correzione di errore, e la banda trasmissiva richiesta per la musica, anche on alta definizione, non è impegnativa per la tecnologia attuale. Ma può essere dannosa una instabilità anche molto limitata nel dominio del tempo, così si afferma. Per la connessione via cavo esistono music server molto raffinati (e costosi) come i music streamer Innuos che implementano complesse tecniche di riduzioni della latenza e controllo dell'allineamento temporale.

Una soluzione simile esiste anche nel mondo senza cavo, si chiama WISA (Wireless Speaker & Audio) ed è a tutti gli aspetti una sostituzione della connessione wi-fi. Non è però adottata da tutti i produttori di speaker wireless e quindi impone una modifica alla configurazione; l'interfaccia non può essere una app su una mobile device, deve essere un computer, anche un notebook, connesso a un'unità trasmittente. Si perde parecchio in comodità.

Connessione wi-fi: la soluzione Roon
Si perde meno e si migliora di più adottando questo sempre più diffuso e apprezzato "ecosistema" per la gestione di una libreria musicale dematerializzata. Partendo dalla connessione Roon adotta un "backbone" (un tempo in informatica si chiamava "bus") che hanno chiamato RAAT (Roon Advanced Audio Transport) che, tra le molte altre funzionalità che fornisce (multiformato, multidevice, adattativo a più hardware ecc,) implementa anche un protocollo di comunicazione che garantisce (secondo Roon) la massima stabilità della connessione via etere e un ottimale allineamento nel dominio del tempo tra trasmettitore e ricevitore. Roon sta avendo un grande successo, anche perché è praticamente senza competitori (per l'interfaccia utente soparttutto) e quindi le device "roon ready" sono molte e adottare il protocollo RAAT, che è un protocollo aperto,  non impone rinunce particolari sul lato degli speaker wireless.

Music Player, Network Player, Music Streamer?
Nella vasta e crescente offerta di componenti "all-in-1" o di interfaccia non c'è invece nessuna soluzione applicabile allo scopo? No, perché la maggioranza di questi componenti includono un loro DAC e hanno un'uscita analogica non wi-fi, Gli streamer senza DAC invece sono pensati per interfacciarsi con un DAC via cavo USB (nella maggioranza dei casi). Ancora una volta una complicazione senza vantaggi, in questo contesto, considerando anche che sul alto interfaccia con le loro app non offrono nulla di più rispetto all'interfaccia standard di Qobuz o Tidal oppure dell'interfaccia nativa del wireless speaker.
Questi componenti sono pensati per gli impianti tradizionali, ma dotati di varie sorgenti digitali, ed hanno ora la funzione che avevano negli '70 gli amplificatori, chiamati infatti spesso "centralina".

In sintesi
Tirando le somme l'unico intervento migliorativo che salvaguarda quasi del tutto la semplicità della configurazione fornendo qualità e piacere dell'ascolto in più è quello ottenibile con Roon. Dovrò prima o poi provarlo anche per verificare se le aspettative sono confermate, ma per ora chiarisco la configurazione per lo streaming Hi-End che si presenta così:

| Wireless Speaker Roon Ready | <-RAAT-> | Roon Core | <-RAAT-> | Roon Remote App |

L'elemento aggiunto necessariamente è un PC dedicato oppure un'appliance che fa parte dell'offerta dell'ecosistema (Roon Nucleus) che ospita il componente centrale Roon Core. Il costo aggiuntivo con Nucleus è 1500 € (Nucleus) + 120 € anno (licenza Roon). In alternativa il core può essere installato su un PC dedicato, come un Mac Mini ben configurato (disco SSD) o un Mini PC (idem), che richiedono però un loro video per l'operatività, mandando decisamente a ramengo la semplicità, ma può essere sufficiente anche un laptop.

L'altro intervento migliorativo (e assai più decisivo) è l'upgrade del diffusore wireless. Una categoria di componenti che si sta arricchendo di modelli di fascia e ambizioni sempre crescenti, dove si può segnalare come probabile best in class il Dynaudio Focus 60 (circa 10000 €).

venerdì 22 ottobre 2021

L'ascolto in streaming in alta fedeltà

A leggere la posta di Audio Review nella sezione musicale, e considerando che nelle recensioni è sempre indicato il supporto fisico disponibile (CD o vinile) e non, per esempio se è disponibile in streaming e a che risoluzione, si può dedurre che la maggioranza degli audiofili non sia interessato al tema e consideri lo streaming un sistema adatto solo per l'ascolto di playlist o in stile zapping. 

Ma non è così e si possono ascoltare interi album, anche di classica, con le stesse identiche modalità, cambia solo la fase iniziale di selezione dell'album e avvio dell'ascolto. Tornarci sopra approfondendo come funziona descrivendo anche quelle funzionalità che appaiono banali può quindi essere utile a sfatare questi miti e a ricollegarsi con la sempre più estesa generazione post-CD.

I servizi disponibili in Italia
Al momento i servizi streaming che consentono di ascoltare tutti i brani in qualità CD ed alcuni (ormai molti) anche in HD sono tre: Qobuz, Tidal e Music Unlimited, il costo è simile ma non uguale:

  • Qobuz: 14,99 € / mese
  • Tidal: 19,99 € / mese
  • Amazon Music Unlimited: 14,99 € / mese per utenti Amazon Prime
Si parla inoltre da almeno due anni di Spotify in qualità CD, a febbraio era annunciato entro il 2021 in Italia, ma siamo a ottobre e ancora non è disponibile. Riguardo al catalogo  Music Unlimited dichiara qualcosa di più ma in generale, per tutti, è raro che qualcosa che ci viene in mente di ascoltare non ci sia.
Per i test e le immagini illustrative del post abbiamo scelto l'ultimo album della impagabile Lana Del Rey (quinta da destra)

La configurazione Hi-Fi
Per tutti i servizi, dopo aver sottoscritto l'abbonamento basta installare la app sullo smartphone o sul tablet e utilizzare le funzioni di ricerca, organizzazione e ascolto che descrivo dopo, collegare delle buone cuffie stereo e ascoltare con una qualità più che buona.
Ma non la migliore possibile, perché limitata dal DAC interno della mobile device, che è di media qualità ed è limitato ad una risoluzione al massimo di 24bit / 48KHz e non sfrutta per intero i contenuti in HD 24/96 o 24/192. E, soprattutto, l'ascolto è in cuffia, mentre la piena Hi-Fi con la localizzazione spaziale, richiede 2 casse acustiche opportunamente posizionate.

Le casse acustiche wireless
Per un ascolto in alta fedeltà occorrono quindi diffusori acustici a banda sufficientemente larga e dinamica adeguata, e la soluzione ideale, ormai con una discreta offerta anche in fascia alta, è rappresentata dai diffusori wireless, che includono tutto quello che conta per la qualità della riproduzione: DAC, amplificatore e altoparlanti. Possono avere inoltre una riproduzione superiore in qualità alle casse passive, grazie alla presenza, praticamente, sempre di un DSP (Digital Signal Processor) per la correzione delle limitazioni degli altoparlanti, e di un cross-over elettronico, che è più versatile e induce meno distorsione dei cross-over passivi,

L'"impianto zero"
Così ho chiamato nel precedente post un impianto hi-fi formato da soli due componenti: il tablet o smartphone con la app del servizio streaming e le casse wireless. Non necessariamente un impianto economico, perché adottando i diffusori acustici System Audio Legend 40.2 premiati da EISA, per fare un esempio, richiede un investimento di circa 6.000 €, ma consente anche un ascolto di alto livello in grado di soddisfare anche gli audiofili più esigenti.

Lo schema dell'impianto
Anche se i componenti fisici visibili sono solo due i componenti reali che che trasformano un file in musica sono di più e sono mostrati in questo schema a blocchi, dove la freccia indica la connessione wireless, che deve essere sempre wi-fi (il Bluetooth è un protocollo di comunicazione lossy anche nella sua versione APTX):


Quello che vede l'utente finale sono solo le app sul suo tablet o smartphone, mentre le casse wireless sono per lui solo delle scatole da posizionare, attaccare ad una presa della luce e, di solito, anche collegare tra loro con un cavo ethernet, possono poi esserci altri comandi di configurazione sul pannello posteriore ma per le funzioni di base (suonare) non serve altro.

Il collegamento con la mobile device avviene con una app "Connect" (di solito si chiama così) fornita col sistema wireless che, una volta installata e dopo la canonica registrazione, avvia la ricerca dei diffusori wireless e li collega, consentendo alcune operazioni di configurazione specifiche per il diffusore. Qui è mostrata quella delle Kef LS50.




L'interfaccia utente
Nelle app "connect" è inclusa anche l'integrazione con i servizi streaming, e i tre citati prima sono sempre supportati, è quindi disponibile un motore di ricerca e un player per ognuno di essi e non è quindi strettamente necessario utilizzare la app del servizio streaming. L'interfaccia integrata potrebbe però non avere tutte le funzionalità e le informazioni e di solito sarà da preferire quella standard, più ricca e articolata, del servizio streaming.
La schermata iniziale di Qobuz. Si apre sulle novità da scoprire, in basso si vedono le altre scelte: la ricerca di un album o di un artista, le playlist dell'utente, che possono essere anche gli album preferiti o da appuntare per ascolti successivi, e il comando per salvare in locale gli album per un ascolto off-line.

Connessione dei wireless speaker al servizio streaming
La connessione con i diffusori wireless si può fare utilizzando il protocollo standard di Google, Chromecast, che solitamente i diffusori wireless, come la LS50, supportano di default. La connessione richiede quindi di installare la app Google Home, avviando con essa la ricerca di dispositivi compatibili individuerà, restando in questo esempio, la coppia di LS50 configurata su Google Home. Nello screenshot la maschera iniziale di Google Home e i dispositivi creati nella casa.


Completate queste operazioni iniziali Chromecat Audio è configurato e si può può selezionare quando si attiva l'ascolto di un album  (la videata la vediamo dopo) con l'icona con il simbolo del quadrato + ventaglio in alto a destra. Negli screenshot che seguono i passi necessari per la connessione:

Cliccando sulla icona Chromecast vengono proposti i server visibili sulla rete (che includono anche i Chromecast video, sena la specifica "audio"). Nel nostro caso il server da scegliere è Salotto 2

Dopo una maschera di attesa arriva il comando di conferma e può iniziare la riproduzione dell'albume e del brano scelto

Dopo aver scelto cosa si vuole ascoltare, per esempio l'ultimo album di Lana Del Rey (dal titolo che conferma la raffinata ironia della musicista americana; "Scie chimiche sopra il country club") ed aver selezionato l'ascolto via Chromecastla riproduzione parte sul player di Qobuz, che fornisce informazioni sulla qualità (questo album è HD) i classici comandi di tutti i player, il controllo di volume (in basso) e, con la freccia in basso le informazioni sull'albume una breve recensione critica (è in francese perché sono un utente Qobuz pre-commercializzazione in Italiae non ho mai cambiato la lingua per pigrizia). 




Tornando a Google Home si può vedere il brano in esecuzione e controllare anche da qui l'avanzamento dell'ascolto e l'ascolto, e i comandi avanti, indietro, pausa  e stop.


Cosa si può volere di più?
Pochi minuti di configurazione, tutta la musica del mondo in alta qualità, a un costo più che concorrenziale sia per l'impianto (un diffusore wireless costa meno della somma delle parti a parità di qualità) sia per i contenuti (vi rendete conto? 15 euro al mese, confrontatelo col costo dei vinili), cosa manca, come può l'"impianto zero" aspirare a crescere? Ci devono essere dei punti deboli, e infatti ci sono.

Archivio versus Motore di ricerca
L'audiofilo già digitale che ha creato una sua ordinata libreria archiviata su NAS passando allo streaming non trova l'organizzazione a cui è abituato, l'archivio suddiviso per generi, per autori o esecutori, per risoluzione o qualsiasi altra classificazione. Anche qui, come sul web, come sugli smartphone, come ovunque, bisogna prima avere un'idea di cosa si vuole e poi cercarlo nel mare magnum. Per di più, il motore di ricerca di questi servizi (i tre citati) non è potente come Google, la ricerca avviene per interprete (può essere un problema con la classica) e per lo specifico album, se non ha un nome ben individuale, bisogna scorrerne parecchi per trovarlo.

Informazioni stampate versus informazioni online
L'audiofilo che ascolta ancora con CD o vinili ha la copertina che spesso contiene informazioni utili a perfezionare l'ascolto, come chi suona i vari strumenti o le parole delle canzoni, qui l'interfaccia fornisce solo stringate informazioni sulla registrazione accompagnate da una presentazione critica del brano (non quella dell'album originale). Ma ha anche a disposizione un tablet o uno smartphone dove può cercare e trovare molto di più.

L'archivio dei preferiti
Questo potrebbe essere un plus dello streaming, perché normalmente questo archivio è memorizzato solo nella mente dell'audiofilo, ma anche in questo caso proprio per la facilità di inserirne sempre nuovi tende a diventare con gli anni un elenco non ordinato di album che ci sono piaciuti alcuni più altri meno altri chissà perché.

Nuovi formati
DSD, altissima definizione in streaming non sono disponibili, attualmente e penso ancora per molto, 

E la qualità audio?
In questo impianto dipende solo da due fattori: il diffusore wireless (70%, diciamo) e la registrazione (30%). Sul secondo si può fare poco, sul primo, solo cambiarlo tutto, non ce ne sono per ora di upgradabili per singole sezioni (un concetto poco adottato dai produttori di Hi-Fi)

Possibili upgrade
Un impianto che non si può migliorare se non cambiandolo tutto assieme non sarà mai attrattivo per un audiofilo, e questo è poco male, ma rimane il fatto che anche chi ha le maggiori ambizioni di buon suono è "tappato" dall'offerta di casse wireless mentre vorrebbe qualcosa di più.
Il prossimo post è dedicato a quello che si può fare per incrementare la qualità mantenendo però i vantaggi di semplicità dello streaming a due componenti.