venerdì 27 agosto 2010

La soluzione All-In-1 per il multicanale

C'è chi è appassionato di cinema in casa e vuole godere dei film più spettacolari investendo in impianti home theater (HT). Magari perché abita lontano dai cinema dotati di validi impianti, è disposto ad attrezzare uno dei locali della sua abitazione (necessariamente ampio) con uno schermo gigante, magari asservito a un proiettore DLP, per ottenere le migliori prestazioni possibili (ma poi servirà un normale televisore per vedere i TG o i quiz serali) e soprattutto, e qui viene il nostro interesse, con un impianto audio in grado di riprodurre gli effetti sonori presenti in molti film.
Un impianto quindi al minimo composto da 5 canali, 3 frontali e 2 laterali-posteriori, più un subwoofer per estendere la risposta sui bassi.
La colonna sonora di un film moderno può richiedere una grande estensione verso la bassa frequenza per riprodurre alcuni momenti emozionanti (esplosioni, elicotteri che atterrano, tirannosauri che si avvicinano minacciosi  facendo tremare il suolo con le enormi zampe). I 5 diffusori (ma possono essere anche 7, con 2 posteriori) possono immergere lo spettatore nella situazione cinematografica, come nella battaglia nel bosco sugli scooter volanti nel terzo episodio della prima saga di "Guerre stellari".


Cosa ha a che fare tutto questo con il realismo nella riproduzione sonora e a quanti film si applica?
Nel cinema la colonna sonora può essere utilizzata per ottenere il massimo realismo possibile (passi che arrivano minacciosi alle spalle, suoni della natura, rumori del traffico e simili) o essere un puro supporto emozionale. Che è il compito lasciato in genere alla musica. Se una scena con i due protagonisti che si incontrano finalmente su una spiaggia solitaria al tramonto è accompagnata da una musica romantica, di realismo ce n'è ben poco. E' improbabile che sulla suddetta spiaggia sia presente una orchestra d'archi, quindi è ben difficile avere un punto di riferimento per una riproduzione fedele. Altra considerazione vale per il genere cinematografico. Non tutti i film, anzi relativamente pochi, usano gli effetti possibili con il multicanale al fine di aumentare il coinvolgimento emotivo. Le commedie sentimentali, i film brillanti, i film impegnati puntano essenzialmente sui dialoghi. Di conseguenza all'impianto di riproduzione sonora serve soprattutto, in questo caso, una eccellente sezione medi, con riconoscibilità delle voci la migliore possibile.

Cosa possiamo ricavare da tutte queste considerazioni?
Possiamo ricavare che si tratta di esigenze diverse, e che un impianto unificato comporta inevitabilmente alcuni compromessi:> un impianto audio per sole esigenze di riproduzione delle colonne sonore (HT) è più complesso ma meno critico (come livello di qualità) di un impianto per ascoltare la musica; d'altronde è logico: per trasmettere le informazioni sono a disposizione qui anche le immagini;
> un impianto HT può essere però (se il proprietario è disposto a spendere) dello stesso livello di qualità di un ottimo impianto stereo, esistono infatti soluzioni di alto livello proposte da rinomati costruttori come B&W, Martin Logan o Sonus Faber, per rimanere solo tra i diffusori, o MacIntosh o Krell o molti altri per le elettroniche.
> anche un impianto stereo di qualità può però riprodurre in modo eccellente una colonna sonora per la maggior parte dei film, basta che abbia una buona estensione verso i bassi e una buona dinamica e che sia correttamente installato per una stabile immagine centrale; rimangono esclusi gli effetti sonori laterali e posteriori,  che sono usati però solo in un ridotto numero di film d'azione o spettacolari, e la possibilità, fornita dal canale centrale, di percepire i dialoghi come provenienti dallo schermo anche per spettatori in posizione angolata (una situazione meno comune in casa);
> a parità di qualità un impianto stereo costerà sempre da metà a un terzo di un impianto HT
> la produzione musicale registrata e distribuita in multicanale è al momento molto ridotta, e in grande maggioranza rappresentata da musica classica o colta, e non costituisce al momento (se mai lo costituirà, dedicherò il post successivo a quest'altro aspetto) una motivazione sufficiente per passare, avendo come obiettivo primario la musica, da un impianto stereo ad uno a 5+1 vie.


In sintesi
Possiamo quindi concludere, tentando una sintesi, che una soluzione all-in-1 multicanale da utilizzare sia per il cinema in casa sia per la musica, pur se praticabile (avendo disponibilità di spazio e soldi) non costituisce una soluzione ideale, né per costo, né per risultato.
Molto meglio, per chi può e non ha problemi di spazio, pensare a due impianti separati in due locali separati, uno dedicato all'HT, un settore nel quale si può raggiungere un risultato soddisfacente in una abitazione di caratteristiche standard, anche con impianti di medio livello e un altro alla musica, al miglior livello di qualità raggiungibile con il budget a disposizione.
E' probabile anzi che due impianti separati abbiano alla fine un costo inferiore a quello di un impianto unico di caratteristiche comparabili (vedi il precedente post su prodotti e costi).

Una soluzione di compromesso può essere impostata sul video come componente aggiuntivo di un ottimo impianto stereo, magari integrato da un buon subwoofer attivo. 
Nella grandissima maggioranza dei casi, per una visione casalinga e in famiglia si avrà un audio del tutto adeguato, se non superiore rispetto ad un impianto HT, adatto per riprodurre in modo efficace il sonoro della grandissima maggioranza  dei film.
Come accennavo in precedenza, verranno a mancare soltanto il forte impatto sui bassi (ma non è detto, dipende dall'impianto stereo) e gli effetti sonori laterali e posteriori, che riguardano solo i film d'azione, ed eventualmente il rafforzamento del parlato proveniente dallo schermo nel caso di visione con molti spettatori presenti (alcuni dei quali forzatamente in posizione laterale rispetto allo schermo). Anche questa è una situazione non comune nelle case italiane, e alla quale si può comunque ovviare in parte con l'audio del televisore a schermo piatto, che sarà presumibilmente il sistema di visione più comune.

martedì 10 agosto 2010

Gli amici del multicanale

Sono molto pochi. Alcune piccole etichette indipendenti specializzate di solito in musica classica o colta. Alcune riviste di alta fedeltà particolarmente sensibili alle innovazioni tecnologiche, come la italiana Audio Review o AR. Alcuni audiofili di una corrente attualmente molto minoritaria, interessati alle ultime novità tecnologiche invece che alle soluzioni vintage (vinile e valvole in testa), che affascinano invece la grande maggioranza dei appassionati di questo strano settore chiamato alta fedeltà.
La maggioranza lo vede anzi come una minaccia, forse un complotto delle case discografiche, in combutta con i fornitori di hardware, per costringerli a cambiare l'impianto o a comprare per la quarta volta The Dark Side Of The Moon.


La produzione discografica in multicanale
Cosa sarebbe successo se alla fine deglii anni '50, quando è stato lanciato il microsolco LP Stereo, le case discografiche avessero continuato a pubblicare la maggior parte dei dischi, e tutti o quasi quelli dei musicisti  più noti, ancora in mono? E avessero perseverato negli anni successivi?
Semplice, quello che è successo negli "anni zero" con il Super Audio CD (o SACD) in formato multicanale, nessuno se ne sarebbe accorto e la stereofonia sarebbe rimasta una curiosità per super appassionati un po' originali.
Invece dalla seconda metà degli anni '50 gli studi di registrazione sono stati ristrutturati per riprendere le esecuzioni in stereo, i master sono stati prodotti in stereo e, iniziando dai dischi rivolti ad un pubblico più esigente (classica e jazz) e proseguendo dai primi anni '60 anche con la musica leggera, gli LP sono stati prodotti sia in Mono sia in Stereo. Fino a sospendere la produzione in mono alla fine del decennio, almeno per gli LP, lasciandola ancora per poco solo per i 45 giri.

E' logico che chi comprava un LP di Frank Sinatra o dei Beatles e vedeva che era disponibile anche con la scritta "Stereo" sentiva che gli mancava qualcosa, e si poneva l'obiettivo di acquistare prima o poi un apparato riproduttore stereo. Che era magari un Lesaphone Vertical come quello che acquistò mio padre, non propriamente un impianto Hi-Fi, ma aveva due casse e un amplificatore a due canali e in qualche modo si poteva definire stereo, e aveva ancora un prezzo accessibile.



Segno che ormai (eravamo alla fine degli anni '60) un mercato era stato creato, mercato che sarebbe poi esploso con gli impianti giapponesi dai primi anni '70, con l'alta fedeltà che diventava un prodotto di massa, un oggetto da avere in ogni casa, con le "catene" di componenti separati di un solo produttore giapponese, o con gli impianti composti da componenti specializzati per gli appassionati più esperti (o che più avevano più fiducia nelle riviste e nei negozianti). Ma che partivano da livelli abbastanza accessibili, grazie a modelli entry level che i principali produttori avevano comunque in catalogo, come l'amplificatore Marantz 1030, o il giradischi Thorens TD-165, o le casse AR7.
Un cambio di impianto totale, dalla grossa radio con giradischi incorporato sulla parte superiore, o dalla fonovaligia (i due apparecchi mono più diffusi) si passava ad impianti a componenti separati, da installare opportunamente in ambiente, anche se all'epoca erano ancora "ammessi" i diffusori "bookshelf", ovvero da libreria, da inserire appunto vicino ai libri (anche se pesavano 20 chili come le AR 3a).



Il lancio del CD
Stessa storia o quasi con il passaggio dall'LP al CD. Qui i canali rimanevano due e la ricostruzione spaziale non variava. Quello che cambiava era (teoricamente) la qualità, grazie alla dinamica a cui poteva arrivare il nuovo supporto. L'impegno richiesto agli utenti era molto inferiore, bastava aggiungere un nuovo lettore. 
Per iniziare veramente la distribuzione le case discografiche ci hanno però pensato sopra un po', non tutti i titoli, anzi molto pochi, uscivano anche nel nuovo formato, e i negozianti di dischi non sapevano bene dove esporli. Addirittura la allora principale catena italiana, Dischi Ricordi, li chiudeva dentro sportelli di vetro, dove venivano estratti solo dietro attento controllo dei commessi. Già rubavano gli ingombranti LP, figuriamoci quei dischetti, che oltretutto costavano persino di più. Poi hanno seguito una strada logica, abbassamento di prezzo dei lettori, abbassamento di prezzo dei CD (ma sempre un qualcosa in più dell'LP), campagne pubblicitarie continue che magnificavano "la perfezione del suono digitale" (ahi ahi) supportate acriticamente dalle riviste specializzate, e nuovi titoli che uscivano in tirature sempre più ampie su CD, a cominciare dai CD dei Dire Straits, che stavano allora diventando i numero uno. Per poi ridurre velocemente le uscite su LP appena il numero di lettori venduti è diventato sufficientemente ampio. Anche se, un'alternativa economica rimaneva, era la musicassetta.


Chi non mostra non vende
Con il SACD (non parliamo del DVD-Audio) il salto tecnologico era simile: maggiore qualità e eventualmente anche maggior numero di canali e maggiore realismo. nel primo caso bastava cambiare il lettore, nel secondo tutto l'impianto (vedi il post precedente). C'era anche più compatibilità sia all'indietro (i SACD ibridi leggibili su qualsiasi lettore CD) sia in avanti (i lettori SACD che potevano leggere anche i CD).
Seguendo lo stesso approccio del salto a CD l'esito dell'operazione sarebbe stato scontato, a parte solo l'intralcio del doppio standard. Che però in qualche modo si sarebbe risolto, come avvenuto in precedenza tra Betamax e VHS.


Ma non è andata così. 
C'è stata una differenza, una sola ma non da poco: la mancanza di titoli, che è continuata per tutto il decennio e che ha condannato il nuovo formato alla irrilevanza e alla clandestinità rispetto al mercato di massa. Assieme ad altri motivi (si può leggere qui una storia più dettagliata) ma questo, ricordando la fortunata affermazione del vinile stereo, appare il motivo principale. Ad uccidere il SACD sono state soprattutto le majors, che evidentemente non ci credevano, a torto o a ragione. Persino la Sony, che pure era uno dei due owner del formato, non lo ha mai spinto. Violando le due principali regole della vendita, vale a dire che bisogna creare un bisogno e poi anche riempire lo scaffale. 
Per completare questa breve analisi in più puntate rimane quindi da verificare se veramente non si muove nulla nella offerta di software multicanale o se è prevedibile che qualcosa si muova in futuro. E se mai vedremo una transizione come quella dal mono allo stereo, che pure non è durata poco, 10 anni o qualcosa di più.