domenica 15 gennaio 2012

Quando gli ingressi non bastano

Negli anni '70 e '80 gli amplificatori integrati erano chiamati anche "centraline", perché tra le altre numerose funzioni consentivano anche di selezionare le molte sorgenti che erano presenti in un impianto tipo dell'epoca: giradischi, sintonizzatore, piastra a cassette, registratore a bobine. I registratori a cassette potevano essere anche due, per effettuare riversamenti, e dalla metà degli anni '80 si è aggiunto anche il lettore CD e, più tardi, anche se non molto diffuso, il Mini Disc. Nessun problema, perché anche i modelli medi avevano molti ingressi e spesso la sezione registrazione o addirittura quella phono duplicata.
Un amplificatore moderno molto versatile: l'Accuphase E-460
In pochi anni le varie sorgenti alternative al CD sono sparite, e in parallelo è iniziata la semplificazione degli amplificatori con la progressiva riduzione delle funzionalità (ad iniziare dai controlli di tono e dalla uscita per cuffia) e degli ingressi.

Un integrato super versatile di fine anni '70, il Sansui AU 20000. Due ingressi per giradischi e ben tre per  registratori
A un certo punto, nella seconda metà degli anni '90, di ingressi, d'altra parte, ne bastava uno solo, quello per il lettore CD, e gli altri rimanevano vuoti. Tanto che sarebbe bastato aggiungere una sezione di preamplificazione vera e propria al lettore (non il controllo del volume digitale) per eliminare i pre e usare solo un finale.

Questo non è avvenuto, ma la sezione pre è diventata sempre più essenziale, 3 o 4 ingressi al massimo più la uscita rec (bypassando il controllo di volume e gli altri eventuali controlli del pre), teoricamente da usare per la registrazione analogica. In realtà, essendo ormai stata abbandonata per la registrazione digitale (leggasi: copia dal CD sul computer) utile solo per collegare ampli per cuffia o altre esigenze particolari.
L'Unison Research S9 - 4 ingressi linea in tutto
Ma poi è arrivato l'interesse per il vintage, la musica liquida, le Internet radio e i 3 ingressi del raffinato amplificatore integrato minimalista possono diventare insufficienti. Gli asceti dell'alta fedeltà forse possono considerare una soluzione togliere e mettere gli spinotti volta per volta, ma per un uso vero di più sorgenti serve un selettore, che male non fa. 
Nel mio caso devo collegare un giradischi, un CD, un lettore multiformato, un tuner, un DAC, un registratore a bobina, un registratore a cassette, un registratore Mini Disc. Mi servirebbero 8 ingressi, mentre il mio amplificatore ne ha 3, più un ingresso tape e un ingresso phono, che però non posso usare perché ho un pre phono separato (altamente consigliabile). Dovrei cambiare amplificatore, ma trovarne uno con 7-8 ingressi è impresa non facile.

Esiste un'altra soluzione, che può essere applicata anche agli amplificatori più minimalisti. Non un selettore separato per gli ingressi, ne esistono, ma sono realizzati con la stessa cura dei cavi dei tempi andati, prodotti da supermercato a cui un appassionato di musica difficilmente affiderebbe il prezioso flusso sonoro proveniente da una delle sue sorgenti.

Esiste un oggetto alta fedeltà che può fare anche questa funzione nel modo più semplice, ed è il pre amplificatore passivo. Un oggetto affascinante, una semplicissima interfaccia tra le sorgenti e l'amplificatore vero e proprio, l'amplificatore finale, e che aggiunge solo due funzioni: la selezione della sorgente e il volume, o meglio l'attenuazione del volume della sorgente.

Può essere realizzato con cavetteria d'argento puro e componenti super selezionati e costare comunque tantissimo, ma se è realizzato con semplici cavi di rame e componenti di buona qualità non può costare molto perché è il componente hi-fi più semplice che si possa immaginare. Basta cercare in Internet per verificare che esistono diversi modelli di marca, quelli medi a 2-300 € e modelli senza marca made in Hong-Kong anche a meno di 100 €. Prezzi che non devono insospettire perché i componenti base sono veramente semplici ed economici, così come il tempo di realizzazione.

Come si presenta all'interno un preamplificatore passivo. Un selettore, un regolatore di volume (stepped attenuator in questo caso) e la cavetteria verso i pin-jack RCA degli ingressi e delle uscite.

La differenza la può fare il controllo di volume, che può essere un tradizionale potenziometro, di qualità più o meno elevata oppure, ancor meglio, uno "stepped attenuator", ovvero una rete di resistenze a più "passi", le più comuni a 24 posizioni, le più raffinate a 48 (24 sono un po' poche).

Il dibattito sulla qualità dei pre passivi a confronto dei più diffusi (e più complessi) pre attivi è aperto da anni nel mondo un po' bizzarro dell'alta fedeltà "high-end" e questo dimostra, se non altro, che i pre passivi qualche punto a favore lo hanno.
Per i nostri scopi però l'elemento più critico (forse l'unico) neanche serve, perché per usarlo come selettore aggiunto il volume non è necessario. Se il pre passivo ha anche una uscita diretta (non connessa al controllo di volume, cioè la tradizionale uscita rec) basta collegarlo a questa. Altrimenti sarà sufficiente lasciare il controllo di volume al massimo.

Naturalmente per questo uso (improprio) è necessario un pre passivo con un numero accettabile di ingressi, almeno 3-4, considerando che uno degli ingressi dell'ampli integrato dovrà essere dedicato al collegamento, quindi con un pre passivo a 4 ingressi e un ampli a 4 ingressi si hanno a disposizione 7 ingressi. Lo schema molto semplice è indicato in figura.

Chiaramente parliamo sempre di ingressi tradizionali sbilanciati (RCA) e non di ingressi bilanciati. Pur se esistono rari pre passivi con ingressi bilanciati. Che costituiscono un problema minore perché ben pochi componenti li adottano, normalmente solo lettori CD o multiformato. Difficile che in un impianto ce ne sia più d'uno.

Il percorso del "flusso sonoro" dei componenti collegati al pre passivo è più lungo e tortuoso di quello dei componenti connessi direttamente all'ampli e quindi, anche se non è detto che questo possa effettivamente influenzare in qualche modo il risultato sonoro, sarà preferibile mantenere per prudenza su quest'ultimo le sorgenti più "pregiate" e/o di più frequente utilizzo.

Poi, una volta apprezzato il suono "trasparente" (per forza) del pre passivo può anche darsi che si passi ad una semplificazione netta, collegandolo direttamente all'ingresso del finale (o a un nuovo finale) promuovendolo a preamplificatore principale dell'impianto.

3 commenti:

  1. Segnalo:

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  2. Pardon,sono un neofita e amante-soggettivamente ovvio- dell'analogico.E amo ciò che continua ad offrirmi il mio modesto sintoampli HarmanKardon 3380 sprovvisto di qualsiasi i/o digitale.Riguardo al pre-passivo desidero chiederLe lumi "terra-terra",se possibile :
    a)(...)"Poi, una volta apprezzato il suono "trasparente" (per forza)..".Perchè è implicita la trasparenza?
    b)sempre nell'ultimo paragrafo :"(..)si passi ad una semplificazione netta collegandolo direttamente all'ingresso del finale(..)". Con riferimento alla figura , in quale ingresso dell'ampli va collegato il pre-passivo promosso a principale?
    La ringrazio.Nuccio.

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    1. Rispondo ai tuoi quesiti:
      a) un amplificatore passivo non ha alcun componente attivo (non amplifica il segnale, non ha una sezione di alimentazione, non si collega alla presa elettrica) ma ha solo un selettore per gli ingressi (come tutti i pre) e un volume realizzato con una rete di resistenze.
      Il selettore fa lo stesso mestiere dei cavi di segnale: fa passare il flusso di elettroni che costituisce il segnale stesso: E' aperta da anni una discussione se i cavi di segnale e i selettori possano introdurre differenze nella qualità di ascolto. Ormai il parere prevalente è che differenze udibili siano possibili solo tra componenti hi-fi e componenti veramente di scarsa qualità (rame non puro o non rame ecc.). Discorso analogo si può fare per il controllo del volume passivo. Per questo ho scritto che un pre passivo è "per forza" trasparente: non può aggiungere nulla a quanto riceve in ingresso. Secondo i sostenitori dei pre attivi questa è una limitazione perché effettuano una sorta di equalizzazione, ovvero di miglioramento. Questioni per super-specialisti: penso che né tu né io (e forse neanche loro) sapremmo riconoscere con test a doppio cieco un pre-passivo da uno attivo entrambi di alta qualità in un classico test da negozio, forse, ma non è detto, dopo un lungo utilizzo e con brani e impianto perfettamente conosciuti. E si tratterà sempre di sfumature.
      b) La configurazione diventa quella in figura con gli ingressi collegati solo al pre passivo, e tutti gli ingressi dell'amplificatore vuoti e inutilizzati. Se l'amplificatore ha anche un ingresso pre il pre-passivo sarà collegato a questo ingresso. Se così non è potrebbe anche essere collegato ad un ingresso linea qualsiasi avendo l'accortezza di tenere il volume fisso a 3/4. Non è la soluzione ideale per un purista ma funzionerebbe.

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