Questo è il claim in copertina dell'ultimo numero di Audio-Review (440),Il titolo dell'articolo in realtà è un po' diverso (Streaming: Alta Fedeltà ... ma a che cosa?) e punta a dare risposte sui dubbi degli utenti di servizi streaming in merito alla effettiva qualità di quello che le piattaforme trasmettono.
In effetti, mentre se guardiamo Netflix quando abbassa la qualità per prestazioni di rete insufficienti, ce ne accorgiamo subito se non vediamo più in HD, mentre in musica non è immediato. Il dubbio che ho sentito più spesso è sulla effettiva qualità in HD di servizi come Qobuz e Tidal, alcuni sospettano che siano semplici upsample di materiale in qualità CD. e non effettive registrazioni HD, Cosa peraltro non difficile da verificare con strumenti anche semplici.
L'articolo però non prende in esame questo dubbio, e neanche l'alta fedeltà propriamente detta, ovvero la fedeltà rispetto al contenuto musicale originale, ma la fedeltà rispetto al master originale e quindi in sostanza al supporto fisico originale. In effetti le informazioni su quale emissione dello stesso album sia stata inserita nella libreria musicale non si trovano quasi mai e sarebbe meglio che ci fossero, ma in genere non si trovano neanche sui CD fisici e, peraltro, non abbiamo neanche informazioni, se non nel caso di album molto celebri, su quale sia il master migliore (e poi, migliore rispetto a cosa?).
I LUFS, la loudness war e le scelte dei servizi
Il punto centrale analizzato, visto che sul master si può scoprire ben poco, è invece l'impatto che ha sulla differenza lo standard introdotto alcuni anni fa dalla ITU (International telecommunications Union) per normalizzare l'ascolto sui media di diffusione della musica, il LUFS (Loudness Units relative to Full Scale) che misura il volume medio sotto al livello massimo riproducibile (che è 0dB). Il livello medio viene scelto dal servizio, a volte comunicato e a volte no, e a volte l'utente può scegliere tra 2-3 livelli distinti.
La qualità dell'ascolto può essere impattata dall'applicazione di questo standard perché in queste operazioni di normalizzazione il servizio potrebbe applicare una compressione dinamica superiore a quella presente sul master (o che sul master non c'era), Questo sia nel caso in cui il volume medio originale sia troppo alto, sia che l'utente scelga un volume superiore al target del servizio. Nel primo caso mantenendo lo stesso range dinamico i "pianissimo" sarebbero troppo bassi ed è necessario un adeguato intervento di compressione. Idem nel secondo caso se il contenuto dinamico dell'originale fosse già compresso mandando i picchi fuori dallo standard.
Si scopre leggendo l'articolo che riguardo a questi spetti alcuni servizi dichiarano la loro politica riguardo al volume medio misurato in LUFS, e che lo fa in particolare il più diffuso, Spotify. Per altri sono state effettuate misure indipendenti (riportate nel blog del sito Mastering The Mix) che mostrano una certa variabilità di scelte.
Mastering specializzato
Uniformare il volume ha senso evidentemente solo nella diffusione broadcast (streaming o radio) mentre non ha senso nell'ascolto casalingo da un supporto fisico o da contenuti acquisiti in digital download, quindi teoricamente il master engineering e gli studi dovrebbero preparare master specializzati per canale d'ascolto. Impresa non semplice considerando la variabilità delle scelte ed anche il fatto che non siano sempre dichiarate e che sia dichiarato che sarebbero sempre seguite.
A chi interessa tutto questo?
A leggere l'articolo essenzialmente a chi è abbonato ai servizi che diffondono musica in streaming solo in formato compresso, visto che nella tabella e nelle misurazioni del sito citato prima non sono inclusi Qobuz e Tidal. Ma dovrebbe essere il contrario, visto che le registrazioni in alta definizione dovrebbero logicamente essere accurate anche nel preservare la dinamica del master originale e/o della esecuzione reale e gli utenti di questi servizi vorrebbero essere rassicurati che nulla venga fatto in tal senso.
Non possono essere rassicurati perché nessuno dei due pubblica informazioni esaurienti sulla normalizzazione del volume e/o del loudness, Qobuz non da' proprio alcuna informazione in merito, almeo alla data, mentre Tidal adotta la loudness normalisation dal 2017. Il livello scelto da Tidal è -14 LUFS quindi come Spotify Standard, più alto del livello consigliato di -16. Questo fa supporre che una compressione dinamica sia necessaria per contenuti con dinamica estesa, ma non ci sono conferme in merito.
Per contro in Qobuz, non essendo dichiarato nulla, il parere prevalente è che non venga svolta alcuna operazione e che i contenuti siano diffusi così come sono archiviati nella libreria musicale.
Vantaggi e svantaggi
Nella ipotesi che Qobuz non adotti alcuna normalizzazione gli svantaggi possono essere nelle variazioni di volume ascoltando playlist da album diversi e nella difficoltà di ascoltare a volume adeguato in contesti non hi-fi, tipo in cuffia in mobilità, in auto e simili. Mentre ha sicuramente un vantaggio nell'ascolto sull'impianto casalingo dove si può apprezzare il realismo di una dinamica elevata, simile a quella di un evento dal vivo.
Le altre differenze
Preservare la dinamica è importante ma a volte una limitata compressione può portare alla luce particolari che sfuggivano, aumentando il piacere dell'ascolto, qualcosa di simile ad una foto più contrastata rispetto ad una foto "morbida" dello stesso soggetto, Sono molti altri i parametri che rendono diverso l'ascolto della stessa musica, e anche su questi sarebbe interessante fare un confronto tra i due servizi "rivali" che interessano agli audiofili. Impresa non semplice e che deve partire dagli stessi master per essere significativo il confronto, ma che Audio Review si ripromette di fare. Confermando che inizia ad esserci un interesse per lo streaming di qualità anche nel mondo finora piuttosto conservatore degli audiofili.
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