martedì 7 settembre 2021

Diffusori acustici elettrostatici, oggi

La tecnologia elettrostatica per la diffusione del suono è senza dubbio più lineare e quindi più fedele della tecnologia tradizionale usata per gli altoparlanti. Avevo già riassunto i vantaggi di questa tecnologia l'anno scorso nel post che presentava la prova delle mie nuove cuffie elettrostatiche Stax SR-L500 e quindi non lo ripeto qui. Ricordo solo che un altoparlante elettrostatico senza particolari accorgimenti raggiunge tutti i parametri di riproduzione fedele del suono che richiedono invece equilibrismi tecnici per gli altoparlanti dinamici. E difatti, se provate a leggere una prova a caso di un sistema elettrostatico è sempre entusiastica. In questo post provo quindi a rispondere a una domanda che mi pongo da tempo: perché i diffusori elettrostatici in commercio (evitiamo di chiamarle "casse" perché la cassa proprio non c'è) sono così pochi?

Le due famiglie di diffusori elettrostatici
Si dividono in due grandi famiglie, elettrostatici full range ed elettrostatici ibridi. I secondi esistono per superare i due unici ma non secondari problemi dei diffusori elettrostatici: la risposta sulle basse frequenze e la dinamica. Non avrebbero in teoria problemi a garantire una risposta sui bassi vicina alla quasi perfezione come le cuffie, ma servirebbe una superfice molto grande, e quindi un costo e un ingombro considerevoli. Le ibride sono quindi la classica soluzione di compromesso.

Il primo diffusore elettrostatico prodotto in serie è stato il modello ESL 57 della inglese Quad. E' stato presentato proprio nel 1957 e in quegli anni i dischi erano ancora mono, così come la trasmissione FM (che probabilmente stanno ascoltando con il componente sempre Quad che si vede in basso a sinistra). Ed infatti il diffusore davanti a marito e moglie era uno solo.

I produttori
Una ricerca approfondita ha consentito di appurare che sono veramente pochi, e solo alcuni hanno una distribuzione (e assistenza) in Italia, la maggior parte sono in vendita con la formula "ship worldwide" nel senso che li compri online e li spediscono a casa tua, se poi qualcosa non va li rispedisci a loro per la riparazione. Una cosa che si può anche fare, anche alcuni produttori italiani lo fanno, come Audio Analogue, di cui sono cliente, ma se il trasposto nazionale è gratuito (come per AA) e se le dimensioni sono ben altre. In sintesi al momento le case produttrici sono:

  • Full range distribuite in Italia
    • Quad (UK - High Fidelity Italia)
    • Audio Exklusiv (Germania - Acme Eletcronic)
  • Full range disponibili "ship worldwide"
    • Audiostatic (Olanda, USA)
    • Involve Audio (Australia)
  • Ibride distribuite in Italia
    • Martin Logan (USA - Audiogamma)
  • Ibride disponibili "ship worldwide"
    • Janszen (USA)
    • Muradio (Canada)
    • Sanders Sound Systems (USA)


Martin Logan

La soluzione ibrida sembra il miglior compromesso, se realizzata con cura, e difatti Martin Logan è tra i produttori mondiali con ampia diffusione e ampia gamma ed è sicuramente il numero uno, quasi monopolista, tra i produttori che usano pannelli elettrostatici. Nel corso del tempo hanno messo a punto soluzioni tecniche che consentono una buona fusione tra frequenze inferiori riprodotte dai woofer e frequenze medio alte a dominio elettrostatico. Nei modelli più recenti di fascia alta adottano la soluzione di due woofer in controfase per minimizzare le vibrazioni indotte dalla riproduzione dei bassi sul mobile, e che influenzano la sottilissima membrana all'interno delle celle elettrostatiche, che crea il suono. In più, per linearizzare la risposta, adottano la correzione ambientale digitale, in particolare hanno scelto quella di Anthem (ARC, Anthem Room Correction) con la sezione bassi attiva. In questo modo anche in ambiente si può godere alle basse frequenze la stessa precisione e lo stesso dettaglio (o quasi) che si apprezza con le cuffie elettrostatiche. Il costo ovviamente non è basso ma neanche esagerato, i tre modelli ARC vanno da 7500 a 16.000 Euro, a dimostrazione che sono un'azienda industriale e non artigianale.  (Nella immagine promo il modello top della serie "masterpiece" di Martin Logan  il Renaissence 15A).

Le Martin Logan sono quindi, leggendo le recensioni, ottimi diffusori al livello dei migliori competitori della stessa classe, e raggiungono un'eccellente coerenza tra medi e alti grazie alla tecnologia elettrostatica, senza penalizzazioni sui bassi. La mia impressione però è che non raggiungano l'obiettivo di ricreare il "suono elettrostatico in ambiente". Solo una impressione perché pur volendolo fare da anni non sono mai riuscito a sentirle, in mostre e negozi mai viste, nonostante la distribuzione in Italia. 

Quad 
La casa inglese (ora non saprei) dai molti estimatori negli anni '70 è stata pioniera assoluta della tecnologia elettrostatica, con la celebre ESL 57, del 1957, ovviamente. Un unico pannello elettrostatico a gamma intera, opportunamente curvato e inclinato per garantire una realistica diffusione in ambiente se correttamente posizionate. Come la LS3/5A della BBC è rimasta un classico e tuttora vengono ricondizionate e vendute come nuove ad appassionati che le ritengono un esempio forse insuperato di suono elettrostatico (diretto, trasparente, originale) in ambiente.
Conviene soffermarci un po' sulle ESL 57 perché sono un esempio di quello che si può ottenere con i pannelli elettrostatici in ambiente, e quali limitazioni si devono accettare. Faccio riferimento ad alcune credibili descrizioni su blog specializzati e alle impressioni di un amico di anni fa perché ovviamente sono ancora più difficili da trovare per ascoltarle.

Molte aziende propongono tuttora la ESL 57 ricondizionata o anche praticamente ricostruita, come questa del laboratorio tedesco Music-Shop.

Le mitiche Quad ESL 57
Partendo dalla fine, questa è la testimonianza per il suo blog Medialux di un noto appassionato che possiede tra le altre cose un paio di ESL 57, perfettamente ricondizionate in Germania dalla società partner di Quad all'epoca:

"Il palcoscenico virtuale è sorprendente, i diffusori sembrano sparire. La banda media è naturale  e l'immediatezza e l'attacco pulito degli elementi percussivi nella nostra musica a volte ci fa saltare. La pellicola leggera come una piuma utilizzata all'interno dei diffusori ha una massa così bassa che non avvertiamo quasi alcuna compressione all'inizio di un nota o di un evento percussivo. Sono sorprendentemente veloci: il modo come reagiscono ad uno schiocco di dita, un attacco di pianoforte o un colpo di un rullante è incredibile. Ascoltare un paio di Quad ESL 57 con un posizionamento di tipo monitor a distanza ravvicinata è come utilizzare un gigantesco sistema di cuffie Stax senza lo svantaggio della localizzazione del suono che si crea nella tua testa, un problema tipico della maggior parte delle cuffie. La pulizia e la coerenza della musica ci spinge ad ascoltare per ore."

Ancora una ESL 57 in un ambiente moderno. Anche in questo caso sembra comunque più che altro un curioso oggetto di arredamento dalle finalità ignote, perché non si vede traccia del cavo di alimentazione, che invece per questi diffusori (come si intuisce dal nome) è proprio necessario.

E' importante però conoscere il prezzo da pagare per raggiungere questo risultato:

  • la collocazione in ambiente: nessun ausilio con correzione ambientale, per ottenere bassi sufficienti e collocazione spaziale il posizionamento deve essere quello pensato da Peter Walker, il fondatore e primo progettista della Quad, quindi: 
    • ascoltare seduti in basso, su una chaise longue o qualcosa di simile, le ESL 57 sono basse e inclinate per sfruttare la riflessione del pavimento per incrementare la risposta sui bassi, non vanno sollevate, dobbiamo abbassarci noi;
    • ascoltare da soli, devono essere orientate precisamente verso l'ascoltatore, al vertice del triangolo stereo, non c'è posto per altri;
    • devono essere lontane, molto lontane dalla parete di fondo (a 1/3 della lunghezza della stanza, dicono), perché le elettrostatiche emettono a dipolo (anche dietro ovviamente) e la musica si diffonde come un 8, la riflessione posteriore deve tornare in fase a potenziare i bassi e non sporcare i medi, e non devono neanche essere troppo vicine alle pareti laterali
  • la collocazione ideale deve essere trovata per tentativi, usando anche rumore bianco o audio test su frequenze specifiche, solo con la collocazione, la pazienza e tutto il tempo necessario si ottengono i risultati descritti
  • niente amplificatori potenti, possono forare letteralmente la membrana in mylar, ha un limite di corrente, ma neanche amplificatori con problemi su carichi difficili, sono poco efficienti (84dB) e difficili da pilotare; l'amplificatore Quad progettato per loro era un 15W a stato solido
  • l'ascolto può essere solo "near field monitor", a massimo 2 metri o poco più dai diffusori per i limiti sopra citati, a questa distanza si può avere infatti ancora una pressione sonora fino ai 100dB, sufficiente per molti generi di musica
  • ma non tutti, con le ESL 57 si può ascoltare jazz acustico, folk, voce, classica e anche orchestra, ma non la grande orchestra tonitruante, e meno che mai metal, hip hop e simili (ma sarebbe un pazzo chi avesse questa idea)
  • diffusori non universali, simili nei pregi ma anche nei limiti ai mini diffusori mitici come le citate LS3/5A, le Sonus Faber Minima, le ProaAC Tablette, adatte a solo chi vuole accettare questi limiti (o ha due impianti).
Sul web si trovano molti esempi di collocazione totalmente errate. Questa ad esempio, per due ESL 57 perfettamente conservate, è la negazione di tutte le regole per un corretto ascolto riassunte prima e messe a punto dal blogger appassionato  Ekkehard Strauss per il suo blog Medialux

I successori
I diffusori full range successivi e quelli attualmente prodotti si sono posti invece un obiettivo più ambizioso, cioè superare queste limitazioni e portare il suono elettrostatico a chi non accettava una riproduzione limitata a pochi generi e "personale". Lo ha fatto la stessa Quad con il successivo modello 63 poi evoluto ma mantenendo lo stesso progetto di base, nei modelli  988/989 (che ho ascoltato anni fa, in condizioni però non ottimali), poi 2805/2905 e infine 2812/2912 tuttora in produzione, Lo hanno fatto molti altri inclusa la stessa Stax e mi piace ricordare anche un diffusore a suo tempo famoso,  l'Acoustat X, elettrostatico attivo con ampli a valvole di notevoli (ma non grandissime) dimensioni, di cui ricordo (come molti) le eccellenti prestazioni, ma poi sparito e anche difficile da trovare per via della produzione certo non di massa.

Il risultato di molti anni di tentativi (molti altri ce ne sono stati) di rendere le elettrostatiche full range una scelta presa in considerazione da un numero di appassionati significativo, non è stato mai ottenuto da nessuno, possiamo concludere che l'unica soluzione che è riuscita ad avere un mercato è quella ibrida di Martin Logan. La motivazione probabilmente è che nessuno di questi modelli è riuscito a creare e dimostrare quella discontinuità dalla casse acustiche tradizionali che fa superare i limiti e decidere di salire il gradino. Come la ESL 57, che difatti è ancora cercata dopo decenni.
 
Le Quad ESL 63 (progettate nel 1963 ma messe in produzione nel 1981) in un'altra installazione in ambiente totalmente assurda individuata dal web.

L'unico successore moderno delle ESL 57?
A parte le Quad ESL 2812 e 2912 che sono ancora presenti nel catalogo Quad, e non so quanto effettivamente promozionate e vendute, si nota la presenza di un sistema elettrostatico "basic"  progettato anni fa dalla piccola società olandese Audiostatic. Un semplice pannello di dimensioni non grandi, un trasformatore, rifiniture spartane e costruzione solo sufficiente allo scopo di tenere il pannello in verticale, con due modelli SP-100 (altezza1,36 mt) ed ES-100 (1,88 cm) e presentazione spartana pure sul sito web (vedi foto della SP-100 a lato). Il primo, che dal sito sembra l'unico rimasto in produzione, dal costo tutto sommato accessibile (2.990 €) , l'altro in USA nel 2011 costava 3.400 $.

Di questi diffusori, del modello più grande, si può leggere una prova molto positiva sul blog di Stereophile (link) ma risale a 10 anni fa e anche dal sito non si capisce se sono ancora sul mercato oppure no. Se fosse ancora in produzione l'SP-100 consentirebbe di ricreare molto probabilmente una qualità del suono simile a quella descritta prima per le Quad ESL 57, adottando tutte le indicazioni sulla corretta collocazione, con maggiore resistenza ai danneggiamenti del pannello e quindi maggiore volume di suono, grazie all'adozione di tecniche di costruzione del pannello elettrostatico aggiornate.

I due modelli della Audio-Exklusiv sono sicuramente ancora prodotti e acquistabili e hanno anche un distributore italiano. Sono pannelli più alti (ca. 2 metri) e costosi (P 3.1  € 8000 / P6.1  €17.000 ), richiedono una stanza molto grande e amplificazioni potenti. Non sembrano molto diffuse pur essendo in produzione da molti anni con successive evoluzioni. Si trova solo una recensione (Dagogo) peraltro non del tutto positiva. Non sembrano in grado di recuperare lo scarso interesse degli appassionati per il suono elettrostatico nella propria stanza della musica.

E gli altri?
Per vari motivi sembrano di scarso interesse e li ho elencati solo per completezza. O sono di progetto superato (Janszen) o indirizzate all'home theater (Involvo) o una variante poco convincente delle Martin Logan (Muradio) o un produttore locale e artigianale (Sanders)

Qualche altro esempio di errata collocazione in ambiente?
Non mancano certo, ecco l'immagine promozionale scelta dalla Martin Logan per il loro modello di punta Masterpiece Renaissance 15A (citato prima e recensito anche da Audio Review alcuni mesi fa).

 

Come acquistare un impianto da decine di migliaia di €  per guardarlo e basta, A parte l'assenza di qualsiasi cavo di collegamento e di alimentazione che avrebbe distrutto l'algida perfezione del pavimento e dei mobili, si nota la presenza di vetri riflettenti a pochi decimetri da potenti diffusori elettrostatici a dipolo e, per non farsi mancare nulla in termini di riflessione, anche un grande tavolo di vetro davanti. Hanno molta fiducia nella room correction ARC presumo, ma purtroppo agisce solo sui woofer. Se mai i "capolavori" della Martin Logan fossero collegati la padrona di casa ne chiederebbe probabilmente lo spegnimento immediato, se non la rimozione.


domenica 5 settembre 2021

Un impianto vintage

A causa di alcuni incastri famigliari sarò per alcuni mesi in un'altra casa, la casa dei miei genitori, dove è ancora installato il vecchio impianto che avevo quando sono andato a vivere nella mia prima casa a fine anni '80. E' comunque un impianto Hi-Fi e ho deciso di accontentarmi di questo, piuttosto che spostare, installare e riconfigurare il mio impianto attuale. Ho pensato che sarebbe stata anche un'occasione per confrontare il suono di un impianto anni '70-'80 con uno di oggi.

L'impianto vintage
Era basato su un classico trittico dell'epoca: Thorens, Yamaha, AR., in particolare: Thorens TD 104, Yamaha A-550, AR 48S. Componenti quindi di classe media e coerenti con il mio primo stipendio, come impatto economico, ma seguivano lo schema dell'impianto messo insieme negli anni a casa dei miei, composto da Thorens TD 166, Yamaha CA-600 e AR 3a. Sarebbe stato sicuramente più interessante, ma l'ampli e le casse sono da revisionare. Dato che a suo tempo non si parlava proprio di cavi, aggiungo anche che in questo impianto sono ancora quelli dei primi tempi, il classico doppino rosso-nero di piccolo diametro, e lunghezza è significativa, quasi 10 mt.

L'installazione in ambiente
A differenza della mia casa che sconta alcuni vincoli da palazzo d'epoca, è quasi ottimale: l'impianto è in un salone molto grande, di forma regolare di rettangolo, le casse acustiche sono montate su piedistalli ai due angoli, ad ampia distanza tra loro, mobili, divani e tappeti sono  ben distribuiti e dovrebbero garantire un buon bilanciamento tra riflessione e smorzamento. Le casse sono vicine agli angoli e questo dovrebbe portare a un rinforzo sui bassi, ma la posizione non è estremamente critica, essendo diffusori a sospensione pneumatica.

L'ascolto, come
Il giradischi non è esattamente il vertice della produzione Thorens, il pre-phono compatto NAD che ho l'ho prestato da tempo a mio fratello, dovrei quindi usare quello dell'ampli che non è eccelso, la testina è da cambiare (attualmente è montata un'Audio Technica economica), i miei LP non li ho portati qui e quelli di mio padre che sono qui non sono molto attuali. Risultato: non ascolto con il giradischi (e neanche con la vecchia piastra a cassette, il lettore CD non c'è) ma con Chromecast Audio collegato all'ingresso Aux per trasmettere da Qobuz album in qualità CD o in HD.

Impressioni d'ascolto
Questo è lo scopo della prova, verificare se un impianto vintage ha ancora un significato, se ci sono differenze consistenti (in meglio o in peggio), se addirittura si riesce a cogliere qualche vera o presunta emozione nuovo in questo suono dal passato, anche se non totalmente analogico.

I primi ascolti sono stati fatti con musica pop e rock, la grande stanza era ben riempita di suono, la collocazione buona, insomma, funziona. Poi sono passato ad ascolti più mirati, di jazz acustico (Bill Evans Trio) e qualcosa che non andava è emerso subito: collocazione spaziale falsata (batteria e piatti che sembrano provenire da dentro la cassa sinistra) e contrabbasso di Scott La Faro quasi inudibile.
Il componente più debole era probabilmente l'amplificatore, anche perché soggetto maggiormente alle ingiurie del tempo e mai revisionato, e l'ho sostituito con il mio ampli precedenti, un componente sicuramente superiore il Fase Evoluzione Audio Performance 1.0 progettato da Fabio Serblin, un valido prodotto italiano, un po' carente come potenza  (40W) e si sentiva con la classica alzando il volume, ma piuttosto valido per gli altri parametri. 

E le cose sono andate a posto, evidentemente qualche condensatore da cambiare o qualche altro elemento da revisionare c'era. Quindi il trio correttamente disposto, il contrabbasso ritornava ad essere presente nella stanza,, le casse sparivano e la ricostruzione spaziale, anche con altri brani risultava corretta, anche se non in profondità causa sistemazione dei diffusori.

Poi sono passato all'ascolto di uno dei miei brani test preferiti, All Or Nothing At All di Diana Krall, che inizia con solo la sua voce e il contrabbasso di Christian McBride, registrazione eccellente che consente di mettere subito a fuoco due classici punti deboli di un impianto. Qui il contrabbasso netto e potente senza code se non quelle naturali dello strumento, confermava l'efficacia della sospensione pneumatica, colpevolmente semi abbandonata dai produttori attuali. Ma la voce di Diana Krall suonava diversa, apparentemente più aspra, ma, ascoltando con più attenzione, era perché mancavano quelle sottigliezze, sfumature, impercettibili respiri che la rendevano naturale e presente negli ascolti che ricordavo. Come una foto ad alto contrasto dove si perdono i mezzi toni. E anche in questo caso la differenza la facevano le AR 48S, con il loro tweeter datato e soprattutto con un midrange a cono abbastanza cheap anche per l'epoca. Sicuramente loro perché il Performance 1.0 con quel brano e con le Kef l'avevo ascoltato molte volte. O magari saranno proprio i cavi? Sarebbe un po' costoso verificarlo, ma sarebbe da provare.

Continuando negli ascolti ho però avuto altre sorprese, ad esempio con una nuova uscita dedicata alla immensa Aretha Franklin, che raccoglie in più "CD virtuali" un'ampia selezione della sua amplissima produzione (esclusi stranamente i due suoi brani che preferisco: Save Me e la semi-sconosciuta Sweet Bitter Love) e in HD, spesso in mono. Qui in una sua notevole interpretazione (A Change Is Gonna Come) registrata in mono, la voce era sempre un po' troppo squillante, ma un alone di ambienza creato apparentemente da un impercettibile eco rendeva l'esecuzione particolarmente realistica e la presenza e autorità della regina del soul ricreata davanti a noi. E ancora più sorprendente una demo di Try A Little Tenderness, probabilmente di metà anni '60, con solo la sua voce, piano e basso, estremamente realistica, la regina era davanti a me nella sala;  forse, anzi quasi certamente, perché era il nastro originale, prima della masterizzazione.

In sintesi
Oltre che rispondere a qualche curiosità, qualche conclusione posso provare a ricavarla.
Impianto vintage o ultima generazione: la prima conferma è che la collocazione in ambiente fa come sempre una gran differenza e aiuta anche impianti con qualche pecca a darci sensazioni ed emozioni da vera alta fedeltà. Tecnologie d'annata: l'alta fedeltà sfida il tempo abbastanza bene e qualche tecnologia abbandonata può riservare sorprese gradite. Impianto di ultima generazione, tecnologie allo stato dell'arte: il tempo non è passato invano, sono sempre da preferire avendone la possibilità (ma attenzione al layout).

domenica 22 agosto 2021

L'importanza della registrazione

Sul penultimo numero di Audio Review è pesentato in prova un sistema di amplificazione pre+finale, il modello L1+M1 della CH Precision, un'azienda svizzera, dal costo di di listino di 82.700 € e dal peso di 95Kg, e non è neanche il prodotto di maggior prestigio e costo, perché hanno in catalogo anche  una coppia superiore, L10+M10. Potete immaginare che anche il resto dell'impianto dovrebbe essere dello stesso livello e quindi l'impegno economico, per chi lo acquista (qualcuno ci sarà per forza, altrimenti non produrrebbero questi oggetti dal 1996), sarà almeno il triplo.

Eppure neanche il possessore di questo impianto si sarà assicurato in queso modo l'accesso al Nirvana dell'alta fedeltà, perché esiste un fattore che non può comprare.

La qualità della registrazione
Non è l'unico elemento esterno all'impianto, c'è anche la stanza d'ascolto, un vincolo difficile da modificare e ottimizzare per i comuni mortali, ma che l'ipotetico proprietario del super impianto può certamente attrezzare al meglio oltre che possedere di dimensioni adeguate. Questo invece è fuori portata per chiunque, a meno che la musica da ascoltare sia auto-prodotta.

Ho fatto queste considerazioni un paio di settimane fa, quando ho terminato l'assai piacevole compito di riascoltare dopo qualche anno i 6 concerti tenuti in 3 giorni al Blue Note di New York, nel 1994, dallo storico trio di Keith Jarrett, con i formidabili compagni di una intera vita musicale: Gary Peacock e Jack De Johnette.

Keith Jarrett non suonava più in USA da 11 anni e il Blue Note aveva organizzato per questo evento due concerti al giorno, pomeriggio e sera, da venerdì a domenica, riorganizzando lo spazio da club a platea (seppur limitata). I fortunati presenti hanno avuto l'occasione di ascoltare probabilmente la migliore performance del più importante trio di jazz contemporaneo, che ha presentato brani nuovi e reinterpretato brani già eseguiti ma sempre in modo diverso da quello già conosciuto. Keith Jarrett ha portato infatti l'improvvisazione alla sua vera essenza come sappiamo, e il formidabile interplay con i suoi compagni al basso e alla batteria ha consentito di estendere questa capacità e questa arte anche al trio, portandolo allo stesso livello, anche superiore forse, a quello del "maestro" Bill Evans con i suoi compagni Scott La Faro e Paul Motian al Village Vanguard di New York.

La ECM, la casa discografica di Jarrett, registrava sempre i suoi concerti per pubblicarli poi in molti casi su disco, ed ha affidato la predisposizione del set all'ingegnere del suono che aveva curato la ripresa di molti altri concerti per la ECM, il norvegese  Jan Erik Kongshaug, che era anche un musicista, chitarrista e compositore, e che è considerato uno dei più grandi esperti del settore, con all'attivo 4000 produzioni, di cui 700 con l'etichetta di Manfred Eicher.

Siamo nel 1994, l'alta definizione non è ancora uno standard per la registrazione in studio e dal vivo, e tutti i set sono stati quasi certamente registrati in qualità standard, quindi 16/44.1, come si deduce dal fatto che non sono disponibili in nessun formato in risoluzione superiore (quelli di Bill Evans di molti anni prima sì, ma perché sono stati convertiti da nastro). La differenza però la fanno la qualità del set microfonico e soprattutto la maestria del sound engineer, che riesce a catturare nel modo più naturale i tre musicisti e ogni sfumatura del suono dei loro strumenti, ma anche gli applausi del pubblico, rendendo queste registrazioni un esempio più volte citato, un riferimento.

La musica fa la sua parte
Come anticipavo sono 6 concerti su 6 CD, ognuno con brani diversi, che seguono all'incirca lo stesso schema, standard reinventati, altri spesso ma non sempre del loro repertorio, a volte su tempo lento e più spesso con un marcato swing e tempi svelti a rimarcare anche il virtuosismo del trio. Grande spazio per la ritmica, assoli molto musicali e poco esibizionisti sia di Peacock che di De Johnette,

Una autentica goduria per un appassionato di musica, ma anche per l'impianto che, se ben assemblato e installato, mette in luce la potenzialità della tecnologia stereofonica, con gli strumenti e la loro timbrica ricostruita a livelli che possiamo giudicare senza dubbio "altamente fedeli", e in più la ricostruzione spaziale, certamente migliore di quella percepita da buona parte del fortunato pubblico di 26 anni fa, perché in maggioranza non stavano come noi al centro della platea e senza altri spettatori davanti.

Ricostruzione spaziale eccezionale con Jarrett a sinistra col suo piano e a volte con il suo canticchiare mentre segue il suo flusso creativo (non molto in evidenza per fortuna in queste registrazioni), Peacock al centro e De Johnette sulla destra, ma più espanso in larghezza. E, se l'ampiezza della stanza d'ascolto lo consente, anche un'ottima ricostruzione in profondità, con la posizione leggermente arretrata del contrabbasso e l'estensione della batteria.

Va bene, ma cosa c'entra con il super-impianto?
C'entra perché purtroppo non tutte le registrazioni sono a questo livello, altrimenti questa non sarebbe così celebrata (e non lo sarebbero quelle della ECM in genere). Ci sono quelle addirittura low-fi, come l'album di certi Bon Iver dedicato a una certa Emma, gruppo pompatissimo dalla critica anni fa, rivelatosi in realtà solo un mix di noia e presunzione (uno dei miei ultimi incauti acquisti, prima di verificare sistematicamente le recensioni grazie allo streaming su Qobuz) ma più spesso sono semplicemente non al top su vari parametri, anche nel jazz e nella classica, ovvero nella musica soprattutto acustica, per la quale un riferimento esiste.
Se poi ci allontaniamo e arriviamo ai molti nuovi generi, hip-hop. rap, trap, metal ecc. è proprio il concetto di fedeltà che perde di significato e si passa all'estetica dell'ascolto, cioè a come piace di più che sia riprodotta quella musica, e il super-impianto può essere perfino deludente, anche perché la registrazione non è pensata per lui.

Quindi a chi servono i super-impianti?
A parte l'esibizione muscolare della propria potenza economica (che non ci interessa e penso che sia rarissima nell'hi-fi) hanno comunque una limitazione riguardo alla qualità di registrazione e al genere. Consentono di raggiungere il nirvana musicale, ma è sempre un nirvana con limitazioni, quindi un non-nirvana che spinge ad ascoltare solo un piccolo sotto-insieme della musica. Potendo, per chi ascolta musica a 360 gradi o quasi, la soluzione ideale sarebbe avere due-tre impianti con caratteristiche diverse.

domenica 9 maggio 2021

J River MC: migrazione a un altro PC e libreria video

Nel precedente post con la prova di J River Media Center, il popolare software per la gestione (e l'ascolto) della nostra libreria musicale digitale, non avevo trattato queste esigenze e queste funzionalità, che si aggiungono a quella più consueta di libreria musicale. Ne ho fatto esperienza, assieme all'utilizzo e riferisco qui.

La migrazione della libreria J River
E' un'esigenza indiretta, perché dopo anni di onorato servizio ho mandato in pensione il mio vecchio Mac Mini. Pur se di prestazioni non comparabili ai nuovi era sufficiente per il carico non elevato rappresentato dalla riproduzione della musica (anche in HD e DSD). Il fatto è che, essendo proprio uno dei primi modelli, la seconda serie, del 2006, le ultime versioni del MacOS non erano più supportate da anni, così come molte applicazioni che uso (Fidelia per esempio, o il player Qobuz). Non così J River, che però era bloccato alla versone 24 (ora è alla 27). E' l'obsolescenza dei PC, che non dipende quasi mai dall'hardware ma quasi sempre dal software. I componenti elettronici non avevano questi problemi. Il mio sintonizzatore Kenwood per esempio, che è del 1978, continua a funzionare perfettamente con zero manutenzione e a mostrare sul display una data di 43 anni dopo, che mai avrebbe supposto di raggiungere. Il problema qui però è che nel frattempo sono sparite le radio FM stereo che trasmettono in analogico.

Ma torniamo alla migrazione, che è un'operazione molto semplice ma non automatica. J River indicizza i file audio su una o più librerie, in pratica crea un data base con le informazioni legate ai brani e agli album. I file audio non erano nel Mac Mini ma in un disco eserno e quindi la migrazione dei contenuti è senza problemi. La libreria era necessario solo copiarla sul nuovo Mac (che è un modello usato, di fine 2014, l'ultimo con l'utilissimo ingresso digitale) e, dopo le installazioni, l'aspettativa era di rivedere sul nuovo Mac la libreria di 1.200 album esattamente come l'avevo lasciata.

E' andata effettivamente così. Quasi. Perché gli album c'erano tutti, la musica suonava, ma di parecchi album era sparita la copertina, Che, nel mondo digitale non servirebbe, ma per noi umani che usiamo le librerie digitali pare invece irrinunciabile (e così è, anche per me). Ricostruendo la situazione ho verificato che nelle directory di molti album l'immagine della copertina non c'era. Effettivamente avevo usato spesso per comodità e rapidità la comoda funzione Cover Art > Get from Internet. Le immagini erano comunque archiviate nella libreria-DB e quindi pensavo che sarebbero tornate fuori.
Invece, probabilmente le librerie erano in una diversa posizione nelle directory del disco o in più librerie separate (bisognerebbe conoscere in dettaglio l'architettura software di J River) e i link non funzionvano più.

Risultato: ho dovuto ricercare e copiare di nuovo qualche centinaio di copertine. Non ho usato più la funzione citata prima, e le ho invece caricate nelle directory di ogni album. Nel caso di una futura migrazione così non dovrò rifare queso lavoro (J River le trova auomaticamente con la funzione Quick find file in directory), non ci è voluto molto e facendolo ho anche sisemato alcune anomalie nell'architettura dei file, ma avrei preferito fare altro. Quindi, uniche avvertenze:

  • fare sempre  i backup delle librerie J River
  • segnarsi il path delle directory che contengono le librere e replicarlo
  • adottare come regola quella di completare ogni directory che contiene le tracce audio con la immagine della copertina.
La libreria dei film come è presentata su J River MC. Qui è aperta da un iPad con la app J Remote, che consente in questo caso di vedere i film direttamente sul tablet oppure di comandarne la visione sul monitor TV

La libreria video
L'avevo provata a suo tempo ma mai completata, ora l'idea era di raccogliere e avere una vista d'insieme di tutti i film su DVD o su file, e di poterli vedere immediatamente dal Mac Mini (il cui schermo è il monitor TV di casa). Confidavo anche sulle funzionalità più avanzate della nuova versione.
I film erano nei più vari formati, molti da Divx o XiVD in genere AVI, a volte MP4, quindi compressi e di varia provenienza. Altri copie dei miei DVD con DVDShrink (eccellente applicazione un tempo free, ora dall'incerto presente) quindi non compresse o compresse poco (solo per entrare nel DVD di copia).
Queste ultime erano su file ISO. E qui arriva il primo problema: J River riproduce senza problemi file ISO con contenuto musicale ma non con contenuti video. Avevo trovato le istruzioni per insegnarli a farlo, ma ho scoperto poi che valgono solo per la versione Windows.

Parentesi: Tentativo con Kodi
Ho cercato quindi un'alternativa, che abbondano, ma possibilmente free. Per esempio la celebre Kodi, che pare essere la preferita nel settore. Non capisco come mai, visto che è un'applicazione assurda, per cominciare è l'unica che conosco che prende un controllo esclusivo sul PC. Nel senso che quando parte nessun altra funzione del PC è accessible, l'unico modo per recuperarlo è chiudere Kodi. Se arriva una email non la possiamo vedere (neppure la notifica) se vogliamo cercare qualcosa sul web dobbiamo prendere l'iPhone o l'iPad. Poi ha la solita interfaccia semplificata per fare senza problemi (o quasi) le funzioni che secondo i programmatori di Kodi sono standard. Per le altre bisogna cercarle sul web (spegnendo Kodi e rientrando) e non è facile e immediato perchè di infomazioni ce ne sono molte e riguardano versioni diverse, magari, vecchie.r
Infine anche qui, il problema copertine (senza la visione delle copertine che libreria sarebbe? a questo punto basterebbero le direcory di Window o MacOS). Quando va bene (film USA in genere) le trova automaticamente anche con un'ampia scheda informativa in inglese. Quando non le trova bisogna fare più operazioni e perfino ingannare l'applicazione cambiando il nome del file se Kodi si ostina ad esempio a presentare un film indiano al posto di un film francese perchè ha lo stesso titolo (Welcome).

Si torna a J River MC
Dove l'obiettivo non è creare un'applicazione che fa tutto da sola, ma un'appicazione con tante funzioni e che prevede un comando chiaro per ogni funzione a disposizione dell'utente umano. E così locandina e informazioni sul film si possono trovare semplicemente con il comando Quick find film or TV inserendo il titolo nella lingua originale o in italiano, e i tag descrittivi si possono modificare singolarmente. Si costruisce così con facilità una libreria organizzata e facilmente consultabile e usabile e che si presenta come si vede nella prima immagine. 

Vedere i film in formato ISO su J River
Poichè i DVD trasferiti su PC sono tipicamente cog,nvertiti in formato ISO, torniamo al problema della visione dei file ISO, che in J River Mac ho scoperto si può anche aggirare (per J River Windows è invece previsto). Aggiungendo tra i tipi di file da importare anche "data" J River importa nella sua libreria video anche i file ISO. Cliccando sul film J River apre il file ISO e ne mostra il contenuto.

Un file ISO è un contenitore e contiene in questo caso due folder: AUDIO_TS e VIDEO_TS (TS sta per Title Set), il primo è previsto per i DVD-Audio, quindi è vuoto, il secondo è il film, archiviato in alcune decine di file con estensione .BUP, .IFO o .VOB. Tra questi ultimi quelli che contengono il film (VOB=Video OBject) si chiamano VTS_02_x.VOB. Il primo, VTS_02_0.VOB contiene il menu dei titoli o altre informazioni peliminari al film vero e proprio, i successivi 1, 2, 3 ... contengono il film suddiviso però in più parti di lunghezza pari a circa 20'. La lunghezza tipica di un film è 90' e quindi di questi file ce ne saranno di solito 5, di dimensione 1,07 GB i primi 4 e inferiore l'ultimo.
Per vederli su J River su Mac occorre aver installato anche un lettore universale, come VLC e, aprendo Video TS, cercando VTS_02_1.VOB e cliccandoci sopra parte la visione.

Certo, poi ogni 20' circa bisogna passare al secondo "rullo" e così via. Si torna a una visione come nei vecchi cinema, in quelle sale dove l'operatore separava la visione anche in tre tempi per favorire l'omino che vendeva durante l'intervallo popcorn e gelati.

Una soluzione più pratica e definitiva
Si può anche fare, anzi è quasi preferibile per persone riflessive e che vivono "a un'altra veocità", ma forse bisogna cercare una soluzione più pratica e definitiva. Che esiste ed è la conversione, invece che in ISO, in un formato compatibile ma comunque lossless o quasi. Il concetto di "lossless" e HD per i DVD però è molto diverso che per i CD. Rimando per questo aspetto all'appendice. I formati compatibili del file o del contenitore sono praticamene tutti gli altri, MKV, MP4, MPG, AVI ecc. I convertitori disponibili sono molti, proposti da diverse piccole software o da consorzi open source. Quelli gratuiti sono pochi e spesso con limitazioni, quelli a pagamento molti e spesso abbastanza cari. Tra i gratuiti il più consigliabile è Handbrake ("freno a mano" chissà perchè lo hanno chiamato così) che consente di convertire il film in formato MP4 o MKV e con buona qualità. Le limitazioni sono la impossibilità di gestire DVD protetti e la impossibilità di trasferire su PC a qualità piena. Tra i molti a pagamento si può segnalare DVD-Ripper Pro di WonderFox, per la facilità d'uso, la gestione di DVD protetti, la possibilità di trasferire su PC a qualità piena in codifica MPG (o MPEG-2)  in tempi ridotti, e anche per il prezzo inferiore a molti concorrenti.

Perché trasferire i DVD su PC
Oltre alla comodità logistica legata alla digitalizzazione e alla consultazione tramite una libreria digitale occorre considerare che: 1) i supporti DVD non sono eterni e sono soggetti a guasti con difficoltà o impossibilità di lettura, non è una situazione frequente, ma è meno rara che nei CD; 2) richiedono un lettore DVD o Blu Ray per la fruizione, che potrebbe essere un componente non più necessario in casa, se la visione con DVD è saltuaria o episodica.
E' consigliabile quindi, anche indipendememente dall'intenzione di creare una libreria digitale dei film, pensare al trasferimento su PC dei propri DVD e, se non sono veramente pochi, sarà necessario ricorrere a un'applicazione a pagamento.

Appendice: La qualità dei DVD
La vendita per visione privata dei film è iniziata a livello di massa con le cassette VHS solo negli anni '80, prima di allora, a causa delle difficoltà tecniche, la commercailizzazione per visione casalinga di una copia su pellicola, anche in piccolo formato, non era sostanzialmente possibile. Le video cassette avevano una qualità inferiore non solo al cinema, ma anche alla TV del tempo. Il DVD è stato commercializzato a partire dal 1998 per sostituire i VHS fornendo una qualità incrementata ed importanti plus funzionali. Adottava a questo scopo, 15 anni dopo, la stessa tecnologia a disco ottico del CD, con possibilità di memorizzazione molto superiori. La qualità era così incrementata per portarla almeno al livello della tele-visione che, all'epoca, che era ancora a tubo catodico (gli schermi "piatti" a LCD sono stati commercializzati in massa dal 2001).

La qualità quindi era allineata alla risoluzione massima di un monitor TV dell'epoca, ovvero 720 x 576 pixels a 25 frame per secondo per monitor europei a 50 Hz (720 x 480 pixel at 29.97 frame per secondo per i TV USA). Tutti i DVD commercalizzati da noi hanno la risoluzione massima europea. Inoltre, il DVD nella prima edizione aveva una capacià di 4,5GB che non era sufficiente per film di lunga durata e per aggiungere le informazioni aggiuntive che, secondo il marketing, erano necessarie per giustificare il costo maggiore e l'abbandono dei VHS (ma che non sono guardate quasi da nessuno senza che ciò abbia compromesso il rapido abbandono del VHS). La decisione quindi è stata di memorizzare il contenuto video in formato compresso, e la codifica adottata scelta è stata la MPEG-2, definita dalle organizzazioni internazionali ISO e IEC.

I film memorizzati su DVD sono quindi già "lossy" (anche per l'audio, si tratta di quello che conosciamo come AAC) e il massimo che possiamo ottenere è non ridurre ulteriormente la qualità con un'altra compressione lossy, e quindi non effettuare trasferimenti su PC in MP4 o AVI (che sono altri standard di compressione) ma trasferire direttamene in MPG, indipendentemente dall'efficienza della compressione. Non essendo necessaria alcuna codifica, il trasferimento sarà anche più veloce. Nella scelta dell'applicazione di ripping è consigliabile quindi sceglierne uno che supporta questa modalità.

sabato 24 aprile 2021

La copia di SACD tramite HDMI

Post di nicchia dedicato ai possessori di SACD oltre che ai curiosi di tecnologia in genere. Lo standard SACD come sappiamo è stato creato da Sony e Philips come successore al CD e l'obiettivo di ripeterne il successo. Facendo tesoro dell'esperienza del CD hanno rimediato ad un loro errore: averlo creato come supporto universale senza considerare che in questo modo la musica poteva essere facilmente copiata. Così l'hanno blindato, no lettori SACD sui PC, no masterizzatori SACD, no uso per dati. Questo avveniva 20 anni fa e sappiamo com'è finita: il SACD (anche perché era blindato) è stato ignorato dal mercato ed è sopravvissuto, a dispetto dei suoi stessi creatori (che l'hanno abbandonato) solo grazie a un buon numero di piccole case discografiche di musica classica e contemporanea. 

Uno dei magnifici SACD di Miles Davis con l'inarrivabile quintetto degli anni '60. Pubblicato da Mobile Fidelity Sound Lab 15 anni fa, comprato forzatamente usato

Ma Sony 10 anni dopo ha commesso un errore, ha aperto la porta blindata dotando la Playstation PS3 della possibilità di leggere anche i SACD, dimenticando di inibire l'output digitale. Hanno corretto prontamente l'errore nella versione successiva ma i soliti volonterosi nel frattempo avevano già copiato più o meno tutti i SACD allora in commercio, e hanno continuato per un bel po' comprando le PS3 usate, diventate nel tempo preziose. E le copie si sono sparse sul web, come al solito. 

Chiudo qui questa premessa che serve ma è già troppo lunga, per passare al tema: ovvero come fare una copia di un SACD che abbiamo, di sicurezza e/o per inserirla nella nostra libreria musicale digitale?
Per i titoli d'annata una ricerca sul web con le consuete attenzioni può risolvere il problema, ma non sempre e molto difficilmente per i titoli nuovi. Rimane quindi solo la ricerca di una ormai costosa PS3 usata. Oppure il sistema alternativo ideato da qualche anno. Metterlo in pratica e verificarlo è l'oggetto di questo post. 

Usare la porta  HDMI
I lettori multiformato audio / video, inclusi i diffusi lettori Blu Ray, hanno sempre la possibilità di leggere i SACD e, come tutti i lettori audio, l'output digitale ottico per questa codifica è bloccato. Hanno però anche, per forza, una porta digitale HDMI per il video. Per qualche motivo di architettura dei decoder interni, o per scelta dei produttori o per resa di Sony su HDMI, l'audio di un disco SACD passa invece sul canale audio HDMI. Ho nell'impianto un lettore multiformato che ha queste caratteristiche (Oppo DV980H) e quindi ho voluto provare se si riesce veramente a registrare il contenuto di un SACD mantenendolo in alta definizione usando questa strada.

Primo passo: verificare le premesse
Ovvero se l'audio del SACD passa veramente dall'uscita HDMI sul lettore in prova. Verificarlo è molto semplice, si prende un SACD non ibrido (senza le tracce in formato CD), si seleziona l'output HDMI e lo si ascolta collegato solo al monitor TV. Se il TV suonerà le specifiche sono rispettate. Per prima cosa occorre controllare la configurazione del lettore, nel pannello audio è effettivamente possibile selezionare l'uscita per il formato audio SACD su HDMI,  scegliendo tra PCM o DSD. Ovviamente seleziono PCM e stereo. Si fa quindi partire il disco, e il test è positivo, sull'audio del TV si ascolta il SACD. Scontato ma non troppo, magari serviva qualche altra configurazione specifica. Andare per gradi e isolare le funzioni serve a non complicare l'analisi dopo.

Secondo passo: l'ingresso digitale
Se i notebook avessero un ingresso HDMI oltre all'uscita HDMI (ormai quasi standard) avremmo praticamente finito la prova, ma non risulta che ne esistano, serve quindi un convertitore di interfaccia. A volte serve negli impianti HT che non hanno abbastanza ingressi HDMI e così qualcuno l'ha progettato e commercializzato. Si chiama Tancai si trova su Amazon a prezzo accessibile (16,99 €) sembra che faccia quello che ci serve, quindi l'ho acquistato per proseguire la prova (che in realtà è nata proprio perché l'ho trovato). E' un convertitore da HDMI a digitale S/PDIF, un ingresso presente con connessione coassiale od ottica in quasi tutti i DAC, in qualche PC Mac e in alcune schede audio per PC fissi.

Terzo passo: la verifica della risoluzione effettiva
Il contenuto di un SACD ci interessa solo perché è in alta definizione, bisogna quindi controllare se nei vari passaggi non viene effettuato un downsampling. Una eventualità possibile perché il convertitore è un componente attivo, alimentato, svolge il suo compito con un circuito integrato (forse una scheda commerciale configurata allo scopo): un chip che riporta il flusso a qualità CD potrebbe esserci.
Per fare la verifica serve un DAC che mostra la risoluzione, come il mio SMSL M3 che uso per l'ascolto in cuffia da notebook, e la configurazione è molto semplice:

Oppo DV980 -- cavo HDMI --> Convertitore Tancai -- cavo S/PDIF ottico --> SMSL M3

La configurazione in pratica è mostrata nella foto qui sotto: sulla destra il convertitore Tancai, sul retro il cavo HDMI uscente dal lettore Oppo e il cavo digitale ottico (il cavo sottile che si intravede appena) che lo collega al DAC S.M.S.L. al quale è collegata una cuffia stereo per controllo.


Quarto passo: verificare di nuovo la configurazione.
Sul lettore Oppo ci sono altri settaggi dell'uscita audio ma cambiare per tentativi l'output digitale d PCM a RAW non sortisce alcun cambiamento. Sul convertitore però è presente un selettore a 3 posizioni, 2ch, 5+1ch e Pass. Avevo selezionato 2ch perché questa era la posizione per l'uscita audio stereo secondo le scarne istruzioni, decido di provare il pass, forse in questo modo bypassa il downsampling, anche se questa selezione pareva riservata all'uscita passante in HDMI. Provo e nulla cambia, ma provo anche per scrupolo a mantenere occupata anche l'uscita HDMI, ricollegando il TV. E con questa configurazione si arriva, un po' per caso, al risultato, testimoniato nella foto. Al DAC arriva ora un flusso in alta risoluzione 88.2KHz, frutto della conversione in PCM effettuata dalla scheda di uscita dell'Oppo. Quello che si voleva ottenere.
Il test ha avuto successo: sul lettore si legge la indicazione che è in riproduzione un SACD, sul pannello di LED del DAC si vedono accese le spie dell'ingresso ottico in uso e del flusso dati rilevato in ingresso, che ha frequenza 88.2KHz, quella di un SACD convertito in PCM. La configurazione corretta richiede di selezionare la modalità Pass e di mantenere collegato anche il cavo di uscita HDMI.

Probabilmente solo collegando il cavo si attiva effettivamente e stabilmente la modalità pass-through, che si applica per fortuna anche all'audio, altrimenti rimane attivo lo stesso percorso usato per l'audio puro, che include invece il downsampling.

Quinto passo: la registrazione
Questo è il più facile, una volta ottenuto un flusso dati PCM in qualità HD, basta inserirlo nell'ingresso digitale di un PC e registrarlo con un'applicazione, come la più volte citata Audacity, che supporta la registrazione anche in HD su un PC come il mio Mac Mini che uso come music server, e che nel frattempo è stato sostituito con un quasi nuovo modello, late 2014. Non l'ultimo perché questa serie dei Mac Mini è l'ultima che ha ancora ingressi e uscite S/PDIF. Una funzionalità già provata (vedi) e che consente con questo convertitore di registrare senza perdita ogni SACD, anche senza possedere una rara e ricercata PS3.

Ma invece, la copia in DSD?
Questo sarebbe il sesto passo, preservare anche la codifica DSD con i suoi vantaggi veri o presunti (vedi post precedente). Ma qui le cose si fanno complicate: 1) i SACD sono protetti, criptati, occorre rimuovere la protezione (Oppo l'ha fatto per noi) e per questo serve proprio la PS3; 2) il software più diffuso, forse unico per questo scopo (creare l'immagine ISO del SACD) e che si chiama sacd-ripper, esiste solo per Linux (a meno che sia ben nascosta la versione per Windows o Mac). Dobbiamo accontentarci, almeno per ora.

E invece, a cosa serve una uscita in DSD?
Escludendo questo uso certamente non previsto, perché nel lettore Oppo (non so nei lettori Blu-Ray) esiste la possibilità di uscire in DSD nativo? Sul manuale indica che può essere usato per connettere un "receiver that supports HDMI v1.2a with DSD over HDMI" quindi si parla di amplificatori multicanale che possono riprodurre anche un SACD multicanale. Il multicanale era infatti l'altra funzionalità innovativa e distintiva del SACD rispetto al CD.

Appendice
Questo sistema alternativo (alla PS3) per fare il ripping di SACD prende spunto dalla documentazione sui passi da seguire, che riporto per curiosità, pubblicata da un ignoto ripper che l'ha inserita a corredo di una delle sue "opere" e che poi è stata ripetuta da decine di siti e di forum. La riporto per curiosità. Come si vede è quasi inapplicabile richiedendo componenti da studio molto particolari, e l'ho seguita e ricreata usando componenti facilmente accessibili e dal basso costo, e avendo però a disposizione lo stesso player Oppo (ma questo non è un obbligo).

  1. DSD internally converted to a 24bit/88.2KHz PCM stream by the Oppo DV-980H player
  2. The PCM stream is conveyed into a high-quality HDMI 1.3 cable
  3. The HDMI is connected to an Octava 1x2 HDMI Distribution Amp with Toslink Out
  4. The PCM stream is splitted into a toslink cable
  5. The toslink cable is connected to a M-Audio Transit USB adapter
  6. The PCM stream is captured by Cockos Reaper 3.1x using the M-Audio ASIO drivers.
  7. Final track splitting (no other editing is involved) is done in Reaper

lunedì 5 aprile 2021

Un NAS nell'impianto stereo

L'audiofilo analogico descritto nel post precedente ha una libreria musicale fisica, che può essere sì ingombrante e difficile da conciliare con un appartamento di città, soprattutto se ha qualche migliaio di LP e CD, ma che per essere utilizzata richiede solo le sue mani e soprattutto la sua memoria (per trovare gli album, dopo averli disposti con una logica "archivistica").
L'audiofilo digitale invece, a meno che non ascolti solo in streaming, ha bisogno di una memoria digitale sicura nella quale archiviare i file audio che costituiscono la sua libreria musicale.
E non bastano allo scopo:

  • il disco interno del PC (capacità insufficiente) 
  • un hard-disk o addirittura una pen-drive collegata a un ingresso USB del network audio player (non c'è il librarian per cercare i brani da ascoltare)
  • non basta neanche un hard-disk esterno collegato a una porta USB del PC (il problema è il backup) 
 La soluzione però esiste, ed è praticamente obbligata, è il NAS (Network Attached Storage).

Il NAS
(Breve riepilogo da saltare per chi sa già tutto) Componente tipico dei CED, i centri di elaborazione dati, da almeno due decenni, sono unità intelligenti ed autonome, connesse ovviametnte in rete locale (LAN), ma che effettuano solo le funzione di memorizzazione e condivisione dati per tutti i computer della rete.  
Non avevano senso per i PC quando in casa ce ne era uno solo, i dati da memorizzare non erano molti e non erano particolarmente preziosi, e soprattutto, non esistevano gli smartphone.

Ma il mondo è cambiato e i NAS, in versione miniaturizzata, sono entrati nelle case e vi si stanno diffondendo. Forniscono:
  • centralizzazione: condivisione delle informazioni per tutti i PC, smartphone e tablet della casa
  • sicurezza dei dati
  • disponibilità H24
  • accesso anche dall'esterno via web
Centralizzazione e condivisione
Se quelle foto del bimbo che vogliamo rivedere e spedire sono sul PC del papà e non su quello della mamma, bisogna andare sul PC del papà (se è in casa e non ha messo la password) e trasferirle, magari con una pendrive.
Con il NAS possono stare in un contenitore unico (e di solito nascosto) sempre acceso ed accessibile, per tutti i PC, gli smartphone e i tablet della casa.
La cosa vale anche per la libreria musicale, e quindi è evidente il beneficio di avere un NAS anziché la libreria connessa ad un PC, anche a chi potrebbe non interessare (ad esempio un/una single, ma il NAS può essere acceduto anche da un suo ospite).

Il modello DS220J di Synology illustrato in questo post

Sicurezza dei dati, ovvero "Backup"
Quando le foto erano analogiche e cartacee il backup erano i negativi, e anche per i vinili i più prudenti facevano una copia su cassetta. Ma c'è una differenza fondamentale: i dischi si possono ricomprare, quasi sempre, le foto fatte da noi, no.  E questo vale per ogni altra nostra produzione digitale, incluso il nostro libro di memorie rimasto da anni a pagina 20, le registrazioni del saggio al piano della figlia, le prime email scambiate con la futura moglie o  magari la musica composta e suonata e registrata da noi.
I dischi dei computer non sono eterni e possono rompersi, e il recupero dei dati non è affatto scontato né economico (vedi altro post precedente) e quindi è necessario avere almeno una copia dei contenuti più preziosi.

Teoricamente, per le foto, sarebbe sufficiente ricordarsi di farlo sistematicamente ogni volta che le carichiamo su PC da una scheda, ma le esperienze di decenni di informatica hanno insegnato che nessun umano è così sistematico da farlo proprio tutte le volte e, in base alla legge di Murphy, il disco si guasterà proprio quella volta che per giorni non ha potuto farlo, per i più diversi motivi. Per questo, sempre da decenni, esistono le applicazioni automatiche di backup incrementale, che copiano quindi le differenze (file modificati o file nuovi) e consentono di recuperare i contenuti originali.

Usare un NAS per il backup dei dati
Il NAS viene utilizzato per tre scopi: 1) garantire con il mirroring dei supporti di memorizzazione (dischi o SSD) la sicurezza in tempo reale dei dati critici, 2) lavorare soltanto su dati salvati in tempo reale 3) archiviare in modo sicuro il backup incrementale automatizzato.
  1. Ridondanza mirata: i dati sono memorizzati automaticamente e in tempo reale su 2 o più dischi dal NAS, se uno si guasta c'e l'altro (o gli altri) a mantenere i dati. E' una tecnica in uso da decenni chiamata RAID (Redundant Array of Independent Disks) e può essere realizzata con due dischi (RAID 1) o più dischi, con efficienza (ma costo) via via maggiore. Nel caso più comune la ridondanza è riservata solo ai dati critici, per esempio le foto o la musica vengono memorizzate direttamente sul NAS, scaricando la scheda SD o facendo il download da un sito, o rippando un proprio CD)

  2. Ridondanza completa: tutti i dati, quindi anche i file di lavoro, appunti ecc. sono memorizzati direttamente sul NAS, che viene usato come se fosse un disco interno del PC. Ovviamente la capacità del NAS in questo caso deve essere superiore.

  3. Backup incrementale automatizzato: è un'applicazione non inclusa nel NAS che deve essere installata sul PC, ce ne sono diverse free, per esempio Uranium Backup. Si selezionano le directory su cui fare il backup e si schedulano i tempi (ad esempio uno a settimana) scegliendoli ovviamente quando il notebook è di solito acceso. E' importante considerare che questo è un backup che salva solo le variazioni, ma mantiene anche le versioni precedenti dei file. Oltre ad essere più efficente e anche più sicuro perchè consente di recuperare anche i dati cancellati per un errore umano (cancellazione di file sbagliati, infauste cancellazioni di intere directory, cut and paste maldestri ecc.).  
Combinando il backup automatizzato e la memorizzazione su NAS si garantisce la massima sicurezza rispetto alla perdita di dati, sia per guasto del supporto (copia ridondante in tempo reale) sia rispetto all'errore umano (backup incrementale, si può risalire sempre alla versione precedente).
In ambito professionale è richiesto un ulteriore livello di sicurezza, il disaster recovery, cioè un'ulteriore copia di sicurezza dei dati critici in una location diversa e fisicamente distante e non correlata. Ma per i nosri scopi sarebbe eccessivo.

Ma nella musica serve un backup?
Non è critico come per le nostre foto o i nostri documenti. Ma la perdita della musica digitale causa guasto del disco dove è archiviata può essere comunque un problema. Molto dipende da dove proviene, quindi dalla possibilità e dai tempi per recuperarla:
  • acquistata da un sito di digital download (HDtracks, Qobuz, Highresaudio, ecc.): può essere sempre scaricata nuovamente, eventualmente con una procedura di autorizzazione che il sito richiede; l'unica possibiltà di perderla è che il sito sia nel frattempo fallito e sparito (può succedere, ma non di frequente);
  • "rippata" da un CD che ancora abbiamo: bisogna fare di nuovo l'operazione; 15-20' a CD, e se sono 1000 può essere un discreto problema; può succedere anche che alcuni CD non siano più leggibili dopo anni (evento comunque raro);
  • "rippata" da un CD di cui ci siamo disfatti (venduto o rottamato): si perde tutto e l'unico rccupero possibile è comprarlo di nuovo (o rinunciare e passare allo streamng); quindi metteteli magari in cantina ma non disfatevi mai dai CD;
  • digitalizzata da un LP che ancora abbiamo (non prendo neanche in considerazione l'ipotesi che sia stato, dopo, venduto o rottamato): come per il ripping dei CD ma il tempo occorrente è molto di più, almeno 2-3 volte tanto, e richiede un'attenzione cotinua al processo;
  • scaricata da un sito di digital download "free": non sono legali e cambiano di continuo e quindi difficilmente si ritrovano nello stesso posto, elevata probabilità di non trovare più gli album scaricati.
Quindi, in sintesi, serve. Ed è quasi obbligatorio se la libreria digitale è consisternte (500, 1000 album e più) sia per la buona probabilità di perdere qualcosa, sia per il costo in termini di tempo e a volte anche di denaro che comporta.

Il NAS nell'impianto stereo dell'audiofilo digitale
Quindi è inevitabile che l'audiofilo digitale o ibrido analogico-digitale debba inserire questo nuovo componente nel suo impianto H-Fi. Quindi un riepilogo dei punti da considerare, più che una prova, può essere utile. Preliminarmente però dobbiamo individuare un dimensionamento, considerando l'uso previsto. Considerando tre parametri tipici:
  • spazio di archiviazione 
  • velocità di trasferimento dati
  • ridondanza 
Il primo dipende dall'ampiezza della libreria musicale che a sua volta dipende dal formato. Ad esempio un album di 60' in FLAC e qualità CD richiede 250MB circa, mentre in DSD64 non compresso più di 1GB. Difficilmente però un appassionato avrà 1000 album in formato DSD e quindi per una classica libreria da 1000-1200 album già 1TB è sufficiente. Come sempre però bisogna largheggiare.

La velocità di trasferimento dati può essere critica per film in HD o in 4K da trasmettere su uno smart TV che accede al NAS, non lo è certamente per audio in PCM archiviato in FLAC. Potrebbe esserlo forse per formati estremi come DSD256, ma si può risolvere incrementando il buffering. Non molto critica per la musica.

La ridondanza deve esserci ma non particolarmente critica, anche per la dimensione dello spazio di archviazione. Non serve quindi un RAID 2 o superiore ed è sufficiente il RAID 1, ovvero banalmente due dischi gemelli sui quali viene memorizzato automaticamente e in parallelo lo stesso file audio. Probabilità quasi nulla che si rompano entrambi nello stesso momento, rimarrebbe solo il disaster recovery ma in ogni caso non potrebbe essere realizzato nel NAS.

In sintesi, il NAS tipico per la musica è un 2-bay (2 dischi) in RAID 1. Come ad esempio il Synology DS220J mostrato prima oppure questo modello Terramaster dove i due slot per i dischi sono visibili anche esternamente.


La scelta dei dischi
Un NAS è un server di archiviazione e quindi l'elemento fondamentale sono i dischi: cominciamo da loro. Anche perché le opzioni sono poche e semplici. Per prima cosa, esistono dischi progettati apposta per i NAS, "rinforzati" per uso inteso e continuo, come quelli ben noti della Seagate (la maggior azienda del settore attualmente, credo) battezzati dal produttore IronWolf, come si vede nell'immagne successiva sul disco stesso è specificato NAS (la serie progettata per uso interno al PC si chiama invece Barracuda).
La capienza attualmente può essere 1, 2, 3, 4, 6, 8  o 12 TB con costo ovviamente crescente, mentre con la gamma Pro ancora più adatta ad uso intenso arriva fino a 18 TB.

Per un NAS RAID 1 occorrono dischi di buona capienza, mentre per RAID con più dischi potrebbero essere usati di capienza minore (leggermente più veloci). Per archiviare la libreria musicale è consigliabile un 4TB perché probabilmente il NAS potrà servire anche ad altri scopi (foto e video della famiglia in primis) e il costo è ancora accettabile (110-130 €). Da ricordare che il disco contiene anche il sistema operativo e le applicazioni del NAS (che è un computer specializzato) e quindi lo spazio effettivo sarà circa di 3,6TB per un disco 4TB.


La scelta del NAS
Esistono molte alternative, proposte sia di produttori di dischi sia da società specializzate, e il mercato inoltre si sta espandendo con nuovi produttori provenienti di solito dalla Cina. Il produttore più popolare, non so se anche il numero uno per vendite, è certamente Synology. Orientarsi sui suoi modelli è la scelta più facile, anche perché il costo è all'incirca lo stesso dei competitori. I puristi non l'apprezzano molto perché adotta alcune scelte proprietarie, come il sistema di archiviazione ridondante  SHR (Synology Hybrid RAID) e qundi preferiscono i NAS ad esempio della QNAP, molto apprezzati. 
La differenza sarebbe che si avrebbero dischi con una formattazione standard, più facile da recuperare in caso di improbabilissimo doppio guasto contemporaneo, ma in compenso la configurazione sarebbe più complessa.

La configurazione iniziale
Invece con il Synology (mia scelta, è il modello DS220J 2-bay della prima immagine) è tutto molto semplice, a cominciare dall'assemblaggio iniziale (che consiste  nell'aprire il NAS e infilarci i dischi) che è documentato con istruzioni stile Ikea (solo figure) e si completa in 4 passi. Dopo di che si collega il NAS al router principale con un cavo Ethernet (attenzione, è obbligatorio, no Wi-Fi, no Powerline) e si inserisce sul browser l'indirizzo http://find.synology.com, si attende che venga individuato il NAS nella rete e da questo punto in poi occorre solo seguire le istruzioni (in italiano), saltando e rinviando (suggerimento) l'installazione dei pacchetti opzionali. Ovviamente durante l'installazione dovremo decidere il nome del NAS  e creare l'utenza amminstratore e la password, da scegliere con cura ed evitare di dimenticare. Le solite cose. Alla fine rientrando dal browser sul NAS si vede questo pannello home (i monitoraggi a destra possono essere selezionati su più indicatori), mentre dai PC Windows della rete casalinga sarà visibile su Explorer andando al settore Rete. 

Accesso al NAS. La grafica di Synology è piuttosto old-style

La configurazione della libreria musicale sul NAS
Selezionado Rete e fornendo le credenzali di amministratore si attiva il pannello di controllo del NAS già visto prima e, selezionando Disk Station si possono creare le aree condivise, che saranno viste, ciascuna di esse, come "unità" su Windows o Mac, ovvero come se fossero dischi interni o esterni del PC. Su ciascuna unità si potranno poi creare directory e sub-directory come sempre. Il disco fisico del NAS non è quindi visto come disco dal PC, che vede invece i dischi virtuali creati come "cartelle condivise". Per queste cartelle condivse si potranno definire criteri di accesso (per esempio solo amministrtore o più aperte) e le solite cose. 

Creare una cartella condivisa con il pacchetto Disk Station su un NAS Synology

Per vedere questi dischi-cartelle condivise dal PC bsogna connetterli, il comando si trova da Explorer (Eplora file) selezionando "Questo PC" e, nella barra dei menu in alto,"Connetti unità di rete". Si apre questo pannello dove viene mostrata la prima unità libera (partendo dalla Z) alla quale collegare la cartella condivisa indicandola semplicemente come \\NOME-NAS\Nome Cartella. 


Completata la connessione le nuove unità su NAS sono mostrate su Explorer come:
 Nome Cartella (\\NOME-NAS) (X:)
e con un simbolo diverso dai dischi standard. E sono utilizzabili come qualsiasi disco da qualsiasi applicazione. Per esempio da Foobar2000 che, se configuriamo la music-library sulla cartella condivsa Music-Library, la può indicizzare come sua libreria musicale, cercare per genere, per artista ecc. Quindi conviene pensare come "dischi" le cartelle condivise, crearne poche e organizzare le directory al loro interno.

La struttura della libreria
L'indicizzazione, Foobar2000 , J River e gli altri media server, la fanno basandosi sui tags presenti nei file audio, ma è sempre consigliabile archiviarli su disco in modo organizzato, per una gestione più ordinata, gestibile anche dal PC. E' sufficiente una semplice struttura a due livelli di directory. Quella che uso io ad esempio utilizza solo 4 macro generi (Classica, Jazz, Rock, World) e all'interno di essi suddivide i file audio per qualità (CD, HD PCM, DSD); all'interno di ogni directoy, ovviamente, una directory per ogni album.

Le porte opzionali USB
I NAS spesso hanno anche alcune porte USB disponibili per collegare hard-disk esterni aggiuntivi o anche al limite pen-drive. E' il caso anche del Synology DS220 che ha due porte. Gli hard-disk una volta collegati sono automaticamente riconosciuti e collegati come cartelle condivise con i nomi. standard "usbshare1" e "usbshare2" (oppure usbshare1-1 ecc. se sono partizionati). Per vederli da qualsiasi PC della rete (sharing, appunto) è sufficiente connetterli con questo nome. Ovviamente non beneficiano del backup, il NAS fa solo da connettore in rete.
Dopodichè potranno essere usate come memoria aggiuntiva esattamente come se fosse connessa al PC che stiamo usando (che magari è un MacBook senza porte USB o uno di quei notebook sottilissimi recenti con poche porte USB). Possono essere anche sede del backup incrementale degli archivi su NAS, essendo i dischi eterni collegabili via USB ormai anche a capacità di diversi TB. Essendo collegati in locale la velocità di trasferimento sarà superiore e i tempi di copia più ridotti.
Nel caso che siano hard-disk usati anche su PC Mac (quindi tipicamente con file system exFAT), per collegarli è necessario installare sul NAS Synology il pacchetto exFAT Access (a pagamento, ca. 5 €)

Il collegamento diretto di un disco esterno può servire anche per trasferire grandi quantità di dati sul NAS, beneficiando della velocità di trasmissione dati tipicamente superiore a quella attraverso la rete locale, via cavo o Wi-Fi, come anicipato.

Altre funzionalità del NAS
Almeno per Synology sono parecchie, a giudicare dal grande numero di pacchetti disponibili. La più richiesta è sicuramente la possibilità di usarlo anche come multimedia server, installando un pacchetto che implemeta DLNA come ad esempo Plex (che è incluso, quindi è gratuito). 

In sintesi
L'audiofilo digitale non solo fa molta fatica a dimenticarsi dell'onnipresente PC per ascoltare la sua musica preferita, ma deve anche occuparsi di sofisticate e potenti periferiche aggiuntive, un tempo presenti solo nei CED.

domenica 28 marzo 2021

Ascoltare la musica dal divano (con Foobar2000 e MonkeyMote)

Chi ascolta la musica con uno speaker wireless seduto alla scrivania o con le  cuffie stereo in giro per casa o fuori non si pone proprio il problema (che poi sarebbe un'opportunità) di ascoltare la musca comodamente seduto sul suo divano preferito. Si tratta di un obiettivo che riguarda solo gli audiofili che hanno un vero impianto stereo, con le due casse acustiche a debita e stanza e il famoso triangolo equilatero dell'ascolto stereo. L'audiofilo analogico può avere a disposizione un telecomando per regolare il volume e selezionare i brani (a volte ne servono anche due) ma l'audiofilo digitale può estendere il controllo remoto anche oltre, usando il suo smartphone come telecomando.

Una app di controllo remoto per Foobar2000: MonkeyMote
Non è certo una funzionalità nuova, esiste da molti anni ed è prevista per i media player più diffusi, come J River, Audirvana o Roon, che forniscono una loro app di facile uso e installazione. Il compianto "connettore" ChromeCast Audio forniva poi una soluzione universale sfruttata da app come Mconnect Player, recentemente provata. Ma il più noto e apprezzato player e media center, Foobar2000, sembrava tagliato fuori da questa possibilità. Ho cercato a lungo una soluzione che non richiedesse di essere un tecnico informatico per installarla, ho addirittura proposto in un recente post di remotizzare tutta l'interfaccia del PC. Ma, continuando a cercare, è uscita fuori una soluzione decisamente più comoda, proposta come app per il noto player MediaMonkey da chi lo sviluppa, ma astutamente estesa anche a Foobar2000, in due versioni Lite e Premium a pagamento (2,29 €).

MonkeyMote Lite
La versione free consente di fare esattamente le cose che possono fare i telecomandi analogici degli amplificatori e dei lettori CD, ovvero regolare il volume e scegliere il brano da ascoltare, dopo aver scelto e inserito il CD. In questo caso, dopo aver acceso il PC, avviato Foobar2000 e aver  scelto l'album da ascoltare. Funzioni base, ottenibili gratuitamente accettando un po' di pubblicità non invasiva.



Lo screenshot iniziale della versione lite mostra solo la funzionalità di accesso al PC individuato automaticamente sulla rete locale con Foobar2000 (vediamo dopo come). Selezionando il PC si passa direttamente all'album selezionato sul PC e predisposto per la esecuzione su Foobar2000. In questo caso Lay It Down dei Cowboy Junkies. Cliccando sulla app su un brano inizia la riproduzione sul PC. Negli screenshot si nota anche la pubblicità in basso.


Selezionando "back" in alto a sinistra si passa al player vero e proprio con le classiche funzioni di ascolto e pausa, salto del brano e scorrimento, incluso ovviamente il controllo di volume, Come si vede nel secondo screenshot è possibile anche visualizzare al volo le informazioni (tags) sul brano.

MonkeyMote Premium
Quanto sopra è tutto per la versione Lite, ma la versione a pagamento offre molto di più, a parte l'assenza di pubbicità: beneficiare del vero valore aggiunto di avere una libreria musicale digitalizzata. Penso che l'investimento necessario di 2,29 € sia sopportabile per l'audiofilo medio. Come si vede negli screenshot succesivi le funzioni base sono molte di più così come le opzioni di funzionamento. Che includono pure lo "shake gesture" ovvero passare al brano successivo scuotendo l'iPhone (una funzione di cui non si può proprio fare a meno). 



Le funzioni veramente importanti però ci sono e in particolare c'è la ricerca dell'album nella libreria, con la copertina per individuarlo al volo, e le classiche categorie di archivizione (titolo, artista, genere, ecc.) come si vede nel primo screenshot che segue,



Fare attenzione però anche al secondo screenshot, che è il primo che viene visualizzato dopo la connessione automatica al server. Il minuscolo simbolo di una croma sulla sinistra in basso è l'unico pulsante disponibile per passare appunto alla ricerca nella libreria musicale (non ne ho trovati altri). Gli altri due sono inutilissime funzioni di timer e "party mode" (il palloncino).


Selezionando l'album (scorrendo verso sinistra l'immagine della copertina) si possono scegliere i brani da ascoltare si raggiunge lo scopo senza muoversi dal divano o dalla poltrona: il nostro impianto ci presenterà al suo meglio la musica che ci va di ascoltare, che sia jazz o pop.

Installazione su PC
Ovviamente occorre installare il componente che risponde ai comandi della app anche su Foobar2000 e consente l'indivduazione automatica vista prima, il component si scarica da questo link (se cambia basta cercare "monkeymote foobar"). Conviene scaricare il package che è auto installante, su Foobar sarà necessario solo applicarlo. Nella pagina di download si possono vedere anche le altre versioni di MonkeyMote.


Osservazioni e critiche
La app, che è disponibile sia per iOS che per Android, è abbastanza fluida nonostante le strane scelte di interfaccia commentate prima, prendendo confidenza l'uso dovrebbe diventare presto familiare. La app è molto sensibile alla qualità e alle prestazioni del Wi-Fi di casa, tenerne conto in case con copertura variabile. La connessione manuale consente altre funzioni, in particolare la "wake-on-LAN" ovvero la possibilità di accendere il PC dando un comando dalla app che sarà gestito dalla scheda Ethernet del PC. Per attivare questa funzione occorre però creare un account TCP, il che richiede di agire sul firewall e le impostazioni di rete. Una cosa piuttosto complessa per una funzionalità non indispensabile  e per di più poco documenata sulla user guide.
Infine un'ultima osservazione sulle copertine, anche questa app come quasi tutte (tranne Mconnect, tra quelle che ho provato, e le app "professionali" come JRemote) non visualizza le copertine in qualità decente, pur se sul piccolo schermo di uno smartphone. Una cosa piuttosto irritante, soprattutto perché non è certo una sfida tecnologica garantire queste prestazioni di base.

In sintesi
Una soluzione efficace che pone Foobar2000 allo stesso livello di funzionalità dei media center professionali come J River, anche se l'operatività non è allo stesso livello. Ma comunque accettabile per tutti gli audiofili che apprezzano la grande versatilità di Foobar2000, che non hanno un computer Apple, e che preferiscono un tool gratuito.