sabato 28 aprile 2012

Il declino prossimo venturo della radio FM

La radio in modulazione di frequenza non è certo una tecnologia nuova, ha raggiunto il massimo sviluppo negli anni '60 con la possibilità di trasmettere anche in stereo, e da allora l'unica nuova funzionalità di rilievo è stata la possibilità di veicolare anche brevi messaggi di testo con il comodo ma non essenziale RDS (Radio Data System).

E' una tecnologia che avrebbe però ancora tutte le caratteristiche tecniche e funzionali per renderla una soluzione ideale nell'ascolto della musica, sia in casa sia in mobilità: dinamica, risposta in frequenza e bassa distorsione al livello del migliore hi-fi; economica in quanto tecnologia matura; versatile perché usabile a casa, in auto, ovunque; ecologica perché usa onde radio a frequenza non alta e bassa potenza e non richiede ripetitori in ogni angolo.

Tutti plus solo teorici in Italia dove, come chiunque può verificare, per una serie di eventi che qui non sto a ripetere (vedere la pagina sulla radio su Musica & Memoria) la quasi totalità delle stazioni radio con una parte musicale trasmette musica pessima e/o ripetitiva in formato audio compresso intervallata da dosi massicce di pubblicità low cost, disturbandosi l'una con l'altra per la nota situazione di caos delle frequenze che si trascina nel nostro paese tranquillamente dagli ormai lontani anni '80.

Scenari per il futuro prossimo
Con queste premesse la radio FM ci sarà ancora tra, diciamo, 3 anni o 5 anni, o è destinata ad un rapido tramonto? In questo post sintetizzo alcune considerazioni che provengono in gran parte da una lunga conversazione di un paio di settimane fa con Enea Roveda, il giovane direttore di Lifegate Radio, una delle pochissime, se non l'unica radio che in Italia trasmette musica moderna di qualità. Una emittente che ha fatto la scelta, opinabile ma comprensibile, di uscire parzialmente dall'etere nella seconda area coperta, quella di Roma.

Come sopravvive una radio commerciale?
Esattamente come una televisione privata, con la pubblicità. Cercando di mantenere i costi di gestione inferiori ai ricavi. Poiché la pubblicità si vende in base al numero di contatti che la emittente radio o TV può mettere a disposizione dell'inserzionista, il parametro fondamentale per la gestione di una radio commerciale (ex "radio libera") è il costo per contatto, più è basso, più è profittevole la radio.
Qui arriva subito il primo problema: chi "conta i contatti"? Su Internet ci pensa Google con Analytics o Facebook con Insight. In campo TV c'è l'Auditel. Nel settore della radio c'era Audiradio, fino al 2010. Poi questa associazione indipendente è fallita per contrasti tra i soci (le emittenti radio principali: si può leggere un sunto qui) e gli ultimi dati disponibili sono quelli del 2009. Da quella data vige l'autocertificazione.
Logico che, in un momento di stagnazione o di recessione economica come quello attuale, e considerando la efficacia molto maggiore della televisione rispetto alla radio come contenitore di pubblicità, il prezzo delle inserzioni lo facciano gli inserzionisti, piuttosto che le radio. Che devono vendere gli spazi a prezzi sempre più bassi, estendendo la percentuale di pubblicità rispetto ai programmi per recuperare i mancati introiti. E ce ne accorgiamo dal livello della pubblicità, accessibile anche alla pizzeria all'angolo.

La qualità è l'ultima delle preoccupazioni quando si devono abbassare i costi
Non potendo aumentare i ricavi non resta che abbassare i costi. Le radio non sono labour intensive e quindi sul lato del costo del lavoro non possono fare molto di più. Alla qualità le radio commerciali non hanno mai tenuto molto, ma sulla qualità della parte musicale sicuramente non investono. Tanto, a quanto pare, la maggior parte degli ascoltatori non da' peso a questo fattore.
Ecco quindi la spiegazione dell'heavy rotation adottata da tutte le radio di questo tipo (quindi ormai tutte  le radio o quasi). Non, come si pensava un tempo, per una specie di sudditanza alle case discografiche che impongono i dischi che vogliono lanciare o che forniscono gratuitamente i dischi, le case discografiche sarebbero piuttosto interessate a far conoscere un po' di più la loro produzione. Ma solo per abbassare i costi.
Le radio utilizzano da tempo, come noto, un sistema di programmazione semi automatico chiamato Selector, un computer in pratica, dove vengono inseriti i brani che la radio manderà in onda (in formato compresso, inutile precisarlo) e la programmazione, che può essere anche semi-automatica o automatica.

I costi si riducono in vari modi, riducendo al minimo il numero di brani, che in alcune radio arriva sino a 400 in totale, e di solito si attesta sui 1000, e quindi aumentando il numero di passaggi, che può arrivare anche a 8-10 al giorno per la stessa canzone. Infine adottando il più possibile la programmazione automatica. Scelte entrambe che riducono i costi del personale. Personale che sceglie i brani e crea playlisti ragionate, compiti non facili.
I brani saranno scelti tra quelli di moda nel momento e quindi la strategia sarà quella classica di "acchiappare" l'ascoltatore proponendogli qualcosa di familiare. Ad evitare che cambi canale subito dopo dovrà provarci il conduttore di turno.
Dato che anche i conduttori tendono ad essere tutti uguali può darsi che si ottenga invece un effetto noia e quindi una spinta a cercare altro nell'etere. Ma non essendoci un sistema di misura indipendente nessuno può sapere se effettivamente è così e quindi probabilmente le radio continuano con questa strategia perché è più facile vendere spazi organizzati in questo modo ad inserzionisti che immaginano la radio così e rifuggono radio di qualità considerandole meno attrattive per il loro target.


Una radio di qualità è impossibile?
Escludendo le radio finanziate dal settore pubblico, quindi Radio 3 e il 5° Canale della filodiffusione, specializzato nella classica, e altri casi particolari finanziati da enti locali, in una situazione come quella descritta brevemente sopra è difficile, ai limiti dell'impossibile, proporre una radio musicale di qualità a meno di aver consolidato nel tempo un rapporto costo / contatto favorevole.
E' il caso di Lifegate Radio, la emittente della nota e omonima organizzazione di "ecologia sostenibile" che si è sempre posta l'obiettivo, come mi diceva Roveda, di "parlare a sempre più persone con tecnologie che costino sempre meno", unica o quasi a trasmettere in Italia musica moderna, la cosiddetta "avanguardia" o "alternativa", quindi musica del nostro tempo (con tutto il rispetto per la classica e il jazz) che cerca strade nuove e stimolanti ma anche accessibili all'ascolto.
Rispetto alle radio commerciali i numeri sono molto diversi, 18.000 brani caricati in media nel Selector, una programmazione che prevede un ascolto ciclico ogni 5 giorni in media, un refresh costante dei brani, scelti da conoscitori di musica in grado di spaziare nella ormai vastissima produzione attuale.
E una pubblicità "non invasiva", coerente o almeno non configgente rispetto ai temi e alla mission dell'emittente, non martellante.

Per coprire i costi, più alti inevitabilmente, e' necessaria una audience adeguata, requisito problematico per via della situazione di Audiradio ricordata prima. I dati 2009 per Lifegate erano buoni a Milano e provincia, ma da radio in avvio a Roma, dove effettivamente la emittente era "sbarcata" da poco. La percezione di tutti e anche la mia, da amici e conoscenti, era che gli ascolti fossero più che buoni, proprio per l'unicità della proposta, ma era difficile convincere gli inserzionisti.

Meglio uscire finche si e' in tempo
L'asset principale di una radio e' la frequenza. Essendo bloccata da decenni l'assegnazione di nuove frequenze (ennesimo paradosso italiano) chi vuole entrare nel settore, o allargare gli ascolti, può solo acquistare frequenze da chi le ha conquistate al tempo del far west o le ha comprate in seguito. Il valore pero e' proporzionato al valore dei ricavi che se possono ottenere, che sono declinanti, come abbiamo visto.
Ma risaliranno mai?

Un'altra tecnologia si affaccia all'orizzonte
Smartphone più reti ad alta velocità (3G) e in ulteriore crescita (4G) forniscono un'altra strada tecnologica per la vecchia radio: la web radio, trasmessa via internet e rete cellulare fino al nostro iPhone o Android phone, a sua volta connesso con il sistema audio dell'auto o di casa, se lo si desidera. Con in più la comodità di una app specifica.
E' una tecnologia molto più dispendiosa come risorse impiegate, rispetto al vecchio FM e anche al DAB (che sono broadcast, questa e' punto punto), ma il nostro mondo occidentale di questo non si cura. E comunque al 4G arriveranno lo stesso.

Gli ultimi modelli di auto di fascia alta già includono la connessione per smartphone e gli ultimissimi modelli hanno/avranno anche il 3G/4G integrato (es. BMW Connecteddrive con Seamless Media Access), mentre sparisce progressivamente dalla dotazione di serie il lettore CD. Sul lato dei gestori TIM annuncia il 4G (più propriamente: LTE) in Italia per fine 2012 e gli altri seguiranno, e l'iPad 3 è già 4G in USA.


saranno sempre di più i potenziali ascoltatori delle radio che useranno lo smartphone già diffusissimo e presto maggioritario e non avranno più bisogno delle frequenze FM. Che inevitabilmente perderanno di valore.
Nel nuovo scenario i canali di trasmissione non saranno una risorsa limitata e preziosa. La priorità sarà piuttosto posizionarsi tra i primi nella produzione di contenuti, come dimostra su internet il caso del sito de La Repubblica.
Da qui la scelta, piuttosto logica in questo scenario, di Lifegate di essere tra i primi a riposizionarsi e a vendere a una radio sportiva la frequenza di Roma. Con una presenza simbolica per nottambuli da mezzanotte alle 4.

Una scelta che non condivido, ma ...
Lifegate quindi si può ascoltare ancora, con la app per iPhone o su internet (o anche sulla DTT). Pero' in formato ancora più compresso (64k su 3G) e non con le mie Tivoli Audio, dove mi rimangono soltanto i programmi Rai citati in precedenza a trasmettere musica ascoltabile.
Il futuro in 4G pero' consentirà di trasmettere materiale audio con compressione fino a 384kbps e a questo bitrate sulla musica non complessa (tradotto: esclusa la classica) la differenza non e' facilmente udibile. E comunque e' un livello di qualità ben superiore a quello usato nel selector (che anche LG usa).
Peccato, peccato buttare via una tecnologia così valida e così smart come l'FM, e qui non ci sarà nessun ritorno trionfale come per il vinile, ma le cose stanno così e questo scenario ha una elevata probabilità di realizzarsi.

sabato 21 aprile 2012

Magia dell'analogico: le cassette

Sì, proprio le "cassette", nome ufficiale Philips Compact Cassette o MC, così popolari negli anni '70 e '80, normalmente associate a basso costo, scarsa durata nel tempo e bassa qualità. Difficile pensare che anche questo supporto possa essere una sorgente di buon suono analogico.

Era nato effettivamente in casa Philips per altri scopi, la registrazione amatoriale o professionale leggera. Per immortalare la poesia di Natale o le prime prove canore del bimbo di casa, quando il cinema casalingo era solo Super-8 e ogni bobina (piuttosto costosa) durava al massimo 5'. Oppure per dettare memo alla segretaria o registrare riunioni da verbalizzare in seguito.
Il primo modello di registratore che ha avuto una diffusione di massa è stato difatti il K7, con registrazione mono e dotato di serie di un microfono.

Un registratore a cassette professionale: il Tascam 133-AB

Le cassette per la musica
Qualche anno dopo era stata la stessa Philips a tentare anche la strada dell'uso per la musica, mettendo sul mercato i primi modelli stereo e con risposta "musicale" (teoricamente 20-20000 Hz). Per risolvere il problema del soffio di fondo, diventato inevitabile ed evidente con le tracce ulteriormente ridotte in altezza, ora che i canali erano due per lato (già il nastro, come si ricorderà, era la metà di quello dei registratori a bobina, e la velocità di scorrimento la metà di quella inferiore) la Philips includeva un semplice riduttore di rumore, chiamato DNL (Dynamic Noise Limiter) che consentiva un livello di qualità accettabile, ma ben lontano dall'eccellenza del tempo (fine anni '60), quindi LP e bobina.

E' stato un giapponese creativo e un po' folle, Ted Nakamichi, assieme al fratello Niro, a puntare sulla cassetta, nel frattempo adottata da diversi altri produttori giapponesi come nuovo componente della catena alta fedeltà, la "piastra", per un prodotto "top". Utilizzando un riduttore di rumore di fondo più efficace, il Dolby B messo a punto dai Dolby Laboratories a fine anni '60 (già scoperto e adottato da altri costruttori), separando le testine di lettura e scrittura con una acrobazia tecnologica, beneficiando di nuovi nastri ad alta qualità messi nel frattempo in commercio dalla Basf, e infine con una costruzione estremamente accurata del registratore,  raggiungendo così il risultato con il famoso modello Nakamichi 1000 del 1972.

Per farla breve e senza perderci in una storia della tecnologia, queste soluzioni sono state adottate nel corso degli anni da diversi altri produttori giapponesi, con in evidenza Technics e Teac, e all'inizio degli anni '80 piastre anche di classe media, di costo non basso ma accessibile, avevano tutto quello che serviva per estrarre dalla economica MC la massima qualità possibile (vedere nella immagine sotto di una cassetta aperta di produzione Philips dei metà anni '70, come fosse semplice la costruzione e l'assemblaggio dei componenti). Tre testine, riduttore del rumore Dbx (ancora più efficace del Dolby B), nastri a biossido di cromo o al ferricromo, limitati in durata 60 o 45', costruzione accurata e prestazioni controllate e rispettose delle specifiche, si trovavano in diversi modelli dei principali produttori.




Il suono
Il risultato era (ed è per chi li volesse usare ancora) una resa sonora senza evidenti limitazioni né di dinamica (principale limite all'origine), né di risposta in frequenza, né di stabilità dell'immagine e della ricostruzione spaziale della scena sonora. Allo stesso livello dei bobina e del vinile di classe media.
Chi avesse avuto all'epoca dei primi CD l'ardire di mettere a confronto una registrazione su cassetta con uno dei primi CD, e soprattutto, con uno dei primi decoder digitale / analogico, e avesse avuto anche l'accortezza di fare un confronto alla cieca e a mente aperta, avrebbe avuto qualche bella sorpresa.

Teac V-7010, un modello top: 3 testine a trazione diretta, Dolby B e C, HX-Pro

Magia accessibile
Perché i noti vantaggi dell'analogico, la fluidità e la musicalità che tanti redattori delle riviste di alta fedeltà e recensori vari della rete si sforzano di descrivere, e che si può afferrare ascoltando per confronto un suono digitale non corretto (è qui che manca qualcosa) potevano essere trovati anche lì, nella riproduzione della "compact cassetta".
Un risultato inaspettato ma purtroppo solo teorico o quasi.

Cosa se ne può fare?
Il problema però era cosa farne di questo livello di qualità così faticosamente conquistato, a forza di acrobazie tecnologiche. La piastra a cassette ha avuto difatti nel tempo un uso primario e quasi esclusivo: la copia di LP e in seguito di CD, Anzi è stata proprio la maggiore dinamica dei primi CD (ora il problema non si porrebbe più, almeno per la musica pop e rock) la molla che ha spinto ancora più avanti le prestazioni delle cassette, per renderle adeguate anche alla copia dei CD.
E' evidente che se si cerca la magia dell'analogico e si parte dal vinile, copiare su cassetta non porta alcun vantaggio, mentre se si parte da un CD si registra anche la decodifica da digitale in analogico, se era carente, non migliorerà di certo.
E le cassette pre-registrate? Per motivi misteriosi, a differenza di quanto avevano fatto con i nastri pre-registrati delle bobine, le case discografiche non hanno mai curato la qualità di questi supporti. Quasi ogni uscita veniva pubblicata anche su MC, oltre che su LP e poi su CD, Ma su nastro di bassa qualità, gusci non perfetti, e soprattutto copie ad alta velocità che tagliavano le frequenze più alte, a quanto si diceva. In definitiva erano quasi sempre pessime, realizzate da laboratori professionali con risultati inferiori a quelli che poteva raggiungere in casa un qualsiasi amatore. In più, erano vendute allo stesso prezzo o quasi. Conveniva quindi comprare l'LP e farsi la cassetta in casa. E difatti quei milioni di cassette prodotte e vendute sono sparite, nessuno le cerca e le vende su eBay o altrove.

Technics serie RSB con riduttore di rumore Dbx

La registrazione dal vivo
Per apprezzare veramente la magia dell'analogico con un cassette bisognerebbe provare a registrare dal vivo. Ne posso dare testimonianza perché l'ho fatto per la radio alla quale collaboravo per una rubrica di musica classica, con un registratore peraltro di qualità molto distante dal top, con due semplici microfoni dinamici di discreta qualità disposti a Y, ma correttamente posizionati e montati su treppiede, e i risultati erano sorprendenti, ascoltandoli in cuffia, almeno per gruppi strumentali semplici (quartetti, chitarra classica) si poteva apprezzare la correttezza timbrica e un grande realismo. Ben superiori sarebbero stati con un Teac o un Tascam o un Technics con Dbx e tre testine.
Ma nel frattempo arrivava il DAT, e poi  la registrazione digitale in HD, e in parallelo i bobina erano sempre lì, molto più semplici nella loro architettura, e comunque più flessibili e performanti, e qualsiasi motivo di usare una piastra a cassette per questo scopo, a parte il mio (avevo solo quello) non se ne vedevano e non se ne vedono.

Chi trovasse in casa o da qualche zio una piastra di fascia alta (ripeto, tre testine, Dbx o Dolby B o C) può provare però a ripulire le testine con un cotton fiocc e (poco) alcool, ripulirlo dalla polvere, controllare la velocità, acquistare su eBay cassette vergini di buona qualità, ed usarlo, per registrazioni dal vivo o di altro materiale, e "assaggiare" così la magia dell'analogico.

domenica 15 aprile 2012

Dalla parte delle case discografiche

Ce l'hanno tutti con loro, infaticabili propugnatrici di leggi liberticide che trasformano la libera rete nel mondo del grande fratello. Ma proviamo per un momento a metterci nei loro panni.

Prima che in Internet qualcuno riuscisse a trovare il modo di trasferire la musica, seppur compressa, vivevano molto bene. Il CD, la "perfezione della musica digitale" si era affermato in tutti i segmenti di mercato e garantiva margini molto maggiori rispetto al vecchio vinile, grazie ai costi di produzione e di distribuzione ridotti (e all'abolizione del reso, almeno in Italia). E per i mercati marginali e per l'uso in auto c'era ancora la cassetta con una buona fetta di mercato. I profitti salivano di anno in anno e il mondo era perfetto, sia per le major sia per le indie.

Poi è arrivato l'MP3 e soprattutto il guastafeste Shawn Fanning col suo geniale Napster e il perfetto meccanismo si è rotto. E sono seguiti 10 anni e più di battaglie contro un nemico che si trasformava sempre, una fatica di Sisifo che era anche una lotta per la sopravvivenza, una lotta in cui le case discografiche erano da sole, con soltanto l'occasionale appoggio di qualche governo o di qualche parlamento.

Primo: Educare
Loro, assieme alle case cinematografiche (a volte sono le stesse) ci hanno provato a convincere tutti i cittadini del mondo, a cominciare da quelli dei paesi occidentali che hanno Internet, che copiare un file mp3 o, peggio, ripparlo e metterlo in rete, è come rubare i sofficini al supermercato. Hanno fatto campagne martellanti inserendo spot a toni accesi in tutti i DVD ma a quanto pare non hanno convinto proprio nessuno. Tutti o quasi hanno continuato tranquillamente a copiare e a usare materiale copiato dalla rete. Come dimostra indirettamente il fatto che qualche anno dopo le grandi catene di distribuzione dei DVD a noleggio sono fallite, ad iniziare dal gigante Blockbuster, sconfitte dalla copia via rete, e nel 2012 solo io e pochi altri appassionati dei film in formato non compresso continuano ad andare al Videobuco di Roma, uno dei rari negozi che continuano tenacemente ad offrire cinema di qualità a noleggio a Roma (spero ne esistano altri in altre parti d'Italia).

Gli umanisti e i pragmatici
Pochi umanisti della musica e della rete avevano in effetti a suo tempo cercato di convincere le case discografiche che la rete e addirittura Napster potevano essere un veicolo per far conoscere la musica, però a bassa qualità (compressa) e che chi la apprezzava sarebbe poi passato all'acquisto della musica in formato non compresso, con corredo di libretto e di altri contenuti di valore. Come era avvenuto negli anni '70 con le radio libere in Europa e il boom delle cassette registrate. Che hanno fatto crescere il mercato, invece che deprimerlo.
Le case discografiche, più pragmatiche, non si sono fidate. Effettivamente una legge economica dice che se un bene viene fornito gratuitamente sarà ben difficile in seguito farselo pagare, e a ciò si aggiungeva uno scettiscismo di fondo sull'attenzione alla qualità da parte dei consumatori di musica. Scetticismo tutto sommato comprensibile considerando il livello di qualità musicale dei principali successi che le case discografiche stesse ottenevano.
Il volgo non è interessato alla qualità, era la loro conclusione (forse corretta): è disposto a vedere film compressi con i piedi, con immagini sfocate, audio distorto, persino su videocassette di bassa qualità che si bloccano a metà, basta che tutto sia gratis. 
E lo stesso vale per la musica, d'altra parte cosa dovevao pensare, quando vedevano i giovani che si accontenvaano di ascoltare la musica con cuffiette infraurali senza bassi e con distorsioni ovunque, con suoni generati da codec super-economici?
Che la qualità del suono fosse l'ultimo dei problemi e nessuno sentisse l'esigenza di nulla di meglio dell'MP3. E, coerentemente, hanno iniziato a registrare la musica pop e rock su CD sempre più compressa e incurante della qualità del suono anche loro.

Le maniere forti
Quindi, visto che gli avvertimenti non bastavano. Sono passati alle maniere forti. Cause milionarie con avvocati agguerriti (tanto gli avvocati non hanno nulla da perdere in fatto di popolarità) contro incauti scaricatori o genitori di teen-ager scaricatori, a partire dal paese guida, gli USA, seguendo il classico approccio maoista "colpiscine uno per educarne cento".
I risultati ci sono stati, almeno in USA qualcuno ha preferito non rischiare, e si sono aperti spiragli di mercato per il download digitale legale, che però le case discografiche non hanno visto o non sono riuscite a sfruttare (ci ha pensato invece qualcuno più veloce e attento di loro, un certo Steve Jobs, curando però un particolare da loro trascurato: la qualità).

Sempre più soli
La faccia cattiva non li rendeva certo popolari. E quel che è peggio sono stati abbandonati anche da quelli che teoricamente loro stessi proteggevano. I musicisti, all'inizio, intervenivano, alcuni, non tutti, sulla musica gratuita che avrebbe distrutto la musica e la possibilità di farne ancora, solidarizzando con la battaglia per la legalità portata avanti dalle case discografiche. Ma si sono accorti presto (Bono Vox degli U2 tra i primi, uno che alla popolarità ci tiene) che il loro pubblico interpretava i loro interventi non come difesa della musica o della legalità ma più banalmente dei loro guadagni, guadagni che non tutti consideravano così meritati, vale sempre il sospetto che con un po' di fortuna e buon supporto a quel successo poteva arrivare anche qualsiasi comune mortale . D'altra parte l'esempio lampante dei Maroon 5 confermava ampiamente questo sospetto.
Così avrete notato che gli interventi dei musicisti contro la pirateria si sono rarefatti nel tempo, estorti a volte a interpreti ad inizio carriera o incauti, ma in maggioranza se se ne sono tenuti ben lontani. I pochi che ci hanno creduto, come i Metallica, hanno perso parecchi punti. E quelli più abili, come i Radiohead, non hanno mancato invece di stringere l'occhio ai fan con una distribuzione semi-libera dei loro album.
Ma l'apoteosi (negativa) l'hanno raggiunta con i partiti politici pro-pirati che hanno spopolato e spopolano nel Nord Europa con percentuali di voti che si avvicinano al 10%. A tanto arriva la impopolarità della loro battaglia.


Una fatica di Sisifo
Ricordando dopo oltre 10 anni tutte le tecniche elaborate da un piccolo esercito di programmatori e di imprenditori vagamente pirateschi non si può non rimanere ammirati dell'inesausta opera di contrasto delle case discografiche. Napster l'hanno comprato loro stessi e spento, ma il testimone del P2P è passato subito a WinMx, ma non da solo, a fianco è arrivato anche Kazaa (poi rientrato nell'alveo legale)  e altre iniziative ora dimenticate. Qualcuno ha cominciato a sviluppare sistemi P2P non tracciabili (nei quali non era possibile individuare i server) come Mute, ma non si sono affermati, non ce n'era bisogno, nel frattempo il mulo, eMule, si era dffuso in tutto il mondo con percentuali di utilizzo tali da renderlo inarginabile e alle case discografiche non rimaneva che immettere direttamente in rete materiale falso per proteggere i contenuti più pregiati. Poi, incredibile, sfruttando le pieghe della legislazione internazionale sono arrivati anche i siti russi. Qualcuno ricorda forse AllOfMp3, che vendeva regolarmente musica in rete, addirittua all'inizio in partnership con un sistema di e-Commerce olandese, solo che i prezzi erano un decimo di quelli dei siti legali e anche di quel poco, nulla andava alle case discografiche e ai musicisti. Pare che a metà decennio in UK avessero raggiunto un fatturato analogo a quello di iTunes. Per fermarli non sono stati sufficienti ricorsi e cause in Russia, vincevano sempre loro,  è stato necessario un intervento diretto di Bush con Putin. Poi c'è stata l'iniziativa di Pirate Bay, YouTube nato per "broadcast yourself" e addirittura entrato nell'impero di Google, ma presto diventato un contenitore di musica che, volendo si poteva scaricare (sempre trascurando ogni attenzione alla qualità).

I cyberlockers
Nel frattempo però in Occidente la velocità di rete aumentava di anno in anno, e qualcuno si è accorto che del P2P non ce n'era più bisogno. Non era più necessario rischiare mantenendo nel PC Mbyte o Gbyte di musica e film per essere selezionati come buoni scaricatori. Bastava andare su siti e blog dei soliti volonterosi diffusori di contenuti rippati (un altro dei grandi misteri della rete, migliaia o milioni di persone che, senza ricavarne alcun vantaggio economico, anzi rischiando, mettono contenuti in rete; spinti forse proprio dalla innata antipatia che le major generano) e copiare direttamente i file messi in rete a proprie spese dai suddetti rippatori.

Qui si sono inseriti alcuni intraprendenti imprenditori che hanno individuato un nuovo promettente segmento di mercato legato all'uso indiretto dei diritti di copia. E' vero che molti provider mettevano a disposizione spazio disco gratuitamente, ma non tutti e non per qualsiasi throughput di rete. Con i costi dell'hardware e delle connessoni in calo costante si poteva pensare di fornire un servizio di archiviazione e distribuzione a pagamento a prezzi molto bassi, con spazio illimitato e throughput illimitato. Dove, qui l'idea vincente, lo scarico dei file poteva avvenire sia a pagamento sia gratuitamente. In questo secondo caso, però, con rallentamenti vari scientificamente messi a punto dai gestori per spazientire gli scaricatori e convincerli che qualche euro o dollaro potevano anche investirlo.

Erano nati e si diffondevano a macchia d'olio i cosiddetti cyberlockers, Rapidshare, Megaupload, Fileserve, ecc. Teoricamente servivano per archiviare in rete propri contenuti da chi non utilizzava allo stesso scopo, come farebbe qualsiasi comune mortale, un disco USB. Nella pratica servivano per distribuire album e film interi. Con la novità che ora la musica non doveva neanche più essere in formato compresso lossy, poteva essere anche essere compressa lossless, banda e spazio disco lo consentivano. E, assieme a loro, nascevano i portali che fornivano l'indice del materiale disponibile, opportunamete dislocati in Russia o altri paesi impermeabili o quasi alle majors.

Per parecchio tempo questo canale alternativo è stato ignorato, apparentemente, dalle majors. Molto opportunamente hanno pensato che combattendolo avrebbero fatto pubblicità ad un sistema che la buona parte dei cultori del P2P non conosceva. Personalmente, pur usando ovviamente Internet in modo intenso, ne ho scoperto l'esistenza per caso. Cercando una canzone che avevo sentito su Lifegate Radio (presto un post su questa radio) e che non era presente su YouTube (stranamente) e neanche su iTunes, l'avevo trovata su Amazon scaricabile in MP3 ma, per le solite politiche autolesionistiche delle major, non era vendibile in Italia. Continuando a cercare ecco, grazie a Google che vede tutto e fa vedere tutto, la scoperta del vasto mondo della musica totally free. Più accessibile, ironia della sorte, di quella a pagamento.

Quale sarà il prossimo?
Il segreto però è rimasto per pochi non molto a lungo, e gli impazienti che non si accontentavano di scaricare gratuitamente ma lentamente sono diventati abbastanza numerosi da garantire lauti guadagni ai padroni dei siti specializzati in cyberlocking, e corrispondenti mancati guadagni alle case cinematografiche e discografiche,  e quindi queste hanno agito.
Molto efficacemente, in questo caso, non sugli utenti, ma direttamente sui suddetti padroni, cominciando dal più grosso, in tutti i sensi, il padrone di Megaupload, Kim Schmiz, un tedesco, al quale non è bastato delocalizzare le attività in Nuova Zelanda per evitare arresto e chiusura delle attività
Ora anche gli altri, quelli che sono fortunosamente sopravvissuti, si sono arresi e, dagli ultimi check, la copia gratuita sembra ormai sparita, sostituita da due alternative: registrazione a pagamento o copia a proprio rischio da siti che sembrano proprio essere propalatori di biscottini avvelenati o peggio.
Ignoro se dal pagamento vada qualcosa anche alle case discografiche, penso di no. Penso che siano paghe del fatto che in questo modo i numeri degli scaricatori siano ridotti di diversi ordini di grandezza.

Chiunque sarebbe scoraggiato
Numeri che, se sono veri quelli riportati su Wikipedia, scoraggerebbero qualsiasi combattente, e quindi costringono a guardare nella giusta luce il sito dell'IFPI. Pare che gli utenti nel mondo che si connettevano ogni giorno a Megaupload fossero 50 milioni, 150 milioni gli utenti registrati (i rippatori, quelli che distribuivano il materiale per le legioni degli scaricatori), addirittura, il 4% del traffico mondiale era su Megaupload. E c'erano anche tutti gli altri concorrenti. Un esercito, centinaia di milioni di persone del tutto indifferenti a campagne contro la pirateria, equivalenza con il ladrocinio, rischi che si corrono, PC che si infettano e tutto il resto. Abbacinati come falene solo da un elemento: copiare gratuitamente, non importa a quale livello di qualità e con quali rischi. Un esercito per ora ripiegato ma che, temo, troverà presto un altro sistema.

La qualità
Internet non serve e non serviva per questo, quindi forse dobbiamo essere solidali con le case discografiche e con la loro battaglia. Purtroppo la indiscutibile difficoltà della sfida li porta a puntare su controlli che avrebbero l'effetto indesiderato di bloccare lo sviluppo di Internet, cosa parecchio in contro tendenza con gli interessi economici e gli obiettivi dei paesi occidentali, che difficilmente li sacrificheranno per il futuro della musica, considerando che probabilmente non questo è in gioco, ma soltanto il futuro delle attuali case discografiche.
E trascurando soprattutto, e questa è la cosa che più dispiace, che forse sarebbe proprio la qualità la chiave che potrebbe scompaginare i giochi e far cambiare pagina.

domenica 1 aprile 2012

2011. Un anno di svolta

Un anno di svolta per la industria discografica che, secondo i dati USA raccolti dalla RIAA, che di solito anticipano le tendenze nel resto del mondo sviluppato, ha visto in quest'anno fermarsi il calo dei profitti che continuava da più di dieci anni. Si è registrata addirittura una modesta ripresa (anche se solo dello 0,2%). Soprattutto, il risultato è stato ottenuto grazie alla crescita del mercato digitale della musica, che ha raggiunto in valore quello dei supporti fisici in primo luogo grazie al ritorno dei consumatori di musica al formato album, anche nel digital download. Il comparto dei supporti fisici, quindi del CD, continua a calare, ma in modo meno marcato rispetto agli anni precedenti. Anche qui l'industria può scorgere un segnale positivo: forse si sta arrivando al livello fisiologico proporzionato agli usi e all'età dei consumatori.

A queste evoluzioni del mercato abbiamo dedicato una pagina di analisi su Musica & Memoria. Alcune considerazioni di "scenario" si possono aggiungere ai puri dati di mercato.


Il successore del CD sarà il vinile?
Tra i supporti fisici è l'unico che continua a salire, e anche rapidamente (+34%), con oltre 5,5 milioni di pezzi venduti in USA (nuovi, evidentemente) e un mercato che rimane di nicchia ma che vale ormai il 2% del complessivo.
Per quanto riguarda le case discografiche non c'è dubbio che a questo punto la scelta sul successore del CD sia proprio questa, nel senso che, se un successore proprio ci dovesse essere, sarebbe meglio che fosse il vinile, piuttosto che quei formati digitali ad alta definizione, il SACD e il DVD-Audio, che non hanno mai convinto i discografici perché digitali e quindi fatalmente prima o poi inseribili sui computer e sul giro delle copie illegali, P2P, Torrent o via cyberlocker che siano. Con l'aggravante che i contenuti  sono pure alla massima qualità possibile. D'altra parte non avevano tutti i torti, anche per il SACD, sistema chiuso e super protetto, alla fine il modo di estrarre i preziosi contenuti in HD è stato trovato. E anche qui, come per la Philips a suo tempo con i masterizzatori a basso costo, è stata proprio la Sony a fornire incautamente la chiave con le PlayStation.

Molto meglio il vinile, dove la digitalizzazione richiede tempo e fatica (non mancano quelli che lo fanno lo stesso, ma sono fatalmente di meno) e soprattutto non potrà mai ricreare la splendida confezione cartonata. Certo, potevano pensarci prima.

Il futuro per le case discografiche sembra quindi abbastanza chiaro: la maggior parte dei fatturati derivanti dal digital download, anche grazie al contrasto incessante della pirateria costi quel che costi, il CD che rimane per i mercati meno sviluppati fino a che regge (come le cassette MC a suo tempo) e il rinato vinile per gli appassionati affezionati all'oggetto fisico e disposti a pagare di più.
Altre strade, come cercare di recuperare il valore percepito dei supporti digitale sembra che proprio non interessino.
Lo deduco anche dal fatto che i SACD, che pure continuano ad essere prodotti, almeno nel comparto della classica, per i negozi di dischi sembra siano entrati in clandestinità. Mischiati ai CD negli scaffali della classica, bisogna cercarli uno per uno, eppure avendo lo stesso prezzo e qualità molto superiore, per banale regola del commercio, dovrebbero essere messi in evidenza. E' come se i film in Blu-Ray fossero venduti nella stessa confezione e mischiati ai DVD. Assurdo, ma è così.


I contenuti e il mercato
Un altro sistema banale per sostenere le vendita è (o sarebbe) quello di occuparsi dei contenuti e non solo della confezione o del canale. I biscotti del Mulino Bianco avevano una confezione innovativa, ma erano anche più buoni di quelli della concorrenza.
Guardando un altro dato dell'anno, cioè chi ha venduto di più, sorge spontaneo il dubbio che per le case discografiche il problema dei contenuti non si ponga proprio. Il simpatico ragazzo ritratto nelle immagini sopra è, per esempio, il musicista che ha venduto di gran lunga di più nel 2011. Il dato è quello a livello mondiale per il digital download e incorona per quest'anno Bruno Mars (che da noi non è un granché famoso) come il numero uno. Primo e secondo posto con Just The Way You Are e Grenade e al 10° con The Lazy Song, complessivamente quasi 30 milioni di download, ben più della famosa Lady Gaga. Che comunque è in classifica al 6° posto con 8,2 milioni di download di Born This Way. Non manca neanche Jennifer Lopez che ricicla la lambada con On The Floor. E al 9° posto ci sono addirittura i Maroon 5. E i soliti rapper così amati in USA (LMFAO e Pitbull).

Tutte le canzoni della top-10 sono ovviamente interpretate e prodotte in modo perfetto, ma la creatività latita. Le canzoni di Bruno Mars sono gradevoli, altre citano melodie già note con la scusa del rap e riescono così a raggiungere più facilmente i consumatori.


Guardando però il video del vincente Bruno Mars, appunto quello di Just The Way You Are, appare chiaro che l'investimento massiccio sulla creatività non è stato fatto sulla musica, ma sul contorno, sulla immagine del simpatico ragazzo di origine ispanica cresciuto alle Hawaii, e soprattutto sul video, che è geniale. Senza video sarebbe una canzoncina come tante altre, con il video diventa qualcosa da guardare e da ricordare, e da scaricare.

Questo è il modello per il successo che seguono le case discografiche, non spiazzare i consumatori con novità e creatività, non tanto facili da trovare, comunque, ma puntare a qualcosa che si può comprare, certo non a basso prezzo, ma si può, un video clip che colpisca l'attenzione e imponga il brano.

Una scelta pragmatica e vincente? Non ne sarei così sicuro. Osservando il contatore delle visualizzazioni del video di Bruno Mars, video ufficiale sul canale Vevo associato a YouTube, che è arrivato alla notevole cifra di 223 milioni di visualizzazioni. Uno su venti ha scaricato la canzone pagando, diciannove su venti hanno considerato che quello che interessava era il video e della canzone se ne poteva anche fare a meno. Anche i dieci milioni di download hanno garantito diversi milioni di dollari senza fatica, è vero, ma quale sia la differenza con la promozione via P2P non è tanto chiaro.

E il talento conta ancora qualcosa? Sì, almeno uno nella top-10 ci è arrivato grazie al puro talento, è la cantante inglese Adele, al quinto posto con Rolling In The Deep.