Ci deve essere un'altra spiegazione
Probabilmente è il mio confronto che è errato, non bisogna confrontare questi 10 € al mese (interrompibili in qualsiasi mese) con un'alternativa che costa qualcosa. Non tanto perché i miei interlocutori e i molti che pensano la stessa cosa siano ancora seguaci della pirateria, in calo da anni per la musica, ma perché ascoltare la musica, tutta la musica, e su qualsiasi device, è alla portata di tutti, grazie ad un servizio che tutti conoscono: YouTube.
Il video di Hello di Adele: nuovo record di YouTube, oltre 1 miliardo di visualizzazioni in pco più di due mesi. |
YouTube l'ammazza streaming
Era nato per condividere video auto prodotti ed effettivamente ne vengono caricati tutti i giorni in gran numero (alla ricerca del video virale) ma è diventato anche il contenitore di tutta la musica del mondo (più di quella presente in Spotify o Apple Music, ci sono anche le musiche nazionali e ogni sorta di rarità) grazie a legioni di volonterosi "caricatori", peraltro privi di alcun fine di lucro.
Col tempo poi Google, che con lungimiranza ha acquistato YouTube tanti anni fa, ha inserito su YouTube molte funzioni tipiche dello streaming musicale, come la generazione di sequenze di brani selezionati automaticamente (funzione "radio") e ora anche la possibilità di creare e condividere playlist, Oltre che tutte le musiche del mondo ci sono quindi anche le funzioni social e l'ascolto passivo, punti di forza di Spotify e soci.
Quindi, perché pagare, anche se molto poco, per qualcosa che già posso ottenere gratis? La pubblicità, come è stato per anni con la TV in chiaro, è un prezzo da pagare che si accetta per la mitica parola "gratis" (associata peraltro da sempre al web) facendo finta di ignorare che evidentemente qualcuno (probabilmente anche noi) comunque il servizio lo paga.
Come si ascolta la musica
A questa si aggiunge una motivazione ancor più profonda: il modo come si ascolta la musica. Non tutti, anzi temo molto pochi, la ascoltano come noi appassionati, ponendo attenzione a quello che si ascolta, mai come sottofondo, a volume non esagerato ma adeguato a sentire tutti gli strumenti e i particolari dell'esecuzione, con un impianto in grado di riprodurla con accettabile fedeltà, pur se in mobilità o in auto. Per chi non si pone questi vincoli anche YouTube va bene. E per di più è (apparentemente) gratis.
Il paradosso delle cuffie Beats
Musica gratis ma in bassa risoluzione (massimo 160 Kbps è la qualità garantita da YouTube, 128 Kbps se non conforme ai formati supportati, l'HQ è solo per il video) e con una qualità audio che dipende dai sorgenti caricati dagli uploader, che a loro volta erano compressi anche di più o di provenienza incerta, e per di più spesso passati per editor video con possibile aggiunta di distorsione. Con materiale di bassa qualità audio quale quello disponibile che senso ha spendere molti soldi per cuffie di grandi pretese come le famose Beats o le molte altre di classe elevata ma di concezione moderna e "giovane" proposte ormai da tutti i produttori (con B&W, Oppo e Focal in testa)? Nessun senso apparentemente, perché nessun diffusore di alta qualità potrà mai correggere un sorgente audio di bassa qualità. Eppure la produzione e la vendita di cuffie di qualità è in crescita esponenziale.
Cosa ascoltano quelli che comprano le Beats e le indossano in giro per le città?
L'ascolto in cuffia è quanto di più lontano ci sia dall'ascolto come sottofondo mentre si svolgono altre attività, al contrario uno degli scopi che ha è di isolare dal mondo esterno e quindi di concentrasi sulla musica che si sta ascoltando. Se la cuffia è di buona qualità non può non amplificare anche i difetti delle sorgenti e quindi mi stupirei se in cuffia venisse ascoltato acriticamente il materiale presente su YouTube. Anche perché per questo tipo di ascolto, di solito in mobilità, i video associati non sono un plus. Possiamo supporre che il materiale audio sia in questo caso proveniente da download o da ripping di CD o da file audio in buona qualità "prestati", il tutto trasferito sullo smartphone o sul tablet (che difatti vengono richiesti con memoria interna sempre più ampia). E in parallelo è possibile che proprio da questa categoria di utenti provengano buona parte degli abbonamenti a pagamento per i servizi in streaming (cresciuti a 11 milioni negli USA nel 2015).
Come si presenta Spotify free su un PC desktop |
Aumentano ogni anno le visualizzazioni di video musicali, ma la percentuale di guadagno per chi questa musica la crea e la produce diminuisce. Il numero sempre crescente di offerenti abbassa il prezzo delle inserzioni nel caso di YouTube e, per i servizi in streaming, la percentuale rilevante di abbonamenti gratuiti rispetto a quelli di pagamento riduce i ricavi per il servizio, e la conseguenza è la continua diminuzione delle tariffe (fares) dovute agli autori e agli interpreti. Si ascolta sempre più musica (4 ore al giorno in media per ogni americano, secondo il rapporto RIAA, quindi qualcuno ascolta assai di più) ma la torta pubblicitaria e degli abbonamenti non si adegua e non cresce in proporzione e si suddivide su un numero di soggetti in continua crescita. così ognuno di essi guadagna sempre di meno, tranne gli eletti da Grammy Awards (e i fornitori del servizio, Google in testa e a seguire i provider).
Il paradosso del vinile
Nel rapporto annuale 2015 della RIAA (l'associazione USA dei discografici) recentemente pubblicato è citato il paradosso dei ricavi del vinile rispetto ai servizi digitali. Il vinile (e ne siamo contenti) continua a guadagnare terreno, pur rimanendo un mercato di nicchia, se non altro perché non tutti hanno un giradischi in casa. Ebbene dai dati rilevati risulta che, sorprendentemente, i ricavi del vinile sono superiori ai ricavi dell'ascolto in streaming digitale gratuito con pubblicità, tramite YouTube (essenzialmente) e in parte streaming gratuito (Spotify e analoghi).
Per la precisione, sempre dati USA 2015, 16,9 milioni di vinili venduti producono 416 M$ di ricavi, la pubblicità sui canali citati qualcosa di meno: 385 M$. Solo che gli utenti dei vinili sono al massimo 16,9 milioni (ma in realtà molti meno: compreranno più di un LP all'anno, si suppone) mentre gli utenti di YouTube sono quasi tutti i cittadini USA. E la differenza diventa incomparabile se consideriamo le ore di ascolto sull'uno e sull'altro media.
La risposta è una sola: la qualità
I report delle case discografiche (IFPI e RIAA) sono ricchi di grafici e di considerazioni, e cercano le cause anche nella legislazione sui diritti d'autore, eppure questo esempio che loro stessi fanno dovrebbe fornire la risposta, chiara e semplice, sempre quella che loro continuano a non vedere. I clienti sono disposti a pagare solo per qualcosa che promette una qualità superiore, ma deve essere una qualità percepibile, E per qualità si può intendere qualità audio, ma anche qualità e immagine del prodotto, suo valore come status symbol obbligatorio o differenziante sociale. Le tecnologie ci sono già, l'alta definizione, il multicanale, le registrazioni binaurali, la registrazione e produzione di master accurati e non compressi e che sfruttano in pieno la potenzialità dell'alta definizione. Anche i supporti fisici possono essere resi più gradevoli e "sexy", come dicono gli anglosassoni, sulla scorta dell'esperienza col vinile. Più i vantaggi dell'assenza di pubblicità e di contenuti esclusivi, che sono stati la molla per il successo dei servizi in abbonamento, nel settore della televisione.
Nessun segnale in questa direzione ...
Le case discografiche continuano invece a non promuovere a anzi ad ostacolare l'alta definizione, così che la maggioranza dei potenziali clienti non sa neanche che esiste e dove si trova, inclusi i giovani acquirenti delle cuffie di alta qualità citati prima. Il problema se si sente o meno la differenza, che angustia e ossessiona buona parte degli appassionati, è un falso problema: ai nuovi clienti potenziali non interessa il confronto con qualcosa che non hanno neanche mai conosciuto come tale (la qualità CD), ma la possibilità di fare una esperienza sensoriale nuova e appagante. Cosa che una registrazione con un master di qualità trasmesso in alta definizione può fare e che una cuffia di qualità può consentire di apprezzare, anche da un buon smartphone (e senza problemi di costosi impianti). Il risultato è che in tutti i rapporti esaltano la crescita dello streaming (in Italia molto meno in crescita, in realtà) ma poi dipendono sempre in buona parte da YouTube.
... o quasi
Perché qualcosa forse stanno facendo in questa direzione, un piccolo passo, ma forse un indizio che finalmente una promozione sta iniziando. Hanno definito e condiviso, almeno in USA, un logo (qui a fianco) e un claim per indicare la musica in alta definizione: HI-RES Music. Si applica indifferentemente a tutta la musica di risoluzione superiore a 20 bit e 48KHz indipendentemente dal formato digitale, e così non confonde le idee con raffinatezze tecnologici. Almeno i potenziali clienti potranno identificare il nuovo (anche se in realtà non tanto nuovo) prodotto.
Chissà se a questo segno di vita seguirà qualche azione pratica e l'abbattimento di qualche barriera.
Perché ci interessa
In fondo noi apprezziamo la qualità, sappiamo cercarla e anche a buon prezzo, se il resto del mondo vive bene così, con la pubblicità e l'audio in bassa risoluzione, come se a casa avesse ancora i televisori a tubo catodico a 100Hz (la generazione tecnologica è la medesima) dovrebbe importarci ben poco. Invece no, e non solo per solidarietà con i giovani inconsapevoli o con altre priorità (ma che magari sanno suonare). Perché siamo interessati a che la musica nuova, creata nel nostro tempo, sia sempre più valida e multiforme, e per questo ci vogliono anche musicisti che siano premiati e giustamente remunerati per il loro lavoro, e perché la tecnologia per l'ascolto (software e hardware, streaming o download) progredisce e diventa sempre più accessibile pur crescendo di qualità e soluzioni tecnologiche se il mercato è di massa, come avviene per i monitor TV già pronti ad andare oltre il 4K e per i produttori di contenuti che inseguono,
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