domenica 28 febbraio 2010

320 GB? Troppo pochi

Giorni fa in un grande negozio di informatica ed elettronica sentivo una giovane signora, aspetto da "housewife" (donna di casa) commentare ad una sua amica alcune offerte di dischi esterni per PC in offerta. "Attenzione, questi hanno solo 320 GB. Troppo pochi".
Riempire 320 GB di disco non sarebbe una impresa tanto facile. Ma effettivamente i nuovi modelli di dischi USB senza alimentazione esterna sono da 500 GB. E quelli con alimentazione da rete sono da 1000 GB, ovvero 1TB. Misura un tempo da mega CED, tipo Banca d'Italia o Anagrafe Tributaria. Non so cosa volesse caricarci sopra la signora. O se semplicemente andasse ad orecchio.

Ma effettivamente un modo per riempire queste memorie di estensione enorme c'è. Se l'obiettivo della signora fosse quello di archiviare i filmati dei figli la riempirebbe con 130 ore di video HD in alta definizione, e fino a 800 ore in SD e modalità "risparmia spazio" (i dati variano da videocamera a videocamera). In ogni caso, tempi in grado di stroncare anche la nonna più affezionata ai nipotini. E poi, bisognerebbe anche editarle queste centinaia di ore di video. Servono almeno altrettante centinaia di ore.

Non penso però che fosse questo l'uso primario previsto. O perlomeno non il solo. Penso che l'obiettivo fosse l'archiviazione dell'oggetto più voluminoso che si trova gratuitamente in rete: un film compresso in DiVX. Sempre nella negletta unità esterna ce ne starebbero 300 o qualcosa di più. Per finirli bisognerebbe vederne uno al giorno (riposando la Domenica) per un anno intero, che mi pare un buon ritmo. E poi qualcuno di questi film si potrà anche cancellare.

L'uso improprio
La mia riflessione era però un'altra. La immagine che vedevo era quella di milioni di famiglie italiane (o europee, o americane) che riempivano i dischi dei loro PC di film e di musica. Molta più di quella che potrebbero ragionevolmente vedere o ascoltare (secondo uno studio della EMI di qualche anno fa circa il 30% del materiale scaricato dalla rete non viene ascoltato né guardato). Ed è tutto materiale generato dalla rete stessa.
Infatti, mentre calcolavo mentalmente quanti film in DiVX ci sarebbero entrati, ho anche realizzato che nessuno ha mai messo in vendita film in questo formato. Sono in vendita i DVD, ancor prima le cassette VHS, ma i film in formato compresso, mai. Forse solo un esperimento della Nokia di qualche anno fa, ma per i loro modelli di smartphone. Quindi le decine di migliaia di film in DiVX, peraltro in varie lingue, che girano vorticosamente sulla rete, da eMule ad Adunanza a BitTorrent ai vari siti "streamer", sono stati tutti "rippati" (a volte anche superando le protezioni, operazione non proprio semplice e che richiede software a pagamento: altro paradosso) e sono stati messi in circolo da una moltitudine di volontari, che hanno dedicato una quota non marginale del loro tempo a fare questo servizio per gli altri. Ammirevole e inatteso altruismo.

Lo stesso vale per gli MP3. Il dowload digitale legale di musica compressa esiste, è vero. Da noi c'è solo iTunes (con quote di mercato infeeriori che in USA) che non distribuisce musica in MP3 (ma in AAC, uno standard Apple), ma all'estero funzionano alcuni siti (pochi) che distribuiscono in MP3 libero da protezioni DRM. Però sono pochi sul totale. La maggior parte del materiale musicale MP3 o in altri formati adatti allo scambio via Internet ha la stessa origine: il lavoro infaticabile di un elevato numero di "formichine" dedite all'aggiramento dei diritti di copia.

Eppure, nonostante questa lampante evidenza, da un certo punto in poi i lettori DVD regolarmente in commercio hanno cominciato ad includere il decoder DiVX, e così i lettori CD nelle autoradio o nei coordinati Hi-Fi hanno incominciato a leggere i file MP3.

Di fronte a moltitudini determinate i controlli e le leggi draconiane servono a poco, soprattutto se non sono affatto condivise, servirebbero corrispondentemente moltitudini di controllori, che costano e quindi non ci sono. Come si vede in altri campi, ad esempio nel controllo dei flussi migratori nel nuovo mondo globalizzato.

Venire a patti con la realtà
Così, per le copie in rete che finiscono su tutti questi dischi esterni i vari legislatori hanno infine deciso di applicare la misura più paradossale, inventata e già applicata ai tempi della prima invasione delle copie, cioè ai tempi delle musicassette Philips (e poi dei nastri VHS): la cosiddetta "levy" (per esteso "private copying levy"). Una tassa, o meglio un prelievo preventivo, sugli strumenti che saranno utilizzati in modo non conforme alla legge. Le cassette un tempo, poi i CD e i DVD, e ora (tra un po') i dischi esterni della signora o le altre memorie per computer. Prelievo che poi arriverà ai detentori delle copie per compensarli in misura percentuale alla quota di mercato dei guadagni perduti. Paradossale, il legislatore stesso ammette che la legge è ignorata e convive con questa elusione, chiedendo una sorta di multa forfetaria preventiva a tutti.
Neanche i legislatori credono quindi che i dischi da 320 GB della signora siano riempiti con video auto prodotti di reportage sulle vacanze o sui progressi dei piccoli di casa.

La strategia delle case discografiche e cinematografiche, che è da sempre l'apparentemente assurda richiesta di pene sempre più severe, forse trova una spiegazione: drammatizzando il problema hanno strappato un prelievo sicuro a loro favore, curato direttamente dai loro governi.

Uno studio dell'Agcom
Su questi temi, sui diversi scenari e anche sulla debolezza dei luoghi comuni (ad esempio, siamo sicuri che il download digitale non legale sia la causa della diminuzione del fatturato delle "majors"?) ha dedicato un ampio studio, sorprendentemente, proprio l'autorità per le comunicazioni, o Agcom (Indagine conoscitiva. Il diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica). Pubblicato la settimana scorsa, si può consultare sul loro sito, oppure leggerlo anche direttamente qui. Un punto di vista libero da pregiudizi e una trattazione completa di tutti gli aspetti. Molto interessante.

I paradossi del copyright
Nonostante tutti gli sforzi però il vecchio copyright di prima della radio continua a stare lì, difeso con le unghie e con i denti dai beneficiari, e anche gli utenti di Internet stanno sempre lì, intenti a copiare ogni cosa, anche per farne scorte per tempi peggiori, a quanto pare, indifferenti a campagne martellanti ("non ruberesti mai una borsa in un negozio ...") e ipotetiche pesanti sanzioni. E stanno sempre lì gli esperti del settore, intenti ad inventare nuovi sistemi di protezione "democratici" e diffusi. Regolarmente ignorati dai detentori dei diritti e dai legislatori. Affascinanti come la licenza "Creative Commons" (che usiamo anche noi) ma adatti solo quando non ci sono di mezzo soldi e fatturati da proteggere.

E così continuiamo a galleggiare in mezzo ai paradossi. proviamo ad  elencarne qualcuno, in forma di FAQ (le risposte sono ovviamente aperte a commenti e osservazioni).

Cosa succederebbe se non ci fossero sanzioni e controlli per il materiale sotto copyright?
Semplice, diminuirebbe sino a quasi sparire la quota di musica e film venduti regolarmente. Questo spiega l'opposizione totale dei detentori di copyright.

Le pene severe quindi hanno ottenuto effetto?
Se non ci fossero, la situazione sarebbe quella descritta sopra. L'efficacia nel diminuire o annullare la quota di download non legale è però quella che vediamo: quasi nulla.

Sanzioni più ridotte (es. multe) ma più sistematiche avrebbero maggior effetto?
Alcuni lo sostengono, è più dissuasiva una punizione certa, anche se lieve, di una pesante, ma del tipo "a lotteria".

Allora perché i detentori di copyright vi si oppongono?
Perché temono che potrebbero avere solo una delle due cose: la diminuzione delle sanzioni per chi è "beccato", mentre la sistematicità (cioè l'impegno degli inquirenti) rimarrebbe quella attuale. Con la sparizione o quasi dell'effetto dissuasivo.

Perché gli utenti copiano materiale che non vedranno o sentiranno mai?
Forse perché temono che il bel gioco prima o poi finisca, o per inesauribile desiderio di possesso. Non si capisce però perché quasi nessuno va due volte al cinema a vedere lo stesso film, mentre in casa si dovrebbe tenere la copia di un film che ha già visto. In una cornice di regole certe comunque le copie "per uso futuro" diminuirebbero.

Si uscirà mai da questo limbo di semi-legalità per il materiale protetto da diritti di copia in Internet?
Continuando così, no. Internet è una rete globale, mentre le risposte normative o sanzionatorie, e le leggi sul copy-right, continuano ad essere nazionali. Non sono uniformate neanche a livello di Comunità Europea. E non si vede all'orizzonte nessuna iniziativa orientata ad una regolamentazione globale, operazione peraltro assai ardua. La introduzione ed estensione della "levy" è un passo verso la "cronicizzazione" di questo stato di fatto.

Se invece le majors della musica e del cinema riuscissero veramente a vietare i contenuti protetti, Internet finirebbe o deperirebbe?
E perché mai? Internet ormai è una realtà consolidata. Facciamo l'esempio di YouTube, il 90% (ipotesi) del materiale esistente è in realtà sotto copyright, in qualche modo tollerato o sfuggito ai controlli. Se sparisse resterebbe il 10% auto-prodotto, comunque tanto, ma al momento "chiuso" da quello professionale. Emergerebbero molti più produttori di contenuti dal basso, ci sarebbero molte più Amy McDonald nella musica o Zoro nel cabaret politico. Il livello di qualità si alzerebbe di giocoforza, e i contenuti a pagamento proposti dalle majors e dagli autori professionali dovrebbero affrontare una forte competizione, favorita dal fatto di essere gratis. Probabilmente nella musica e in altre forme di entertainment (es. i videoclip) si avrebbero forti riduzioni di fatturato, ottenendo l'inverso dell'obiettivo, e i musicisti dovrebbero campare con i concerti. Meno nel cinema, dove il gradino è ancora molto alto (ma non è impossibile fare film validi a basso costo). Internet diventerebbe sempre di più uno spazio per visitatori attivi e partecipanti, anziché passivi e simili ai tradizionali tele-spettatori.
In sintesi, non sarebbe poi un male.

(Le illustrazioni sono relative a due media-server, di Iomega e LaCie, quindi oggetti proprio specializzati per questo uso, la riproduzione di contenuti scaricati, nella gran parte dei casi illegalmente, da Internet. Due apparecchi tra i tanti regolarmente in commercio)



3 commenti:

  1. Osservazioni assai acute, sulle quali è difficile non concordare. Solo un appunto: in rete si scarica anche molto materiale che è formalmente sotto copyright (perché il copyright ha durate lunghissime) ma di fatto fuori commercio, e i detentori dei diritti non hanno alcun interesse a venderlo. E questa diffusione di conoscenza che andrebbe persa è sicuramente un bene.

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  2. E' vero, esiste anche materiale protetto ma non in vendita, il danno economico della copia in questo caso è inesistente.
    Da notare che nello studio Agcom che ho citato, nella parte dugli effetti economici della pirateria, è contenuta proprio una classificazione, che riporto qua sotto, dei 4 possibili motivi per la copia, solo uno dei quali provoca danno economico per l'industria:


    "Lawrence Lessig, professore di diritto ad Harvard e Stanford e considerato il piil grande esperto mondiale di diritto di rete, individua poi le ipotesi socialmente vantaggiose di utilizzo della tecnologia di condivisione dei contenuti, al ine di “evitare che la societa debba fare a meno dei
    vantaggi del peer to peer (anche di quelli completamente positivi e che non comportano problemi con i diriiii degli autmi) semplicemente per avere la certezza che non si venfichi alcuna violazione del copyright a causa del peer to peer stesso In panicolare, Lessig individua quattro tipologie di peer to peer: a) il file sharing in sostituzione de1l'acquisto (con 1’effetto di diminuire la musica acquistata); b) il file sharing per scegliere la musica prima di procedere all'acquisto (con l’effetto di incrementare la musica acquistata); c) il file sharing per accedere a materiali tutelati da copyright che sono fuori mercato (il danno economico é pari a zero perché il titolare dei diritti non vende piil tali materialb; 4) il file sharing per accedere a teriali che non sono protetti da diritto d'autore o che il proprietario vuole distribuire liberamente (danno economico pari a zero).
    Secondo tale classificazione, ne deriva che il danno economico netto per l'industria nel suo complesso equivale a quanto, tradotto in denaro, la condivisione di tipo a) supera quella di tipo b)."

    Nel documento è anche inclusa una tabella riassuntiva degli effetti negativi, neutri e positivi del peer-to-peer (valida ovviamente del download puro e semplice che si va affermando ora).

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  3. Film su supporto durevole (DVD e Blu ray stampati o cos'altro riserverà il futuro) a 3 euro a copia, e il paradosso si dissolverebbe.

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