mercoledì 18 febbraio 2015

Tidal, il primo streaming lossless disponibile in Italia, provato

La promessa di Tidal (vedi post precedente) di rendere disponibile il servizio anche per il nostro paese dall'inizio del 2015 ha trovato conferma, e da ieri è possibile sottoscriverlo anche per noi, oltre che per cinque altri nuovi paesi. Si estende quindi il raggio d'azione della compagnia norvegese (Aspiro Music AS è il nome) anche oltre le solite nazioni preferite dalle case discografiche nel campo della musica digitale (USA, UK, Germania ecc.).

Come già descritto nel precedente post, è un servizio solo in streaming e in abbonamento, allo stesso costo di Qobuz (19,99  €/mese) disponibile per tutti e su più piattaforme (desktop via browser, smartphone, tablet, sia IOS sia Android, con app specifiche). A differenza di Qobuz, disponibile da noi solo su richiesta, è disponibile ufficialmente anche in Italia, seppur con interfaccia non nazionalizzata (in inglese). A differenza di Spotify, Deezer, Google Music Unlimited o Sony Unlimited, consente di ascoltare la musica anche in formato non compresso, quindi alla stessa qualità del CD (16 bit e 44.1KHz, ovvero 1411Kbps).

Il funzionamento nella prova che ho voluto fare tempestivamente, nel primo giorno di disponibilità, vista la unicità del servizio per noi, si è dimostrato del tutto soddisfacente, allo stesso livello di funzionalità di Qobuz, con qualche cosa di più sul lato delle playlist e della collaborazione e qualche raffinatezza grafica in più nelle app. La estensione del catalogo, almeno nelle prove fatte (parziali come sempre) è risultata meno ampia di quello del servizio streaming francese, per quanto riguarda la produzione più recente alternative, new jazz e world (il test come sempre lo faccio su musicisti meno conosciuti, per renderlo un minimo più significativo).

Il test
Il funzionamento è molto simile agli altri servizi già provati, non servono spiegazioni particolari e quindi vediamolo semplicemente videata per videata.

La schermata di benvenuto propone anche una semplice profilazione sui gusti, probabilmente per guidare poi i suggerimenti sulle novità e sulle playlist "della casa".


Le piattaforme disponibili. Come si vede il test era su un desktop.


Nella stessa videata sono elencati i partner di Tidal, ovvero i produttori di componenti hardware (music server, network player, lettori) che includono la licenza d'uso per tutti i paesi e un tot di mesi di servizio gratuito (es. 2 per la Linn).


La prima schermata propone articoli monografici, playlist pronte all'uso preparate e proposte da Tidal e album novità. Al primo accesso viene mostrata (vedi il pop-up) una mini guida sull'interfaccia e sulle funzionalità.


Tra le varie possibilità la tracklist "integrata" nella stessa schermata generale.


In ambienti condivisi i servizi streaming potrebbero essere bloccati dal firewall per ridurre il traffico. E' abbastanza comune per Spotify e a quanto pare anche Tidal viene "riconosciuto" (Qobuz no).


I settaggi previsti. La qualità lossless, FLAC 1411Kbps, è il default.



Il catalogo
Solito test con artisti meno noti, ma partendo da una serie di album che su Qobuz, per fare un confronto significativo, ci sono. Cominciamo da Youn Sun Nah, la brava cantante coreana di jazz (molto) moderno. Disponibilità inferiore a Qobuz, solo un paio di album più vecchi. Nuova casa discografica non in partnership con Tidal, evidentemente.


 Gli altri test. Ci sono:
  • Chris Connor (album 1955)
  • Max De Aloe - Borderline
  • Junior Wells
  • The Decemberists (più album che su Qobuz)
  • Baxter Dury - It's A Pleasure (nuovo album)
  • Amy Winehosuse (un tempo non c'era neanche su Spotify, su Qobuz neanche)
  • Kenny Barron & Dave Holland
  • Paolo Fresu - Desertico (ma pochissimi altri album)
Non ci sono:
  • Ultimi due di Youn Sun Nah
  • Amira Medujanin (world)
  • Michal Wolly (jazz DE)
Preciso che sono quasi tutti album recensiti sugli ultimi numeri di Audio Review, per chi ne volesse sapere di più (in diversi casi vale la pena). In sintesi il catalogo appare abbastanza fornito anche se non al livello dell'enciclopedico Spotify.

La app per iPhone
Interfaccia elegante e ben fatta. Non ha dato problemi nel test (ed era un iPhone 4 aggiornato all'ultima versione di IOS) mentre alcuni ne hanno riportati (app piantata).
La presentazione della app ripete la stessa grafica "headphone oriented".


Nei settaggi bisogna autorizzare esplicitamente lo streaming e il download anche in funzionamento 3G o 4G (per evitare di consumare tutto il traffico mensile)

 

Anche in questo caso si apre una finestra (con meno informazioni, per ovvie ragioni) sulle novità o sulle playlist, dalla quale si può continuare l'esplorazione. Oppure usare la solita funzione di ricerca, in alto a destra.


Oppure le playlist pronte all'uso, organizzate anche per "sentiment" (relax, party, ecc.).


Il solito menu per impostare i parametri di utilizzo. Importante quello che abilita allo streaming anche in mobilità. Il livello chiamato HiFì è la qualità CD in FLAC, ovvero il famoso lossless, qui indicato in termini meno tecnici.


Dopodiché si può selezionare qualcosa da sentire, ad esempio un album di qualche anno fa della cantante coreana (ma attiva soprattutto in Francia) Youn Sun Nah già citata prima. Il player funziona anche in orizzontale e ha un interfaccia gradevole che ricorda il classico iPod (con il quale tutto più o meno cominciò).



La app per iPad
Vediamo qualche altra funzione con la app per il più performante (come schermo) tablet della Apple.
La videata iniziale ripropone ovviamente lo stesso "family feeling".


La videta What's New è più ampia e contiene più informazioni, come è logico.


Anche la selezione per genere è sviluppata graficamente in modo molto gradevole. Da notare il player "minimizzato" nella parte inferiore e sempre presente, una scelta comune anche alla app per iPhone.


Qui vediamo una delle peculiarità e novità di Tidal, i contenuti editoriali speciali. dedicati in questo caso a una reissue di Steve Earle. 


Ecco come inizia la scheda, che è corredata anche da contenuti multimediali.


Stessa ricchezza di informazioni anche per il nuovo album di Diana Krall, una musicista che, come avranno capito ormai i visitatori di questo blog, in queste recensioni per un motivo o per l'altro non manca mai.


Il player è analogo e qui si mostra proprio in grande. Da notare in basso a destra l'indicatore di qualità. che in questo caso, naturalmente, è impostato alla massima.


Nella ricerca per artista viene mostrata una scheda che comprende anche una biografia piuttosto ampia, più l'elenco degli album disponibili, le canzoni più note e gli artisti similari. Tutto simile a Spotify o Qobuz. Questa ad esempio è la scheda della cantautrice St. Vincent.


Il plus rispetto agli altri servizi è (o sarebbe) la disponibilità anche di video dell'artista, in alta qualità. Non è però un punto di forza come sembrerebbe; i video non sempre sono presenti pur se esistono (niente, ad esempio, per i Sigur Ros che hanno invece prodotto videoclip notevoli), spesso sono in bassa qualità e non molto significativi della loro carriera. Quello che segue è  un fotogramma dall'unico video di St. Vincent (l'immagine come si nota non è migliorata, è come visibile sull'iPad).


Test nell'uso in mobilità
Come sempre concludo con un semplice test di utilizzo in mobilità, visto che lo streaming tramite app si presume sia l'uso primario per questo, come per gli altri servizi concorrenti. Il test è in condizioni difficili come le altre volte, quindi in auto, in 3G, con un iPhone 4 e gestore Telecom Italia, zona Roma semi-periferia e centro, ore 19.00 di un giorno feriale, passaggi in tangenziale e quindi anche a velocità abbastanza elevata, per un tragitto di circa 30'.



Ho selezionato per l'ascolto una delle novità proposte, l'album appena uscito della musicista norvegese a Susanne Sundfor e devo dire che il test è andato molto bene, ascolto fluido con solo due brevissime interruzioni, di cui una in galleria. E ricordo che il flusso è appunto 1411Kbps, per l'ascolto sono stati scaricati oltre 150MB. Non sempre le cose sono andate così, anche con servizi lossy come Spotify.
Questi test ovviamente sono più dipendenti dalla stabilità e dalle prestazioni della rete che dalle prestazioni dei server dei fornitori del servizio, e quindi più che un test in senso stretto il test deve essere considerato una testimonianza.  Comunque positiva. In ogni caso anche per non consumare tutto il traffico disponibile, per chi non ha abbonamenti flat o con limiti molto alti, l'uso prevalente in mobilità sarà su materiale pre scaricato in wi-fi.

In sintesi
Un servizio che funziona complessivamente bene, pochi rilievi trascurabili, l'unico da approfondire col tempo (e magari con qualche testimonianza dei visitatori) è la effettiva ampiezza del catalogo. A parte questo, il giudizio complessivo positivo, considerando poi che è anche l'unico con queste caratteristiche.

domenica 8 febbraio 2015

Il punto sul DSD

Si continua a registrare un forte interesse sul formato di trasformazione del suono digitale a 1 bit, ovvero il DSD (Direct Stream Digital) a cui abbiamo dedicato un post qualche tempo fa.
Provo a fare il punto dopo qualche mese, prendendo in esame l'offerta di materiale musicale in questo formato, la discussione in corso sui vantaggi ipotetici o reali e sulle criticità evidenziate, soprattutto da chi non ritiene che vantaggi ci siano, e la possibilità pratica di passare del tutto o in parte al nuovo standard, ovvero la offerta di componenti hardware.

L'offerta di musica in DSD
Ognuno la può verificare autonomamente sul portale FindHD Music dove (indicatore evidente di interesse) è previsto proprio un flag apposito per selezionare solo il materiale disponibile in DSD (e con varia risoluzione). In più ci sono i siti specializzati, come Blue Coast Records o Native DSD Music. La newsletter di Blue Coast Records invia periodicamente  l'elenco delle ultime novità, molte ormai anche in DSD128, con periodicità sempre più ravvicinata. Inoltre il claim afferma con soddisfazione che oltre 49.000, e in continua crescita, sono gli utenti della NL in tutto il mondo.


Quindi materiale c'è, ma siamo ancora, per la produzione nuova, nel campo della produzione per audiofili, ad interpreti o autori probabilmente bravissimi ma in genere sconosciuti anche a chi di musica si interessa da anni e in vari campi. Per il materiale a catalogo c'è qualcosa di più, ma sembra di tornare ai primi tempi dell'HD, pochi autori e pochissimi titoli. Grazie a Find HD Music è possibile fare una verifica veloce delle disponibilità (senza far caso al paese) e la situazione, limitandoci al mondo cantautoriale e al canto jazz, è questa, per i classici:
  • Bob Dylan: 21 HD / 15 DSD
  • James Taylor: 9 HD / 1 DSD
  • Diana Krall: 11 HD / 5 DSD
  • Holly Cole: 6 HD / 5 DSD
  • Joni Mitchell: 13 HD / 0 DSD
Venendo a qualcosa di più recente (almeno come inizio attività):
  • Norah Jones: 8 HD / 6 DSD
  • Natalie Merchant: 2 HD / 0 DSD
  • Jonathan Wilson: 1 HD / 0 DSD
  • Feist: 1 HD / 0 DSD
  • Mumford & Sons: 1 HD / 0 DSD
  • Sharon Van Etten: nulla
  • Lucinda Williams: nulla
Come si vede da questa ricerca a campione per i musicisti che avevano già una presenza di titoli in HD (e ancora prima in SACD, come nel caso di Dylan) è in corso la estensione anche a DSD, mentre rimane molto limitata (o assente) l'offerta per la grande maggioranza delle nuove leve o per generi meno "adult oriented", confermando la sostanziale azione di freno delle case discografiche, discussa nel post precedente.

Resta poi da vedere come siano state prodotte queste versioni in DSD e se possano essere effettivamente considerate conformi allo standard, ma su questo tornerò dopo. Da segnalare infine il prezzo: a conferma della legge della domanda e dell'offerta (e della consistente domanda) il prezzo richiesto è sempre superiore: 24,98 $ (su AcousticSound, che ha la maggiore disponibilità per il DSD) contro un equivalente in PCM di 17,50 $ o € (attualmente il cambio è simile) sugli altri siti.

Gli album DSD "made in PS3"
Naturalmente a questa produzione ufficiale si aggiunge la produzione non ufficiale proveniente dalla conversione di album SACD grazie alla famosa versione 3 della Playstation, che consentiva senza difficoltà eccessiva di trasferire su file audio il contenuto in HD. Un numero imprecisato di appassionati si è dedicato a questa attività e per motivi come al solito non comprensibili, ha diffuso sul web il risultato di queste operazioni, senza ricavarne nella quasi totalità dei casi alcun lucro per sé. Ma dando invece questa opportunità a siti di solito russi che aprono e chiudono periodicamente, e che sconsiglio vivamente di frequentare, se anche li trovate, in considerazione della quasi certezza di trovarsi il PC popolato da spyware e malware.

Il materiale in questo caso (e a questo prezzo) è più numeroso e soprattutto gratuito o quasi, ma occorre sempre considerare che si tratta di un catalogo comunque molto limitato (la produzione in SACD è sempre stata molto scarsa e boicottata dalle major), non recente (almeno dal 2009-2010 le major non pubblicano più SACD e rimane solo una piccola produzione da etichette di classica indipendenti) e che, infine, in molti casi si tratta di upsampling di master registrati a suo tempo in "media definizione".

I vantaggi del DSD per quello che abbiamo già in casa
La criticità nelle carenze del catalogo (e nel costo) potrebbe però passare in secondo piano se quello che si cerca è un sistema per migliorare il suono dei CD che abbiamo già (e che magari sono migliaia). Secondo molte testimonianze la conversione "al volo" in DSD direttamente nel player e il passaggio a un DAC che lavora in DSD consente di migliorare l'ascolto dei CD, eliminando le asprezze e la conseguente fatica di ascolto che a volte si rileva per questo ormai storico formato digitale.

Il risultato apparentemente miracoloso non dipenderebbe da una sorta di equalizzazione impropria, come quella che alcuni affermano di apprezzare ascoltando in vinile materiale registrato all'origine in digitale, ma di un vero e proprio fatto tecnico. In questo modo infatti si elimina la necessità di filtraggio digitale anti-alias, che nello standard CD deve essere effettuata a ridosso della banda audio, a causa della famosa frequenza di campionamento limitata a 44.1KHz (dagli standard 48KHz) per far rientrare la 9° di Beethoven in un solo CD (pare proprio che la storia sia vera), e che rappresenta un elemento critico del formato. Il formato DSD nasceva proprio per superare anche questo problema. Non ho al momento la possibilità di provare e quindi testimoniare su questo ipotetico miglioramento (da isolare sempre dagli altri elementi della catena) e quindi mi limito a riportare quanto scrive il noto esperto del settore Marco Benedetti su Audio Review 359 di questo mese, confermando il beneficio all'ascolto, ma solo per la conversione 44.1KHz > DSD64.

Per chi è interessato a questo tipo di vantaggio del DSD le cose sono abbastanza semplici, deve solo dotarsi di un valido DAC che supporta il formato DSD, oltre che di un player come Audirvana o lo stesso Foobar2000 che possa fare la conversione di formato. Per l'acquisto di materiale in HD può anche continuare a preferire il materiale più diffuso e più economico in PCM, lì problemi di filtraggio non ci sono e la esistenza di differenze udibili è tutta da dimostrare.

Il formato DSD puro
Cercando le differenze e gli eventuali vantaggi all'ascolto del DSD si incontrano le criticità (e le critiche) legate a questo formato. La prima riguarda il dubbio se quello che si acquista sia DSD puro, ovvero se è stato registrato, mixato, editato, convertito sul master finale e poi distribuito sempre in DSD. Nella convinzione diffusa che il passaggio a/da componenti digitali operanti in multibit, ovvero in PCM e la conseguente necessità di conversione da un formato all'altro, introducano un degrado e facciano perdere i vantaggi del "miracoloso suono del DSD".
Ma è veramente così? Nel mondo digitale le conversioni e manipolazioni non sono regolate da algoritmi matematici, e quindi deterministiche?
Per cercare di dare una risposta serve un minimo di approfondimento tecnico, a cui sono dedicati due paragrafi successivi. Che si possono anche saltare e passare alle sezioni successivi su DAC e network player "DSD ready", se ci bastano le conclusioni: 1) la conversione da DSD a PCM e viceversa non è semplice né deterministica e può influire sul risultato finale; 2) un file audio tutto DSD "end-to-end", dalla ripresa alla distribuzione via web, è merce rara e soprattutto quasi mai questa caratteristica è documentata e garantita.



Le basi del DSD e della conversione a 1-bit
Prima di tentare una risposta riepiloghiamo brevemente (con qualche dettaglio in più rispetto all'articolo precedente, e scusando preventivamente per l'eventuale eccesso di sintesi) le motivazioni alla base della conversione a 1 bit. Nasce essenzialmente da due esigenze / opportunità: la tecnica di conversione utilizzata si dagli inizi della storia del CD, chiamata sigma-delta e le necessità del missaggio digitale multi-traccia. La tecnica sigma-delta può funzionare anche con un solo bit, e utilizza in parallelo 16 convertitori combinando poi il risultato della conversione, il problema è che con la frequenza scelta per il CD (44.1KHz = 22.05KHz di frequenza audio massima gestibile per il teorema di Nyquist) richiede di posizionare il filtraggio digitale in prossimità dei limiti della banda audio con gli effetti collaterali indesiderati già citati. Aumentando (di 64 volte) la frequenza del singolo convertitore ad 1 bit si ottiene la stessa risoluzione dei 16 convertitori elementari in parallelo, eliminando però il problema del filtraggio. La stessa tecnica era peraltro già utilizzata per memorizzare le singole tracce nei primi mixer digitali, eliminando i problemi derivanti dai filtraggi successivi.

Pro e contro del DSD
Quindi da questa semplificata e spero non troppo lacunosa spiegazione si possono dedurre i pro e i contro del formato, secondo entusiasti e critici. Pro: una soluzione brillante e semplice, la soluzione più semplice e che richiede meno passaggi è sempre la migliore. Contro: una soluzione legata ad un'epoca ormai passata in cui la potenza di calcolo non era sufficiente per realizzare efficienti convertitori multi-bit; ora questo è possibile senza problemi e non c'è motivo per usare tecnologie semplici sì, ma limitanti sulle ulteriori ed inedite possibilità offerte dal digitale. Dove la limitazione principale è nella elaborazione in digitale del segnale, quindi filtraggio (cross-over digitale), correzione di ambiente (equalizzazione) e così via. La seconda criticità è quella accennata sulle elaborazioni e conversioni che può o deve subire la registrazione originale in digitale.

La elaborazione della registrazione
Nel caso specifico, tolti i casi rari di percorso diretto dalla registrazione al master digitale, quindi registrazioni di soli strumenti acustici e voce con i classici due microfoni a Y e nessuna post-elaborazione (esistevano anche ai tempi del vinile, si chiamavano direct-to-disc, preziose e ambite registrazioni), anche solo quando i microfoni sono tre o più, e ovviamente per gli strumenti elettronici, serve al minimo un missaggio e in genera anche operazioni più complesse di editing.
Non sarebbe un problema, se il banco di missaggio ed editing fosse in DSD e tutti gli altri componenti eventualmente necessari pure. Così non è in molti casi e quindi per utilizzare banchi in tecnologia PCM si procede a conversioni in questo formato, e riconversione finale in DSD. Il problema è che la tecnica di registrazione non è praticamente mai documentata (non lo era neanche ai tempi dell'analogico) e che può essere anche diversa per varie edizioni della stessa registrazione originale, come sappiamo dalle molte uscite con remastering di classici vari del rock e del jazz e anche della classica. Una buona probabilità che siano usati componenti non allineati esiste, e dipende da un lato dal loro costo (e i primi erano a 20 bit / 48KHz) e dall'altro dalla continua rincorsa sulle prestazioni (che arrivano ora, e non si quanto serva in musica, a 32 bit / 384KHz e DSD512).

La conversione PCM <-> DSD
Il problema è che non è come la conversione da un formato non compresso ad un formato compresso lossless, da WAVa Flac ad esempio. Questo tipo di conversione lavora sul file audio, la rappresentazione in digitale di un insieme di suoni analogici, riducendo la dimensione del file audio eliminando le ridondanze (ad esempio le sequenze di byte uguali) e ricreandole in riconversione. L'algoritmo di conversione in questo caso è deterministico, teoricamente perfetto. Se differenze nella doppia conversione ci fossero, sarebbero da imputare a momentanei errori nell'hardware o a errori nella implementazione in software dell'algoritmo. Eventi assai improbabili su implementazioni così diffuse e stabilizzate. Per fare un esempio con qualcosa che tutti conoscono, è come la creazione di un file zip da un documento Word, una volta "unzippato" ritroveremo tutto quello che c'era nel documento originario.

Nel passaggio da PCM a DSD e viceversa invece si deve cambiare proprio il modo con il quale è rappresentato nel dominio digitale l'evento analogico originale (la musica). Per cominciare la tecnica di campionamento, e a seguire le tecniche di modellazione del rumore residuo (noise shaping) e di filtraggio digitale delle spurie. Tutte azioni che dipendono dalla progettazione dei convertitori, dalle scelte progettuali seguite nella loro realizzazione e anche dalle scelte in fase di digitalizzazione. Sempre per fare un esempio informatico, un po' più forzato ma credo efficace, è come la conversione del file word da Word di Microsoft all'equivalente di Open Office, da formato .doc a .odt. Tutto si ritrova di solito, ma l'aspetto delle liste, degli indici e di altre funzioni un po' meno banali potrebbe essere diverso (e spesso lo è). Perché cambia il modo di rappresentarle.

Al di la' dei paragoni e della teoria un recente ed ampio test effettuato dalla rivista Audio Review (n. 358 di dicembre 2014) fornisce una conferma, che va oltre anche quanto ci si aspetterebbe. hanno effettuato prove di conversione in DSD partendo da toni di prova in PCM 32/176.4 utilizzando vari software di conversione utilizzati in ambito professionale per realizzare i master DSD (Weiss, Philips, Korg, oltre che quello di Jriver) e analizzando le caratteristiche dei file audio finali. Trovando tra loro molte differenze sia come risoluzione integrale effettiva, dinamica (come differenza dal rumore audio di fondo) e rumore in banda audio, ultrasonica e totale. Anche se poi le impressioni di ascolto (pubblicate nel successivo numero 359) mostrano che le differenza all'ascolto non sono facilmente percepibili e comunque non eclatanti. Ma chi è interessato al DSD perché punta al massimo in campo digitale ha una conferma della fondamentale importanza che ha la tecnica di produzione del master.

I DAC per il DSD
L'offerta di DAC era esplosa negli ultimi 2-3 anni con modelli di ogni prezzo e prestazioni sempre più elevate, anche nella fascia più bassa, poi è arrivato il DSD e li ha fatti invecchiare quasi tutti. I nuovi modelli in grado di trattare in modo nativo questo formato, e quindi anche fare il miracolo di migliorare il CD citato prima, stanno arrivando, con in evidenza la Korg (nota casa di strumenti digitali e anche di registratori e altri accessori audio) e la iFI, una divisione di una casa di apparecchi high-end inglese (AMR: Abbingdon Music Research). Che ha presentato un DAC (premiato dall'Eisa) super compatto, chiamato Nano iDSD, che a 200 € supporta anche il DSD256, affiancato da un  modello superiore (500 €) Mini iDSDS, che arriva al per ora teorico (zero software o quasi) DSD512. Prestazioni raggiunte con loro implementazioni firmware sui noti componenti integrati adottati, a quanto pare. Sono stati provati entrambi sempre da AR con giudizi complessivamente positivi, anche se con qualche appunto. Alla spicciolata arrivano altri fornitori, tra cui la italiana M2Tech con il loro DAC che si chiama ora significativamente Young DSD, anche se non si assiste ancora ad una proliferazione di modelli, soprattutto in fascia bassa.

iFI Nano iDSD

I network player compatibili DSD
Ovviamente i modelli storici, come gli all-in-1 della Olive, il Marantz NA7004 o lo Stream Magic 6 della Cambridge Audio non prevedevano il DSD e quindi da un certo punto di vista possono essere considerati obsoleti sotto questo aspetto. Ma a differenza di quanto avviene per gli apparecchi TV con l'HD, il 3D o il 4K, non tutti i produttori concordano sulla superiorità del nuovo standard. In particolare i produttori inglesi che attualmente sono i leader nel mercato (Cambridge Audio, Naim, Linn) almeno come prestigio e seguito (come numero sono sicuramente i prodotti orientali) non hanno a listino alcun modello e al momento alcun piano di aggiungere al DAC interno la possibilità di convertire in DSD in modo nativo. Anzi a quanto sembra non sono neanche in grado di "incapsulare" il formato DSD (conversione DoP, vedi articolo precedente) e quindi di gestire materiale DSD non convertito preliminarmente. Soprattutto Linn, il produttore high-end probabilmente più attivo nel settore della musica digitale, ha espresso una posizione molto critica su questo nuovo formato, che considera di nessuna utilità. Mentre altri, come Marantz o Sony hanno introdotti modelli compatibili anche con software audio DSD, come il Marantz NA8005.


La posizione della Linn
La Linn è lo storico produttore scozzese noto per prodotti come il giradischi top LP-12 che tra i primi ha creduto al digitale HD e alla evoluzione del classico impianto Hi-Fi abbandonando il CD già da molti anni (dal 2007). Uno dei primi produttori del settore (nella fascia alta) e ben posizionato anche nell'HT (poco diffuso da noi, ma prevalente in USA). La posizione di questo produttore ha quindi un certo peso ed è ancora ferma ad un totale disinteresse per il DSD. Ne ho avuto conferma diretta dai loro rappresentanti anche in occasione della presentazione delle soluzioni streaming e del loro nuovo sistema tutto digitale Linn Exact, molto interessante, di cui conto di riferire a breve qui.

In sostanza la critica di Linn si basa su due considerazioni:
1) La soluzione DSD aveva senso quando la tecnologia digitale non consentiva di produrre DAC multibit di prestazioni adeguate, ora non ha più senso perché non offre alcun vantaggio rispetto ad uno standard affermato e che comunque può essere incrementato come prestazioni a piacere, qualora se ne ravvisasse la necessità;
2) Operare ad 1 bit rende complesse e in alcuni casi non possibili operazioni di elaborazione del segnale nel dominio digitale, trasferendole dall'analogico e ottenendo così prestazioni e funzionalità superiori. Operazioni come il filtraggio in frequenza, la equalizzazione dei livelli, la correzione dell'acustica ambientale e così via.

Linn Akurate DSM

"Ma io ho ascoltato il DSD e suona splendidamente!"
Così affermano e testimoniano in molti. Ed effettivamente il materiale in DSD che si può acquistare o in alcuni casi ascoltare in demo dai siti specializzati come Native DSD Music o Blue Coast Records suona molto bene. Anche con DAC che DSD non sono, come il mio. Il fatto è che sono in genere registrati per suonare al meglio all'origine, con poca o nulla post elaborazione, attento posizionamento dei microfoni (spesso sono registrazioni solo acustiche, folk, jazz, country, classica) grande attenzione alla qualità. In una parola produzione "audiofila". Fa più differenza una registrazione e un mastering accurato che la risoluzione adottata, come noto. Ma il catalogo è quello che ci si aspetta dalla produzione audiofila, quindi interpreti meno conosciuti o sconosciuti proprio, come la mitica cantante brasiliana della Chesky Ana Caram che in Brasile però nessuno conosce (come ho verificato di persona a suo tempo con amici brasiliani). Per avere una idea inserisco in fondo all'articolo la top-10 di jazz 2014 di Native DSD Music. E quindi qualità artistica incognita, a parte la classica dove casomai il dubbio è sulla qualità della interpretazione. All'appassionato di musica e alta fedeltà rimane la solita alternativa, se sceglie il DSD ora, tra ascoltare buona musica o ascoltare buon suono. Si vorrebbe avere però entrambe le cose.

Tirando le somme
Siamo, come sempre nella vita e nella società in una fase di transizione, verso dove però non è tanto chiaro al momento. Dagli elementi forniti nell'articolo si possono trarre alcune considerazioni:
  • chi è già passato all'HD ed è interessato maggiormente alla musica e quindi al catalogo, può rimandare gli upgrade necessari all'affermazione, ancora ipotetica, del DSD; il vantaggio è tutto da verificare, molto dipende dalla registrazione e dalla produzione, e il PCM garantisce già standard di qualità elevata con un catalogo in continua espansione e costi inferiori;
  • chi ha un'ampia discoteca in CD può verificare se i presunti effetti di miglioramento ci siano o meno; non comprando a scatola chiusa un nuovo DAC ma provandolo e confrontandolo prima, possibilmente a casa propria e non con ascolti volanti e materiale che non conosce bene; dopodiché può anche fare questo passo, se ha un impianto basato su DAC, i primi gradini non sono affatto costosi;
  • chi ha già investito in un network player o un DAC di qualità (non DSD) deve a maggior ragione valutare bene l'upgrade; in alcuni casi, come abbiamo visto, vorrebbe dire cambiare fornitore e quindi impostazione sonora; se è gradita il passo è da ponderare e, a mio parere, da rinviare mantenendo un approccio wait and see;
  • chi sta pensando ad un nuovo network player fatalmente sarà tentato di preferire un modello e un fornitore che fornisce anche questa opzione, per lasciare aperte tutte le porte, e lo stesso vale per chi punta a un DAC di fascia alta; anche qui, sempre a mio opinabile parere, conviene evitare di preoccuparsi troppo ed evitare lo stallo tipico dell'acquirente dei TV che aspetta il full HD quando c'è solo l'HD ready e poi il 4K quando c'è l'HD e rimane ancora con il suo vecchio monitor LCD di 10 anni fa;
  • chi sta pensando ad un network player delle rinomate marche inglesi Linn o Naim non ha alcun problema: segue le loro scelte, anche perché (soprattutto per Linn) sono sistemi che tendono ad essere integrati e dubito che se ne pentirà; non perché siano il non plus ultra, che non esiste, ma perché garantiscono comunque una elevata qualità di ascolto (e lo devono fare, visto i prezzi);
  • mettere al centro la musica ed evitare di dare troppa importanza alla innovazione tecnologica del momento rimane la priorità; quindi la qualità artistica di quello che si ascolta, e anche il piacere di ascolto in base ai propri gusti personali, dovrebbero venire al primo posto; non mancando di considerare anche che, a meno di impianti veramente al top, incrementi anche maggiori di qualità nella riproduzione della musica si possono ottenere intervenendo sui diffusori e sull'amplificazione.

Appendice: il catalogo Native DSD Music
La Top-10 di jazz del 2014:
No. 1
Jazz at the Pawnshop (1976)
Egil Johansen, Bengt Halberg, Lars Erstand, Georg Riedel and Arne Domnerus
Naxos-2xHD

No. 2
Sophisticated Lady Jazz Quartet - Volume 1 (2014)
Sophisticated Lady Quartet
Yarlung Records

No. 3
Natural Jazz Recordings (2013)
Various Artists - Compilation
Fonè Jazz

No. 4
Easy to Love (2010)
Kate Mc Garry, Paul Kreibich and Karen Hammack
Fonè Jazz

No. 5
Sophisticated Lady Jazz Quartet - Volume 2 (2014)
Sophisticated Lady Quartet
Yarlung Records

No. 6
Simpler Times Vol. 1 (2013)
Sophisticated Lady Quartet
Yarlung Records

No. 7
In Summer (2004)
Paulien van Schaik, Hein van de Geyn and Bert Joris
Challenge Jazz

No. 8
Who Cares? (2014)
Scott Hamilton and Andrea Pozza
Fonè Jazz

No. 9
Smoke & Mirrors - Vanish (2013)
Smoke and Mirrors Percussion Ensemble
Yarlung Records

No. 10
Live Ad Alcatraz (2014)
Fausto Mesolella
Fonè Jazz