sabato 30 marzo 2019

Come convertire un vecchio DAC in un DAC per cuffie

Ascoltare in cuffia musica in HD da un PC, da uno smartphone o da un tablet non è difficile, basta collegare la cuffia all’apposito jack (o porta lightning nel caso degli ultimi iPhone). In questa configurazione però la parte più critica del lavoro la fa il DAC interno del dispositivo e la sua sezione di output analogica. Inoltre, la frequenza di campionamento potrà essere “tagliata”, per esempio a 48KHz come negli iPhone.

Gli appassionati più sensibili al buon suono, e in particolare quelli che spendono centinaia di Euro per le cuffie stereo, sono invece probabilmente interessati a componenti in grado di incrementare la qualità del suono, sostituendosi al DAC interno. Un mercato in crescita visto il grande successo (dal 2012) del noto Dragonfly DAC (dalle dimensioni di una pendrive) e degli appena più ingombranti modelli della iFI, come il recente XCan.

Hanno tutti ingresso USB e richiedono un adattatore per le device mobili, mentre sono collegabili e (immediatamente) riconoscibili su qualsiasi PC. Tipicamente hanno un controllo di volume a bordo per garantire una trasmissione bit-perfect dal PC (eliminando dal percorso il suo driver e il suo DAC) mentre il super compatto Dragonfly usa un suo driver. E hanno ovviamente un’uscita mini-jack stereo. Possono essere naturalmente usati anche come DAC per la connessione all’impianto, pur se le dimensioni compatte sono pensate per l’uso in mobilità.

Un DAC tradizionale può essere usato allo scopo?
Apparentemente no, visto che non ha né la uscita jack né il controllo di volume. Ma, se la sorgente è un PC, ho scoperto (magari era ovvio, ma non ci avevo mai pensato) che si può fare, grazie a questo semplice accessorio, dal costo di pochi Euro.


Come vedete è un semplice cavo di connessione tra PIN-jack RCA e mini-jack stereo femmina. Ne ho scoperto l’esistenza verificando se qualcuno lo produceva, e così è, viene usato soprattutto per ascoltare in cuffia da TV sprovviste dell’uscita jack o per altri usi particolari. Così l’ho acquistato per vedere se potevo in questo modo collegare il mio vecchio HRT Music Streamer II al PC (un notebook) e usarlo per l’ascolto in cuffia in unione a Foobar2000.
Un riuso che può essere utile sia per chi (come me) ama mantenere attivi tutti i suoi componenti hifi, ma anche per gli appassionati che passano a un DAC superiore, magari per aggiungere la conversione DSD, e quindi ne hanno uno riconvertibile a questo scopo.

Primo ascolto standard
Con soddisfazione ho appurato che non ci sono problemi di impedenza o di attenuazione, né di configurazione. Il Music Streamer II viene immediatamente riconosciuto dal notebook HP in Windows 10 e a questo punto basta selezionarlo come output su Foobar2000 e si può ascoltare tramite una cuffia (Grado SR80 nel caso delle mie prove) connessa al doppio cavo, la regolazione del volume è corretta, né troppo basso né troppo alto.

Secondo passo: l’ascolto bit perfect
Con la connessione standard, ovvero usando il driver audio principale, il prezioso materiale audio in HD passa per il driver del PC con le ben conosciute conseguenze.
Per un ascolto in bit perfect sono necessarie alcune configurazioni sul PC che riassumo:

  • nel pannello di controllo, selezionando il Music Streamer II, andare in impostazioni avanzate e selezionare le sue prestazioni massime (24/96)
  • per ascoltare anche file audio SACD, in Foobar2000, dopo aver installati gli upgrade che abilitano la funzione DSD2PCM (vedi questo post) in preferences > tools > SACD selezionare:
    • PCMsamplerate: 88200
    • DSD2PCMmode: Direct (32 bit, 30KHz lowpass)
  • in Foobar2000 selezionare il driver bit perfect Wasapi:
    • Preferences > Output > WASAPI (event): Altoparlanti Music Stramer II

Fatte queste operazioni si potrà verificare che il trasferimento è effettivamente bit perfect agendo sul volume del PC. Ci si accorgerà che la variazione non ha effetto, come volevasi ottenere, l’unico controllo del volume efficace sarà quello di Foobar2000. Tranne che ponendo il cursore a zero, il che equivale a mute.
Con un DAC diverso, in particolare se 24/192, le operazioni sono quasi simili con l’unica differenza che si potranno scegliere parametri di frequenza più elevati, quindi 24/192 per il driver e 176400 per la conversione da SACD a PCM.

Terzo passo: il resampling
Se, inoltre, il DAC (come nel caso del Music Streamer II) è limitato a 96KHz come frequenza di campionamento, e volete ascoltare anche file audio 24/192, è necessario aggiungere e configurare un altro component a Foobar2000, un “resampler”.
Quello che fa allo scopo si chiama foo_dsp_src_resampler.fb2k-component. La configurazione è molto semplice, bisogna andare in Preferences > Playback > DSP Manager e spuntare “+” accanto al SRC Resampler e quindi con ADD aggiungerlo ai DSP da attivare online (sarà l’unico attivo, tipicamente, a parte il limiter a 0dB o -6dB che sono sempre consigliabili nell’ascolto in cuffia, specie se creativo).
Dopodiché, cliccando sul resampler, ora a sinistra tra i DSP da applicare, si può scegliere il target rate, che sarà ovviamente 96000 nel nostro caso, e la modalità operativa (da massima qualità e maggior impegno di CPU, al viceversa). Conviene cominciare dalla prima, la massima, e scendere solo se il PC mostra qualche difficoltà (micro o macro interruzioni). Si possono anche escludere le frequenze inferiori ma probabilmente conviene lasciare la funzionalità di upsampling che qualche vantaggio può dare.

Se il DAC visualizza la frequenza in input (come il Music Streamer) si può anche verificare che Foobar2000 mostra nel display la frequenza in input (192) mentre il DAC quella dopo processamento DSP (96).

L’ascolto
Dopo queste brevi configurazioni iniziali l’appassionato puo’ dedicarsi all’ascolto della sua preziosa musica in HD, sia se acquisita in download sia se in streaming da Qobuz, essendosi garantito le migliori condizioni di base per un ascolto appagante, senza alcun costo aggiuntivo.

giovedì 21 marzo 2019

Gestione della libreria musicale: i metadati

I metadati di un file audio non sono altro che le informazioni sul contenuto musicale, come il titolo del brano e dell’album, l’interprete, il genere musicale e così via. Un particolare ma fondamentale tipo di metadato e’ l’immagine di copertina. Nei file audio comprati sono già presenti, mentre in quelli che creiamo noi con il ripping li dobbiamo inserire, e così accade anche per i file audio public domain o duplicati dei nostri che eventualmente individuiamo sul web.
Metadati completi e corretti sono fondamentali per la gestione di una libreria musicale digitale di dimensioni appena apprezzabili, di centinaia di album e oltre. Le operazioni non sono sempre così semplici e questo post intende essere una guida alla gestione dei metadati.


Formato dei file audio e metadati
La prima cosa da sapere e’ che non tutti i file audio possono archiviare i metadati, in particolare non consentono l’inserimento o sono limitati ad un set di informazioni minimo i seguenti formati non compressi:

  • WAV (PCM): il formato standard nato con il CD
  • AIFF (PCM): il formato non compresso adottato da Apple
  • DFF Audio (DSD): il formato audio per il SACD sviluppato e adottato da Philips
  • ISO (DSD): il contenitore dei file audio DSD di un album; tipicamente e’ il risultato del ripping di un SACD.

Se i file audio hanno questo formato e vogliamo archiviarli in una libreria digitale devono essere preventivamente convertiti in un formato che supporta i metadati.

Formati che supportano i metadati
Facciamo ovviamente riferimento ai soli formatI lossless. Sono stati tutti sviluppati quando l’era dei supporti fisici si avviava al tramonto (o lo si intravedeva ) e quindi supportano all’origine i metadati i seguenti formati di compressione lossless per digitalizzazione in PCM:

  • FLAC
  • ALAC
  • APE

Per il formato di digitalizzazione DSD, che è sempre non compresso, esiste un unico formato che consente l’archiviazione dei metadati:

  • DSF: il formato audio per il DSD sviluppato da Sony

Conversione in formato con metadati. PCM
Per i formati PCM la conversione e’ un’operazione molto semplice e anche veloce, il prodotto migliore per eseguirla e Foobar 2000 che è anche gratis. Il formato di output può essere indifferentemente FLAC o ALAC, sconsigliato invece APE (chiamato anche Media Monkey) che non è supportato da Foobar2000 e non da’ alcun vantaggio.

Conversione in formato con metadati. DSD
Qui le cose sono un po’ più complicate e bisogna dotarsi di programmi specifici e non molto diffusi.
Per i file ISO, dato che si tratta solo di un contenitore, e’ sufficiente estrarre le singole tracce in formato DSD ed archiviarle su un file in formato DSF. Software gratuiti che fanno questa operazione non sono molto diffusi, al momento l’unico disponibile con interfaccia utente GUI è reso disponibile da un produttore di DAC e altri apparati digitali particolari che si chiama Sonore. (www.sonore.us). Si trova nella sezione software del loro sito e si chiama, non sorprendemente, ISO2DSF. L’utilizzo e molto intuitivo (vedi screenshot). Supporta anche ISO multicanale estraendo i file in formato DFF.


Conversione da file DFF
Per i file audio DFF la ricerca di un prodotto free e facile da usare (i pochi altri richiedono di lavorare a livello di comandi) e’ disponibile al momento solo in ambiente Mac ovvero macOS, non sembra ce ne siano su Windows.
E’ prodotto da una benemerita system house che si chiama 2manyrobots (2manyrobots.com), si trova nella sezione “Free Apps” e si chiama anche questo intuitivamente DFF2DSF.
Una volta installato sul Mac il funzionamento è semplicissimo perché è unicamente drag & drop: si trascina il file o i files da convertire sulla immagine del robottino e lui effettua velocemente il repackaging nel nuovo formato. Sottolineo “repackaging” perché non viene effettuata alcuna operazione sul codice digitale in formato DSD, come nel caso precedente e come deve essere.


Tutti i file sono ora pronti, cosa si fa?
Quando tutti i file sono in grado di archiviare i metadati l’unica cosa da fare e’ inserirli, o integrare con ulteriori informazioni quelli comprati (per i quali potrebbe essere necessario anche modificare il genere se non si concorda con la scelta fatta da chi lo distribuisce). Una operazione che si può fare molto facilmente, e anche in un solo colpo per interi album, con i gestori di media library come il citato Foobar2000 così come con J River. È una operazione che richiede un po’ di tempo e di impegno, in particolare se dovete archiviare musica classica, ma il tempo impiegato ritornerà con interessi nell’utilizzo della libreria, grazie alla semplicità e velocità di ricerca di quello che desideriamo ascoltare. Unica notazione: Foobar2000 non gestisce il formato APE e quindi eventuali file in questo formato devono essere anch’essi convertiti.

Un notevole aiuto e’ fornito, come noto, dalle mega libreria di tagging come Freedb, supportate anche da Foobar2000. Basta selezionare tutte le tracce o il folder (o il CD di cui fare il ripping) e nel 90% dei casi FreeDb o i suoi equivalenti troveranno tutti i metadati da inserire. Controllarli però sempre e’ opportuno, non solo perché possono esserci più alternative, ma perché alcuni dati possono essere non corretti, in particolare la data per gli album meno recenti di solito e’ quella del CD ripubblicato e non quella di prima pubblicazione.

I metadati aggiunti dai media library
Bisogna anche dire che i media library, inclusi quelli citati, possono anche gestire i metadati dei file audio che non li supportano, semplicemente aggiungendoli alle informazioni di gestione della libreria.
Si tratta di una soluzione sconsigliabile, perché dovrà essere eseguita di nuovo qualora decidessimo in futuro di passare ad un diverso media server con la sua media library, e la stessa cosa potrebbe essere necessaria anche nel caso di spostamento fisico dei file audio, per esempio da un disco standard ad un NAS o ad un NAS più performante. Considerando il tempo impiegato per inserire i metadati fare una seconda volta le stesse cose e’ certamente una eventualità da evitare.
Archiviando i metadati direttamente sul file audio li rende invece indipendenti da ogni contenitore fisico o virtuale o libreria Windows o Mac.


Le immagini di copertina
Alla fine, anziché tramite titolo o interprete, non sarà infrequente che la ricerca più veloce sia proprio tramite l’immagine di copertina del’album. Questo metadato particolare non può essere registrato nel file audio, ma deve essere memorizzato a fianco ad esso, ovvero nella stessa directory. Per riconoscerlo come tale, non ci sono standard internazionali, comuni tra player e media library di diversi fornitori, e l’unica informazione che possiamo passare a questi software e’ il nome del file. I nomi standard riconosciuti da Foobar2000, J River e da molti player sono "folder" o “cover” o “front”, quindi ogni immagine individuata deve essere scaricata e memorizzata nella directory con questo nome. J River ha una funzionalità per individuare e gestire le copertine anche con altri nomi, ma è consigliabile ricondursi a questi.


giovedì 14 marzo 2019

J Remote alla prova

Un test interessante solo per chi ha adottato come Media server e Player il diffuso e apprezzato J River Media Center, probabilmente il numero uno del settore anche se si sta impoendo il più completo e ambizioso (e costoso) media center Roon.

J Remote infatti è la app che consente da smartphone o tablet di gestire la libreria musicale, selezionare la musica, mandarla in riproduzione, cambiare brani, regolare il volume e così via. Con la app il music server, che nel caso di J River è forzatamente un PC, lo si dimentica proprio, basta che sia acceso e si fa tutto (o quasi) comodamente dal dispositivo mobile.


Installazione, acquisto e sincronizzazione
La app si scarica come al solito dagli store di Apple o di Google e non è gratis. Il prezzo è quasi spropositato se lo confrontiamo alla medie delle app, ma è un'inezia se paragonato ai costi dell'hi-fi: 10,99 € su Apple Store (la prova è su un iPad). La app si presenta subito con una interfaccia molto professionale che mostra una guida grafica alle funzioni presenti. La prima operazione da fare però è la sincronizzazione con il media center J River sul PC. Il sistema è molto semplice, ogni installazione J River ha una access key univoca, la si va a leggere sul PC seguendo le istruzioni e la si immette sull'iPAD.

Fatta questa operazione J Remote mostra con istruzioni grafiche le sue funzioni di base.


Selezionando Audio vengono mostrati tutti gli album della libreria, o in alternativa si possono selezionare gli artisti o i generi musicali. Come sul PC.


Scegliendo un album da ascoltare vengono mostrate ovviamente le tracce, e se era già in esecuzione un altro album rimane visibile anch'esso. Nella parte bassa della schermata i tradizionali comandi di avanti, indietro, pausa e stop e il controllo del volume.


E' disponibile anche una comoda funzione di ricerca nella libreria.


Esiste un'eccezione per il controllo del volume (ma è così anche con J River su PC): non è disponibile in DSD. In questo formato le informazioni il controllo digitale del volume non è possibile e di conseguenza il flusso è trasmesso al DAC a 0dB di attenuazione. Il controllo del volume ritorna quindi sull'amplificatore analogico collegato al DAC (che magari ha un suo telecomando). E' il caso di questo album di Dusty Springfield in ascolto (vedere la parte bassa dello schermo) che è stato pubblicato anche in SACD. Il volume come si vede è disabilitato.


Nel caso più comune di audio digitalizzato in PCM, come per l'album di Enya in ascolto, il volume è regolabile dalla app J Remote


Cliccando sulla freccetta in alto a sinistra si può aprire un player più completo e gradevole, contenente varie indicazioni e funzioni ulteriori.


Cliccando sul simbolo dell'attach in basso a destra si possono visualizzare booklet e altre informazioni di tipo immagine o pdf presenti sulla directory nella quale è memorizzato l'album scelto dell'ascolto. Cliccando su "action" si possono ottenere quelle funzioni abbastanza superflue come l'asolto shuffle o il play doctor, il solito algoritmo che ci suggerisce quello che vogliamo ascoltare (e non ci azzecca mai).


Più utili le indicazioni dettagliate sulla qualità dell'audio che stiamo ascoltando, come questo album di HDtracks in HD, registrato in binaurale.

J Remote può selezionare e comandare anche video o film, se nella libreria avete inserito anche contenuti di questo tipo. Ovviamente per vederli in modo adeguato il PC dove gira J River dovrà essere collegato con una porta HDMI ad un monitor TV.


Le informazioni sull'audio in esecuzione sono mostrate anche per le tracce in formato DSD, anche in  risoluzione Quad DSD (ovvero DSD256) come questa egistrata e pubblicata dall'etichetta specializzata norvegese 2L The Nordic Sound.


Le playlist
Una limitazione della app riguarda le playlist. Si possono ovviamente selezionare ed ascoltare, saltare brani ecc. ma non si possono creare sulla app. Bisogna crearle sul PC. Peccato perché sarebbe molto più comodo farlo dalla app. In una tipica installazione J River il PC sarà dedicato unicamente a questo scopo (come nella mia configurazione) e potrebbe essere non molto agevole fare operazioni di editing. Ad esempio nel mio caso (vedi la descrizione del music server di qualche anno fa) il PC, un Mac Mini, è collegato al TV monitor della sala e per gestirlo uso una tastiera wireless con touch pad integrato. Monitor e tastiera / mouse sono usate solo per le operazioni di aggiornamento della libreria o del PC. In questo modo il PC può  sparire dalla vista una volta avviato l'ascolto e convivere con l'arredamento di una sala. Con J Remote può sparire del tutto.


La sincronizzazione
Un'altra limitazione è relativa alla sincronizzazione con la libreria J River, che avviene all'avvio della app (e non in automatico). Questo fa sì che se importiamo nuovi audio oppure creiamo una playlist, per gestire i nuovi contenuti sarà necessario riavviare la app.

In sintesi
Una app molto comoda e ben funzionante, senza incertezze, le limitazioni non sono importanti ma non sarebbe un grande sforzo per i produttori superarle. Un complemento quasi obbligatorio per J River, vale la pena il piccolo investimento rispetto alle soluzioni alternative gratuite.

venerdì 8 marzo 2019

Quattro DAC (e tre chip set) a confronto

Per gli appassionati che hanno adottato come sorgente principale l'alta definizione il DAC, il digital to analog converter, ha preso il posto che un tempo aveva (ed ha ancora) il giradischi con tutti i suoi componenti (testina, braccio, pre-phono e giradischi vero e proprio) e più recentemente il lettore CD (che invece è tipicamente un componente unico).

Il cuore di quasi tutti i DAC è un chip set prodotto da pochi produttori di semiconduttori che operano a livello mondiale. Proseguendo con la analogia con il mondo analogico, con il vinile, il chip set ha un ruolo e un compito analogo a quello della testina, è la vera origine del suono. Ci sono due differenze importanti:
  • Il chip set non è scelto dell'appassionato (se non indirettamente) ma dal produttore del DAC;
  • Lo stesso chip set può essere scelto ed utilizzato per DAC di fascia e prezzo anche molto diversi.
Nascono inevitabilmente alcuni dubbi e interrogativi sulle effettive differenze tra i molti DAC proposti sul mercato nonché sul loro prezzo, e quindi ampie discettazioni sui forum specializzati.

(Esistono anche DAC non basati su un chip set commerciale? Sì, vedi l'appendice)

L'analisi desk
Quella che propongo per orientarsi un po' di più in questo (relativamente) nuovo mercato  è una cosiddetta analisi desk, basata quindi sull'esame delle caratteristiche di 4 DAC a partire dalle sole caratteristiche dichiarate. Non una prova d'ascolto quindi, che richiederebbe, come documentato in un recente post, uno spiegamento di forze e di tempo attualmente fuori portata (almeno 2-3 persone impegnate e test in  doppio cieco, oltre che la disponibilità dei DAC).
Le informazioni che si ricavano sono comunque a mio parere ugualmente interessanti.

I quattro DAC
Per avere un'idea di come si muovono i produttori ho scelto uno dei principali del settore, nella fascia media. Un marchio che non ha assolutamente iniziato con il digitale, perché è Pro-Ject, ma che nel corso degli anni ha applicato la sua efficiente formula produttiva anche al digitale, estendendo la gamma anche a tipologie innovative di componenti, e arrivando infine a proporre più serie (o famiglie) di componenti con caratteristiche uniformi, e fascia di qualità e costo via via crescenti.

Per i DAC analizziamo quindi i modelli proposti per le 4 serie principali; RS (la serie top), DS2 (la serie di fascia alta), DS (la serie "analogica"), S2 (la serie miniaturizzata).


DAC BOX RS (900 €)
Il modello top di Pro-Ject (ma di prezzo sempre terreno confrontato con altri DAC) è estremamente flessibile, con addirittura 9 ingressi digitali, circuiteria bilanciata e output XLR bilanciati e la possibilità di scgliere lo stadio di uscita a valvole o a stato solido.
Il chip set che ha scelto la Pro-Ject è un classico del settore, il Texas Instruments PCM1792. Un circuito integrato monolitico in commercio dal 2003, rinnovato nel 2010 con la versione 1792A. Nella documentazione non è indicato che si tratta del modello A ma dovrebbe essere così, poiché il precedente modello non è più in produzione, se non per sostituzioni, sin dal 2010.
Si tratta di un chip sviluppato e prodotto dalla Burr Brown, una casa che era tra le prime nel settore ma che è stata acquisita e incorporata dalla Texas Instruments nel 2000.

Non è quindi un modello recente e in grado di fornire le massime prestazioni e le più aggiornate funzionalità di conversione. La scelta di Pro-Ject appare quindi dettata dal desiderio di fornire un modello basato su un chip adottato da modelli di fascia alta e altissima, come il Bel Canto e.One e altri modelli del noto produttore specializzato.
Si tratta quindi di un DAC che converte in PCM fino a 24/192 e  in DSD fino a a DSD128 (Double DSD), con trasmissione in DSD solo in modalità DoP (vedi post precedente). I filtri digitali sono solo 2.


DAC Box DS2 ultra (600 €)
La serie immediatamente inferiore adotta invece un chip totalmente diverso rispetto al modello RS, con 6 ingressi digitali e uscite sbilanciate RCA. Questa volta Pro-Ject (che ha una politica di copertura di più fasce di mercato differenziate) ha adottato un chip set recente (2014) e ovviamente con le massime prestazioni e funzionalità della tecnologia attuale. E' un prodotto della giapponese Asahi Kasei, AK4490, e quindi garantisce conversione in PCM fino a 32 bit e 768KHz e DSD fino a DS256 (trasmissione in nativo fino a 128, poi DoP), 5 possibilità di filtraggio. Esiste un modello più recente (2017) AK4493 ma pare che non sia quello adottato, perché sul sito del produttore giapponese risulta in grado di arrivare alla conversione in DSD512.
Anche in questo caso lo stesso chip è utilizzato per modelli di fascia più elevata, come il RME ADI 2 Pro (un DAC prodotto in Germania da una nuova firma del settore).


DAC Box DS (300 €)
Per il modello della linea che punta ai clienti più orientati all'analogico Pro-Ject ancora il chip TI PCM1792 già visto nel modello RS. Questa volta però la conversione di file audio DSD non è proprio supportata neanche in DoP. E' presentato come un modello dalla realizzazione particolarmente curata.


DAC Box S2+ (230 €)
La linea S2 propone componenti di dimensioni minime (inferiori in pianta al jewel box dei CD) ma con prestazioni analoghe alla linea DS2. Per il DAC è stato scelto il chip set di punta dell'altro grande produttore mondiale, ESS, il chipset è il ESS Sabre 9038, il più recente della casa americana, ma con produzione anche in Cina. In realtà il nome completo è 9038PRO ma pare che in Pro-Ject prediligono la sintesi. Non esiste comunque a quanto sembra un 9038 non Pro.
Le prestazioni di targa sono allo stato dell'arte e del tutto simili al modello RS: PCM fino a 32 bit e 768KHz e DSD fino a DS256 (trasmissione in nativo fino a 128, poi DoP) e 5 filtri digitali selezionabili, 3 ingressi come il modello superiore DS.
L'ESS 9038Pro è utilizzato da molti DAC recenti di fascia alta, come l'Ayre Qx-5 Twenty o i Mytek Manhattan II e Brooklyn+. Non è specificato nelle carateristiche del mini DAC della Pro-Ject ma il chip gestisce anche il formato di compressione MQA.

L'importanza del chip set
Da questa breve rassegna si può dedurre che la differenza tra i DAC la fa solo il chip set? Ovvero che un componente budget come il Pro-Ject abbia prestazioni simili al Mytek Manhattan che costa più di 6.000 €? Con conseguente sorpresa visto il costo molto ridotto dei chip set. Ovviamente no, e non solo per la flessibilità e le funzioni operative. Per un motivo molto più semplice che si può spiegare per similitudine partendo sempre dai giradischi che in genere tutti conosciamo e che comunque hanno componenti "visibili".

Il chip set ha una funzione molto simile a quella della testina: estrae il suono da dove è nascosto, da una sequenza di bit 0 e 1 invece che da un solco inciso su un piatto di plastica. Ma, come una ottima testina non servita da un braccio in grado di supportarlo secondo le specifiche, su un piatto mosso da un giradischi che mantenga costante al massimo grado di precisione la rotazione, e da un pre-phono che amplifica e corregga con la massima accuratezza il debole segnale analogico creato, non potrà garantire le prestazioni di cui sarebbe capace. E sappiamo quante raffinatezze e diverse implementazioni sono state ideate ed attuate in tutti questi altri componenti.
Nel mondo digitale la situazione è simile: il chip set è fondamentale perché il resto dei componenti non potrà correggere sue carenze, ma è la configurazione complessiva che potrà garantire il risultato.
Da notare anche, nel confronto, che i chip set sono in realtà "famiglie" e possono avere diversi modelli con diverse configurazioni, non sempre esplicitate nelle specifiche pubblicate sul web.

Limiti veri o ipotetici
Dalla breve carrelata di confronto si nota anche che 2 dei 4 modelli, e non i più cari, hanno prestazioni che arrivano ai massimi livelli attuali (o quasi) riguardo ai formati supportati, mentre gli altri 2 hanno limitazioni. Nulla da obiettare sul modello DS, che sicuramente per chi è interessato al DSD non è la scelta adatta. Mentre per il modello top RS la limitazione a DSD128 è piuttosto ipotetica, vista la scarsità di musica registrata e distribuita in download in formato DSD a risoluzione DSDx4 ovvero DSD256 (e ancor più a DSD512). Inoltre è anche tutta da dimostrare la effettiva udibilità della superiore qualità, un po' come nel PCM tra 24/96 e 24/192.

Appendice: i DAC "custom"
Non tutti i DAC fanno ricorso per la prima fase della conversione in analogico a un chip set acquisito da uno dei produttori mondiali di semiconduttori. E' possibile anche una scelta alternativa, facendo ricorso ai component FPGA (Field Programmable Gate Array), le cui funzionalità sono programmabili mediante linguaggi di descrizione del processamento effettuato in hardware. I progettisti del DAC possono quindi implementare loro specifici algoritmi di gestione della decodifica o della gestione della sincronizzazione tra i componenti, di caratteristiche superiori o comunque diverse rispetto agli algoritmi sviluppati dalle case di semiconduttori, oltre ad adottare un'architettura del sistema di decodifica  più articolata.
E' il caso quindi di componenti professionali o di fascia molto alta, progettati da specialisti del settore e appartenenti alla fascia top del settore. Prezzi ovviamente proporzionati ai costi di sviluppo e produzione in piccola serie, per esempio il Playback Designs MPD-8 Dream DAC progettato dal noto specialista Andreas Koch e che costa 27.000 € (prezzo base, ci sono anche estensioni).  Recensione entusiastica sul numero 406 di Audio Review.



sabato 2 marzo 2019

DSD: DoP o nativo?

DoP sta per DSD over PCM mentre “nativo” vuole indicare che nessuna azione viene eseguita. Quindi un DAC in grado di funzionare in nativo sembra avere caratteristiche superiori. In parte è così, ma non perché viene alterato in alcun modo il flusso di dati, in entrambi i casi non viene effettuata alcuna conversione. Le due modalità riguardano infatti solo il trasporto del flusso DSD tramite la porta USB al DAC. Porta USB (2 o 3) che peraltro è obbligata, perché la velocità di trasmissione di un collegamento coassiale o toslink non sarebbe sufficiente per le caratteristiche del formato DSD alle risoluzioni più elevate.
In questo post alcune informazioni e chiarimenti utili per chi si accinge ad acquistare un nuovo DAC.

Dal sito dell'etichetta norvegese 2L The Nordic sound alcune immagini riprese durante la registrazione del disco, disponibile anche in Quad DSD, nomination ai Grammy Awards come "Best Immersive Audio Album 2019". Il titolo è Folketoner, musica corale norvegese, questa è la direttrice Anne Karin Sundal-Ask  intenta a verificare la registrazione multicanale e stereo alla consolle DXD-DSD,
DoP
La porta USB riconosce solo audio codificato in PCM, non in DSD. Il sistema più semplice per trasmettere un flusso DSD e’ quindi incapsularlo in “pacchetti” riconoscibili dall'unità ricevente (il DAC). Che provvederà quindi, se conforme DoP, ad estrarre dal pacchetto il contenuto DSD, a ricomporlo nel file originale e a passarlo alla sezione di conversione in anaogico. Questa operazione di impacchettamento comporta un raddoppio della dimensione dei dati e quindi la necessità per il trasmettitore (il PC), il ricevente (il DAC) e la porta USB di gestire una velocità di trasmissione doppia di quella del DSD, ovvero DSDx2 ovvero 5,6Mbps. Queste prestazioni non sono un problema per PC e DAC recenti, e quindi la trasmissione DOP non è sicuramente un problema per i più diffusi file audio provenienti da SACD, quindi DSD64 ovvero 2,8Mbps.

Il coro nell'ambiente di esecuzione (una chiesa, come si vede)
DoP e DSD2PCM
Importante: il DoP è un sistema di trasporto, non è da confondere con DSD2PCM che, come suggerisce il nome (2=to) è una funzione di conversione da DSD a PCM inclusa, nei player che gestiscono il formato DSD, per garantire la compatibilità con schede audio e DAC solo PCM. Quindi nei vari Audirvana o J River ma anche in Foobar2000, con gli appositi component. Una funzione peraltro presente anche negli studi di registrazione per fare in PCM operazioni di editing non possibili o non supportate in DSD (e poi tornare al DSD nella versione finale). Stessa ambiguità nel termine “nativo”: trasporto nativo significa diretto senza impacchettamento dei campioni (vedi dopo). Conversione nativa significa che il DAC è in grado di trattare nativamente il formato a 1 bit DSD.

DSD a risoluzione superiore
Per la riproduzione di file audio DSD in risoluzione superiore, quindi disponibili solo in download, la trasmissione in DoP ha però un limite superiore. Attualmente fino a DSDx2 ovvero DSD128 ovvero Double DSD ovvero 11,2Mbps non ci sono problemi, ne’ sul lato del PC ne’ sul lato del DAC (che ovviamente deve supportare il formato DSD). A risoluzione ancora superiore, ovvero DSDx4 o DSD256 o Quad DSD oppure DSDx8 o DSD512 può’ essere necessaria la trasmissione nativa per limitazioni di potenza della CPU del PC o del DAC. Su quella del DAC vedere nel seguito.

Trasporto DSD nativo
Utilizzando un driver ASIO è possibile informare la porta USB che il flusso di dati in invio e’ “speciale” non a livello di pacchetto ma dell’intero file e quindi far arrivare al DAC il flusso DSD “nativo”. Perché il DAC possa trattarlo e’ necessario però che sia in grado di supportare le frequenze di campionamento più elevate. Ovvero 352,8Khz per DSDx4 o DSD256 (88,2Khz x4) oppure 705,6 (88,2Khz x8) per DSD512. Esistono anche DAC che arrivano oltre, per gestire anche il formato DXD (estensione del PCM HD) e quindi a 96x8 ovvero 768Khz e che ovviamente possono supportare anch’essi DSD512 nativo.
Su MAC i driver bit perfect ASIO o WASAPI non servono perché la porta audio è già bit perfect e viene riconosciuto automaticamente il DAC conforma DSDS nativo e scaricato il suo driver specifico.
In entrambi i casi il DAC ha pressoché sempre un LED che si illumina per indicare il flusso di ingresso in DSD nativo e quindi è sempre controllabile se stiamo ascoltando in DSD nativo o in DOP e quindi se abbiamo eseguito tutte le operazioni di configurazione sul player necessarie allo scopo.

La direttrice Anne Karin Sundal-Ask in azione
Quindi in sintesi, cosa preferire?
Abbiamo visto che fino a DSD128 ovvero in Double DSD tutti i DAC “DSD ready” sono equivalenti. Ci si può concentrare quindi sulla qualità del DAC. Chi invece ha già acquisito album o tracce in formato DSD256 o DSD512 (rarissimi per ora in quest’ultimo formato) o ha intenzione di farlo man mano che saranno resi disponibili, è opportuno che faccia un approfondimento sulle caratteristiche del DAC che sta scegliendo.
Quelli basati su chip più recenti supportano quasi sempre anche il PCM/DXD fino a 32/765 (o 705,6 in alcuni casi) e di conseguenza tipicamente supportano la modalità nativa (non avrebbe senso il contrario) e quindi la possibilità di scelta è ampia.
Possibili criticità possono riguardare quindi soltanto:
  • DAC che supportano solo la trasmissione DOP anche per DSD256 e che dovranno essere gestiti da PC non molto recenti, che possono avere problemi di prestazioni in trasmissione;
  • Chi utilizza un PC Mac e non Windows: deve verificare se il DAC scelto garantisce le stesse prestazioni anche su macOS, con un proprio driver proprietario.
E tutti quelli che hanno un DAC valido ma che non va oltre il DS64?
Il materiale disponibile è ancora molto raro nei formati superiori DSD128 e DSD256 ed inoltre non è di interpreti celebri, è prodotto da etichette indipendenti “audiophile” come Blue Coast Records (folk e jazz soprattutto) o 2L The Nordic Sound (classica e contemporanea soprattutto). Rarissimo poi il DSD512 e da verificare se la produzione, sin dalla registrazione, sia in questo formato ad altissima risoluzione.
Conviene in questo caso aspettare e ascoltare serenamente la buona musica che avete, considerando anche la continua innovazione nel settore dei DAC.

Il set di microfoni utilizzato dai tecnici di 2L per registrare il suono e l'ambienza della chiesa
Il tecnico del suono al lavoro sulla consolle digitale