giovedì 17 marzo 2011

Il DualDisc

La necessità di superare la crisi del CD proponendo al mercato della musica qualche nuovo prodotto ha stimolato la creatività delle case discografiche. Dopo l'avvio stentato del Super Audio CD, o SACD, il consorzio alternativo che proponeva il DVD Audio, a metà degli anni 2000 ha proposto una variante, il  DualDisc, che ha suscitato un certo interesse in USA e UK, mai proposto in Italia, e poi sostanzialmente abbandonato anch'esso dopo pochi anni.

Proseguendo nelle nostre analisi sulla musica digitale, diamo qualche informazione anche su questo formato, per il quale si trova qualcosa nel mercato dell'usato o tra le scorte di magazzino, in particolare su Amazon (USA e UK). 

Il DualDisc non è altro che un disco doppia faccia, da un lato CD e dall'altro DVD (o DVD Audio). Per un approfondimento tecnico si può leggere qui su Musica & Memoria. Nato per fornire musica ad alta definizione ma garantendo anche la compatibilità con i lettori CD, come il SACD (possibilità preclusa invece al DVD Audio), a giudicare dal catalogo disponibile gli extra (rispetto al CD) sono diventati presto soltanto quelli video. In altre parole, la seconda facciata diventava un normale DVD, o almeno i contenuti video erano quelli enfatizzati maggiormente.

Vediamo i due esempi del nostro test, due album peraltro pregevoli, le Seeger Sessions di Bruce Springsteen e Get Lifted di John Legend, il nuovo campione del nu-Soul. Comprati entrambi su Amazon.Co.Uk come usato "very good" (vero, come nuovi) rispettivamente a 9 € e incredibili 0,60 € + spedizione (2,60 €, costa meno dal Regno Unito che Italia su Italia).

John Legend - Get Lifted (2004)
Sul lato CD l'album standard già noto. Sul lato DVD alcuni video con le esecuzioni dal vivo di alcuni brani, interviste, dietro le scene e videoclip. Per la parte musicale la stessa scaletta dell'album in formato multicanale 5.1 Surround Sound. Non è indicato se il formato è DTS o Dolby Digital, ma mediante una funzione del lettore su PC (Corel DVD) si scopre che è Dolby Digital compresso AC3 (448 Kbps). E' presente inoltre anche l'album in formato "PCM Stereo", quindi non compresso, anche in questo caso non è dichiarato il formato di campionamento, ma si può scoprire, sempre con Corel DVD, che è Linear PCM 1536 Kbps, quindi, in base alle tabelle DVD, si tratta di un 16 bit / 48 KHz (come il DAT), qualità quindi leggermente superiore a quella del CD. Dal punto di vista audio qualcosa di più c'è, anche se interessa solo a chi ha un impianto multicanale audio (o comunque con resa sonora adeguata). Niente alta definizione vera e propria, e neanche l'audio lossless sul multicanale.


La confezione è una specie di jewel box per CD modificato, con un lato arrotondato. Penso che fosse la nuova confezione studiata per lanciare il nuovo formato e caratterizzarlo. Più comoda di quella del DVD Audio (più grande, non ci sta nei porta CD normali) è compatibile con i vari sistemi di archiviazione. All'interno un ricco libretto con i testi. Una confezione attraente.
Da notare infine che, pur se il DualDisc non è mai stato sostanzialmente diffuso in Italia (tranne, se non ricordo male, in alcune promozioni legate a radio commerciali) il disco è predisposto anche per il mercato italiano, con menu e sottotitoli in lingua.


Bruce Springsteen - The Seeger Sessions (2006)
Su un lato, ovviamente, c'è il CD, uguale a quello standard. Sull'altro lato, quello DVD, un interessante documentario sulle "sessions" dedicate al grande Pete Seeger, che, come si sa, Springsteen ha organizzato proprio nella sua casa di campagna del New Jersey con grande attenzione alla spontaneità e al recupero dei suoni più diretti e naturali, con un gruppo di musicisti del circuito folk americano. Non contiene le solite interviste, ma proprio alcune esecuzioni dal vivo quasi per intero.


Dal punto di vista musicale sono riproposte le tracce del disco del lato CD in formato "PCM Stereo", anche in questo caso senza alcuna indicazione della risoluzione effettiva. Che però, contrariamente a quello che ci si potrebbe attendere (vista l'assenza di ogni enfatizzazione) è in alta definizione (anche se non spinta). Da Corel DVD risulta infatti un PCM lineare a 2304 Kbps, che corrisponde a 24 bit / 48 KHz.
Altro plus è rappresentato da due bonus track, peraltro interessanti.
Nel menu sono disponibili i sottotitoli, ma si scopre che si applicano solo al documentario video, e non alle canzoni.


La confezione in questo caso è un digipack cartonato molto elegante. Il lato DVD è protetto contro le copie e una scritta avverte che non si tratta di un CD standard e può avere problemi di lettura con alcuni lettori.

Non è esattamente un CD
Altro punto da testare è la compatibilità con i lettori CD. Trattandosi di un disco doppia faccia non è esattamente identico dal punto di vista fisico ad un CD standard, e questo, dicevano diverse prove (e i warning) può provocare problemi con alcuni lettori, in particolare quelli "a fessura". Coraggiosamente ho quindi provato ad ascoltare i dischi sulla mia auto (una Mini recente, del 2010, con il lettore di serie) e sul mio Mac Mini, e in entrambi i casi non si è verificato alcun problema. Nel Mac Mini anzi, trattandosi di DVD universale in entrambi i casi, è stata possibile la lettura anche della facciata DVD, a differenza che se si fosse trattato di un DVD Audio (il lettore standard del Mac non lo gestisce).

In sintesi
Alla fine, trattandosi di prodotti che avevano all'incirca lo stesso costo del CD, i DualDisc potevano anche avere un certo interesse e rappresentare uno stimolo all'acquisto. Sicuramente offrivano molto di più di un digital download. Rimane la leggera assurdità del disco a doppia faccia. Si può ottenere lo stesso risultato (probabilmente anche a costo inferiore) mettendo nella confezione un CD più un DVD, come hanno fatto in molti. Sta di fatto che l'effetto novità non c'è stato, oppure la promozione è stata insufficiente, e il risultato è che anche in questo caso il CD ha continuato indisturbato a rimanere il supporto di riferimento.
Infine da notare l'assoluto disinteresse delle case discografiche (la Sony BMG in questo caso, per entrambi gli album) per l'alta definizione audio e per le aspettative dei cosiddetti audiofili, arrivando persino a inserire l'alta definizione (o quasi) senza comunicarlo.




domenica 13 marzo 2011

Il formato album

E' in crisi. I ragazzi scaricano solo le singole canzoni. Nessuno ascolta più un album per intero. Quando lo fa mette il comando per la riproduzione casuale o salta i brani meno conosciuti con lo skip. Ignorando l'ordine pensato dal musicista. E, tutto questo pare sia una cosa negativa. Come se il formato album fosse una cosa naturale, il modo giusto, corretto culturalmente, per ascoltare la musica.

La dimensione della musica

Tutte le forme d'arte hanno una dimensione, che cambia con le epoche e il contesto sociale.
E che non sono correlate in alcun modo con il valore artistico. Che si può trovare al massimo livello in un quadro di piccole dimensioni come il Ritratto di gentiluomo o come La Gioconda, o in un'opera che occupa una intera parete, come la Marcia del IV stato o un quadro di Pollock, e la dimensione ha relazione solo sulla fruizione. Per dare una emozione i primi due esempi devono essere osservati da vicino,  mentre gli altri, anche da lontano in una grande sala mediamente affollata, mantengono la loro forza.

Nella musica la dimensione principale è la durata. E la cosa particolare è che questa è cambiata negli anni, in base all'uso della musica ma anche della tecnologia per diffonderla.
La musica come evento (il concerto) ha una durata codificata, regolamentata dal contesto sociale. Nell'800, quando chi andava ai concerti aveva molto tempo libero (il mondo del XIX secolo era diviso tra persone che lavoravano e persone che vivevano di rendita). Così un concerto poteva durare 3 ore e le opere liriche erano in 4 o 5 atti.
Nel 900 la forma d'arte di massa che ha preso in qualche modo il posto della lirica (il cinema) è arrivata ad una durata codificata inferiore, anche se comunque quasi standard, di 90'-100', più in linea con il minor tempo libero delle persone che lavorano, che nel secolo successivo, dopo il grande sconvolgimento della I guerra mondiale, sono diventate la norma. Era però anche in parte un limite tecnico, legato alle dimensioni delle "pizze" di pellicola.

Nel 900 è arrivata anche la riproducibilità tecnica della musica, che ha introdotto ulteriori vincoli e quindi nuovi formati e nuove durate.
La radio non aveva e non ha vincoli tecnici di durata, ma i supporti sì.

Dal 78 giri al Long Playing

Il primo supporto (relativamente di massa, il 78 giri, poteva contenere 3-4' di musica per lato. Era l'ideale per la romanza, l'aria d'opera, la forma allora (inizio 900) più richiesta, poi sostituita dalla canzone, che ne è una logica evoluzione. Per un'opera o una sinfonia servivano molti dischi, e l'ascolto doveva essere continuamente interrotta.
Nel secondo dopoguerra la nuova tecnologia che ha rivoluzionato il mondo della musica iindirizzava proprio il limite di durata. Il nome commerciale che è stato dato al microsolco, all'attuale disco in vinile, è stato infatti "long playing", lunga durata, LP. Era anche di molto incrementata la qualità e la robustezza, ma su questo punto hanno centrato il lancio. E difatti con l'LP era ora possibile ascoltare senza interruzioni un concerto di Mozart (ca. 20') e con una sola interruzione per voltare il disco, ma posizionata in uno dei tempi previsti dal compositore, per voltare un disco. La tecnologia negli anni '60 ha poi realizzato anche i cambiadischi, con più dischi impilati (che cadevano uno sull'altro con un meccanismo, è intuibile che sia una tecnologia dimenticata), in questo modo anche un'opera, registrata su 4 o 6 facciate, poteva essere ascoltate con una o due interruzioni (in questo caso anche gradite, penso) con l'accorgimento, che le case discografiche spesso seguivano, di stampare le facciate alternate (1 e 3 parte sullo stesso disco e così via).

E la canzone?
Qui il microsolco non forniva nulla di nuovo per la durata, solo per la dimensione fisica. Un paio di canzoni, una per lato, potevano essere infatti essere registrate su un disco più compatto, da 7", il 45 giri, chiamato anche, significativamente, "singolo".
L'LP poteva venire utile per registrare una raccolta di canzoni, a tema, oppure più di frequente con una raccolta di successi di un cantante, già usciti su singolo, magari integrati da qualche brano registrato apposta, magari una cover.
Erano organizzati così, ad esempio, i primi dischi dei Beatles, o di Elvis Presley e un po' tutti gli altri.
Un formato più comodo per gli appassionati, rispetto ai cambiadischi stile juke-box spesso presenti negli impianti casalinghi. Ma forzatamente indirizzati ad una platea molto meno vasta di clienti. Anche perché costava molto di più. Anche di più del vituperato CD.
Era, appunto, un album di canzoni, organizzate magari in ordine cronologico, un po' come gli album di foto di casa.



Una nuova forma d'arte   
Si discute chi sia stato il primo, ma negli anni '60 a parecchi musicisti "pop" è venuta la stessa idea. Utilizzare il molto spazio disponibile nell'LP per inserire qualcosa di più del solito album di successi. 
Sull'esempio della musica classica, per la quale nutrivano sempre meno rispetto reverenziale. Può darsi siano stati i Rolling Stones, con la versione di 10' del blues Goin' Home nel loro album Aftermath )1965), o i Beatles con Sgt. Pepper, un concept album, sempre canzoni ma con un filo conduttore, e ripetizione degli stessi temi di base come, appunto, nella classica. O ancora prima i Moody Blues con Days Of Future Passed (1967), altro prototipo del concept album. O gli Iron Butterfy con In A Gadda Da Vida (1968) e le sue suite che duravano, senza interruzioni, per una intera facciata.
Sta di fatto che nel giro di pochi anni, anzi di pochi mesi, nessun gruppo musicale e presto nessun interprete o quasi si è sottratto all'obbligo di individure un filo conduttore per il suo nuovo album, ripreso iconograficamente nella copertina, e spesso componendo brani proprio per quella idea di fondo.



Il progressive
Fino ad arrivare all'assalto al cielo del progressive rock. Più nessun timore reverenziale rispetto alla classica. Esplicitamente citata e reiventata in Atom Heart Mother dei Pink Floyd o in Valentyne Suite dei Colosseum, e poi in moltissimi altri (dietro agli apripista Procol Harum). O ripresa come forma, nelle suite solo strumentali, nell'uso di testi complessi, nelle invenzioni musicali.

L'ascolto
Album di questo tipo non si potevano ascoltare in ordine casuale o con il dito pronto sullo skip del telecomando (che comunque non esisteva). I ragazzi dell'epoca sul loro impianto di varia qualità (spesso purtroppo assai povera, perché quella musica ne avrebbe pretesa tanta) nelle loro cameretta chiudevano ogni altra attività e per 40' o più si dedicavano all'ascolto di Pawn Hearts o Lizard o Ummagumma o Darwin. Con la stessa concentrazione che i loro genitori (o "fratelli separati" casualmente colpiti da questo virus) mettevano nell'ascoltare la classica.
E lo stesso rispetto delle scelte del musicista era applicato anche per ciò che progressive non era. L'ordine scelto per le canzoni dai Rolling Stones o da Bob Dylan non era certo casuale, e andava rispettato per cogliere al meglio il valore della musica.

L'era del CD
Il CD consentiva una gestione ancora più semplice della durata. Con la capacità di 70' consentiva di ascoltare senza interruzioni anche sinfonie molto lunghe come la Nona di Beethoven. Anzi, secondo una leggenda metropolitana, ma forse è la realtà, il campionamento a 44,1 KHz, anzichè al più logico (e performante) 48 KHz sarebbe stato richiesto dal famoso direttore d'orchestra Herbert Von Karajan alla Philips proprio per poter contenere per intero in un CD, con la capacità standard della prima versione, questa sinfonia, la più nota e suo personale cavallo di battaglia.
A parte la classica però il nuovo strumento arrivava negli anni '80, quando il progressive era stato spazzato via dal punk, e il punk dal nuovo stile raffinato dei vari Matt Bianco, Sade e così via.
Nessuno di questi stili aveva bisogno della durata del CD per ospitare suite o ambiziose composizioni. Anzi, proprio il recupero della semplicità grezza degli inizi (nel punk) o della raffinatezza ed eleganza degli anni '40 e '50 erano gli elementi principali dei nuovi generi. Concerti e videoclip erano i canali di affermazione più efficaci.



I Dire Straits
Così il formato CD è decollato nelle vendite con un gruppo che non era nè punk, né new jazz, né progressive, ma di rock blues tradizionale, anche se eseguito al meglio e composto con grande ispirazione, mentenuta per l'intero spazio di un album.
Album che si sono succeduti dal primo omonimo del 1978 fino a Brothers In Arms (1985), garantendo agli ascoltatori una certa uniformità nella qualità e fruibilità dei brani, dal "picco", il brano trainante, il cosiddetto "killer" da promuovere per radio, quello che prendeva il posto del "singolo" nell'era precedente, ai brani lenti ed intensi, a quelli con qualche spunto di originalità, ma mai sperimentali e spiazzanti.


Questo tipo di album lo possiamo considerare il modello dell'era CD, non diverso dai classici album di rock, con un unica differenza: la spinta psicologica a riempire i 70 minuti disponibili. Con quello che costava un CD negli anni '80 vendere "solo" 40-45' di musica, la durata massima di un LP, sprecando quasi mezz'ora di prezioso spazio sul dischetto, sembrava una offesa all'ascolatore - consumatore. Non c'erano ancora i masterizzatori per PC e si poteva credere che effettivamente quel tecnologico dischetto avesse un costo e un valore di per se'.
Così sono nati i brani "filler", quelli composti ed inseriti per arrivare alla durata che gli acquirenti si aspettavano. E ha incominciato ad avere senso per molti ascoltatori quel nuovo comando "skip" sul frontale del lettore o del telecomando, o leggere le istruzioni per capire come si poteva programmare l'ascolto per saltare i brani filler. Che, beninteso, potevano essere diversi da ascoltatore ad ascoltatore. Per esempio, in un album sicuramente fondamentale come Out Of Time dei R.E.M. (19xx, piena era CD, xx minuti) quanti avranno saltato la iniziale e urticante Radio Song, che magari Stipe e compagni avevano messo lì proprio per compensare la dolcezza e immediatezza del resto dei brani?

Si ritorna al singolo
Da una parte il ritorno all'album come raccolta di canzoni e l'abbandono di ogni velleità di creare nuove forme musicali e nuove composizioni ispirate ai tempi della musica classica, dall'altro l'affermazione di Napster, dell'mp3, dell'iPod e in generale della musica diffusa tramite la rete, hanno rimesso al centro "il singolo", il brano musicale con corredo di parole che esaurisce da solo, in molti casi, il desiderio di conoscenza di quel musicista. Salvo che piaccia veramente tanto da esplorare più estesamente il suo mondo cercando un suo album. Come negli anni '60, con l'unica differenza che l'album deve comunque esserci ora, per riaffermare la serietà, potremmo quasi dire la effettiva esistenza come musicista effettiva, del suddetto titolare del singolo. Indipendentemente dal fatto che qualcuno questo album lo compri.

Cosa abbiamo perso?
I nostalgici di mezza età dei meravigliosi anni '70 non hanno dubbi sul fatto che i ragazzi di oggi in questo modo, con le loro playlist eterogenee, non riescono ad approfondire un mondo musicale. Ma può darsi che non sia una scelta: nessuno appare più in grado, o nessuno ha la voglia, di buttarsi in quelle imprese (spesso velleitarie) mentre legioni di mucisti si applicano a comporre in infiniti i vari stili, come chef (a volte creativi, altri meno) della musica.
E magari comporre una playlist richiede una certa dose attiva di creatività, qualche volta può essere preferibile ad un passivo e rispettoso ascolto di qualcosa che "deve" piacere. E, infine, per un giovane c'è sempre tutto quel mondo di album concept da scoprire. In fondo sono solo di 35-40 anni fa, e gli stili musicali non sono molto cambiati (e ciclicamente tornano sempre), nella musica classica si ascoltano e si riscoprono iterativamente le composizioni di 150 anni fa e oltre, si potrà fare anche qui.

Album o singolo
In sintesi, è giusto arrendersi al nuovo dominio del singolo. Per noi che abbiamo cominciato, a quanto vedo e per mia esperienza, non ci sono alternative. Dall'album non si può tornare indietro, fatalmente dobbiamo approfondire il valore di quel musicista che ci ha incuriosito esplorando più estesamente il suo mondo. Anche a costo di delusioni e perdite di tempo. Anche per i ragazzi non ci sono dubbi, e nessuno potrà convincerli del contrario puntando ad un presunto "ascolto corretto", o rispetto per l'opera dell'artista, o cercando di sottolineare quello che perdono. Perché in fondo il loro approccio è più razionale, se è la curiosità che li guida: si può scoprire molta più musica. E sarà casomai uno stimolo per i musicisti di creare nuovamente album dove tutte le parti sono essenziali.


domenica 6 marzo 2011

Musica gratuita con Deezer.com


Aggiornamento 2014: nel tempo intercorso dal 2011, quando è stato scritto questo post, il servizio Deezer ha avuto due importanti evoluzioni che rendono il post stesso  in gran parte obsoleto. Dopo una restrizione per un periodo alla sola Francia più pochi altri paesi Deezer è diventato un servizio in streaming in abbonamento simile a Spotify, ma commercializzato in diversi paesi assieme ai contratti di telefonia mobile, ad iniziare dalla Francia con Orange, simile all'attuale TIMmusic (ex Cubomusica) in Italia. Costituisce quindi attulmente in Italia una alternativa a Spotify con costi e funzionalità simili. Per un quadro aggiornato della situazione consigliamo di leggere gli articoli più recenti sulla musica in rete (vedi la pagina di indice).

Continuando ad indagare in quello che si muove nel mondo della musica digitale parliamo di un altro sistema, completamente legale, di diffusione di musica in streaming: il portale francese Deezer.  Esiste da tempo ma si è consolidato recentemente con un proprio modello di business, che prevede semplicemente di finanziarsi con la raccolta pubblicitaria, e di pagare in questo modo le royaltes alle case discografiche che mettono a disposizione del portale una parte della loro produzione.
Più o meno come le radio commerciali, con la significativa differenza che la musica è on-demand, e non scelta dall'emittente.


L'unica cosa da fare per accedere al servizio è registrarsi, con il solito sistema della conferma via e-mail, non è necessario pagare nulla né aderire a newsletter o servizi vari, e non sono chiesti neanche troppi dati.

Il catalogo
Il catalogo è ampio, sono dichiarati oltre 3 milioni e mezzo di brani; non siamo a livello di Music Unlimited / Qriocity (6 milioni) ma dovrebbe essere comunque interessante. Il fatto però è che non è completo, nel senso che è presente in maggioranza, in base a veloci test, materiale indipendente o novità, ma anche in questo caso non tutto. Mentre non è presente il materiale degli artisti più noti, sia commerciali sia impegnati nella cosiddetta musica d'autore. Quindi non troverete nè Bruce Springsteen, nè Ani Di Franco, nè Amy Winehouse, né Ben Harper, ma neanche Rihanna. Però ci sono Sigur Ros, Adele, Joan As Police Woman, Anna Calvi, Belle & Sebastian. E molto jazz: Miles Davis, Bill Evas, Billy Eckstine, ma non Keith Jarett o Jan Garbarek. Insomma, trovare quel che ci interessa sentire, come si può fare sul già citato più volte Music Unlimited, è (al momento?) questione di fortuna.
L'uso più appropriato del comunque ingente data base di canzoni e album sembra più quello della "scoperta", in altre parole, ascoltare quello che viene proposto ed evidenziato.


La qualità audio
La qualità audio non è a livello di Qriocity / Music Unlimited, non è dichiarata ma ad orecchio sembra la tipica 90Kbps usata anche da altri servizi gratuiti analoghi (che però, salvo il caso di DG, che richiede però un piccolo pagamento, fanno sentire solo l'inizio dei brani). Sufficiente per la musica più semplice, un po' poco per la classica. Questa però è la situazione attuale in base ai test (ovviamente a campione) fatti. Può anche darsi che in futuro utilizzino una compressione minore, considerando che non è dichiarata. La codifica a quanto si capisce è MP3.

Inserimento in altri siti
Il fatto che il servizio sia del tutto gratuito consente interessanti opportunità, ad esempio inserire dei link al portare il siti musicali, quando si cita un album, un brano o un artista, dando così la possibilità di ascoltare "al volo" ciò di cui si parla. E' una funzionalità prevista da Deezer, sono già previsti allo scopo appositi plugin che si possono scaricare dalla pagina per gli sviluppatori (developer).
In questo modo, evidentemente, aumentano le visite al portale, che sono il principale capitale che hanno. L'abbiamo ovviamente sperimentato subito per il sito Musica & Memoria ed ecco qua gli esempi della discografia "pronta all'uso" per Belle & Sebastian, Miles Davis, Pete Seeger.

Come fanno a guadagnarci?
Il modello di business, al di là del dichiarato, non è troppo chiaro, soprattutto perché, come si vede dalle immagini, le videate sono molto pulite, e non presentano il solito ammasso di inserzioni pubblicitarie degli altri portali che offrono risorse gratuite.
Ci si chiede come possano reggere economicamente, e la domanda interessa per avere una idea se si tratta di una delle solite iniziative in quest'area che partono con grandi ambizioni ma poi si spengono o si riducono a vivacchiare, come è avvenuto per Mercora Radio.
Il costo della struttura non dovrebbe essere peraltro tanto ridotto, visto che nella pagina "chi siamo" viene mostrato il "dream team" di Deezer, e saranno almeno una quarantina di persone.

Intanto c'è anche un servizio "premium" a pagamento. In partnership però soltanto con un gestore di telefonia mobile francese (Orange). Non posso fare il test non essendo abbonato Orange, ma immagino che siano disponibili in questo caso gli album degli artisti citati prima come assenti. Sempre per il download su telefonino allo scopo di utilizzarlo come lettore MP3.


Per il materiale gratuito pare di capire che il finanziamento, a parte le percentuali per i download generati con iTunes e Amazon, provenga in maggioranza dalle case discografiche stesse, che usano questo portale, "acquistando" i suoi visitatori (l'audience), che il portale  punta ad allargare anche attraverso servizi di "community" (vedi sopra), per promozionare su un canale alternativo (e sicuramente economico) novità o artisti da lanciare o consolidare. Un po' come fanno già su YouTube con i vari canali delle stesse case discografiche o il canale Vevo per i videoclip.
Insomma un recupero dei vecchi sistemi per vendere la musica (farla sentire in qualche modo).

mercoledì 23 febbraio 2011

Ottimizzazione di Foobar2000

Il precedente post dedicato a Foobar2000 era una mini guida pratica di questo media player, il più versatile e probabilmente anche il migliore per ambiente Windows. Ottimo prodotto, freeware, ma anche un poco complesso da utilizzare.
Restavano da fornire alcune indicazioni sulla ottimizzazione dell'audio, che avevo temporaneamente omesso in attesa che si stabilizzasse il prodotto rispetto alla nuova versione, ormai standard, del sistema operativo Microsoft, Windows Seven.

Parliamo quindi di Foobar2000 nella versione attuale (inizio 2011) ovvero la 1.1.2, e della configurazione ottimale per interfacciare un DAC esterno, in questo caso il Musiland Monitor 01 US, un componente che utilizza un suo proprio driver. Con altri decoder esterni la configurazione potrebbe essere in parte diversa, ma per tutti esiste la esigenza di bypassare il mixer di Windows, ovvero la interfaccia standard che gestisce l'audio. Questo al fine di presentare il flusso binario al decoder senza alterazioni, ovvero bit per bit (exact bit playback). E di dedicare in modo esclusivo il decoder audio al player.

Nelle precedenti versioni di Windows (prima di Vista / 7) per raggiungere questo risultato era necessario operare in modalità "kernel streaming" (sorvolo sui dettagli, che si possono trovare facilmente in rete, anche per esempio qui sul sito Microsoft). Con Windows 7 è stata invece introdotta (o reintrodotta) una interfaccia (API) che consente di bypassare questo famoso mixer, e su questa base è stata sviluppata in Foobar2000 (e consimili oggetti) la interfaccia WASAPI.

Che quindi deve essere selezionata preferenzialmente per ottenere le prestazioni migliori. In rete sono presenti istruzioni e risposte ai forum di svariate età, e quindi la confusione è in agguato.
Con la versione in distribuzione da foobar.org le cose sono invece piuttosto semplici. Nel kit standard il componente WASAPI è infatti incluso (se non c'è nella versione installata occorre installare il component WASAPI.fb2k-component), e quindi è sufficiente avere l'accortezza di selezionarlo, da File > Preferences > Output, come mostrato nella figura seguente.


Occorre fare attenzione anche al bitrate (output format, il secondo menu a tendina in questa maschera) che potrebbe essere configurato di default a 16 bit (anche se si usa materiale a 24 bit) e che deve essere quindi allineato al software che si vuole ascoltare. A questo punto il decoder è in uso esclusivo al player di Foobar2000, il mixer è bypassato e il livello di interferenze è il minimo possibile. Per sincerarsi che tutto sia andato a buon fine basta attivare una qualsiasi applicazione che suona, ad esempio un video YouTube. Se è tutto a posto l'audio dovrebbe rimanere muto e si dovrebbe continuare ad ascoltare solo l'output di Foobar.

Quindi niente componenti da installare nella nuova versione, a differenza di quanto riportato in diverse guide (anche quella sul numero 318 di Audio Review).

Cosa succede se non si fanno queste (peraltro semplici) operazioni? Nulla di drammatico, la musica la si ascolta lo stesso. Soltanto che, a bassi volumi, come nel pianissimo di una orchestra (sto ascoltando per esempio il Pelleas et Melisande di Sibelius) si possono sentire lievi disturbi di sottofondo. Con la interfaccia Wasapi va invece tutto a posto e si apprezza in pieno la dinamica che ci aspettiamo. Con la musica rock o altra musica a minore dinamica le differenze sono molto meno avvertibili. Per l'audio di qualità conviene però puntare sempre alle migliori condizioni possibili.


martedì 1 febbraio 2011

Music Unlimited

Annunciato da tempo come una risposta della multinazionale Sony a iTunes, la sezione musicale del portale Qriocity (che si legge in inglese curiosity) è disponibile da quest'anno anche in Europa e persino in Italia. Gli hanno dato il nome Music Unlimited ed ha, a quanto pare, l'obiettivo di costituire una cornice di contenuti che metta al centro del sistema la popolare e diffusa Playstation, che sarebbe la sua chiave d'accesso, così come l'iPad lo è stato per iTunes (e viceversa).

Per tutti gli altri, e in particolare per gli appassionati di musica dotati di un PC collegato in rete (non importa se Windows o Mac) è però una risorsa molto interessante ed una valida alternativa a iTunes e anche al P2P (ops).

Basta col download 
Prima di passare alla sintetica recensione di questo nuovo servizio occorre però fare una premessa: è un servizio che interessa solo chi non è ossessionato dalla necessità di possedere la musica. Dai tempi di Napster e, ancor prima, delle musicassette Philips l'obiettivo dell'appassionato medio è stato costantemente quello di riempire la casa (o i dischi dei computer) di quanta più musica possibile, per averla a disposizione e per ascoltarla in un tempo successivo, che a volte non arrivava mai. Fino alla musica liquida c'era anche la preoccupazione di metterla da parte fino a che era disponibile in rete (dischi fuori catalogo, introvabili ecc.).

Se invece si ribalta l'approccio e si considera la musica come qualcosa da ascoltare nel momento in cui ci va di ascoltarla, o quando abbiamo tempo di farlo, e si accetta che non sia nostra, nella discoteca di casa o sul nostro computer, ma condivisa,  e si accetta il semplice vincolo di andare a riprenderla dalla discoteca condivisa quando ci va di riascoltarla, possiamo esaminare i vantaggi di un servizio come Music Unlimited. Che è simile ad altri servizi concorrenti di iTunes, che però sono disponibili solo negli USA.

Music Unlimited: i prerequisiti
Perché il servizio sia realmente interessante sono indispensabili: 1) la ampiezza del catalogo  2) una qualità audio accettabile.
Il catalogo: con MU la Sony BMG ha fatto le cose per bene ed è disponibile non solo la produzione di questa major, ma anche quella di tutte le altre 3 e di parecchie indipendenti. Si trovano quindi anche album particolari e scarsamente conosciuti. Ho fatto un test in tal senso molto positivo che si può leggere dopo.
La qualità audio: l'audio è ovviamente compresso. Il sistema di codifica non è dichiarato così come il tasso di compressione. All'ascolto è più che soddisfacente, meglio di quanto fornito ad esempio da Deutsche Grammophone. Dovrebbe essere equivalente a un MP3 128kbps.

Music Unlimited in pratica
Come ho premesso si tratta di un servizio solo in streaming, niente download. Si accede da una sezione specializzata all'interno del portale Qriocity, che fornisce anche altri servizi, es. video on demand.
Gli utenti non registrati possono navigare sul catalogo e accedere ai canali, ma l'ascolto è limitato a 30" per brano.
La registrazione è a pagamento, serve la solita carta di credito o prepagata, e il costo è attualmente di 3,99 € / mese per il solo ascolto dei canali standard, e di 9,99 € / mese per l'ascolto degli album e dei singoli, oltre che dei canali premium.

Per chi si registra la prima volta, l'abbonamento completo è gratuito per un mese. Bisogna fare tutta la procedura e fornire la carta di credito, ma poi viene addebitato zero. Il servizio prevede il rinnovo automatico, ma è correttamente evidenziato nel successivo accesso che può essere disabilitato, cosa che si può fare con un clic. Immagino che la aspettativa sia che chi inizia con questo servizio non ne possa poi più fare a meno e decida poi di continuare. Aspettativa non del tutto infondata. Niente pubblicità e tutto in italiano.
Nella figura seguente come si presenta il portale.


Ho parlato di canali senza chiarire prima di cosa si tratta. Sono come stazioni radio a tema. Quelli premium contengono le top-100 (aggiornate giornalmente o quasi) divise per genere (reggae, hip-hop, ecc.). Gli altri non premium sono suddivisi sempre per genere o per decennio, e la scelta dei brani è casuale, con una scaletta, come nelle radio. Però senza presentatori, programmi, interruzioni o pubblicità, solo musica.
Qui sotto ad esempio la top-100 reggae, i canali "decennali" e il canale anni '80 selezionato.



Un tipo di fruizione che probabilmente può piacere, ma noi appassionati della radio preferiamo ascoltare in questo caso le vere radio con contenuti musicali di qualità che ancora resistono.

Music On-Demand
La parte più interessante del servizio è la musica ricercabile ed ascoltabile on-demand. Con un sistema di ricerca semplicissimo (testuale) si inserisce liberamente il nome dell'autore o dell'album o della canzone e il portale mostra quello che ha. E di solito ha. Anche per album certo non comuni come il gruppo mongolo-cinese Hanggai, del quale sono ascoltabili entrambi gli album pubblcati. Su Amazon, che ha un catalogo come noto vastissimo, per confronto se ne trova solo uno.
Nella figura che segue come si presenta un album che abbiamo selezionato, in questo caso l'ultimo dei White Lies.



Playlist e preferiti
Li chiamano rispettivamente elenco di riproduzione e raccolta personale. Quest'ultima è una specie di succedaneo del download. Chi non può proprio fare a meno di appropriarsi in qualche modo della musica, può mettere da parte virtualmente l'album o il brano che al momento non può ascoltare, invece di ricercarle di nuovo quando avrà tempo. In pratica salva i link che ha trovato. La playlist invece sappiamo a cosa serve e si può organizzare anche qui come su iTunes.
A parte queste due e le funzioni di navigazioni e ricerca c'è ben poco altro. Solo un pulsante "mi piace " / "non mi piace" dall'utilità non chiara. Forse per statistiche. Niente cronologia, solo la memorizzazione dell'ultimo album ascoltato nella sessione precedente. Che può essere una alla volta. Se accediamo da un altro computer la sessione ancora aperta viene chiusa. Per il resto installazione molto veloce, funzionamento senza incertezze ed interruzioni, almeno nei test fatti (a differenza di quanto avviene spesso con YouTube, che, va bene, è gratis), se una canzone è momentaneamente non disponibile viene visualizzato un messaggio.



I test: il catalogo
Vediamo quindi se il catalogo è effettivamente vasto come dichiarato. Ho fatto all'inizio qualche test a caso, cercando musicisti meno noti, ma "da catalogo", come Pentangle, J.J.Cale o Brian Setzer, e c'erano (tutta o gran parte della loro produzione).
Poi sono passato ad un test più difficile. Ho preso l'ultimo numero della rivista Audio Review, sono andato alla sezione musicale pop/rock e ho verificato se c'erano i dischi recensiti, tutte novità, ma quasi sempre di musicisti poco noti, di "avanguardia", secondo la linea editoriale della parte musicale curata da Federico Guglielmi. E c'era quasi tutto. Ecco la lista.

Ci sono:
Adele - 21
Wanda Jackson - The Party Ain't Over
Heidi Spencer & The Rare Birds 
Lia Ices - Grown Unknown
Cristina Donà - Torno a casa a piedi
Verdena - Wow
Paolo Conte - Nelson
Daniel Martin Moore - In The Cool Of The Day
Iron & Wine - Kiss Each Other Clean
John Vanderslice - White Wilderness

Non ci sono (almeno al momento)
Marianne Faithfull - Horses And High Heels (ma c'è la discografia precedente)
Sharon Van Etten - Epic (ma c'è il lavoro precedente)
Anna Calvi - Electric Diva
Secret Sisters
Kinzli & The Kilowatts - Down Up Down
24 Grana - La stessa barca
Elliott Murphy - Elliott Murphy

Da questo test, forzatamente parziale, si può dedurre che è disponibile anche molta musica meno consueta, appunto la cosiddetta "avanguardia" di etichette minori. Non ci sono a volte le ultime uscite di case discografiche probabilmente legate ad altre major. Quello che non c'è è solitamente reperibile su Amazon (nell'elenco sopra solo i 24 Grana non ci sono neanche su Amazon, oltre ad Hanggai citato prima). Ma penso che ci sia sufficiente materiale interessante per soddisfare anche gli appassionati più curiosi. Ho provato anche a cercare gli stessi album particolari su iTunes, dove sono presenti tutti, tranne, anche qui, l'ultima uscita degli italiani 24 Grana.
Il test l'ho fatto sul pop/rock versante avanguardia o alternative, ma la situazione non cambia per il jazz (dove però le etichette minori sono ancor di più). Per la classica invece il catalogo sembra meno completo. In altre parole per quanto riguarda compositori e opere si trova in genere quello che si cerca. Se si cercano specifiche interpretazioni il discorso cambia. Ma si tratta di un catalogo sterminato.

La qualità audio
Non sono riuscito a trovare da nessuna parte (e non è dichiarato) lo standard di compressione, che trattandosi di Sony potrebbe essere una evoluzione dell'Atrac, nè il tasso di compressione applicato. Se qualcuno lo trova ce lo faccia sapere.
Ho fatto quindi delle prove di ascolto, prima su musica acustica e poi su musica classica. Ho usato all'inizio la scheda audio del mio notebook (un Sony Vaio del 2010) con il codec settato a 24/96. Poi ho provato con un DAC esterno, in particolare con un Musiland Monitor 01 US (vedi recensione in un precedente post) collegato ad una cuffia dinamica Sennheiser. Trattandosi di audio compresso in streaming non mi aspettavo un miglioramento, che invece c'è stato, non evidente e immediato, ma facilmente percepibile nella generale pulizia e possibilità di distinguere i piani sonori e i singoli strumenti, oltre che nella timbrica degli strumenti stessi. Le prove a confronto sono state fatte su alcuni brani di classica (i Brandeburghesi di Bach con la direzione di Jordi Savall). Anche sulla acustica (in questo momento sto ascoltando molto piacevolmente Amos Lee) l'ascolto è molto valido.

In sintesi
Ascoltare al costo di un CD per un mese intero quanta musica si vuole, anche non commerciale, poter verificare le recensioni o i consigli, e scegliere a ragion veduta di acquistare in alta qualità, o almeno in qualità CD, solo quello che veramente vale o che comunque ha una buona probabilità di essere ascoltato più di una volta, mi sembra un buon vantaggio.
Ottima idea quindi quella di Sony di mettere finalmente a disposizione anche di noi europei (e addirittura di noi italiani) questo servizio. Che in USA ha diversi concorrenti, non so se superiori o meno (leggo in rete pareri contrastanti), ma da noi no.

domenica 9 gennaio 2011

La Tivoli Audio

Mentre cresce l'interesse verso la musica liquida, l'alta definizione in musica e i sistemi per riprodurla, tutti temi dei quali ci siamo occupati in questo blog già da diverso tempo e con un certo anticipo (vedere l'indice per una guida su tutti gli articoli in merito) facciamo invece ancora un passo indietro nella direzione del suono analogico.

Parliamo di radio, però, un settore dove il digitale non è ancora arrivato.
Nonostante qualche tentativo, chiamato DAB, T-DMB e DRM. L'unico formato che ha avuto una qualche diffusione (ma quasi solo in Germania e UK) è il primo. Ma è una tecnologia di 10 anni fa, e la probabilità che sia adottato in Italia è ormai piuttosto ridotta, se non nulla. Le radio private non la vogliono, ne hanno solo svantaggi e nessun vantaggio. La Rai sta sperimentando uno standard alternativo. E quindi si rimane sull'FM degli anni '60 (che non è poi male) con annesso il caos delle frequenze che chi vive nelle grandi città conosce, oltre che la chiusura quasi totale del settore rispetto all'apertura di nuove radio (tutte le frequenze sono occupate). Il futuro sarà magari la radio trasmessa via televisione (digitale terrestre o satellite). Ma si ascolterà dall'apparecchio TV o da qualche sistema multi room. Non sarà più "una radio".

Qualcosa di decente (musicalmente parlando) nel mare magnum delle radio FM commerciali tutte uguali però in qualche modo c'è, e quindi si può godere anche in Italia del suono della migliore radio disponibile oggi, appunto la Tivoli Audio Model One. Che è diventata anche, a sorpresa, uno specie di status symbol.

Il progettista Henry Kloss, un noto guru del settore Hi-Fi, che aveva disegnato alcuni storici modelli di casse acustiche degli anni '70 e fondato marchi storici come la Advent, per realizzare questa radio non si è in realtà sforzato molto. Il suo obiettivo era ottenere il miglior suono possibile da una radio comunque compatta e portatile. Quindi la prima cosa su cui investire era appunto il sistema di diffusione sonora, la "cassa". Si erano largamente affermati in quel periodo i minidiffusori con tecnologia bass-reflex. Con dimensioni veramente minime si ottenevano prestazioni sorprendenti, anche sui bassi. Quindi questa era la prima soluzione, mettere la radio dentro un mini diffusore.

Lo stereo, e anche l'FM è stereo, prevede però due diffusori, e qui Henry Kloss ha avuto una prima idea geniale. Invece di proporre un oggetto finto stereo, con due altoparlanti talmente vicini che l'effetto stereo diventa inesistente (come in tutte le radio che giravano all'epoca, i compattoni portatili) ha preferito direttamente passare al mono. In ogni caso la differenza non c'era, e un solo minidiffusore poteva fare da radio.

Restavano da decidere gli altoparlanti, i minidiffusori di solito ne hanno due, tweeter e woofer, il che richiede un cross over e un amplificatore più potente.
Ma anche qui passando al mono e rinunciando all'alta fedeltà in senso stretto si poteva semplificare ancora, anche perché l'FM è limitato in banda all'origine a 16 KHz. Ha adottato quindi un solo altoparlante a banda intera. Niente cross-over e distorsioni annesse e difficoltà di carico per l'amplificatore, perfetta coerenza tra alti e bassi e medi (gamma più critica) serviti nel modo migliore. E costi di gran lunga inferiori.

Restava la vera e propria sezione radio. Circuiti integrati per la sintonia in digitale (non per il segnale, che rimane sempre analogico) ce n'erano tanti e a costi bassissimi, ormai li inserivano dappertutto, anche nei portachiavi. Ma questo era un oggetto per chi dava la priorità alla qualità, e poteva anche rinunciare a qualche comodità, come la memorizzazione dei canali o la ricerca facilitata delle stazioni.
Quindi un tuner analogico, ma di elevata qualità e sensibilità, con tecnologia a MOSFET, con un comando molto semplice, un manopolone demoltiplicato, che con molta attenzione consente di selezionare le diverse stazioni sovrapposte caoticamente tra di loro anche nell'etere selvaggio di Roma, uno strumento di sintonia rappresentato da una luce che diventa più brillante quando il segnale è migliore, come nella radio del salotto di mia nonna, e niente di più.

Poi a completare il tutto un amplificatore di qualità, ma di non grande potenza (non serviva per le dimensioni dell'oggetto) e una estetica semplice ma piacevole, una cassettina rifinita in legno, un frontale pulito e raffinato in colore gradevolmente armonico con quello del legno. E anche buone possibilità di connessione, così la cassettina poteva servire (sempre in mono) anche per altre sorgenti, per esempio a un lettore di CD portatile.

Poteva avere successo una radio FM mono, a sintonia manuale, e per giunta, nonostante le semplificazioni progettuali, per via della elevata qualità costruttiva, anche molto ma molto più cara di qualsiasi radio o compattone con radio in commercio?
Apparentemente doveva essere impossibile, invece il successo è arrivato. Senza neanche pubblicità o articoli sulle riviste Hi-Fi, solo con il tam-tam, il passa parola. E l'esperienza diretta.

Perché ascoltare con una Model One uno dei (rari, molto rari, purtroppo) programmi decenti trasmessi dalle radio FM in Italia è una esperienza molto piacevole. Un suono pieno e ricco, molto esteso sui bassi, molto gradevole sul parlato, la possibilità di sentire i dettagli, in una parola (abusata), naturale, quello che si voleva e si cercava e che riporta (e mi ha riportato) al piacere di sentire la radio. Un modo diverso di fruire della musica, per una volta non scegliamo noi, ma in questo modo abbiamo anche modo di scoprire tanta musica nuova che non conoscevamo (tanta se fossero tante le trasmissioni o le emittenti che ci provano, ma questa è un'altra storia).

L'azienda Tivoli Audio fondata da Henry Kloss ha avuto quindi un inatteso successo mondiale e, dopo la scomparsa del fondatore, ha capitalizzato sul brand ormai acquisito per lanciare tutta una serie di varianti e prodotti in qualche modo derivati. Dal model Two (stereo, due cassettine) e PAL (portatile, pensato soprattutto per barca) già progettati dallo stesso Kloss, al modello radio sveglia (gli americani le usano ancora) al modello con CD, al modello satellitare, Internet e così via. Tutti oggetti interessanti, non discuto, ma la meravigliosa semplicità del Model One rimane insuperabile, e insuperata nonostante qualche tentativo di imitazione giapponese (da Teac per esempio). Buoni prodotti magari, ma senza la magia dell'originale.

Da non confondere con le miriadi di pseudo imitazioni cinesi, dal prezzo certo molto più basso (anche un quinto) ma dalla qualità incomparabilmente inferiore, che si vedono un po' da tutte le parti. Da evitare con la massima cura.

(Nelle immagini, ricavate dal sito della Tivoli Audio, il modello One nelle due rifiniture classiche con frontale avorio e blu; in seguito si sono sbizzarriti in una gamma di altri colori, ma il design è rimasto sempre piacevoli, non è però un design "retrò", come afferma in modo sprovveduto il sito italiano dell'azienda, è un design razionale, non è la stessa cosa)

lunedì 20 dicembre 2010

Lotta al caro disco - II parte

In un precedente post avevo raccontato di come si può abbattere il costo dei CD acquistandoli semplicemente in rete (da Amazon UK in questo caso), arrivando senza grandi difficoltà ad un prezzo medio di meno di 8 € per album nuovi, con novità discografiche.

Ancora troppo? Cercando sempre su Amazon UK ho verificato che si può anche scendere, e molto. In questo caso stavo cercando il notevole disco di esordio del cantautore irlandese Damien Rice, che si chiama semplicemente O, e ho trovato come al solito ottime condizioni. L'attenzione mi è caduta però sulla sezione "used" che dichiarava prezzi a partire da ... pochi centesimi.
Non potevo esimermi dal provare, e così ho ordinato una copia dichiarata in condizioni "very good" al modico prezzo di 18 centesimi (di sterlina). Con i costi di spedizione arrivavamo a 2,9 €.
Dopo meno di una settimana il CD è arrivato. Era una confezione Digipack (cartonata) e quindi un po' più soggetta ad usura di quelle con jewel box, ma non mancava nulla, qualche lieve segno sul bordo, il CD era in buone condizione, e suonava senza problemi. Il tutto per meno di 3 €.

Chiaramente ho dovuto provare ancora, mi mancavano in edizione CD un paio di album dei REM (li avevo acquistati su iTunes), e così ho selezionato, sempre come usato "very good", Up e Reveal.
Tutti e due in vendita per un centesimo di sterlina. Magari non ci si crede, e quindi ecco qui la ricevuta di acquisto:


Come si vede il costo è rappresentato solo dall'imballaggio e dalla spedizione, ma siamo a 2,22 € per CD.
Spediti dall'Inghilterra il 10 dicembre, sono arrivati il 16 in una busta imbottita per CD. I CD erano in buone condizioni, solo un piccolo graffio su Up (ma c'è il correttore di errore sui CD, basta non farlo lavorare troppo). Uno dei due jewel box era in parte rotto, ma certo non è un problema cambiarlo, anche non riciclandone uno, costano pochi centesimi. Le cose più importanti, il libretto e la copertina, erano intatte. Il tutto per un centesimo l'uno.

Ce ne sono in vendita anche altri a prezzi analoghi, da numerosi "negozi" Amazon, e posso concludere che, almeno in questo periodo, sono disponibili parecchi CD a condizioni veramente economiche.
Per quale motivo vendano CD a questo prezzo non lo so. Forse hanno acquistato abbonamenti di spedizione dalla Royal Mail e se non raggiungono il numero previsto ci rimettono. Gli conviene spedire anche gratis o quasi per guadagnare sui costi di spedizione. Certo soltanto il lavoro di confezionamento si dovrebbe mangiare tutto il piccolo ricavo, ma suppongo che sappiano quello che fanno.

Quindi, in sintesi: perché scaricare senza sosta musica dalla rete?

domenica 12 dicembre 2010

I test dei componenti hi-fi servono a qualcosa?

"Ma tu leggi per passare il tempo questa rivista? E' piena di grafici!". Così mi diceva stupita e vagamente scandalizzata mia figlia tempo fa, dopo aver sfogliato per pura curiosità una rivista di alta fedeltà che avevo lasciato in giro per casa. Effettivamente le riviste di alta fedeltà "tradizionali" pubblicano da sempre prove strumentali dei componenti Hi-Fi, prove che dovrebbero consentire un giudizio oggettivo sul valore dei componenti stessi.

Nel periodo del boom dell'alta fedeltà a livello di massa, negli anni '70, che la qualità dei componenti si potesse misurare era un assioma da tutti accettato. Caso mai il dibattito era su quali misure erano veramente significative. Ma gli appassionati dibattevano sulla qualità dei loro amplificatori preferiti citando la potenza continua o la distorsione o la risposta ai transienti, come autentici esperti di elettroacustica e fisica.
E in parallelo le case produttrici facevano a gara a far uscire prodotti con misure strumentali sempre migliori, distorsione sempre più basse, risposte in frequenza sempre più estese, fluttuazioni inesistenti, e così via.

Tutto è continuato così, salvo per pochi carbonari che già contestavano questa idea di misurare tutto, sino all'arrivo del CD e ai suoi effetti collaterali imprevisti. Il CD tecnicamente perfetto, con risposta in frequenza perfetta, rispetto al giradischi, con rapporto segnale / rumore più esteso di quello di una sala da concerto con spettatori muti ed immobili, con distorsione inferiore al fondo scala degli strumenti di misura. E però qualcosa non andava all'ascolto.

E in parallelo, come reazione alla perfezione raggiunta solo sulla carta (millimetrata), si andavano affermando due categorie di oggetti che erano in contraddizione totale con i risultati delle misure: gli amplificatori a valvole e i mini-diffusori. Poco tempo ancora ed è tornato anche il vinile, preferito dagli appassionati anche al successore designato del CD, il Super Audio CD (o SACD).

In tutti questi casi la distanza in termini di risultati delle misure tra un amplificatore a valvole ed uno a stato solido di uguale potenza (ma anche di potenza inferiore), tra un mini-diffusore ed un diffusore a tre o più vie, di  un giradischi analogico e di un lettore CD, era abissale.
Eppure all'ascolto un numero sempre maggiore di appassionati li preferivano. All'inizio pochi, danarosi, ed esoterici. Poi sempre di più, fino a che ora nessuno, tranne pochi ostinati positivisti ad oltranza, mette in dubbio la qualità musicale di un amplificatore a valvole o di un vinile suonato da un buon giradischi.

Quindi, se non riescono a discernere tra queste differenze macroscopiche, a che servono le misure?

Approfondiamo un po', senza imbarcarci in discorsi troppo tecnici, e sperando di non fare semplificazioni eccessive,  aiutandoci con qualche esempio. Utilizzo alcune prove recenti tratte dalla rivista Audio Review (AR), la principale del settore in Italia. Sia chiaro, premetto subito che le prove sono eseguite tutte in modo pienamente rigoroso e che le mie considerazioni non sono assolutamente orientate a discuterne i risultati. Sono solo esempi, tratti da una rivista autorevole, a corredo delle osservazioni e delle riflessioni che propongo.

Cominciamo dagli amplificatori
Tutta elettronica (ed elettrotecnica), dovrebbe essere il componente più facilmente misurabile. Ed in effetti è quello dove sono state sperimentate più tipologie di test.
Il primo dato che viene rilevato è la potenza. Ma negli amplificatori moderni (e nella case moderne) è ben difficile che sia insufficiente. Questo dato serve solo per classificare l'oggetto, un po' come la cilindrata per le auto. Quindi occorre concentrarsi sulla qualità della potenza. Per misurarla AR (e prima Suono) ha sviluppato una misura di sintesi molto efficace, un insieme di test, loro esclusivo, che hanno chiamato "tritim".
Osservando che la musica non è lineare, quindi non è un carico solo resistivo (come quello usato per misurare la potenza convenzionale) questo complesso test traccia la risposta dell'amplificatore per carico induttivo e capacitivo, al crescere della potenza. La sto facendo già troppo complicata, me ne rendo conto, e passo quindi a mostrare il grafico in questione. Che già spiega tutto o quasi.


Come si intuisce la risposta ideale dovrebbe presentare dei picchi e delle linee senza incertezze, sia nella zona nera (dove l'amplificatore lavora nelle condizioni ottimali, o "di targa") sia nella zona rossa (al di fuori). Le alterazioni indicano la "non linearità" rispetto alla situazione teorica ottimale, e quindi la possibile origine di difficoltà di pilotaggio delle casse e quindi di imperfezioni nel suono.
Il grafico mostrato è relativo ad un amplificatore a stato solido di buona qualità, provato con esito molto positivo dalla rivista, il NAD C316BEE, ma molto economico (costa meno di 500 €).
Come si vede i grafici sono praticamente perfetti in zona nera e buoni anche in zona rossa, con qualche imperfezione. Valori abbastanza buoni? Scarsi? Lo vediamo dopo.

Per intanto ci concentriamo su un altro dato importante: la distorsione. Come si vede da quest'altro grafico, sempre del NAD, è misurato l'andamento delle distorsione all'aumentare del volume, sino alla massima potenza (circa 80W in questo caso).


Come si vede è sempre inferiore allo 0,1%, sino alla potenza massima, dove sale in modo netto. Addirittura, diminuisce in modo costante all'aumentare del volume, sino allo 0,01%, per effetto, come dice la nota della rivista, del sistema di contro-reazione per diminuire la distorsione che questo amplificatore (come la maggior parte dei modelli) applica.

Un amplificatore a valvole invece come va?
Per sapere se queste misure possono effettivamente spiegare il giudizio molto buono che si da' di questo nuovo prodotto Nad proviamo a confrontarlo con un rinomato amplificatore a valvole. La scelta è caduta su un prodotto tedesco molto curato dal punto di vista tecnico, il T+A V10.
E subito abbiamo qualche sorpresa.
Intanto la curva di tritim in questo caso non c'è. Come per tutte le prove degli ampli a valvole o quasi. Il fatto è che, per le caratteristiche intrinseche delle elettroniche a tubi, questo tipo di misura è difficilmente applicabile, andrebbe sempre fuori scala, e anche dove risponderebbe avrebbe notevoli alterazioni. Peggio del peggior ampli a transistor, potremmo dire.
Lasciamo questo punto interrogativo per aria e cerchiamo un'altra misura confrontabile: la distorsione.

Qui la curva è diversa, scende per poi risalire, ma è costantemente sopra allo 0,1%, per arrivare vicino allo 0,4% a -10 dB (volume elevato, ma possibile). Quindi molte volte di più del Nad, che costa un decimo di questo rinomato integrato a valvole.


Forse gli ampli a valvole e quelli a transistor proprio non possono essere confrontati.
Proviamo allora a confrontare il nostro Nad con un altro amplificatore a stato solido, l'integrato McIntosh MA-6600, provato nello stesso numero. Cominciamo con la curva di tritim:


Non è molto migliore, anzi la risposta lineare si ferma prima. Certo, c'è che da considerare che è molto più potente (150W contro 88W, in regime impulsivo su 8Ohm) e che quindi la zona lineare in termini di potenza si estende di più. Bisogna tener conto però che il McIntosh costa oltre 20 volte di più del piccolo Nad, e quindi che abbia più potenza sia comprensibile. Fino a dove la potenza di targa è sufficiente (con 88W si sonorizza tranquillamente qualsiasi ambiente domestico normale) il comportamento dei due integrati a questa misura, abbastanza impegnativa da mettere in crisi gli amplificatori di qualche anno fa, è praticamente identico, anzi è di un filo più lineare per il Nad. Veniamo allora alla distorsione.


E anche in questo caso il comportamento è molto simile. Sempre sotto allo 0.1%, scende fino a che il volume raggiunge il massimo, poi sale velocemente, e viene limitata da un apposito circuito anti-clipping può deciso di quello del Nad. Ma siamo nella situazione di volume al massimo con un amplificatore da oltre 150W, i vicini hanno già chiamato i pompieri o è il proprietario che si sta lanciando sul volume rimasto ruotato al massimo per errore per salvare i poveri altoparlanti. Non una situazione di ascolto reale.
Notiamo solo. come ultima cosa, che anche la curva del McIntosh mostra chiaramente il ricorso alla controreazione (che ultimamente non è molto popolare tra gli audiofili) ma il recensore di AR in questo caso, a differenza che per il Nad, sorvola su questa osservazione.

E le casse come vanno?
Un'altra misura che negli ampli dice poco, e che era la misura principe agli albori dell'alta fedeltà, è la risposta in frequenza. Come restituisce il suono in ingresso il nostro amplificatore al variare della frequenza? Se fosse ideale dovrebbe fare questo mestiere sempre allo stesso modo per tutta la gamma udibile, quindi da 16Hz a 20KHz (per chi ci arriva a sentirli). In altre parole la misura dovrebbe mostrare una retta perfetta da 16 (o 20)Hz sino ai 20 (o 16)KHz. Vediamo come vanno il Nad e il McIntosh.


La risposta del Nad (sopra) è quasi lineare con solo una lieve attenuazione a 20Hz per entrambi, un po' più marcata per il McIntosh (anche a 20KHz in questo caso), nella figura sotto (entrambi i testi sono a 2,83V su 8Ohm).


Il suono però esce dalle casse, e allora vediamo se questo comportamento così lineare attraversa anche questo componente fondamentale e arriva intatto alle nostre orecchie. Sappiamo che si tratta del componente Hi-Fi più critico e quindi non prendiamo ad esempio un diffusore economico. Prendiamo il miglior modello del noto produttore inglese Monitor Audio (costa oltre 6500 €), e vediamo come va.


A parte che inizia parecchio dopo, a 40-50 Hz, a diventare lineare, poi presenta numerose oscillazioni , di ampiezza all'incirca + o - 3dB (avvertibili).
Ma non perché questo modello sia riuscito male, anzi è un diffusore di elevata qualità, ma perché per limiti fisici non si può fare molto di più. Esistono diffusori più lineari (i monitor da studio ad esempio) ma la curva ha sempre oscillazioni, anche se magari entro 2dB o meno.
Il punto è un altro: se all'uscita il suono viene così alterato (pur rimanendo, come sappiamo, apprezzabile) come facciamo a percepire le eventuali alterazioni, di uno o due ordini di grandezza inferiori, dei componenti a monte?

Passiamo alla distorsione. Per i diffusori si misura la distorsione per intermodulazione, quindi probabilmente il confronto è un po' forzato, ma dal grafico ulteriore che mostriamo ...


... si vede che siamo a livelli molto superiori, al variare della frequenza e delle armoniche si arriva anche all'1%, 5 volte e più quella degli ampli, a valvole o transistor che siano. Vale lo stesso discorso: questo tasso di distorsione dovrebbe essere in grado di mascherare eventuali differenze dei componenti a monte.

Abbiamo quindi scoperto componenti che non mantengono quello che promettono?
Il McIntosh, nonostante il prezzo, vale come un Nad? Gli amplificatori a valvole sono una allucinazione collettiva? Neanche per sogno, chiunque li ha provati li giudica di molto superiori, e sono convinto che supererebbero anche test oggettivi in doppio cieco. E il McIntosh è sicuramente superiore al Nad (che valga 20 volte tanto lo giudicherà chi pensa di acquistarlo):
Il fatto è che la superiorità all'ascolto, la famosa musicalità e trasparenza di cui parlano di solito i recensori, dipende evidentemente da altri fattori, per i quali non esistono misure utilizzabili, o le misure sono troppo complesse da impostare ed eseguire perché coinvolgono molti parametri.
Per questo motivo alcune riviste di alta fedeltà hanno abbandonato le misure sin dagli anni '90 (e AR pubblica da quel periodo anche la sezione AudioClub, con prove senza misure) e giudicano le macchine da musica solo con l'ascolto.

Quindi, le misure servono o no?
Per scegliere un componente oppure un altro, come si faceva negli anni '70, direi proprio di no. Per scegliere un componente senza passare per la fase di ascolto, proprio no. Per sapere qualcosa di più su come è fatto dentro un componente, per chi fosse interessato, sì, possono essere utili. Ma certo non indispensabili. Ben vengano quindi le riviste con sole prove d'ascolto.
Per confrontare in modo oggettivo componenti e scegliere i componenti migliori l'unico sistema oggettivo però  è, a nostro modesto avviso, il test a doppio cieco, del quale abbiamo parlato a suo tempo e sul quale ritorneremo.

(I grafici sono tratti dalla rivista Audio Review, numeri 316, 303 e 244; come anticipato nel testo dell'articolo, sono estrazioni assolutamente parziali utilizzate solo come esempio delle misure effettuate dalle riviste specializzate di Hi-Fi, gli articoli completi, per chi fosse interessato, sono leggibili sulla rivista, per ottenere i numeri arretrati leggere le indicazioni sulla rivista stessa o sul sito. Il componente hi-fi illustrato è la Rogers LS3-5A, una cassa sviluppata per altri scopi, monitor per gli studi mobili della BBC, che è diventata l'iniziatore  dei mini-diffusori che hanno dominato il mercato dell'hi-fi negli anni '90).