mercoledì 24 marzo 2010

Magia dell'analogico: 2. Il Wi-Fi degli anni '60

Riprendendo a raccontare di come negli anni dell'analogico si potesse ascoltare la musica con ancora maggior fedeltà del tanto celebrato vinile eccoci a ricordare una tecnologia Wi-Fi degli anni '60. Una alternativa ai "bobina", i registratori a bobine aperte (reel-to-reel) e ai nastri pre-registrati, allora praticamente non diffusi da noi, che personalmente sto continuando ad acquistare (in USA di solito) incappando in registrazioni spesso eccezionali.

La tecnologia a cui alludo è molto nota, e penso che molti trovino bizzarro o insensato accostarla a un suono di qualità. Parlo infatti dell'FM Stereo. Che era sicuramente senza fili, ma sorprendentemente anche di alta qualità, almeno prima di ... ma non precorriamo i tempi. Alta qualità rispetto all'LP, naturalmente, che all'epoca non era circondato dalla incondizionata ammirazione di ora. Stampe non perfette, vinile di bassa qualità, giradischi e bracci non sempre impeccabili, usura e necessità di pulizia, rendevano questo sistema di non facile gestione (per questo poi il CD è stato accolto, almeno all'inizio, come una liberazione).

La radio FM nella sua versione stereo non aveva questi problemi d'origine, e per un certo periodo è stata la sorgente preferita in molti impianti di alto livello, come testimoniato dalla presenza sul mercato di sintonizzatori di costo assai elevato, come il famoso Sequerra della foto, che costavano come una utilitaria dell'epoca.

Non in Italia, però
Da noi le cose sono andate diversamente. La radio diffusione era nata in modulazione di ampiezza AM, ed è rimasta tale sino agli anni '40-'50, quando la nuova tecnologia in modulazione di frequenza (FM), che consentiva una migliore ricezione ed una risposta in frequenza più ampia (e quindi anche di trasmettere la musica in modo adeguato) è diventata disponibile commercialmente, prima in USA e poi nei paesi europei. Il passo successivo per arrivare all'alta fedeltà era aggiungere i due canali necessari per l'ascolto in stereo, e quindi per la ricostruzione spaziale. A questo risultato si è arrivati all'inizio degli anni '60 (nel 1961 in USA è stato approvato dalla commissione governativa preposta lo standard e sono iniziate le trasmissioni).

In Italia invece c'era un monopolio chiamato Rai. Con i suoi laboratori all'avanguardia, ma anche con i suoi tempi lentissimi. Quasi subito, pochi anni dopo la disponibilità della nuova tecnologia, sono iniziate anche in Rai le sperimentazioni in FM Stereo. Solo per poche ore al giorno ed apprezzabili solo dai pochi che investivano in sintetizzatori stereo, costosi ma utilizzabili per ben poche trasmissioni. Come sarà stata valutata la efficacia di questa sperimentazione non lo sappiamo, ma sta di fatto che è durata dai primi anni '60 sino agli anni '70, fino a quando il monopolio è caduto con la esplosione delle radio libere, che hanno iniziato ad utilizzare in modo esteso anche questa tecnologia, ormai matura. Nel 1982, in uno scenario del tutto mutato, sono iniziate le trasmissioni regolari in stereo anche da parte della emittente pubblica, che seguivano quelle in filodiffusione attive sin dagli anni '60.

C'è da dire che negli anni dell'immobilismo Rai qualcun altro trasmetteva in FM Stereo, era Radio Vaticana (quindi quasi solo musica classica) e gli appassionati si rivolgevano anche a questa emittente.

Negli anni '70 finalmente l'FM Stereo era quindi una realtà. Purtroppo del tutto inutile per chi cercava la qualità. Nel frattempo infatti era iniziato l'assalto all'etere, l'affollamento delle radio, le sovrapposizioni di frequenza, le sovramodulazioni, e parlare di qualità d'ascolto era quasi ironico, tenendo conto che spesso non era garantito neanche l'ascolto, neanche dalle stazioni maggiori. Oltre 30 anni dopo, a testimonianza di come riusciamo in Italia a rendere stabili le situazioni instabili, la situazione non è molto migliorata. Anche dove l'ascolto è diventato quasi stabile e con segnale forte e non disturbato è rimasta lo stesso una promessa. Le stazioni commerciali hanno infatti iniziato ad adottare sistemi computerizzati per la diffusione della musica, archiviata ovviamente in formato compresso (MP3 e simili) con le ben note limitazioni in termini di qualità. Il canale trasmissivo è ora di migliore qualità, ma il contenuto trasmesso è compresso, non può raggiungere i parametri di qualità richiesti dall'Hi-Fi.

Il suono FM
A fronte di una risposta in frequenza meno estesa rispetto a quella consentita teoricamente dal disco microsolco (LP in vinile), 15KHz anziché 20KHz, la tecnologia FM Stereo garantisce un minore rumore di fondo e una gamma dinamica spesso superiore, e in generale una superiore musicalità e ricostruzione spaziale. A patto che il segnale sia sufficientemente forte, l'antenna ben posizionata, il programma all'origine ben registrato.

Negli anni dell'analogico, se la musica arrivava da un LP evidentemente non si poteva migliorare di molto, magari un vantaggio c'era perché il giradischi non era quello del mobile Hi-Fi Grundig o JBL, ma un formidabile (e ora ricercatissimo) EMT professionale.

Ma il vero plus si otteneva se quello che era diffuso era un programma registrato dal vivo, o addirittura trasmesso dal vivo. Nel primo caso era registrato su nastri master di alta qualità, nel secondo caso era trasmesso senza interposizioni e conseguenti perdite di qualità. Se i microfoni erano disposti bene (ed erano tempi in cui in queste cose si guardava meno ai costi rispetto ad ora) il risultato non poteva che essere ottimo, di solito superiore all'LP.
Naturalmente parliamo soprattutto di musica classica, ma non mancavano, per esempio alla BBC, concerti dal vivo di musica folk o moderna, che sono poi diventati dischi anni dopo (come le BBC sessions dei Pentangle)

Il risultato, per chi viveva in zone dall'etere poco congestionato e poteva ascoltare in FM stereo Radio Vaticana o i pochi programmi Rai sperimentali, era una qualità che poteva tenere testa alla migliori registrazioni su vinile e anche superarle in molti casi. Esattamente come avveniva negli USA, dove difatti era una situazione comune vedere negli impianti hi-fi, anche di livello elevato, un sintoamplificatore invece del tradizionale amplificatore specializzato.

E ora?
E' ancora una tecnologia di qualche interesse, per chi voglia sperimentare strade alternative nell'analogico? Direi di sì. la situazione nella radiofonia è rimasta infatti più o meno uguale a quella degli anni '70 e '80, l'unica differenza è che ora quasi tutte le trasmissioni FM, Rai e private, sono in stereofonia (con quale qualità è poi da vedere) e che il "far-west dell'etere" creatosi negli anni '70 non è stato risolto (in fondo sono passati solo 30 anni), ma si è cristallizzato. Continua ad essere difficile in alcuni casi e in alcune aree affollate (come Milano o Roma) ascoltare emittenti, incluse quelle Rai, che trasmettono attenendosi ai parametri. Ma in generale, investendo magari in una antenna esterna, è possibile raggiungere una ricezione adeguata.

In teoria tutta la radiofonia dovrebbe essere passata già in digitale, da quasi dieci anni, con il nuovo standard DAB (Digital Audio Broadcasting) o con l'alternativa T-DMB. In realtà invece sono in corso solo sperimentazioni ma non esistono piani certi di diffusione. Una scheda sulla situazione della radio digitale terrestre si può leggere qui. Ma il ritardo, per gli appassionati di alta fedeltà, è in questo caso un bene. Lo standard DAB prevede la diffusione del segnale in formato compresso e non ha come obiettivo un miglioramento della qualità rispetto all'FM, ma altri servizi e un migliore sfruttamento dell'etere. meno che mai l'alta definizione (anche se tecnicamente sarebbe possibile tutto). Quindi, meglio così.

In sintesi, come si può provare il suono analogico FM?
Per prima cosa, se non c'è nell'impianto, bisogna procurarsi un sintonizzatore. Sono componenti ormai spariti dai negozi di alta fedeltà, cancellati dal caos dell'etere, ma si trovano facilmente su eBay, soprattutto in Germania o nel Regno Unito, dove la transizione alla radio digitale terrestre è stata invece effettivamente avviata. I modelli sono moltissimi, sono affidabili, tutta elettronica e non soggetti a grande invecchiamento; conviene rivolgersi a quelli relativamente più recenti a sintesi di frequenza (come le autoradio). L'antenna può essere il solito doppino a T dentro casa o, meglio per chi può, una antenna esterna. Nei negozi di elettronica ben forniti si trovano ancora facilmente questi componenti.
I programmi in effettiva alta fedeltà che si possono ascoltare sono quelli musicali di Radio Vaticana, alcuni programmi di Radiorai 3 (eccezionali i concerti dal vivo) o le trasmissioni in FM stereo del canale di musica classica della filodiffusione FD5 (100.300) che trasmette 7x24, a volte però registrazioni storiche, magari interessanti, ma in mono e di qualità non eccelsa, e soprattutto ad un livello molto basso, probabilmente per attenersi ai parametri o forse per vincoli legati alla filodiffusione (che incredibilmente esiste ancora e ha ancora abbonati, non si sa quanto consapevoli di esserlo) con conseguente rischio di rumore di fondo.

Tutto il resto, inclusa la migliore emittente musicale italiana (Lifegate Radio) pare proprio che sia trasmesso a partire da audio compresso, l'ascolto può anche essere piacevole, ma si sente la differenza.

Quindi pochissime emittenti e pochi programmi, e in maggioranza di musica classica, ma quando la trasmissione è quella giusta si riesce ad ascoltare con una naturalezza del suono ed una efficacia nella ricostruzione spaziale sorprendenti, che consentono di apprezzare anche in questo caso la magia dell'analogico.

domenica 28 febbraio 2010

320 GB? Troppo pochi

Giorni fa in un grande negozio di informatica ed elettronica sentivo una giovane signora, aspetto da "housewife" (donna di casa) commentare ad una sua amica alcune offerte di dischi esterni per PC in offerta. "Attenzione, questi hanno solo 320 GB. Troppo pochi".
Riempire 320 GB di disco non sarebbe una impresa tanto facile. Ma effettivamente i nuovi modelli di dischi USB senza alimentazione esterna sono da 500 GB. E quelli con alimentazione da rete sono da 1000 GB, ovvero 1TB. Misura un tempo da mega CED, tipo Banca d'Italia o Anagrafe Tributaria. Non so cosa volesse caricarci sopra la signora. O se semplicemente andasse ad orecchio.

Ma effettivamente un modo per riempire queste memorie di estensione enorme c'è. Se l'obiettivo della signora fosse quello di archiviare i filmati dei figli la riempirebbe con 130 ore di video HD in alta definizione, e fino a 800 ore in SD e modalità "risparmia spazio" (i dati variano da videocamera a videocamera). In ogni caso, tempi in grado di stroncare anche la nonna più affezionata ai nipotini. E poi, bisognerebbe anche editarle queste centinaia di ore di video. Servono almeno altrettante centinaia di ore.

Non penso però che fosse questo l'uso primario previsto. O perlomeno non il solo. Penso che l'obiettivo fosse l'archiviazione dell'oggetto più voluminoso che si trova gratuitamente in rete: un film compresso in DiVX. Sempre nella negletta unità esterna ce ne starebbero 300 o qualcosa di più. Per finirli bisognerebbe vederne uno al giorno (riposando la Domenica) per un anno intero, che mi pare un buon ritmo. E poi qualcuno di questi film si potrà anche cancellare.

L'uso improprio
La mia riflessione era però un'altra. La immagine che vedevo era quella di milioni di famiglie italiane (o europee, o americane) che riempivano i dischi dei loro PC di film e di musica. Molta più di quella che potrebbero ragionevolmente vedere o ascoltare (secondo uno studio della EMI di qualche anno fa circa il 30% del materiale scaricato dalla rete non viene ascoltato né guardato). Ed è tutto materiale generato dalla rete stessa.
Infatti, mentre calcolavo mentalmente quanti film in DiVX ci sarebbero entrati, ho anche realizzato che nessuno ha mai messo in vendita film in questo formato. Sono in vendita i DVD, ancor prima le cassette VHS, ma i film in formato compresso, mai. Forse solo un esperimento della Nokia di qualche anno fa, ma per i loro modelli di smartphone. Quindi le decine di migliaia di film in DiVX, peraltro in varie lingue, che girano vorticosamente sulla rete, da eMule ad Adunanza a BitTorrent ai vari siti "streamer", sono stati tutti "rippati" (a volte anche superando le protezioni, operazione non proprio semplice e che richiede software a pagamento: altro paradosso) e sono stati messi in circolo da una moltitudine di volontari, che hanno dedicato una quota non marginale del loro tempo a fare questo servizio per gli altri. Ammirevole e inatteso altruismo.

Lo stesso vale per gli MP3. Il dowload digitale legale di musica compressa esiste, è vero. Da noi c'è solo iTunes (con quote di mercato infeeriori che in USA) che non distribuisce musica in MP3 (ma in AAC, uno standard Apple), ma all'estero funzionano alcuni siti (pochi) che distribuiscono in MP3 libero da protezioni DRM. Però sono pochi sul totale. La maggior parte del materiale musicale MP3 o in altri formati adatti allo scambio via Internet ha la stessa origine: il lavoro infaticabile di un elevato numero di "formichine" dedite all'aggiramento dei diritti di copia.

Eppure, nonostante questa lampante evidenza, da un certo punto in poi i lettori DVD regolarmente in commercio hanno cominciato ad includere il decoder DiVX, e così i lettori CD nelle autoradio o nei coordinati Hi-Fi hanno incominciato a leggere i file MP3.

Di fronte a moltitudini determinate i controlli e le leggi draconiane servono a poco, soprattutto se non sono affatto condivise, servirebbero corrispondentemente moltitudini di controllori, che costano e quindi non ci sono. Come si vede in altri campi, ad esempio nel controllo dei flussi migratori nel nuovo mondo globalizzato.

Venire a patti con la realtà
Così, per le copie in rete che finiscono su tutti questi dischi esterni i vari legislatori hanno infine deciso di applicare la misura più paradossale, inventata e già applicata ai tempi della prima invasione delle copie, cioè ai tempi delle musicassette Philips (e poi dei nastri VHS): la cosiddetta "levy" (per esteso "private copying levy"). Una tassa, o meglio un prelievo preventivo, sugli strumenti che saranno utilizzati in modo non conforme alla legge. Le cassette un tempo, poi i CD e i DVD, e ora (tra un po') i dischi esterni della signora o le altre memorie per computer. Prelievo che poi arriverà ai detentori delle copie per compensarli in misura percentuale alla quota di mercato dei guadagni perduti. Paradossale, il legislatore stesso ammette che la legge è ignorata e convive con questa elusione, chiedendo una sorta di multa forfetaria preventiva a tutti.
Neanche i legislatori credono quindi che i dischi da 320 GB della signora siano riempiti con video auto prodotti di reportage sulle vacanze o sui progressi dei piccoli di casa.

La strategia delle case discografiche e cinematografiche, che è da sempre l'apparentemente assurda richiesta di pene sempre più severe, forse trova una spiegazione: drammatizzando il problema hanno strappato un prelievo sicuro a loro favore, curato direttamente dai loro governi.

Uno studio dell'Agcom
Su questi temi, sui diversi scenari e anche sulla debolezza dei luoghi comuni (ad esempio, siamo sicuri che il download digitale non legale sia la causa della diminuzione del fatturato delle "majors"?) ha dedicato un ampio studio, sorprendentemente, proprio l'autorità per le comunicazioni, o Agcom (Indagine conoscitiva. Il diritto d'autore sulle reti di comunicazione elettronica). Pubblicato la settimana scorsa, si può consultare sul loro sito, oppure leggerlo anche direttamente qui. Un punto di vista libero da pregiudizi e una trattazione completa di tutti gli aspetti. Molto interessante.

I paradossi del copyright
Nonostante tutti gli sforzi però il vecchio copyright di prima della radio continua a stare lì, difeso con le unghie e con i denti dai beneficiari, e anche gli utenti di Internet stanno sempre lì, intenti a copiare ogni cosa, anche per farne scorte per tempi peggiori, a quanto pare, indifferenti a campagne martellanti ("non ruberesti mai una borsa in un negozio ...") e ipotetiche pesanti sanzioni. E stanno sempre lì gli esperti del settore, intenti ad inventare nuovi sistemi di protezione "democratici" e diffusi. Regolarmente ignorati dai detentori dei diritti e dai legislatori. Affascinanti come la licenza "Creative Commons" (che usiamo anche noi) ma adatti solo quando non ci sono di mezzo soldi e fatturati da proteggere.

E così continuiamo a galleggiare in mezzo ai paradossi. proviamo ad  elencarne qualcuno, in forma di FAQ (le risposte sono ovviamente aperte a commenti e osservazioni).

Cosa succederebbe se non ci fossero sanzioni e controlli per il materiale sotto copyright?
Semplice, diminuirebbe sino a quasi sparire la quota di musica e film venduti regolarmente. Questo spiega l'opposizione totale dei detentori di copyright.

Le pene severe quindi hanno ottenuto effetto?
Se non ci fossero, la situazione sarebbe quella descritta sopra. L'efficacia nel diminuire o annullare la quota di download non legale è però quella che vediamo: quasi nulla.

Sanzioni più ridotte (es. multe) ma più sistematiche avrebbero maggior effetto?
Alcuni lo sostengono, è più dissuasiva una punizione certa, anche se lieve, di una pesante, ma del tipo "a lotteria".

Allora perché i detentori di copyright vi si oppongono?
Perché temono che potrebbero avere solo una delle due cose: la diminuzione delle sanzioni per chi è "beccato", mentre la sistematicità (cioè l'impegno degli inquirenti) rimarrebbe quella attuale. Con la sparizione o quasi dell'effetto dissuasivo.

Perché gli utenti copiano materiale che non vedranno o sentiranno mai?
Forse perché temono che il bel gioco prima o poi finisca, o per inesauribile desiderio di possesso. Non si capisce però perché quasi nessuno va due volte al cinema a vedere lo stesso film, mentre in casa si dovrebbe tenere la copia di un film che ha già visto. In una cornice di regole certe comunque le copie "per uso futuro" diminuirebbero.

Si uscirà mai da questo limbo di semi-legalità per il materiale protetto da diritti di copia in Internet?
Continuando così, no. Internet è una rete globale, mentre le risposte normative o sanzionatorie, e le leggi sul copy-right, continuano ad essere nazionali. Non sono uniformate neanche a livello di Comunità Europea. E non si vede all'orizzonte nessuna iniziativa orientata ad una regolamentazione globale, operazione peraltro assai ardua. La introduzione ed estensione della "levy" è un passo verso la "cronicizzazione" di questo stato di fatto.

Se invece le majors della musica e del cinema riuscissero veramente a vietare i contenuti protetti, Internet finirebbe o deperirebbe?
E perché mai? Internet ormai è una realtà consolidata. Facciamo l'esempio di YouTube, il 90% (ipotesi) del materiale esistente è in realtà sotto copyright, in qualche modo tollerato o sfuggito ai controlli. Se sparisse resterebbe il 10% auto-prodotto, comunque tanto, ma al momento "chiuso" da quello professionale. Emergerebbero molti più produttori di contenuti dal basso, ci sarebbero molte più Amy McDonald nella musica o Zoro nel cabaret politico. Il livello di qualità si alzerebbe di giocoforza, e i contenuti a pagamento proposti dalle majors e dagli autori professionali dovrebbero affrontare una forte competizione, favorita dal fatto di essere gratis. Probabilmente nella musica e in altre forme di entertainment (es. i videoclip) si avrebbero forti riduzioni di fatturato, ottenendo l'inverso dell'obiettivo, e i musicisti dovrebbero campare con i concerti. Meno nel cinema, dove il gradino è ancora molto alto (ma non è impossibile fare film validi a basso costo). Internet diventerebbe sempre di più uno spazio per visitatori attivi e partecipanti, anziché passivi e simili ai tradizionali tele-spettatori.
In sintesi, non sarebbe poi un male.

(Le illustrazioni sono relative a due media-server, di Iomega e LaCie, quindi oggetti proprio specializzati per questo uso, la riproduzione di contenuti scaricati, nella gran parte dei casi illegalmente, da Internet. Due apparecchi tra i tanti regolarmente in commercio)



domenica 7 febbraio 2010

Il PC nella catena Hi-Fi: alternative e dubbi

Torniamo sul tema che abbiamo affrontato maggiormente nelle ultime settimane e che vede un continuo incremento di interesse e di novità. Premettendo che, per chi ricerca approfondimenti, recensioni di prodotti e ultime notizie, la fonte migliore di informazione è al momento la rivista on-line Computer Audiophile, segnalata anche da Giamp in un recente commento. Il target però (nel senso economico del termine) è piuttosto orientato verso l'alto.

L'ascolto è analogico
Partiamo dalla fine, o dall'inizio, dal nostro punto di vista di ascoltatori. Il nostro apparato uditivo è certamente analogico e quindi la prima cosa di cui abbiamo bisogno è un sistema in grado di produrre onde sonore. Questo sistema è rappresentato ovviamente dai diffusori (o casse acustiche) oppure da una cuffia, e dall'amplificatore (sempre analogico) in grado di pilotarle, ovvero di portare il segnale in ingresso al livello adeguato per farle funzionare (non mi addentro volutamente in alcun dettaglio tecnico).  Amplificatore che, nelle comodissime ma non molto diffuse casse attive o amplificate, è contenuto al loro interno.

La prima cosa da analizzare è quindi da questo lato: vogliamo utilizzare ampli e casse che già abbiamo? Acquistarne di nuove e migliori? Stiamo creando un secondo impianto? Sulla scelta e selezione di questi componenti ho provato a scrivere una guida semplificata su Musica & Memoria, alla quale rinvio.

Supponiamo quindi che questa parte dell'impianto ci sia già, quello che serve e su cui centrare l'attenzione è quindi il DAC, il convertitore analogico - digitale che ha il delicato compito di convertire i contenuti digitali sul PC in un segnale analogico elettrico gestibile dall'amplificatore.

Alta definizione oggi o domani?
E qui arriva la prima alternativa (e il primo dubbio): un DAC in grado di gestire anche contenuti ad alta definizione (HD) o limitato a quelli in qualità CD?

In base a quanto scrivevo in un precedente post sulla ritrosia delle majors discografiche nel distribuire o diffondere contenuti HD sembrerebbe accettabile, ancora per un po', anche la seconda soluzione. Però esistono le etichette indipendenti che hanno, per fortuna, almeno il 30% ed oltre del mercato e che credono un po' di più che per sviluppare un mercato in decrescita bisogna offrire qualcosa di nuovo. E di conseguenza il materiale HD disponibile non è poco, ed è in crescita; non ci sarà tutto, no, ma abbastanza per riempire, volendo, la memoria del nostro PC. E, ovviamente, un DAC ad alta definizione gestisce pienamente anche materiale in qualità CD 16/44.1.

Il DAC
Quindi il primo dubbio è sciolto: serve un DAC ad alta definizione, possibilmente 24bit/192KHz o anche 24/96. E cade anche il secondo: se conviene o meno utilizzare un DAC che già abbiamo, per esempio un lettore CD dotato anche di ingresso digitale.

Tra i DAC disponibili le alternative sono soltanto due: il tipo di ingresso digitale (USB, firewire o ottico-elettrico S/PDIF) e la gestione o meno del campionamento a frequenza più elevata (192KHz). La grande maggioranza del materiale digitale HD non è a 192 e comunque non pare proprio che si riesca a sentire la differenza, quindi anche i modelli a 96, a parità di rapporto qualità / prezzo, possono andare bene. Anche per quanto riguarda l'ingresso non ci sono molti dubbi. L'ideale tecnicamente sarebbe il firewire, ma per qualche motivo commerciale i produttori si sono dedicati maggiormente allo USB, superando i problemi tecnici che ne rendevano difficile l'utilizzo per questo scopo.

Il risultato è che esistono molti convertitori HD con ingresso USB, anche di prezzo terreno e con favorevoli recensioni, e pochissimi (ma molto costosi) convertitori firewire.

L'ingresso standard S/PDIF andrebbe anche meglio, se fosse presente sul PC, questo avviene solo per i Mac o quasi, e quindi interessa poco a tutti gli altri. Possono essere collegati con una interfaccia digitale, come la HiFace di Manunta, della quale tutti parlano bene. Ma non si vede la necessità di complicare la catena con un altro componente, a meno che il DAC con ingresso digitale ci sia già. O per la maggior scelta di modelli.

Quindi (a meno che per i fortunati possessori di Mac, che comunque hanno aperta anche la alternativa USB) la soluzione è un DAC con ingresso USB. Anche se non molti, ce ne sono ormai diversi disponibili; ad esempio:
- Musiland Monitor 01 US (ca. 100 €)
- HRT - High Resolution Technology - Streaming Audio Pro (ca. 700 $)
- Benchmark DAC 1 USB (ca. 1200 €)
- Ayre Acoustics QB-9 Asynchronous USB DAC (ca. 2500 $)

Alla differenza di prezzo corrisponde probabilmente una differenza di qualità, anche se non in proporzione lineare (nell'alta fedeltà la curva prezzo / qualità è logaritmica, nel senso che incrementi anche piccoli di qualità richiedono incrementi anche molto consistenti di prezzo, man mano che si sale). Tutto deve essere comunque proporzionato a quanto viene dopo, cioè al sistema ampli + casse.
Questa lista è naturalmente parziale e soprattutto, se la facessi tra 2 o 3 mesi, già comprenderebbe altri prodotti. Non approfondisco comunque qui il tema della scelta del DAC, voglio soltanto arrivare al punto che ne esistono ormai diversi modelli, anche a prezzi relativamente accessibili e quindi sì, un PC, anche un diffuso modello Windows, può essere connesso a pieno titolo e senza particolari complicazioni alla catena Hi-Fi, diventando la sorgente del suono.

Dove mettere la discoteca (digitale)
Sorgente del suono e contenitore della musica, e qui si arriva ad un ulteriore dubbio, con la scelta tra tre alternative: disco interno, disco esterno USB, disco esterno Ethernet (o storage server).

Archiviare la musica digitale (in alta definizione oppure a qualità CD o anche compressa) sul disco interno è la soluzione più comoda. meno componenti nella catena, ideale soprattutto se si usa un notebook. E' solo una questione di capacità.
Un album in alta definizione 24/192 da 60', anche compresso in Flac, richiede ca. 2-2,5 GB e quindi 200 album già riempirebbero un hard disk di un notebook di ultima generazione (500 GB). Chiaramente tutto cambia se il mix è diverso. Un CD normale 16/44.1 sempre compresso lossless in Flac occupa 250-300 MB e quindi ne entrerebbero 2000 nello stesso disco. Ognuno può farsi i suoi conti. Ma nel caso di PC fisso a mio parere la soluzione disco interno è comunque la migliore, potendo aggiungere (di solito) altri dischi e considerando il calo continuo dei costi.

Se comunque gli album sono molti di più (ma subito) o se abbiamo un notebook con un disco piccolo o occupato da altre cose si può usare una memoria esterna. Dico da subito, perché, proprio per il fenomeno della diminuzione continua dei costi delle memorie, conviene aspettare e poi eventualmente trasferire su un disco esterno.

Disco esterno che è molto conveniente sia uno storage server. I dischi USB costano poco ma, se si usa un notebook, sono un altro oggetto da attaccare e spostare qua e là. Personalmente non lo trovo comodo. Lo storage server invece si può posizionare in una parte qualsiasi della casa. Dopodiché sarà accessibile come unità di rete da qualsiasi PC fisso o mobile che abbiamo, condividendo quindi la libreria musicale. La connessione in rete potrà essere wi-fi oppure (mio consiglio) la più semplice ed affidabile power-line. Si usa cioè la rete elettrica di casa con interfacce Ethernet da collegare direttamente alle normali prese della luce presenti in ogni stanza. Comodissimo, poco costoso, e senza problemi di interferenze o onde radio ad alta frequenza  in giro.

Il media player
Resta l'ultimo dubbio rappresentato dal gestore della libreria. Avevo già parlato della alternativa che in questo caso è sostanzialmente ristretta a MediaMonkey, Foobar2000 e iTunes.
Il media player della Apple è certo più accattivante e più comodo nell'uso, ma non gestisce i file in formato Flac e quindi non è utilizzabile, in pratica, per una libreria di titoli in HD (che sono distribuiti quasi sempre in questo formato). MediaMonkey è gratuito, gestibile senza troppi problemi e ultimamente è stato dotato anche di una funzionalità che alcuni (inguaribili pigri) ritengono indispensabile e che è presente su iTunes: il telecomando tramite iPhone.

Dematerializzare i CD
Un ultimo prodotto necessario su PC è un ripper per trasferire i contenuti sui nostri CD nella libreria, per rendere la musica definitivamente "liquida" (per chi vuole fare anche questo passo).
Per chi usa iTunes invece è una funzionalità di base molto comoda comoda e veloce anche perché il software della Apple ci prova comunque e sistematicamente appena inseriamo un CD nel lettore su PC. L'unica accortezza è configurare il media player impostando la conversione sempre in formato lossless (Alac in questo caso).
Ance MediaMonkey e Foobar2000 includono complete funzionalità di ripping.

Nota 4.1.2015:
in tempi successivi a questo articolo le alternative e le modalità
ottimali per il ripping sono state approfondite in diversi post che si
possono consultare dalla pagina di indice sulle soluzioni
per la musica liquida)


Tutto semplice? Nessun'altra alternativa?
No, naturalmente ce ne sono altre. Media server evoluti e soprattutto quella che mi riprometto di esaminare da tempo: il Linn Majk DS e gli altri oggetti integrati digitale / analogico, che alcuni produttori Hi-Fi stanno studiando o già proponendo, come nel caso della nota casa scozzese.

(Le immagini si riferiscono ad una piccola selezione degli album in alta definizione disponbili per download digitale dal sito HDtracks; dal jazz brasiliano di Ana Caram a Keith Jarrett, ai Kinks, al flauto jazz di Herbie Mann, e molta musica classica, inclusa parte della produzione della celebre etichetta italiana Foné)


venerdì 29 gennaio 2010

Cos'è l'INA?


Non è una compagnia di assicurazioni, ma è l'Institut national de l'audiovisuel, quindi una istituzione statale francese che, come dice il nome, si occupa di preservare la produzione audiovisiva in lingua francese.
Ne parlo perché in questi ultimi giorni sembra impegnato in una offensiva su YouTube per cancellare e rimuovere i videoclip, appunto, francesi, che si trovano in gran numero sul grande portale video mondiale.
Me ne sono accorto perché sulla pagina dedicata in Musica & Memoria alla segnalazione dei videoclip preferiti, molti sono di una fantastica e irripetibile interprete e musicista francese, ovviamente mi riferisco a Françoise Hardy, e sono stati purtroppo falcidiati da questa bizzarra iniziativa. Come il videoclip di Ce petit couer, uno dei migliori interpretazioni (di una canzone sua), al quale si riferiscono queste immagini.

Non è che siano spariti da YouTube, naturalmente, per uno che ne trovano altri due ne nascono, e così più o meno tutti i video clip anni '60 (tranne l'introvabile La bilancia dell'amore in italiano) si trovano lo stesso.

Andiamo quindi a vedere sul sito dell'INA cosa ci fanno con i video dei quali hanno acquistato evidentemente i diritti o la possibilità di distribuirli.  Il sito sembra ben fatto, moderno, e contiene una grande quantità di materiale. Dei video di Françoise Hardy però, ce n'è soltanto una parte, e anche piccola, rispetto a quelli disponibili su YouTube. Mancano peraltro i migliori, la magnetica interpretazione di Voila, il brio inimitabile del già citato iCe petit coeur. L'hanno eliminato da YouTube ma lo stesso non lo rendono disponibile.

L'offerta
Ma quelli che ci sono, ad esempio L'amitie in una esecuzione dal vivo, come sono offerti in visione?
Essendo un istituto statale si suppone che non operi a fine di lucro (cioè non punti al profitto), il che non vuol dire necessariamente che metta a disposizione il materiale gratis. E infatti dal sito si può vedere solo un misero pezzetto iniziale di ogni video, e per vedere tutto (sempre nella risoluzione di YouTube) occorre andare nella sezione e-Commerce. Dove si vede sempre lo stesso pezzetto, più piccolo, ma si può comprare la visione integrale per la modica cifra di 1 Euro e mezzo (un prezzo un po' alto per Internet). A quanto si capisce l'acquisto può avvenire con download in formato DiVX (protetto con DRM) oppure mediante spedizione su un DVD (soluzione pensata evidentemente per più clips).
A quanto si capisce, perché il sito è rigorosamente in francese, tranne una piccola parte sulla home page (i francesi sono imbattibili nella loro ostinazione). Per acquistare un brano occorre acquistare una ricarica minima di 10 €, ho provato a farlo (vedi dopo il risultato) per vedere se la qualità è superiore a quella che di solito si trova nei video che girano su Internet.
Mi viene anche il dubbio che gli stessi video siano disponibili in vendita regolare da qualche altra parte. Provo quindi a cercare anche su iTunes, ma evidentemente i detentori dei diritti (quelli appunto dell'INA, a quanto si capisce) preferiscono la vendita sul loro sito "regionale" (contenti loro...).

Magari qualcuno ha pubblicato questi videoclip (ripeto, spesso veramente belli) su qualche DVD in commercio? Cercando su Amazon se ne trova solo uno: Temps de souvenir, del 2005, leggendo la completa recensione di un simpatico acquirente dal nome di Shlomo Sinatra si scopre però che i clip degli anni '60 costituiscono in tutto solo 22' del DVD, e alcuni sono anche tagliati, per il resto c'è una lunga intervista alla musicista giovane in francese senza sottotitoli (i francesi sono imbattibili, come dicevo prima) e la maggior parte del disco è dedicata a clip degli anni successivi sino ai giorni nostri, non tutti, a quanto scrive (ma ci credo, avendone visti alcuni) imprescindibili.


Acquistare i video
Non conoscendo il francese (che almeno però non è il tedesco) si procede un po' alla cieca, scoprendo ad esempio che i francesi non usano il termine universale "download" ma "télécharger", e affidando fiduciosamente a queste spiegazioni nella lingua d'oltralpe i dati della propria carta di credito (i passi da fare sono comunque sempre quelli) si riesce a completare l'acquisto.
Che, avendo la formula del prepagato, richiede di partire da un minimo di 10€ anche per comprare un solo video. Ma non è finita qui, perché al momento del "download" si scopre che viene scaricato in realtà un file di 1KB che avvia la modalità VOD (Video On Demand) del lettore  DiVX installato in genere di default sul vostro Notebook (se è un Vista o un Mac, almeno). E' una "fiche", un ticket, un biglietto per l'acquisto. La salita al Parnasso però non è ancora finita, perché probabilmente sarà richiesto un upgrade del lettore DiVX standard (che ha richiesto sul mio PC anche un riavvio completo) e, infine, la creazione di un altro account (anche INA ovviamente richiedeva di aprirne uno) e la sua validazione, nonché la lettura di pagine intere di istruzioni in inglese (per fortuna ridondanti, almeno su Vista) sul sito ufficiale DiVX.


Alla fine però il video viene scaricato in qualche cartella misteriosa del PC e finalmente visualizzato. Quante altre persone si sono sobbarcate o si sobbarcheranno mai a queste ansiogene (e lunghe) operazioni per acquisire un video clip degli anni '60 o altri estratti dalla TV francese? Mistero.

I famosi video ufficiali
Ma quale è poi la qualità di questi video ufficiali, garantiti e certificati? Più o meno quella dei video di YouTube, non reggono il "tutto schermo" e l'audio è appena discreto. Anche il formato, come si può vedere dagli screenshot (che provengono dai video scaricati, dove è indicato "ina.fr" e che, lo preciso, sono migliorati con l'editor come qualità delle immagine) non è sempre perfetto, erano in origine probabilmente non esattemente 4:3 e sembrano almeno leggermente "anamorfizzati" (stretti).


Ho scaricato "L'amitie", "Ma jeunesse fout le camp", " "Pourtant tu m'aimes", a parte il primo non li avevo visti in precedenza, ma non mi sento di escludere che fossero già disponibili in Internet gratuitamente da qualche parte. Un video di Françoise Hardy è sempre un piacere da vedere, e per quanto mi riguarda i 4 Euro e mezzo pagati sono ben al di sotto del loro valore, ma non so quanto questo accreditamento di valore sia condiviso.
Ovviamente i video sono protetti, e quindi sicuramente non sono scaricabili su una memoria USB per vederli su un altro PC o su un lettore DVD multiformato. Ma è possibile masterizzarli (rimangono protetti, immagino, ma non so con quali limitazioni) e soprattutto si potranno, presumo, catturare con uno dei 100 programmi a pagamento o gratuiti creati allo scopo.


In sintesi
In sintesi, l'Institut national de l'audiovisuel tenta di impedire con la sua azione (non ci riesce perché gli utenti YouTube sono una marea, ma questo è un altro discorso) la visione e la diffusione nel mondo dell'arte francese, contrariamente alla sua ipotetica missione. Per tentare invece di guadagnarci (coprirsi le spese) vendendoli. A ipotetici acquirenti interessati che veramente non saprei quanti siano (a parte me che li ho acquistati per questo test).

Almeno fossero disponibili in ottima qualità, comodamente su DVD. Neanche questo avviene, come si è visto.

Il tutto si iscrive nel tentativo ormai ventennale (perseguito con particolare tenacia in Francia) di far pagare i contenuti di valore (premium, in linguaggio televisivo) presenti su Internet.
Non sono un sostenitore del "tutto gratis" e sono consapevole che il nostro mondo è basato sulle leggi economiche. Ma mi limito a registrare quanto appaiono velleitari e marginali tentativi come quelli dell'INA.
Nel mondo Internet dove, come è noto, il maggior successo economico l'ha ottenuto qualcuno (Google) che apparentemente fornisce tutto gratis. Proprio come la TV generalista italiana che ha fatto la fortuna di Mediaset e del suo fondatore.



venerdì 22 gennaio 2010

Oppo Story

NOTA: Questo post, pubblicato nel 2010, ha solo valore storico in quanto la Oppo Digital ha cessato la produzione dei suoi eccellenti componenti Hi-Fi e video nel 2018.

Mi è stata segnalata da Corrado una storia interessante e istruttiva, con persino qualche risvolto di pratica utilità, che riguarda un componente audio-video del quale avevo parlato qualche tempo fa: l'Oppo BDP-83.

Oppo è un produttore di lettori DVD e di altra componentistica per video domestico di classe "budget" (economica) con sede in California e produzione presumibilmente in Estremo Oriente, ma con progettazione propria e particolarmente intelligente e ben sfruttante quello che la tecnologia propone. In questo modo ha guadagnato una buona reputazione nella rete Internet, grazie a vari forum e recensioni di appassionati, con il fondamentale accompagnamento di prezzi di acquisto bassi e di una efficace distribuzione via rete e negozi specializzati. Era (è) difficile trovare lettori DVD multiformato con le prestazioni e le funzionalità dei DV-980H, 981HD o DV-983, a prezzi comparabili.



Poco più di un anno fa, coerentemente con la evoluzione del mercato, Oppo ha deciso di proporre anche un lettore nel nuovo standard "ad alta definizione" Blu-Ray, il modello BDP-83, appunto, che includeva anche interessanti funzionalità per l'audio in alta definizione (per questo ne avevo parlato). Già disponibile dal 2009 in USA, se ne attendeva con impazienza la versione europea, che doveva uscire a breve (si sarebbe chiamato BDP-831).

A una mia successiva e-mail nella quale chiedevo le precise caratteristiche del supporto Flac ricevevo però come risposta dal supporto Oppo in USA, lo scorso 29 ottobre 2009, un puntatore a questa sorprendente notizia sul sito europeo:

"After careful evaluation of the resources available, it has been determined that the release of the OPPO BDP-831 Blu-ray Disc player in Europe will be postponed indefinitely. It is with sincere regret that we have to make this difficult decision. However, we feel that this is in the best interest of our customers and quality standards. Customer support and satisfaction are the cornerstones of OPPO, and with the currently available resources, unfortunately we will not be able to equally serve all our European customers with the release of the BDP-831. Language barriers, shipping constraints, and our ability to quickly, efficiently, and accurately support our valuable European customers undermine the quality standards expected of OPPO. We apologize to the customers who love and support OPPO all along and have been waiting for the release of BDP-831 patiently, and hope we can come back with better planning and resources in the future to serve our customers the best."

Le motivazioni erano un poco confuse e non del tutto credibili, ma il risultato era chiaro: il lettore Blu-Ray con qualità allo stato dell'arte a soli 500 € e in più le funzionalità multiformato (DVD e memorie esterne USB) in Europa non sarebbe arrivato mai.

Sui forum si speculava sulle motivazioni, non mancava chi sospettava che Oppo avesse fatto il passo più lungo della gamba e che non fosse in grado di sostenere le aspettative. In altre parole, che si trattasse di un prodotto medio, pompato dal tam-tam della rete. Io ritenevo invece che c'entrassero le case cinematografiche (i lettori Oppo sono "free", leggono tutto o quasi).

Ma almeno il primo dubbio è fugato. Si tratta effettivamente di un eccellente lettore. Come confermato da una delle più note riviste on-line del settore, la americana Audioholics, che sintetizza così i pro e i contro del BDP-83:
- legge tutti i formati disco
- non costoso
- qualità video superba
- mette in serio imbarazzo i lettori high-end
e i contro erano solo:
- prestazioni lente con la funzione BD-Live!
- necessita di alcuni upgrade firmware

"Mette in imbarazzo i lettori high-end",  ma uno in particolare lo mette in forte imbarazzo. Si chiama Lexicon BD-30 ed è il nuovo modello Blu-Ray di quest'altra importante casa americana specializzata nell'audio e soprattutto nel video digitale, con anche un apprezzato settore professionale.



Una rivista on-line italiana, AvMagazine (e altri appassionati in rete) hanno infatti notato una somiglianza sospetta tra il BD-30 di Lexicon e il "nostro" Oppo BDP-83. Sospetta non tanto per il fatto che fosse venduto sotto un altro marchio, son cose che si fanno, quanto per il fatto che il modello Lexicon, appunto, viene venduto come "high-end" alla modica cifra di 3000 $ o qualcosa del genere. Tutta la storia con dozzine di commenti si può leggere qui.

Poteva anche darsi che Lexicon fosse partita dal modello Oppo inserendo all'interno miglioramenti che giustificassero almeno in parte il folle incremento di prezzo. Ma anche questo sospetto è stato fugato da una prova comparata approfondita (con tanto di misure di laboratorio) condotta dalla rivista americana Audioholics della quale abbiamo parlato prima, e che si può leggere qui e che ha come titolo, semplicemente "Oppo dentro, Lexicon fuori".

Non è la prima volta che produttori che hanno acquisito un nome che induce suggestioni e propensioni all'acquisto nel loro settore propongono (specie nel mondo digitale) prodotti di altri, spesso orientali, mettendoci sopra un sostanzioso mark-up, a beneficio di quegli appassionati, non pochi, che ascoltano più con gli occhi che con le orecchie. Ricordo un lettore CD della rinomata casa francese Jolida (specializzata in componenti a valvole) che era in realtà un componente economico coreano in una scatola diversa (e neanche tanto).

Questa volta almeno alla Lexicon hanno scelto bene, e gli acquirenti rimpiangeranno forse (anzi certamente) i 2500 $ in più che hanno speso inutilmente, ma potranno godere di una buona visione e di un buon ascolto.

Ora, dopo questa scoperta, qualcuno pensa di poter spiegare anche l'improvviso blocco alla distribuzione in Europa. Ma non credo sia questo il motivo. Non è che Lexicon vende TIR di lettori Blu-Ray tramite Media World e simili. Tanto da poter compensare Oppo per i mancanti guadagni dal mercato europeo (che non è piccolo).

Più facile, almeno spero, che abbiano concordato solo un delay, e che magari il lettore Oppo arrivi un giorno finalmente anche da noi (prima di diventare obsoleto).

E qui veniamo al risvolto pratico. Che non è soltanto l'acquisizione di una sana diffidenza nei prodotti high-end super costosi (è meglio valutare con attenzione se il prezzo è valore o margine), ma anche nella scoperta che qualcuno in realtà ha iniziato a distribuire in Europa il suddetto Oppo. Un negozio on-line inglese, CRT Projectors, ha infatti a catalogo (solo per il resto d'Europa, UK esclusa, soliti contorcimenti che però non ci interessano in questo caso) proprio questo lettore Blu-Ray. A un prezzo leggermente superiore a quello USA, ma già a posto per quanto riguarda l'alimentazione.
Resta in codice regionale 1 (ma non dovrebbe essere un grande problema) e resta il problema dell'assistenza, ma chi vuole lo può acquistare con un clic.

sabato 16 gennaio 2010

Le majors e l'alta definizione

La musica digitale in alta definizione "liquida", quindi scaricabile via Internet, è una opportunità che affascina molti, e anche una realtà, grazie alle iniziative pionieristiche di Chesky Records e di altre etichette che hanno aderito al sito HDTracks (tra cui, timidamente, anche la ECM), e di Linn Records, Classic Records, 2L e altre. Sono tutte "indies", etichette indipendenti dalle 4 grandi majors, che invece dovrebbero continuare a controllare (non ci sono ancora i dati 2009) oltre il 70% del mercato mondiale della musica.


L'offerta è quindi forzatamente limitata alle poche indies che hanno intrapreso questa strada, e un ipotetico appassionato di musica interessato alla produzione di Diana Krall (che pubblica con la Verve, una etichetta che fa parte della UMG, o Universal Music Group, la prima tra le quattro majors) o a quella di Brad Mehldau, che pubblica con la Warner Musisc Group, non ha alcuna possibilità di ascoltare le ultime uscite dei due musicisti in alta definizione, se le majors che li hanno sotto contratto non decidono di cambiare strategia.

Qual è questa strategia?
Due delle majors, la Sony BMG (n.2) e la Warner (n.4, la n.3 è la EMI) sono presenti anche nel mercato cinematografico, dove stanno spingendo attivamente (assieme alle altre case cinematografiche) l'alta definizione. La strategia in questo caso prevede il lancio di un nuovo supporto fisico, il Blu Ray Disc (che è prevalso dopo una lunga lotta contro il suo concorrente HD-DVD) da utilizzare per distribuire la musica con il sistema della vendita, del noleggio, o anche dello scambio, utilizzato in USA dal principale operatore del mercato, Netflix.
L'alta definizione nel cinema porta vantaggi ai costruttori di hardware, perché spingono i consumatori a cambiare sia i televisori sia i lettori DVD (ora Blu-Ray) e può anche essere un disincentivo alla pirateria, cioè alla diffusione (assai ampia) di film in formato compresso (Divx o Xvid). La distanza nella qualità tra un film in DVD e in Divx c'è e si vede, ma è ancora sopportabile, la distanza con lo stesso film in HD diventa incolmabile, spingendo, si spera (sperano) a considerarla una "visione per poveri" poco attraente e in prospettiva residuale. Certo, se poi il film lo si vede su un iPhone la differenza ben difficilmente si potrà apprezzare.

Se anche qualcuno inventasse un Divx per alta definizione (non mi pare ci sia, per ora, ma non è certo un problema tecnico) interverrebbe un altro ostacolo, legato alle dimensioni dei file da trasferire. Già ora un film in formato compresso ha dimensioni tra i 700MB e 1,5GB, e tipicamente per essere trasmesso deve essere diviso in più file, con le relative complessità di gestione delle copie. Aumentando la complessità forse qualcuno in più sarà spinto ad andare a noleggiarlo regolarmente.
Inoltre il Blu-Ray (o BD) ha dei sistemi anti-copia più efficaci di quelli dei DVD e anche la copia è, al momento almeno, poco conveniente, considerando il costo dei supporti vergini.

E nella musica?
Nella musica invece l'offerta di alta definizione da parte delle majors non solo non c'è, ma è stata proprio azzerata. Nel senso che non solo nessuna delle 4 ha mai messo in rete materiale in alta definizione,  ma è anche stata sospesa nei fatti la produzione di supporti fisici ad alta definizione.
Per una decina d'anni infatti le majors, coinvolte evidentemente controvoglia nel tentativo di Sony e Philips (con il SACD) e di Matsushita e altri (con il DVD-Audio) di superare il CD lanciando l'alta definizione in musica, hanno pubblicato una ridotta (molto ridotta) quantità di titoli in questi formati, con una certa prevalenza nella classica.
Con il 2009 questo lungo e sfortunato tentativo si è concluso (anche se non c'è ancora una parola fine ufficiale) e la produzione di nuovi titoli si è fermata. Ne sono un esempio l'ultima uscita di Diana Krall,  Quiet Nights, disponibile solo in CD, mentre tutto il resto della produzione della cantante e pianista canadese era stato pubblicato dalla Verve su SACD e addirittura anche in buona parte su DVD-Audio, o la sospensione, da tempo ormai, di nuovi titoli SACD da parte di Deutsche Grammophon (sono entrambe etichette UMG).


Hanno deciso quindi di pubblicare gli album più interessanti e ben incisi su vinile, accettando l'opinione di molti audiofili (la maggioranza, forse) che la qualità sia superiore a quella del CD? Pare di sì, almeno in parte. L'album di Diana Krall che abbiamo preso come esempio è disponibile su LP da 180 gr. Come molte nuove uscite. Ma non pare una strategia a tappeto. Ad esempio non è seguita da DG, che invece ha fatto un accordo con Classic Records per distribuire alcuni titoli su vinile. In ogni caso per l'LP non si può parlare di alta definizione o di "qualità master".

Proprio dalla DG vengono però le uniche aperture del settore majors che si conosco verso Internet come veicolo per la diffusione della musica in alta qualità. Abbiamo già parlato dell'interessante sito della prima casa di musica classica e della interessante possibilità di scaricare musica a prezzi più che buoni con la stessa qualità dei CD, in formato FLAC, e senza protezioni e vincoli.
E anche della cortese risposta ricevuta ad una mia domanda diretta dal responsabile dei contenuti editoriali di rete della Deutsche Grammophon, Moritz Josch, che ha comunicato la intenzione di rendere disponibile, orientativamente già da questo 2010, musica anche in alta definizione sul sito della DG. (ho inserito lo scambio di e-mail in un commento al post sulla DG).
Sembra che nel settore della classica, visto il mercato che si riduce sempre di più e l'abbandono progressivo da parte dei giovani, si siano convinti che qualche copia non sarebbe un male. Anzi, magari i giovani copiassero i concerti brandeburghesi di Bach invece che Fabri Fibra, qualcuno potrebbe rimanere contagiato e decidere di inoltrarsi nei territori inesplorati della musica classica (o musica colta, secondo un'altra orrenda definizione).

Una strategia wait-and-see
La strategia delle majors nel settore della musica è quindi attendista, sia delle evoluzioni della tecnologia, sia dei possibili risultati del tentativo Blu-Ray. Che per ora non sono molto brillanti (si possono leggere qui miei dubbi in merito di un anno fa). Secondo il piano di diffusione questo 2010 doveva essere l'anno dell'abbandono del DVD e del passaggio a BD, almeno nei paesi guida, per la maggioranza degli utenti, ma la previsione è ormai del tutto irrealizzabile ed è stata spostata al 2012. Quando magari (fine del mondo permettendo) le memorie a stato solido costeranno così poco da rendere del tutto inutile il ricorso a supporti basati su sistemi di lettura laser.

La motivazione per la frenata non può che essere sempre la solita: il timore della pirateria. Memorie esterne per computer sempre più capienti, interfacce sempre più veloci, Internet sempre più veloce, sistemi di compressione lossless sempre più efficienti; risultato: sempre più facile copiare. Interi archivi con centinaia di dischi in poche decine di minuti. Altro che le cassette degli anni '70.
Almeno, pensano le majors, copiano non alla massima qualità. La massima qualità, la qualità master, i 24 bit / 192KHz non si possono copiare perché noi proprio non la mettiamo in circolo.

Un momento. Non mi pare una grande idea, spiegata così. C'è qualcosa che per qualcuno ha un valore. Qualcun altro che ce l'ha. Ma non la vende. Sarebbe un controsenso economico (ma non sarebbe il primo per le case discografiche).
Può darsi che invece la strategia sia invece creare una aspettativa nel mercato, far filtrare progressivamente la consapevolezza che esiste qualcosa di superiore, la qualità master, l'alta definizione. Quando si decideranno a metterla in commercio, su qualche supporto fisico super-protetto (magari proprio il Blu-Ray) sarà ripristinato il "valore" intrinseco dell'oggetto, quello che è svanito per il CD. E sarà possibile metterlo in vendita al prezzo che le majors ritengono remunerativo e che hanno dovuto abbandonare per il CD (20 o 30 €).

Può darsi sia questa la strategia. Ma per ora la situazione appare molto, molto distante da questo scenario: la grande maggioranza degli ascoltatori di musica utilizza quasi solo il formato compresso. Anche solo far arrivare la consapevolezza che la qualità CD è udibilmente superiore sarebbe un passo significativo. Arrivati a questo sarebbe necessario poi il successivo "innalzamento" al mondo HD. Ma, per la qualità CD la "copia per tutti" è già arrivata.

In conclusione
Mentre le majors definiscono le loro strategie (e perdono ogni anno quote di mercato verso altri settori dell'entertainment) agli appassionati di musica interessati all'alta definizione non rimane che fare la stessa cosa: aspettare, ingannando il tempo spulciando i siti dei pochi cataloghi HD presenti, o tornando indietro al buon vecchio analogico, agli LP o ancor meglio a nastri pre-registrati per registratori reel-to-reel.
Rimane la curiosa situazione di qualcuno che ha un nuovo prodotto in casa, ricavi che diminuiscono, e che decide, ciononostante, di non metterlo in vendita.

mercoledì 6 gennaio 2010

Alla riscoperta dei nastri pre-registrati



Continuando ad andare avanti e indietro tra il futuro digitale, con al centro il PC, e l'affascinante passato vintage, rappresentato dalle alternative al vinile, torno ancora sui registratori a bobine, o reel-to-reel.
Come si è visto nei post precedenti funzionano bene, molto bene, e garantiscono una qualità del suono con tutto il meglio dell'analogico, ma senza alcuni difetti del vinile.  Resta però da capire cosa si potrebbe fare, oggi, con un registratore a bobine.

La copia di backup dei CD? E' proprio impossibile che il suono migliori, quindi, se proprio è necessario fare queste copie, si ottengono gli stessi risultati, con molta maggiore comodità, meno spesa e meno tempo facendo le copie da PC su un altro CD o su hard-disk (ovviamente, rigorosamente lossless).

La copia di backup degli LP? Anche in questo basterebbe un decoder analogico-digitale e si potrebbe fare la copia in digitale con meno spesa e molta maggiore praticità. E' vero che un decoder analogico-digitale buono non costa poco, ma occorre chiedersi prima perché si fa la copia. Pochi, pochissimi LP sono veramente rari, introvabili. La maggior parte sono stati ripubblicati su CD o sono comunque disponibili nel grande circo Internet.

La registrazione di eventi dal vivo? Affascinante ipotesi, e probabilmente l'uso nel quale si avrebbero i migliori e più sorprendenti risultati. Anche qui però ormai il digitale è vincente (e più affidabile) con l'ultima generazione di registratori dotati di decoder superiori ai 16 bit.



Ma c'è un altro uso interessante: l'ascolto dei nastri pre-registrati. Sconosciuti da noi in Italia, non ricordo di averne mai visti nei negozi né mai sentito parlare sulle riviste specializzate di musica o di alta fedeltà.
Erano invece piuttosto diffusi in USA e anche in UK. Una buona parte del catalogo (sicuramente superiore in percentuale a quella che le case discografiche hanno concesso ai poveri formati ad alta definizione degli anni 2000, ormai abbandonati, il SACD e il DVD-Audio) era messa in commercio sin dalla fine degli anni '50 in questo formato.

All'inizio venivano usati nastri in mono (solitamente a due tracce) con velocità 9,5 cm/sec (3 3/4 di pollice o ips, inch per second). Un album normale di 40-45' poteva essere contenuto in una bobina compatta da 13 cm., con dimensioni quindi simili agli attuali CD, e molto inferiori all'LP, come il musical South Pacific della immagini in alto o l'album di Paul Robeson qui sopra. Erano nastri registrati su due lati, quindi da voltare a fine corsa.

Dagli anni '60 le case discografiche hanno iniziato a puntare alla qualità (allora lo facevano) proponendo copie in stereo (ovviamente) e a velocità maggiore, 19 cm/sec. (o 7 1/2 ips) e su 4 tracce. In questo caso occorrevano bobine da 18 cm., comunque sempre più compatte degli LP (che erano e sono da 30 cm., come noto).
La qualità era opportunamente enfatizzata, "masterworks" era il nome usato ad esempio dalla Columbia, mentre la EMI per i suoi nastri mono dei primi anni '60 usava il marchio "Emitape" ("this is not an ordinary tape. When you hear it you'll realise that this is not ordinary tape. Its fidelity is remarkable - as close, in fact, to the original as modern techniques can make it.").


Molti musical, grandi orchestre easy-listening dell'epoca (Herb Alpert, Mantovani, Percy Faith, Andre Kostelanetz) e buona parte del pop di successo dell'epoca, ma anche, a partire dalla seconda metà del decennio, il rock, con gli album più noti di Bob Dylan, Joan Baez, Judy Collins, Peter, Paul & Mary, dei Beatles, poi degli America, dei Led Zeppelin. E poi, molta musica classica, ad esempio buona parte della produzione Deutsche Grammophon degli anni '70, con i vari Karajan, Gilels ecc. è stata pubblicata anche su bobina preregistrata.

Erano abbastanza diffusi da garantire un mercato abbastanza ampio e quindi una buona scelta su eBay ancora oggi. La scelta più estesa è su eBay USA, anche se si trova parecchio pure su eBay UK. I prezzi sono più che ragionevoli (grazie anche al nostro caro Euro forte) e compresa la spedizione (non economicissima, sono oggetti relativamente ingombranti e pesanti, costa tra i 12 e i 18 $) si riesce a stare quasi sempre sotto i 20 € e spesso sotto i 15. Tranne ovviamente per i nastri che hanno un mercato collezionistico, come quelli dei Beatles (sopra ai 50 $ e anche oltre).


La domanda non sembra particolarmente intensa, e il prezzo sembra essere influenzato soprattutto dallo stato di conservazione della scatola (che erano corredate da immagini come quelle degli LP), a volte non perfetta (erano pur sempre fatte di cartone e hanno più di 30 anni). Il nastro però di solito è in buone condizioni (sembra che in molti casi siano scorte da magazzino, mai usate) e, almeno nelle prove che ho fatto, non sembra avere effetto copia. Naturalmente i venditori non danno alcuna garanzia e di solito affermano (mentendo, per non avere problemi e impegni, penso) che non possono provare i nastri perché non hanno un registratore a bobine. Con questi prezzi però qualche rischio si può prendere.

Interessa sentire questi classici album, spesso molto ben registrati, su un supporto di qualità superiore all'LP? Ovviamente sì, e quindi ho iniziato subito ad acquistarne e a provarli sul mio impianto.

I primi che mi sono arrivati erano mono, diversi Emitape come quello illustrato (South Pacific di Rodgers e Hammerstein). Con i limiti della monofonia e del tempo (questi sono di inizio '60 o fine '50, a giudicare dal repertorio) i risultati all'ascolto sono più che buoni, ascolto piacevole e naturale di questi vecchi musical e di questi arrangiamenti anni '50, ma anche di queste voci indimenticabili, come quella di Paul Robeson. Da notare che tutti gli Emitape, per facilitare la gestione dell'archivio, avevano una etichetta anche sul nastro, sul "leading tape" iniziale.


Il successivo ascolto in stereo, su un nastro pubblicato da Elektra negli anni '70 (il '73 per la precisione) con un album della cantante folk Judy Collins, True Stories, è stato decisamente all'altezza delle aspettative. La voce di soprano della ragazza congli occhi blu (Judy's Blue Eyes, la canzone che le dedicà Stephen Stills) esce particolarmente naturale, con le "esse" al punto giusto, la intonazione perfetta e i vocalizzi ben fermi e scanditi, e gli accompagnamenti, in questo caso non sempre minimal come da folk tradizionale (orchestra, piano, cori) ben posizionati e timbricamente corretti.

Niente polvere in agguato come negli LP in vinile con i suoi effetti collaterali (tic-toc), minor consumo ad ogni ascolto, graffi, ditate, necessità di pulire la superficie sono cose sconosciute. E maggiore qualità intrinseca. Chissà come mai sono rimasti un mercato di nicchia. E in Italia del tutto sconosciuto. Forse da noi ha contato  l'esperienza (drammatica) delle cassette preregistrate (che si vendevano, e anche molto, ma avevano, come ricorderà qualcuno, una qualità infima, ben inferiore a quanto poteva fare uno qualsiasi di noi con un registratore a cassette casalingo).
Sono in arrivo altri nastri di musica classica e di musica per orchestra e ne darò conto in seguito, ma per intanto posso confermare che, pur con un registratore (lettore in questo caso) che non è il massimo assoluto, e con nastri comunque prodotti industrialmente, ci si può garantire un ascolto molto ma molto piacevole.

Ma la cosa più straordinaria è che si possono trovare anche nastri pre-registrati nuovi. Qualcuno li produce e li commercializza ancora. Ad esempio la nota etichetta audiophile italiana Velut Luna, per mezzo del sito e-commerce AudiophileShop. E si tratta veramente di nastri ad alta qualità, quasi tutti a 38 cm/sec. e 2 tracce stereo e attacco nastro NAB (c'è anche questa variante, è un mondo difficile, i nastri USA hanno comunque tutti il più diffuso attacco cine). Richiedono registratori adeguati e compatibili, più costosi di quelli a 4 tracce come l'Akai che ho usato. Tipicamente, un Revox B-77, quasi lo standard in questo settore.
Ma c'è (purtroppo) un altro particolare: costano. Quelli nuovi, tra i 130 e i 170 €, quelli usati o storici comunque oltre i 50 €. Una prova indiretta della supremazia dei bobina: il migliore suono analogico possibile, per il quale gli appassionati sono disposti a spendere cifre anche superiori a quelle necessarie per assicurarsi i dischi "audiophile" da 2 etti l'uno.

(Nelle immagini sotto le altre informazioni presenti sui nastri pre-registrati e i vari formati dell'Emitape della EMI)
















domenica 3 gennaio 2010

La discoteca nel PC

Quanti dischi avete? Mille, duemila, di più? Avete spazio sufficiente in casa per archiviarli in modo da ritrovarli facilmente? Quante volte avete tempo di ascoltare un album per intero? Rifuggite dalle playlist e dalle contaminazioni e vi affidate solo alla organizzazione della musica pensata dai musicisti e dai produttori? Leggete le note degli album e le parole delle canzoni sul libretto interno dei CD, superando senza problemi l'ostacolo rappresentato dai caratteri minuscoli, oppure usate più comodamente Internet per questo scopo? Per voi l'oggetto CD e soprattutto l'oggetto LP, con la sua copertina e le sue foto e il suo libretto interno ha una attrattiva molto vicina a quella della musica che contiene?

Se le risposte sono tutte o in maggioranza negative la tecnologia ha da tempo una risposta per voi.

Abbandonati i juke-box di CD o altri sistemi meccanici tentati dalla industria qualche anno fa (negli anni '90) la soluzione c'è, ed è nella case di quasi tutti: il PC, corredato da apposite applicazioni che possono archiviare la musica, cercarla , organizzarla in qualsiasi modo, ed ascoltarla, con la cuffia, o anche con l'impianto Hi-Fi, dove prende il posto del lettore CD (vedi i precedenti post sull'argomento).

Sto parlando ovviamente del popolare media player iTunes, che diventa anche un media service (per l'acquisto diretto della musica) con la applicazione connessa iTunes Store, e delle altre alternative disponibili. La prima cosa che si può eliminare è la discoteca "fisica", con i suoi problemi di sistemazione nella casa (e quindi con grande gioia di vostra moglie). L'appassionato di musica che ha 1000 CD o magari anche 1000 LP non lo farà mai (anche se è tentato), ma chi parte ora potrebbe essere fortemente tentato.

Dal punto di vista pratico non si perde nulla: la qualità, la "definizione", può essere la stessa del supporto fisico o anche superiore, il PC come lettore può raggiungere le stesse prestazioni di ottimi sistemi di lettura (non gratis, certo, bisogna dotarlo di opportune periferiche), album, foto dei musicisti, parole delle canzoni, recensioni, si può trovare tutto in Internet. Tutta una discoteca da 1000 album, in formato non compresso ("lossless") trova posto in un disco da 500 GB, una dimensione che si trova ormai anche nei notebook, e comune nei dischi esterni anche non alimentati (da connettere semplicemente ad una porta USB).
Ma sono i valori di quest'anno, magari l'anno prossimo saranno arrivati al TeraByte.

A fronte di nessuna rinuncia c'è anche un grande vantaggio: la semplicità e velocità di ricerca dei brani: iTunes ha introdotto anche una comoda ricerca per immagini delle copertine (copiata anche da altri player) che piace a tutti, ma questa modalità (che evidentemente è tipica di un momento di transizione, e memore del supporto fisico) non è certo la sola. In pochi attimi possiamo "prelevare" proprio quell'album che ci è venuto in mente, o organizzare al volo una playlist, o riprodurne una suggerita, magari comprando on-line (con gran gioia della Apple che per questo fornisce gratis questo potente strumento) i brani che ci mancano.

Chi parte da una discoteca fisica dovrà sobbarcarsi il lavoro di convertire i CD e di acquisirli nella libreria iTunes. Un lavoro abbastanza lungo, ma non troppo (in fondo non lo fate voi, lo fa il PC) che, certo dipende dal numero di dischi (500 o 1000 non sono pochi). Per chi si avventura in questa operazione ricordarsi di abilitare l'acquisizione in formato "lossless" (Apple lossless o ALAC è la sigla usata da Apple), in questo modo non si perderà nulla della qualità del contenuto originale. Poi bisognerà cercare su internet le copertina per utilizzare la comoda modalità "cover flow" e alla fine di questo lavoro, tutta la discoteca sarà sul PC, e quella fisica potrà rimanere come backup (magari in soffitta) oppure (orrore!) essere venduta.

E gli LP? L'operazione qui è più complessa perché occorrerebbe un converitore analogico-digitale e anche di qualità (gli oggetti da negozio PC come il Terratec sono un po' limitati e non renderebbero giustizia ai migliori LP). E la conversione analogico-digitale deve essere fatta con attenzione, regolando i livelli proprio come in una registrazione su nastro. Ed è forzatamente a velocità piena, 1x.
Ma ne parlo solo per completezza: nessun analogista degno di questo nome e con ancora una discoteca ricca di LP prenderà mai in considerazione neanche alla lontana l'idea di trasferirla su PC.

Gli altri probabilmente l'hanno fatto da tempo, comprando magari le successive pubblicazioni su CD degli stessi album. Per chi volesse comunque trasferire nella discoteca su PC (iTunes però la chiama "libreria", per questo mi viene da usare anche questo termine) una parte dei suoi LP c'è un sistema più pratico. Non bisognerebbe dirlo (e certo non darò indicazioni qui), ma in Internet ci sono diversi modi per trovare album già in formato digitale. Poiché comunque una copia è ammessa, e c'è un LP originale, si fa molto prima in questo modo. Scontando di solito una perdita di qualità (saranno comunemente in MP3, ma non è detto) ma appunto per l'ascolto serio rimarrà sempre l'adorato vinile. Su iTunes comunque molti album costano 7 € e quindi senza impazzire in ricerche (sempre che non siano 1000) si può anche prenderli comodamente da lì con un clic.

E la musica liquida? Quella che si compra in Internet? Anche qui (quasi) nessun problema, la musica acquistata dagli ormai numerosi siti che forniscono anche musica in qualità CD (Deutsche Grammophon, HDTracks, Linn records, Magnatune, ore anche Rhino) potrà essere importata su iTunes. L'unica operazione richiesta, se è in formato Flac, è la conversione in un formato supportato da iTunes (che non accetta il suddetto formato Flac).

Questo può essere un problema solo per il sito DG, tutti gli altri prevedono anche un formato compatibile iTunes: Rhino prevede anche il formato ALAC, Magnatune e HDTracks anche il formato Aiff (che iTunes supporta), e Linn Records il formato WMA (anche questo accettato da iTunes). Sul sito DG c'è in alternativa l'MP3 in "alta qualità" a 320Kbps, ma non è necessario ricorrere a questa riduzione. La conversione da Flac a Wma o Aiff con un convertitore gratuito come MediaMonkey è questione di pochi clic.

Da aggiungere che, almeno in ambiente Mac, è disponibile una piccola utility chiamata flukeformac, che consente al media player iTunes di leggere anche il formato Flac (ma solo in standard definition 16/44.1).

Per i più pigri e per chi ascolta molta musica senza interruzioni  iTunes può essere comandato con un telecomando, che poi non è altro che un normale telefonino iPhone con apposita applicazione (alla Apple sanno cosa significa "integrazione"). Non è che sia proprio indispensabile, almeno una volta tra un album (o una playlist) e l'altro penso che si possa alzarsi dalla poltrona. E anche molti notebook hanno in dotazione o possono essere corredati da un telecomando.

E la musica in alta definizione? Qui finisce la lista di vantaggi di iTunes. Che, per decisioni evidentemente di ordine commerciale di Apple, o più probabilmente delle case discografiche che concedono alla società di Steve Jobs i loro contenuti, non supporta il formato "DRM-free" Flac (il più usato a questo scopo).

Per estendere l'approccio "discoteca nel PC" anche alla musica liquida in alta definizione scaricata da Internet in Flac occorre al momento, purtroppo, un altro media player. A meno di sobbarcarsi ad una conversione ulteriore per gran parte della musica scaricata. Le alternative più gettonate sono Foobar2000 e MediaMonkey. Il primo gode di ottima stampa, ma a me è parso di utilizzo molto arduo, per via della sua interfaccia veramente minimalista e delle limitate funzioni di gestione libreria fornite come standard. Ci dovrò tornare sopra. MediaMonkey è qualcosa di molto più maneggevole, e riprende in parte le funzioni di iTunes con una interfaccia più Windows oriented, che sembra prendere come punto di partenza quella del primo player diffuso ampiamente su Internet, Winamp.

Quindi l'appassionato che voglia seguire questa strada, ma che voglia anche trarre beneficio dalla offerta sempre crescente in campo, deve scegliere tra due alternative: rinunciare alle comodità e alle features di iTunes e portare tutta la discoteca su MediaMonkey, oppure usare due player, riservando MediaMonkey agli album in High-Def. Al momento la seconda alternativa sembra la più praticabile, ma è tutto un mondo in continua evoluzione.

Resta poi da collegare la nostra dicoteca racchiusa in un PC all'impianto stereo per ascoltare effettivamente la musica (che sarebbe poi lo scopo) ma questo tema è già stato trattato in due precedenti post, anche se richiede diversi approfondimenti sui quali tornerò presto.