lunedì 22 aprile 2019

Il download digitale in qualità CD è finalmente disponibile in Italia

Buone notizie per gli appassionati di alta fedeltà interessati al download in alta definizione o in qualità CD. Dopo molti anni di ostracismo e diffidenza, da alcuni mesi anche in Italia è possibile scaricare legalmente album o singoli brani da un sito di download digitale. Tutto ciò grazie a Qobuz che, oltre ad essere un servizio streaming in qualità CD, disponibile anche in Italia dall’anno scorso, e’ anche un servizio di digital download e consente l’acquisto degli stessi contenuti musicali disponibile in streaming. A differenza di Tidal e Deezer, gli altri due servizi di streaming in qualità CD disponibili da noi, che forniscono solo streaming in abbonamento.

Il download digitale e’ in forte calo di interesse (e vendite) da ormai 2-3, anni mentre sono in forte crescita lo streaming (e il vinile tra i supporti fisici) ma, soprattutto in Italia, il settore di nicchia degli audiofili preferisce invece a grande maggioranza il possesso della propria musica piuttosto che l’ascolto senza limiti in abbonamento. Quindi certamente per la maggior parte degli appassionati (e quindi anche per i visitatori di questo blog), questa e’ una buona notizia. Non dovranno più acquistare su HDtracks simulando con vari (e pericolosi) sistemi di essere su Internet USA.

Differenza tra download e offline
Una precisazione necessaria sui diversi servizi offerti, prima di passare a un sintetico test. Tutti i servizi di streaming permettono, nella versione a pagamento o premium (e quelli a qualità CD lo sono tutti) di scaricare i contenuti musicali in locale per ascoltarli anche online. Non si tratta però di download digitale perché la proprietà rimane del servizio. I contenuti sono crittografati, se l’abbonamento scade non sono più ascoltabili.

Nel download digitale diventano invece di proprietà perpetua di chi li acquista, anche se non duplicabili (se non per copia personale di sicurezza) e non rivendibili. E’ appunto questo possesso perpetuo che interessa agli audiofili, soprattutto se italiani a quanto sembra, anche se si tratta del possesso di un bene immateriale che ha lo stesso costo del bene materiale corrispondente (CD, SACD o vinile). Ultima annotazione : tutto quanto premesso non vale per Il DSD, su Qobuz non c’è e resta quindi acquistabile in Italia solo dal sito tedesco HigResaudio, ma non per tutti i titoli.

Cosa si trova nella boutique digitale di Qobuz
La risposta è semplice: tutto quello che si trova disponibile in streaming, inclusi, integralmente, gli album ascoltabili solo come extract ovvero con l'ascolto del primo minuto circa, perché non disponibili (di solito temporaneamente ) per lo streaming. E anche in alta definizione quando già disponibili in HD in streaming, con il relativo upgrade del servizio.
Vediamo in pratica cosa si può comprare, con 4 esempi:
  • rock classico, il genere più richiesto dall'audiofilo “maturo”: Jethro Tull
  • un protagonista ormai classico del folk-pop-jazz: Norah Jones
  • le regina del cantautorato alternative: Melody Gardot
  • il nuovo giovane re del country rock USA più genuino: Ryan Bingham
  • jazz classico / moderno ma anche solo recentemente disponibile sul web: Keith Jarrett
Naturalmente ho anche fatto qualche acquisto come test, l’ultimo e stato Cookin' With The Miles Davis Quintet in HD, uno dei migliori risultati del periodo “Coltrane” del grande band leader. Che non era tra quelli scaricabili in Italia da HighResaudio. Gli screenshot sono in francese perché rimasta la mia configurazione base ma in Qobuz ora è disponibile anche l'interfaccia in italiano.











Come si vede dagli esempi e’ disponibile tutta la produzione, anche gli album più recenti, e si può scegliere tra qualità CD, sempre presente, e HD. Di solito è anche possibile il download di brani singoli.

mercoledì 17 aprile 2019

Creare un DVD multicanale con LPLEX

Questo è un post di nicchia, rivolto quindi a un numero ridotto di visitatori, considerato che il multicanale vero e non simulato in Italia è raro anche tra gli appassionati di video, che sono molti, e tra quelli di alta fedeltà, che sono molti di meno, siamo a livelli ancora più bassi. Peccato perché l’esperienza del immersive sound, a cui si stanno dedicando anche etichette audiofile come 2L, è certamente da provare e consente di raggiungere un realismo non raggiungibile con l'ascolto in stereo.

Parliamo qui di un’esigenza particolare: ascoltare i file audio multicanale provenienti dal web, da siti public domain o di album di cui siamo già in possesso.
Sarebbe molto facile avendo a disposizione un DAC multicanale, ma sono molto rari e costano moltissimo. Un sistema più semplice ed economico e’ invece masterizzarli su un DVD e ascoltarli su lettore multiformato e multicanale, che potrebbe essere anche un economico lettore Blu Ray.

Programmi per creare DVD
Fino a qualche anno fa esistevano due prodotti software appositi, a pagamento ma disponibili anche in versione trial: DVD Audio Solo di Cirlinca e Discwelder Bronze di Minnetonka. Gli anni sono passati, l’interesse per l’audio su DVD e’ diminuito e i due prodotti non sono più in commercio, non solo, sono sparite e fallite anche le due società. Non sono spariti però i kit e a quanto pare neanche l’esigenza, visto che sono usati da diversi siti come inseminator di virus e spyware vari, quindi, evitateli assolutamente. E tanto non funzionano, penso non siano neanche i kit veri (più o meno come succede per DVD Shrink).

Per il terzo test è stato scelto l'apprezzato album virtuosistico di Joe Henderson
Rimane LplexQuindi l’unico strumento effettivamente disponibile per creare DVD multicanale (o multi-channel) rimane Lplex di Sourceforge (a meno di ricorrere a complessi e costosi software professionali). Ne ho scritto su un post diversi anni fa, ma solo per i DVD stereo, nel frattempo si è aggiunto il supporto anche per il multicanale.
Si può fare quasi tutto ma non tutto con una operatività non molto immediata, piuttosto primitiva, e alcune limitazioni non sempre aggirabili, esplicitate o meno:
  • File audio: solo LPCM (Lossless PCM), nella pratica solo Wav o Flac
  • Multichannel: solo 6 canali ovvero 5+1 (anche se non esplicitato)
  • Combinazioni ammesse, soltanto 16/48 oppure 24/48 (24/96 solo per lo stereo)
Ricordo che 5+1 significa FR-FL-FC-LFE-RR-RL ovvero Front Right - Front Left - Front Centre - Low Frequency Effects (Subwoofer ovvero il +1) - Rear Right - Rear Left (sempre in questo ordine).

Secondo test con Miles Davis e con uno dei suoi fondamentali album del periodo Coltrane
File audio reali da trattare
I file audio multi-channel (MC) che possiamo avere la necessità di passare su DVD per l’ascolto possono provenire da DVD standard, da DVD-Audio o da Sacd:
  • DVD standard: può essere solo 16/48 oppure 24/48 e normalmente sono 5+1: in questo caso la compatibilità con Lplex è sempre garantita
  • DVD-Audio: il protocollo di compressione lossless è MLP (Meridian Lossless Protocol) e la frequenza di campionamento (sample rate) di solito è 96KHz; i canali dovrebbero essere sempre 5+1
  • SACD: il protocollo di compressione può essere Dolby Surround o DTS, la frequenza è sempre 88KHz e i canali possono essere anche 5.0.
Downsampling
Quando è necessario ridurre il sample rate a 48KHz lo strumento non può essere più il comodo e affidabile R8Brain, che supporta solo file audio stereo. Lo strumento che si può usare in alternativa è il resampler di Foobar2000 (in conversione). Attenzione a disabilitare tutti gli altri DSP sia in conversione sia in lettura, qualora fossero stati attivati. Lasciandoli attivi il file audio ha caratteristiche non digeribili per Lplex.
In Foobar2000 si utilizza la funzione Convert selezionando in DSP Processing “Resampler” e, nella finestra di configurazione “48000” (vedi esempio, il DSP resampler è un component da aggiungere).


Conversione a 6 canali
Nel caso in cui i canali non fossero 6 (ma in numero inferiore, che siano di più è in pratica impossibile) per usare Lplex è necessario intervenire in editing sul file audio ed aggiungere 1 o più canali fittizi. Gli editor free che consentono di lavorare su file audio multi-channel sono il ben noto e molto potente Audacity di Sourceforge e il meno noto ma sempre gratuito WaveShop, realizzato da una nota sviluppatrice. Servono tutti e due e la procedura non è semplicissima, soprattutto, è un po’ lunga.

Passo 1: analizzare i file audio
Aprendo il file audio con Audacity o con WaveShop si possono visualizzare gli spettrogramma di tutti i canali registrati. Qui possono arrivare alcune sorprese, che commento prima di continuare nella guida. Per prima cosa, alcuni canali possono essere vuoti. Come nella versione multi-channel del grande successo di Herbie Hancock, uno dei capisaldi della musica fusion: Head Hunters


Come si vede nella immagine, in realtà si tratta di un multi-channel 4.0, difatti il canale centrale è vuoto, non contiene alcun suono, su tutte e 4 le tracce. Dipende dal fatto che il master originale già nello stesso 1974 di uscita era stato rimasterizzato aggiungendo i canali posteriori (riverbero e ambienza) per pubblicare l’album su vinile quadrifonico o su cartucce magnetiche Quad-8 (uno standard mai neanche arrivato in Italia e forse in Europa).

Secondo esempio, altro notissimo album, Someday My Prince Will Come di Miles Davis, qui le tracce effettive sono solo tre, tutte frontali, è aggiunta solo una traccia centrale. Non si tratta neanche in questo caso di un remix multi-channel recente, ma di un master alternativo creato già nel 1959, con Wynton Kelly (piano), sulla destra e John Coltrane e Hank Mobley (sax tenore) sulla sinistra, così come Jimmy Cobb (batteria), Paul Chambers (basso) al centro o anche distribuito sui 3 canali e ovviamente Miles al centro. Una registrazione molto interessante e un motivo per avere il multicanale.


Un altro esempio recente e registrato anche in multicanale è il ben noto album Lush Life di Joe Henderson. Qui il raffinato tenorista suona con più formazioni da 2 a 5 elementi oltre che in solo e anche l’utilizzo dei 5 canali cambia di conseguenza, in alcuni casi il centrale quasi non c’è, in altri sono prevalenti i posteriori, ma sono sempre usate tutte le tracce.

Nella prima traccia, Isfahn, sono presenti solo Henderson e il contrabbasso di Christian McBride, il suono proviene in prevalenza dal canale centrale, terzo dall'alto, e dalle riflessioni dai canali posteriori. In secondo piano i due canali destro e sinistro: i due musicisti sono abbastanza vicini, al centro della scena. 
Passo 2: creare i file audio con 6 canali partendo da un canale vuoto
Prendendo come esempio Head Hunters, per aggiungere il canale mancante, che è il “+1” ovvero il numero 4 (LFE) bisogna estrarre su un file dal file audio multi-channel originale il canale vuoto (il centrale) e poi aggiungerlo nella giusta posizione per creare una versione 5.1 del file audio MC. Per fare questa operazione occorre usare entrambi gli editor citati prima, perché nessuno dei due ha entrambe le funzioni, almeno nelle versioni attuali:
  • Audacity: consente di generare un file audio per ciascun canale
  • WaveShop: consente di inserire (o anche cancellare) canali e di generare un nuovo file MC
Passo 2.1: generare per ogni traccia un file audio con unico canale vuoto (Audacity):
  • creare una directory con una sottodirectory per ciascuna traccia (es. 01, 02, ecc.)
  • aprire la prima traccia con Audacity: si vedranno 5 sotto-finestre, una per canale
  • creare per ogni traccia 5 file (uno per canale) selezionando File > Export e, nel menu a tendina “Export multiple”
  • archiviare i 5 file sulla sottodirectory 01 e poi proseguire con le restanti tracce
Passo 2.2: Aggiungere il canale mancante 4 LFE
  • aprire su WaveShop il file originale della prima traccia
  • posizionarsi con il mouse sul quarto canale e, utilizzando il tasto destro, selezionare “insert channel”
  • selezionare un file audio con il canale vuoto nella sotto-directory creata in precedenza (nel caso di Herbie Hancok sarà la terza, nel caso di Miles Davis la quarta)
  • creare il file audio a 6 tracce con il comando File > Export e selezionando nel menù a tendina “Wave (Microsoft)”
Fatte queste operazioni preliminari si ritorna al Passo 1 convertendo il file audio appena creato in Flac con sample rate 48KHz.
Nel caso in cui i canali mancanti fossero più di uno (come in Someday My Prince Will Come) la copia del canale vuoto riguarderà più canali.

Passo 3 - creare i file audio con 6 canali senza canale vuoto
Nel caso di Lush Life ma in generale per tutte le numerose registrazioni 5.0 (ovvero senza subbwoofer), se nell’impianto il sub non c’è potremmo mettere un canale qualsiasi, tanto nessun suono potrà essere emesso. Ma in questo modo se volessimo in seguito ascoltare il DVD su un impianto 5.1 potremmo incontrare problemi. Bisogna quindi, se insistiamo nell’intento, creare noi un canale vuoto. Possiamo partire da un canale esistente già a basso livello, per esempio uno dei canali posteriori, e ridurre il volume il più possibile utilizzando le funzioni effects di audacity.
In ascolto poi occorrerà comunque annullare l’output diretto al sub.

Creazione della immagine disco (file ISO) con LPLEX
Quando abbiamo finalmente a disposizione tutte le tracce nel formato 24/48 e a 6 canali è sufficiente (come da istruzioni) spostarle con il mouse (drag & drop) sull’applicazione Lplex e partirà una finestra “prompt dei comandi” nella quale verranno visualizzate le operazioni, prima l’acquisizione e la elaborazione delle tracce (multiplexing) ed infine la creazione dell’immagine disco e anche in parallelo di una directory con la struttura standard del formato DVD (VIDEO_TS, AUDIO_TS).
L’immagine ISO e la directory sono create sulla stessa directory nel quale sono memorizzati i file audio MC di partenza.

L’ultima operazione da fare è quindi creare il DVD fisico, conviene usare a questo scopo il popolare e affidabile ImgBurn selezionando la funzione “Write Image File to Disc“

sabato 30 marzo 2019

Come convertire un vecchio DAC in un DAC per cuffie

Ascoltare in cuffia musica in HD da un PC, da uno smartphone o da un tablet non è difficile, basta collegare la cuffia all’apposito jack (o porta lightning nel caso degli ultimi iPhone). In questa configurazione però la parte più critica del lavoro la fa il DAC interno del dispositivo e la sua sezione di output analogica. Inoltre, la frequenza di campionamento potrà essere “tagliata”, per esempio a 48KHz come negli iPhone.

Gli appassionati più sensibili al buon suono, e in particolare quelli che spendono centinaia di Euro per le cuffie stereo, sono invece probabilmente interessati a componenti in grado di incrementare la qualità del suono, sostituendosi al DAC interno. Un mercato in crescita visto il grande successo (dal 2012) del noto Dragonfly DAC (dalle dimensioni di una pendrive) e degli appena più ingombranti modelli della iFI, come il recente XCan.

Hanno tutti ingresso USB e richiedono un adattatore per le device mobili, mentre sono collegabili e (immediatamente) riconoscibili su qualsiasi PC. Tipicamente hanno un controllo di volume a bordo per garantire una trasmissione bit-perfect dal PC (eliminando dal percorso il suo driver e il suo DAC) mentre il super compatto Dragonfly usa un suo driver. E hanno ovviamente un’uscita mini-jack stereo. Possono essere naturalmente usati anche come DAC per la connessione all’impianto, pur se le dimensioni compatte sono pensate per l’uso in mobilità.

Un DAC tradizionale può essere usato allo scopo?
Apparentemente no, visto che non ha né la uscita jack né il controllo di volume. Ma, se la sorgente è un PC, ho scoperto (magari era ovvio, ma non ci avevo mai pensato) che si può fare, grazie a questo semplice accessorio, dal costo di pochi Euro.


Come vedete è un semplice cavo di connessione tra PIN-jack RCA e mini-jack stereo femmina. Ne ho scoperto l’esistenza verificando se qualcuno lo produceva, e così è, viene usato soprattutto per ascoltare in cuffia da TV sprovviste dell’uscita jack o per altri usi particolari. Così l’ho acquistato per vedere se potevo in questo modo collegare il mio vecchio HRT Music Streamer II al PC (un notebook) e usarlo per l’ascolto in cuffia in unione a Foobar2000.
Un riuso che può essere utile sia per chi (come me) ama mantenere attivi tutti i suoi componenti hifi, ma anche per gli appassionati che passano a un DAC superiore, magari per aggiungere la conversione DSD, e quindi ne hanno uno riconvertibile a questo scopo.

Primo ascolto standard
Con soddisfazione ho appurato che non ci sono problemi di impedenza o di attenuazione, né di configurazione. Il Music Streamer II viene immediatamente riconosciuto dal notebook HP in Windows 10 e a questo punto basta selezionarlo come output su Foobar2000 e si può ascoltare tramite una cuffia (Grado SR80 nel caso delle mie prove) connessa al doppio cavo, la regolazione del volume è corretta, né troppo basso né troppo alto.

Secondo passo: l’ascolto bit perfect
Con la connessione standard, ovvero usando il driver audio principale, il prezioso materiale audio in HD passa per il driver del PC con le ben conosciute conseguenze.
Per un ascolto in bit perfect sono necessarie alcune configurazioni sul PC che riassumo:

  • nel pannello di controllo, selezionando il Music Streamer II, andare in impostazioni avanzate e selezionare le sue prestazioni massime (24/96)
  • per ascoltare anche file audio SACD, in Foobar2000, dopo aver installati gli upgrade che abilitano la funzione DSD2PCM (vedi questo post) in preferences > tools > SACD selezionare:
    • PCMsamplerate: 88200
    • DSD2PCMmode: Direct (32 bit, 30KHz lowpass)
  • in Foobar2000 selezionare il driver bit perfect Wasapi:
    • Preferences > Output > WASAPI (event): Altoparlanti Music Stramer II

Fatte queste operazioni si potrà verificare che il trasferimento è effettivamente bit perfect agendo sul volume del PC. Ci si accorgerà che la variazione non ha effetto, come volevasi ottenere, l’unico controllo del volume efficace sarà quello di Foobar2000. Tranne che ponendo il cursore a zero, il che equivale a mute.
Con un DAC diverso, in particolare se 24/192, le operazioni sono quasi simili con l’unica differenza che si potranno scegliere parametri di frequenza più elevati, quindi 24/192 per il driver e 176400 per la conversione da SACD a PCM.

Terzo passo: il resampling
Se, inoltre, il DAC (come nel caso del Music Streamer II) è limitato a 96KHz come frequenza di campionamento, e volete ascoltare anche file audio 24/192, è necessario aggiungere e configurare un altro component a Foobar2000, un “resampler”.
Quello che fa allo scopo si chiama foo_dsp_src_resampler.fb2k-component. La configurazione è molto semplice, bisogna andare in Preferences > Playback > DSP Manager e spuntare “+” accanto al SRC Resampler e quindi con ADD aggiungerlo ai DSP da attivare online (sarà l’unico attivo, tipicamente, a parte il limiter a 0dB o -6dB che sono sempre consigliabili nell’ascolto in cuffia, specie se creativo).
Dopodiché, cliccando sul resampler, ora a sinistra tra i DSP da applicare, si può scegliere il target rate, che sarà ovviamente 96000 nel nostro caso, e la modalità operativa (da massima qualità e maggior impegno di CPU, al viceversa). Conviene cominciare dalla prima, la massima, e scendere solo se il PC mostra qualche difficoltà (micro o macro interruzioni). Si possono anche escludere le frequenze inferiori ma probabilmente conviene lasciare la funzionalità di upsampling che qualche vantaggio può dare.

Se il DAC visualizza la frequenza in input (come il Music Streamer) si può anche verificare che Foobar2000 mostra nel display la frequenza in input (192) mentre il DAC quella dopo processamento DSP (96).

L’ascolto
Dopo queste brevi configurazioni iniziali l’appassionato puo’ dedicarsi all’ascolto della sua preziosa musica in HD, sia se acquisita in download sia se in streaming da Qobuz, essendosi garantito le migliori condizioni di base per un ascolto appagante, senza alcun costo aggiuntivo.

giovedì 21 marzo 2019

Gestione della libreria musicale: i metadati

I metadati di un file audio non sono altro che le informazioni sul contenuto musicale, come il titolo del brano e dell’album, l’interprete, il genere musicale e così via. Un particolare ma fondamentale tipo di metadato e’ l’immagine di copertina. Nei file audio comprati sono già presenti, mentre in quelli che creiamo noi con il ripping li dobbiamo inserire, e così accade anche per i file audio public domain o duplicati dei nostri che eventualmente individuiamo sul web.
Metadati completi e corretti sono fondamentali per la gestione di una libreria musicale digitale di dimensioni appena apprezzabili, di centinaia di album e oltre. Le operazioni non sono sempre così semplici e questo post intende essere una guida alla gestione dei metadati.


Formato dei file audio e metadati
La prima cosa da sapere e’ che non tutti i file audio possono archiviare i metadati, in particolare non consentono l’inserimento o sono limitati ad un set di informazioni minimo i seguenti formati non compressi:

  • WAV (PCM): il formato standard nato con il CD
  • AIFF (PCM): il formato non compresso adottato da Apple
  • DFF Audio (DSD): il formato audio per il SACD sviluppato e adottato da Philips
  • ISO (DSD): il contenitore dei file audio DSD di un album; tipicamente e’ il risultato del ripping di un SACD.

Se i file audio hanno questo formato e vogliamo archiviarli in una libreria digitale devono essere preventivamente convertiti in un formato che supporta i metadati.

Formati che supportano i metadati
Facciamo ovviamente riferimento ai soli formatI lossless. Sono stati tutti sviluppati quando l’era dei supporti fisici si avviava al tramonto (o lo si intravedeva ) e quindi supportano all’origine i metadati i seguenti formati di compressione lossless per digitalizzazione in PCM:

  • FLAC
  • ALAC
  • APE

Per il formato di digitalizzazione DSD, che è sempre non compresso, esiste un unico formato che consente l’archiviazione dei metadati:

  • DSF: il formato audio per il DSD sviluppato da Sony

Conversione in formato con metadati. PCM
Per i formati PCM la conversione e’ un’operazione molto semplice e anche veloce, il prodotto migliore per eseguirla e Foobar 2000 che è anche gratis. Il formato di output può essere indifferentemente FLAC o ALAC, sconsigliato invece APE (chiamato anche Media Monkey) che non è supportato da Foobar2000 e non da’ alcun vantaggio.

Conversione in formato con metadati. DSD
Qui le cose sono un po’ più complicate e bisogna dotarsi di programmi specifici e non molto diffusi.
Per i file ISO, dato che si tratta solo di un contenitore, e’ sufficiente estrarre le singole tracce in formato DSD ed archiviarle su un file in formato DSF. Software gratuiti che fanno questa operazione non sono molto diffusi, al momento l’unico disponibile con interfaccia utente GUI è reso disponibile da un produttore di DAC e altri apparati digitali particolari che si chiama Sonore. (www.sonore.us). Si trova nella sezione software del loro sito e si chiama, non sorprendemente, ISO2DSF. L’utilizzo e molto intuitivo (vedi screenshot). Supporta anche ISO multicanale estraendo i file in formato DFF.


Conversione da file DFF
Per i file audio DFF la ricerca di un prodotto free e facile da usare (i pochi altri richiedono di lavorare a livello di comandi) e’ disponibile al momento solo in ambiente Mac ovvero macOS, non sembra ce ne siano su Windows.
E’ prodotto da una benemerita system house che si chiama 2manyrobots (2manyrobots.com), si trova nella sezione “Free Apps” e si chiama anche questo intuitivamente DFF2DSF.
Una volta installato sul Mac il funzionamento è semplicissimo perché è unicamente drag & drop: si trascina il file o i files da convertire sulla immagine del robottino e lui effettua velocemente il repackaging nel nuovo formato. Sottolineo “repackaging” perché non viene effettuata alcuna operazione sul codice digitale in formato DSD, come nel caso precedente e come deve essere.


Tutti i file sono ora pronti, cosa si fa?
Quando tutti i file sono in grado di archiviare i metadati l’unica cosa da fare e’ inserirli, o integrare con ulteriori informazioni quelli comprati (per i quali potrebbe essere necessario anche modificare il genere se non si concorda con la scelta fatta da chi lo distribuisce). Una operazione che si può fare molto facilmente, e anche in un solo colpo per interi album, con i gestori di media library come il citato Foobar2000 così come con J River. È una operazione che richiede un po’ di tempo e di impegno, in particolare se dovete archiviare musica classica, ma il tempo impiegato ritornerà con interessi nell’utilizzo della libreria, grazie alla semplicità e velocità di ricerca di quello che desideriamo ascoltare. Unica notazione: Foobar2000 non gestisce il formato APE e quindi eventuali file in questo formato devono essere anch’essi convertiti.

Un notevole aiuto e’ fornito, come noto, dalle mega libreria di tagging come Freedb, supportate anche da Foobar2000. Basta selezionare tutte le tracce o il folder (o il CD di cui fare il ripping) e nel 90% dei casi FreeDb o i suoi equivalenti troveranno tutti i metadati da inserire. Controllarli però sempre e’ opportuno, non solo perché possono esserci più alternative, ma perché alcuni dati possono essere non corretti, in particolare la data per gli album meno recenti di solito e’ quella del CD ripubblicato e non quella di prima pubblicazione.

I metadati aggiunti dai media library
Bisogna anche dire che i media library, inclusi quelli citati, possono anche gestire i metadati dei file audio che non li supportano, semplicemente aggiungendoli alle informazioni di gestione della libreria.
Si tratta di una soluzione sconsigliabile, perché dovrà essere eseguita di nuovo qualora decidessimo in futuro di passare ad un diverso media server con la sua media library, e la stessa cosa potrebbe essere necessaria anche nel caso di spostamento fisico dei file audio, per esempio da un disco standard ad un NAS o ad un NAS più performante. Considerando il tempo impiegato per inserire i metadati fare una seconda volta le stesse cose e’ certamente una eventualità da evitare.
Archiviando i metadati direttamente sul file audio li rende invece indipendenti da ogni contenitore fisico o virtuale o libreria Windows o Mac.


Le immagini di copertina
Alla fine, anziché tramite titolo o interprete, non sarà infrequente che la ricerca più veloce sia proprio tramite l’immagine di copertina del’album. Questo metadato particolare non può essere registrato nel file audio, ma deve essere memorizzato a fianco ad esso, ovvero nella stessa directory. Per riconoscerlo come tale, non ci sono standard internazionali, comuni tra player e media library di diversi fornitori, e l’unica informazione che possiamo passare a questi software e’ il nome del file. I nomi standard riconosciuti da Foobar2000, J River e da molti player sono "folder" o “cover” o “front”, quindi ogni immagine individuata deve essere scaricata e memorizzata nella directory con questo nome. J River ha una funzionalità per individuare e gestire le copertine anche con altri nomi, ma è consigliabile ricondursi a questi.


giovedì 14 marzo 2019

J Remote alla prova

Un test interessante solo per chi ha adottato come Media server e Player il diffuso e apprezzato J River Media Center, probabilmente il numero uno del settore anche se si sta impoendo il più completo e ambizioso (e costoso) media center Roon.

J Remote infatti è la app che consente da smartphone o tablet di gestire la libreria musicale, selezionare la musica, mandarla in riproduzione, cambiare brani, regolare il volume e così via. Con la app il music server, che nel caso di J River è forzatamente un PC, lo si dimentica proprio, basta che sia acceso e si fa tutto (o quasi) comodamente dal dispositivo mobile.


Installazione, acquisto e sincronizzazione
La app si scarica come al solito dagli store di Apple o di Google e non è gratis. Il prezzo è quasi spropositato se lo confrontiamo alla medie delle app, ma è un'inezia se paragonato ai costi dell'hi-fi: 10,99 € su Apple Store (la prova è su un iPad). La app si presenta subito con una interfaccia molto professionale che mostra una guida grafica alle funzioni presenti. La prima operazione da fare però è la sincronizzazione con il media center J River sul PC. Il sistema è molto semplice, ogni installazione J River ha una access key univoca, la si va a leggere sul PC seguendo le istruzioni e la si immette sull'iPAD.

Fatta questa operazione J Remote mostra con istruzioni grafiche le sue funzioni di base.


Selezionando Audio vengono mostrati tutti gli album della libreria, o in alternativa si possono selezionare gli artisti o i generi musicali. Come sul PC.


Scegliendo un album da ascoltare vengono mostrate ovviamente le tracce, e se era già in esecuzione un altro album rimane visibile anch'esso. Nella parte bassa della schermata i tradizionali comandi di avanti, indietro, pausa e stop e il controllo del volume.


E' disponibile anche una comoda funzione di ricerca nella libreria.


Esiste un'eccezione per il controllo del volume (ma è così anche con J River su PC): non è disponibile in DSD. In questo formato le informazioni il controllo digitale del volume non è possibile e di conseguenza il flusso è trasmesso al DAC a 0dB di attenuazione. Il controllo del volume ritorna quindi sull'amplificatore analogico collegato al DAC (che magari ha un suo telecomando). E' il caso di questo album di Dusty Springfield in ascolto (vedere la parte bassa dello schermo) che è stato pubblicato anche in SACD. Il volume come si vede è disabilitato.


Nel caso più comune di audio digitalizzato in PCM, come per l'album di Enya in ascolto, il volume è regolabile dalla app J Remote


Cliccando sulla freccetta in alto a sinistra si può aprire un player più completo e gradevole, contenente varie indicazioni e funzioni ulteriori.


Cliccando sul simbolo dell'attach in basso a destra si possono visualizzare booklet e altre informazioni di tipo immagine o pdf presenti sulla directory nella quale è memorizzato l'album scelto dell'ascolto. Cliccando su "action" si possono ottenere quelle funzioni abbastanza superflue come l'asolto shuffle o il play doctor, il solito algoritmo che ci suggerisce quello che vogliamo ascoltare (e non ci azzecca mai).


Più utili le indicazioni dettagliate sulla qualità dell'audio che stiamo ascoltando, come questo album di HDtracks in HD, registrato in binaurale.

J Remote può selezionare e comandare anche video o film, se nella libreria avete inserito anche contenuti di questo tipo. Ovviamente per vederli in modo adeguato il PC dove gira J River dovrà essere collegato con una porta HDMI ad un monitor TV.


Le informazioni sull'audio in esecuzione sono mostrate anche per le tracce in formato DSD, anche in  risoluzione Quad DSD (ovvero DSD256) come questa egistrata e pubblicata dall'etichetta specializzata norvegese 2L The Nordic Sound.


Le playlist
Una limitazione della app riguarda le playlist. Si possono ovviamente selezionare ed ascoltare, saltare brani ecc. ma non si possono creare sulla app. Bisogna crearle sul PC. Peccato perché sarebbe molto più comodo farlo dalla app. In una tipica installazione J River il PC sarà dedicato unicamente a questo scopo (come nella mia configurazione) e potrebbe essere non molto agevole fare operazioni di editing. Ad esempio nel mio caso (vedi la descrizione del music server di qualche anno fa) il PC, un Mac Mini, è collegato al TV monitor della sala e per gestirlo uso una tastiera wireless con touch pad integrato. Monitor e tastiera / mouse sono usate solo per le operazioni di aggiornamento della libreria o del PC. In questo modo il PC può  sparire dalla vista una volta avviato l'ascolto e convivere con l'arredamento di una sala. Con J Remote può sparire del tutto.


La sincronizzazione
Un'altra limitazione è relativa alla sincronizzazione con la libreria J River, che avviene all'avvio della app (e non in automatico). Questo fa sì che se importiamo nuovi audio oppure creiamo una playlist, per gestire i nuovi contenuti sarà necessario riavviare la app.

In sintesi
Una app molto comoda e ben funzionante, senza incertezze, le limitazioni non sono importanti ma non sarebbe un grande sforzo per i produttori superarle. Un complemento quasi obbligatorio per J River, vale la pena il piccolo investimento rispetto alle soluzioni alternative gratuite.

venerdì 8 marzo 2019

Quattro DAC (e tre chip set) a confronto

Per gli appassionati che hanno adottato come sorgente principale l'alta definizione il DAC, il digital to analog converter, ha preso il posto che un tempo aveva (ed ha ancora) il giradischi con tutti i suoi componenti (testina, braccio, pre-phono e giradischi vero e proprio) e più recentemente il lettore CD (che invece è tipicamente un componente unico).

Il cuore di quasi tutti i DAC è un chip set prodotto da pochi produttori di semiconduttori che operano a livello mondiale. Proseguendo con la analogia con il mondo analogico, con il vinile, il chip set ha un ruolo e un compito analogo a quello della testina, è la vera origine del suono. Ci sono due differenze importanti:
  • Il chip set non è scelto dell'appassionato (se non indirettamente) ma dal produttore del DAC;
  • Lo stesso chip set può essere scelto ed utilizzato per DAC di fascia e prezzo anche molto diversi.
Nascono inevitabilmente alcuni dubbi e interrogativi sulle effettive differenze tra i molti DAC proposti sul mercato nonché sul loro prezzo, e quindi ampie discettazioni sui forum specializzati.

(Esistono anche DAC non basati su un chip set commerciale? Sì, vedi l'appendice)

L'analisi desk
Quella che propongo per orientarsi un po' di più in questo (relativamente) nuovo mercato  è una cosiddetta analisi desk, basata quindi sull'esame delle caratteristiche di 4 DAC a partire dalle sole caratteristiche dichiarate. Non una prova d'ascolto quindi, che richiederebbe, come documentato in un recente post, uno spiegamento di forze e di tempo attualmente fuori portata (almeno 2-3 persone impegnate e test in  doppio cieco, oltre che la disponibilità dei DAC).
Le informazioni che si ricavano sono comunque a mio parere ugualmente interessanti.

I quattro DAC
Per avere un'idea di come si muovono i produttori ho scelto uno dei principali del settore, nella fascia media. Un marchio che non ha assolutamente iniziato con il digitale, perché è Pro-Ject, ma che nel corso degli anni ha applicato la sua efficiente formula produttiva anche al digitale, estendendo la gamma anche a tipologie innovative di componenti, e arrivando infine a proporre più serie (o famiglie) di componenti con caratteristiche uniformi, e fascia di qualità e costo via via crescenti.

Per i DAC analizziamo quindi i modelli proposti per le 4 serie principali; RS (la serie top), DS2 (la serie di fascia alta), DS (la serie "analogica"), S2 (la serie miniaturizzata).


DAC BOX RS (900 €)
Il modello top di Pro-Ject (ma di prezzo sempre terreno confrontato con altri DAC) è estremamente flessibile, con addirittura 9 ingressi digitali, circuiteria bilanciata e output XLR bilanciati e la possibilità di scgliere lo stadio di uscita a valvole o a stato solido.
Il chip set che ha scelto la Pro-Ject è un classico del settore, il Texas Instruments PCM1792. Un circuito integrato monolitico in commercio dal 2003, rinnovato nel 2010 con la versione 1792A. Nella documentazione non è indicato che si tratta del modello A ma dovrebbe essere così, poiché il precedente modello non è più in produzione, se non per sostituzioni, sin dal 2010.
Si tratta di un chip sviluppato e prodotto dalla Burr Brown, una casa che era tra le prime nel settore ma che è stata acquisita e incorporata dalla Texas Instruments nel 2000.

Non è quindi un modello recente e in grado di fornire le massime prestazioni e le più aggiornate funzionalità di conversione. La scelta di Pro-Ject appare quindi dettata dal desiderio di fornire un modello basato su un chip adottato da modelli di fascia alta e altissima, come il Bel Canto e.One e altri modelli del noto produttore specializzato.
Si tratta quindi di un DAC che converte in PCM fino a 24/192 e  in DSD fino a a DSD128 (Double DSD), con trasmissione in DSD solo in modalità DoP (vedi post precedente). I filtri digitali sono solo 2.


DAC Box DS2 ultra (600 €)
La serie immediatamente inferiore adotta invece un chip totalmente diverso rispetto al modello RS, con 6 ingressi digitali e uscite sbilanciate RCA. Questa volta Pro-Ject (che ha una politica di copertura di più fasce di mercato differenziate) ha adottato un chip set recente (2014) e ovviamente con le massime prestazioni e funzionalità della tecnologia attuale. E' un prodotto della giapponese Asahi Kasei, AK4490, e quindi garantisce conversione in PCM fino a 32 bit e 768KHz e DSD fino a DS256 (trasmissione in nativo fino a 128, poi DoP), 5 possibilità di filtraggio. Esiste un modello più recente (2017) AK4493 ma pare che non sia quello adottato, perché sul sito del produttore giapponese risulta in grado di arrivare alla conversione in DSD512.
Anche in questo caso lo stesso chip è utilizzato per modelli di fascia più elevata, come il RME ADI 2 Pro (un DAC prodotto in Germania da una nuova firma del settore).


DAC Box DS (300 €)
Per il modello della linea che punta ai clienti più orientati all'analogico Pro-Ject ancora il chip TI PCM1792 già visto nel modello RS. Questa volta però la conversione di file audio DSD non è proprio supportata neanche in DoP. E' presentato come un modello dalla realizzazione particolarmente curata.


DAC Box S2+ (230 €)
La linea S2 propone componenti di dimensioni minime (inferiori in pianta al jewel box dei CD) ma con prestazioni analoghe alla linea DS2. Per il DAC è stato scelto il chip set di punta dell'altro grande produttore mondiale, ESS, il chipset è il ESS Sabre 9038, il più recente della casa americana, ma con produzione anche in Cina. In realtà il nome completo è 9038PRO ma pare che in Pro-Ject prediligono la sintesi. Non esiste comunque a quanto sembra un 9038 non Pro.
Le prestazioni di targa sono allo stato dell'arte e del tutto simili al modello RS: PCM fino a 32 bit e 768KHz e DSD fino a DS256 (trasmissione in nativo fino a 128, poi DoP) e 5 filtri digitali selezionabili, 3 ingressi come il modello superiore DS.
L'ESS 9038Pro è utilizzato da molti DAC recenti di fascia alta, come l'Ayre Qx-5 Twenty o i Mytek Manhattan II e Brooklyn+. Non è specificato nelle carateristiche del mini DAC della Pro-Ject ma il chip gestisce anche il formato di compressione MQA.

L'importanza del chip set
Da questa breve rassegna si può dedurre che la differenza tra i DAC la fa solo il chip set? Ovvero che un componente budget come il Pro-Ject abbia prestazioni simili al Mytek Manhattan che costa più di 6.000 €? Con conseguente sorpresa visto il costo molto ridotto dei chip set. Ovviamente no, e non solo per la flessibilità e le funzioni operative. Per un motivo molto più semplice che si può spiegare per similitudine partendo sempre dai giradischi che in genere tutti conosciamo e che comunque hanno componenti "visibili".

Il chip set ha una funzione molto simile a quella della testina: estrae il suono da dove è nascosto, da una sequenza di bit 0 e 1 invece che da un solco inciso su un piatto di plastica. Ma, come una ottima testina non servita da un braccio in grado di supportarlo secondo le specifiche, su un piatto mosso da un giradischi che mantenga costante al massimo grado di precisione la rotazione, e da un pre-phono che amplifica e corregga con la massima accuratezza il debole segnale analogico creato, non potrà garantire le prestazioni di cui sarebbe capace. E sappiamo quante raffinatezze e diverse implementazioni sono state ideate ed attuate in tutti questi altri componenti.
Nel mondo digitale la situazione è simile: il chip set è fondamentale perché il resto dei componenti non potrà correggere sue carenze, ma è la configurazione complessiva che potrà garantire il risultato.
Da notare anche, nel confronto, che i chip set sono in realtà "famiglie" e possono avere diversi modelli con diverse configurazioni, non sempre esplicitate nelle specifiche pubblicate sul web.

Limiti veri o ipotetici
Dalla breve carrelata di confronto si nota anche che 2 dei 4 modelli, e non i più cari, hanno prestazioni che arrivano ai massimi livelli attuali (o quasi) riguardo ai formati supportati, mentre gli altri 2 hanno limitazioni. Nulla da obiettare sul modello DS, che sicuramente per chi è interessato al DSD non è la scelta adatta. Mentre per il modello top RS la limitazione a DSD128 è piuttosto ipotetica, vista la scarsità di musica registrata e distribuita in download in formato DSD a risoluzione DSDx4 ovvero DSD256 (e ancor più a DSD512). Inoltre è anche tutta da dimostrare la effettiva udibilità della superiore qualità, un po' come nel PCM tra 24/96 e 24/192.

Appendice: i DAC "custom"
Non tutti i DAC fanno ricorso per la prima fase della conversione in analogico a un chip set acquisito da uno dei produttori mondiali di semiconduttori. E' possibile anche una scelta alternativa, facendo ricorso ai component FPGA (Field Programmable Gate Array), le cui funzionalità sono programmabili mediante linguaggi di descrizione del processamento effettuato in hardware. I progettisti del DAC possono quindi implementare loro specifici algoritmi di gestione della decodifica o della gestione della sincronizzazione tra i componenti, di caratteristiche superiori o comunque diverse rispetto agli algoritmi sviluppati dalle case di semiconduttori, oltre ad adottare un'architettura del sistema di decodifica  più articolata.
E' il caso quindi di componenti professionali o di fascia molto alta, progettati da specialisti del settore e appartenenti alla fascia top del settore. Prezzi ovviamente proporzionati ai costi di sviluppo e produzione in piccola serie, per esempio il Playback Designs MPD-8 Dream DAC progettato dal noto specialista Andreas Koch e che costa 27.000 € (prezzo base, ci sono anche estensioni).  Recensione entusiastica sul numero 406 di Audio Review.



sabato 2 marzo 2019

DSD: DoP o nativo?

DoP sta per DSD over PCM mentre “nativo” vuole indicare che nessuna azione viene eseguita. Quindi un DAC in grado di funzionare in nativo sembra avere caratteristiche superiori. In parte è così, ma non perché viene alterato in alcun modo il flusso di dati, in entrambi i casi non viene effettuata alcuna conversione. Le due modalità riguardano infatti solo il trasporto del flusso DSD tramite la porta USB al DAC. Porta USB (2 o 3) che peraltro è obbligata, perché la velocità di trasmissione di un collegamento coassiale o toslink non sarebbe sufficiente per le caratteristiche del formato DSD alle risoluzioni più elevate.
In questo post alcune informazioni e chiarimenti utili per chi si accinge ad acquistare un nuovo DAC.

Dal sito dell'etichetta norvegese 2L The Nordic sound alcune immagini riprese durante la registrazione del disco, disponibile anche in Quad DSD, nomination ai Grammy Awards come "Best Immersive Audio Album 2019". Il titolo è Folketoner, musica corale norvegese, questa è la direttrice Anne Karin Sundal-Ask  intenta a verificare la registrazione multicanale e stereo alla consolle DXD-DSD,
DoP
La porta USB riconosce solo audio codificato in PCM, non in DSD. Il sistema più semplice per trasmettere un flusso DSD e’ quindi incapsularlo in “pacchetti” riconoscibili dall'unità ricevente (il DAC). Che provvederà quindi, se conforme DoP, ad estrarre dal pacchetto il contenuto DSD, a ricomporlo nel file originale e a passarlo alla sezione di conversione in anaogico. Questa operazione di impacchettamento comporta un raddoppio della dimensione dei dati e quindi la necessità per il trasmettitore (il PC), il ricevente (il DAC) e la porta USB di gestire una velocità di trasmissione doppia di quella del DSD, ovvero DSDx2 ovvero 5,6Mbps. Queste prestazioni non sono un problema per PC e DAC recenti, e quindi la trasmissione DOP non è sicuramente un problema per i più diffusi file audio provenienti da SACD, quindi DSD64 ovvero 2,8Mbps.

Il coro nell'ambiente di esecuzione (una chiesa, come si vede)
DoP e DSD2PCM
Importante: il DoP è un sistema di trasporto, non è da confondere con DSD2PCM che, come suggerisce il nome (2=to) è una funzione di conversione da DSD a PCM inclusa, nei player che gestiscono il formato DSD, per garantire la compatibilità con schede audio e DAC solo PCM. Quindi nei vari Audirvana o J River ma anche in Foobar2000, con gli appositi component. Una funzione peraltro presente anche negli studi di registrazione per fare in PCM operazioni di editing non possibili o non supportate in DSD (e poi tornare al DSD nella versione finale). Stessa ambiguità nel termine “nativo”: trasporto nativo significa diretto senza impacchettamento dei campioni (vedi dopo). Conversione nativa significa che il DAC è in grado di trattare nativamente il formato a 1 bit DSD.

DSD a risoluzione superiore
Per la riproduzione di file audio DSD in risoluzione superiore, quindi disponibili solo in download, la trasmissione in DoP ha però un limite superiore. Attualmente fino a DSDx2 ovvero DSD128 ovvero Double DSD ovvero 11,2Mbps non ci sono problemi, ne’ sul lato del PC ne’ sul lato del DAC (che ovviamente deve supportare il formato DSD). A risoluzione ancora superiore, ovvero DSDx4 o DSD256 o Quad DSD oppure DSDx8 o DSD512 può’ essere necessaria la trasmissione nativa per limitazioni di potenza della CPU del PC o del DAC. Su quella del DAC vedere nel seguito.

Trasporto DSD nativo
Utilizzando un driver ASIO è possibile informare la porta USB che il flusso di dati in invio e’ “speciale” non a livello di pacchetto ma dell’intero file e quindi far arrivare al DAC il flusso DSD “nativo”. Perché il DAC possa trattarlo e’ necessario però che sia in grado di supportare le frequenze di campionamento più elevate. Ovvero 352,8Khz per DSDx4 o DSD256 (88,2Khz x4) oppure 705,6 (88,2Khz x8) per DSD512. Esistono anche DAC che arrivano oltre, per gestire anche il formato DXD (estensione del PCM HD) e quindi a 96x8 ovvero 768Khz e che ovviamente possono supportare anch’essi DSD512 nativo.
Su MAC i driver bit perfect ASIO o WASAPI non servono perché la porta audio è già bit perfect e viene riconosciuto automaticamente il DAC conforma DSDS nativo e scaricato il suo driver specifico.
In entrambi i casi il DAC ha pressoché sempre un LED che si illumina per indicare il flusso di ingresso in DSD nativo e quindi è sempre controllabile se stiamo ascoltando in DSD nativo o in DOP e quindi se abbiamo eseguito tutte le operazioni di configurazione sul player necessarie allo scopo.

La direttrice Anne Karin Sundal-Ask in azione
Quindi in sintesi, cosa preferire?
Abbiamo visto che fino a DSD128 ovvero in Double DSD tutti i DAC “DSD ready” sono equivalenti. Ci si può concentrare quindi sulla qualità del DAC. Chi invece ha già acquisito album o tracce in formato DSD256 o DSD512 (rarissimi per ora in quest’ultimo formato) o ha intenzione di farlo man mano che saranno resi disponibili, è opportuno che faccia un approfondimento sulle caratteristiche del DAC che sta scegliendo.
Quelli basati su chip più recenti supportano quasi sempre anche il PCM/DXD fino a 32/765 (o 705,6 in alcuni casi) e di conseguenza tipicamente supportano la modalità nativa (non avrebbe senso il contrario) e quindi la possibilità di scelta è ampia.
Possibili criticità possono riguardare quindi soltanto:
  • DAC che supportano solo la trasmissione DOP anche per DSD256 e che dovranno essere gestiti da PC non molto recenti, che possono avere problemi di prestazioni in trasmissione;
  • Chi utilizza un PC Mac e non Windows: deve verificare se il DAC scelto garantisce le stesse prestazioni anche su macOS, con un proprio driver proprietario.
E tutti quelli che hanno un DAC valido ma che non va oltre il DS64?
Il materiale disponibile è ancora molto raro nei formati superiori DSD128 e DSD256 ed inoltre non è di interpreti celebri, è prodotto da etichette indipendenti “audiophile” come Blue Coast Records (folk e jazz soprattutto) o 2L The Nordic Sound (classica e contemporanea soprattutto). Rarissimo poi il DSD512 e da verificare se la produzione, sin dalla registrazione, sia in questo formato ad altissima risoluzione.
Conviene in questo caso aspettare e ascoltare serenamente la buona musica che avete, considerando anche la continua innovazione nel settore dei DAC.

Il set di microfoni utilizzato dai tecnici di 2L per registrare il suono e l'ambienza della chiesa
Il tecnico del suono al lavoro sulla consolle digitale

mercoledì 13 febbraio 2019

Un subwoofer nell'impianto stereo

Idea: per le frequenze basse, le piu' critiche e difficili da riprodurre, ma anche le piu' caratterizzanti, perché non aggiungere un subwoofer all'impianto invece che investire soldi e tempi nell'upgrade delle casse e, probabilmente, anche dell'amplificatore? Ce ne sono ormai molti, attivi, a prezzi molto economici. Un subwoofer attivo, ovviamente, perché un sub passivo ha bisogno di un proprio amplificatore e quindi non può essere collegato a un tradizionale amplificatore stereo, che è invece il nostro obiettivo. Prima di impegnarci nell'avventura di aggiungere al nostro impianto un sub, è però meglio studiare le alternative che abbiamo a disposizione.

I subwoofer attivi sono di 2 tipi x 2 tecnologie
I sub offerti da un grande numero di produttori (è un settore di mercato fiorente, perchè è indirizzato anche all'home theater) possono essere bass-reflex (con accordo aperto o woofer passivo) oppure in sospensione pneumatica. La differenza con il settore dei diffusori è che i modelli a sospensione pneumatica sono in buon numero, anche se la maggioranza è ancora in bass reflex. Ci torno dopo su vantaggi e svantaggi (che più o meno si equivalgono).
Le tipologie invece fanno parecchia differenza. I sub possono essere dotati di input e di output oppure di solo input.
Un'ambientazione in pieno relax scelta da REL Acoustic per la pagina di confronto tra i modelli
I sub con sole connessioni di input
Sono i più diffusi, anche se non necessariamente i più economici. Gli ingressi sono quasi sempre tre: 1 a basso livello stereo, 1 a basso livello mono e 1 ad alto livello. Quello mono (chiamato anche LFE) è pensato per la connessione ad amplificatori HT e bypassa il filtro passa basso, quindi non ci interessa (è adatto solo ad ampl HD. Lo stereo a basso livello è pensato per l'uscita REC dell'amplificatore, mentre quello ad alto livello consente, in alternativa, di connetersi all'uscita ad alto livello per i diffusori. L'audio in ingresso però sarà a gamma intera e quindi ci può essere sovrapposizione tra i woofer e il subwoofer. Nella pratica questi sub sono normalmente connessi all'uscita REC, l'altra opzione è riservata ai rari casi di amplificatore che ne è sprovvisto o di impianti in cui è già in uso. In ogni caso l'amplificatore dovrà avere uscite casse doppie (a meno di usare connettori a Y, cosa sconsigliabile a mio parere).

B&W sceglie invece un meno rilassante colore viola per il suo non convenzionale modello PV1D 
I sub con connessioni di input e di output
In questi modelli è possibile collegare nuovamente l'amplificatore o le casse a valle del filtro passa basso in modo da non inviare alle casse frontali le frequenze affidate al sub ed evitare sovrapposizioni. Per il collegamento linea (RCA) è necessario che l'amplificatore abbia ingressi pre e finale separati oppure la cosiddetta doppia barra di registrazione. In caso contrario dovrà essere usata l'uscita ad alto livello. Questa seconda opzione non è così negativa come può sembrare, il sub non fa altro che una connessione elettrica tra ingressi e uscita dopo un filtraggio passivo del tutto analogo a quello attuato dai crossover interni dei diffusori, e il carico offerto all'ampli è molto basso e non pone problemi. Questa seconda opzione non è però sempre presente.

Perché è necessario che il sub abbia ingressi e uscite
Il problema nell'utilizzo di un sub aggiuntivo ad un impianto hi-fi è l'incrocio alle basse frequenze. Se il sub ha solo ingressi la sua emissione, come anticipato, può sovrapporsi a quelle delle casse dell'impianto originale. Poiché l'emissione non è on-off ma ha una pendenza o salita più o meno accentuata, il sub dovrebbe essere relegato alla riproduzione di frequenze molto basse, ma col rischio di creare un "buco" di frequenze. In pratica è una soluzione tecnologica adatta per aggiungere le frequenze basse dove proprio non ci sono, quindi con impianti HT o anche stereo con mini casse frontali.

Del tutto convenzionale invece la foto di presentazione scelta da SVS per il suo potente sub SB 3000 con woofer da 30cm.
Il problema dell'incrocio e la messa a punto
Quindi abbiamo un sub con ingressi e uscite e un amplificatore con uscita pre e ingressi finale separati, oppure un sub con input-output ad alto livello. A questo punto possiamo occuparci dei controlli messi a disposizìone per individuare e configurare l'incrocio ottimale, che sono:
  • un crossover elettronico passa basso - passa alto con frequenza di taglio regolabile, per esempio da 50 a 200 Hz (ma pendenza fissa, di solito a 12dB/ottava)
  • un controllo di volume
  • un controllo di fase, regolabile con continuità da 0 a 180 gradi (oppure un interruttore 0-180)
La messa a punto è un processo che si deve affrontare per gradi, possibilmente in due (uno giudica il suono e l'altro regola i controlli o sposta il sub) iniziando dalla regolazione della fase e finendo con quella della frequenza di taglio del crossover. In alternativa possono essere usati un fonometro e altri strumenti di misura, a cura magari di uno specialista. L'appassionato preferirà invece occuparsene lui, a questo scopo in appendice è disponibile una guida che sembra molto chiara e pratica, che ho tradotto dai manuali dei sub REL Acoustic, rinomata casa inglese specialista del settore.

La localizzazione
La localizzazione del sub è da evitare, non si deve percepire dove si trova, in altre parole. Se invece riusciamo a individuare la sorgente delle frequenze basse affidate al sub, ovvero si percepisce una variazione quando si sposta il componente, bisogna intervenire sulla regolazione della fase e sulla regolazione di incrocio per farlo nuovamente "sparire". Tipicamente è stato scelto un taglio troppo in alto o ci sono problemi di fase.

Un'altra raffinata ambientazione scelta da REL Acoustic per il suo modello top. La casa inglese specializzata in sub (produce solo quello) investe molto nella comunicazione per immagini presente sul proprio sito.
Una verifica sul nostro impianto
Prima di imbarcarsi nell'acquisto e nella installazione di un sub conviene accertarsi in modo più oggettivo, rispetta alle impressioni musicali, delle reali prestazioni sui bassi del nostro impianto. Anche per avere un'idea di dove dovrà essere posizionata la frequenza di taglio, senza andare necessariamente per tentativi. La curva risposta sui bassi delle nostre casse dovremmo conoscerla, o perché era riportata nel manuale o grazie alle prove di qualche rivista. Ma ascoltarla e verificarla con il nostro sistema uditivo non fa male, ed è anche molto semplice.

Il disco test
Per farlo basta avere un disco test con una serie di frequenze basse, non dobbiamo giudicare la qualità del suono, ma solo se sentiamo qualcosa, e come. Stranamente i dischi test forniscono di solito un'unica traccia con tutte le frequenze e per riconoscerle una dall'altra bisogna contare.
Sarebbe più pratico avere una traccia per ogni frequenza, senza andarlo a cercare l'ho realizzato io, creando un disco test su misura, che ho messo a disposizione (con altri test) sul sito Audio-Clips. Le frequenze o note campione scelte sono elencate nel seguito, il link per scaricare i file audio e creare un CD test è questo (vedi "Gamma frequenze basse"):
  • 196 Hertz 25sec - violino.wav
  • 65 Hertz 26sec - violoncello.wav
  • 43 Hertz 27sec - basso tuba.wav
  • 41 Hertz 26sec - contrabbasso.wav
  • 31 Hertz 20sec.wav
  • 29 Hertz 26sec - controfagotto.wav
  • 27.5 Hertz 26sec - piano.wav
  • 25 Hertz 20sec.wav
  • 20 Hertz 20sec.wav
  • 16.3 Hertz 27sec - organo.wav
Ogni campione è ripetuto 3 volte in modo da avere il tempo di ascolto e per l'eventuale azione del volume. Perché non bisogna scordare che i diffusori, tutti, hanno un progressivo roll-off (caduta) sulle basse. Per esempio un diffusore con risposta da 40Hz a 20KHz entro 3dB a 40Hz avrà già un volume di 3dB inferiore a quello medio (e pobabilmente a 60 Hz saranno già 6dB).
Nella pratica per ascoltare le frequenza basse man mano che andiamo fuori dalla risposta in frequenza garantita bisognerà alzare il volume.

La risposta italiana è affidata soprattutto
a Indiana Line con i suoi modelli Basso.
Questo è il Basso 880 (reflex)
Le frequenze
I campioni scelti, che sono tratti dal noto disco test della RCA, sono molto "musicali," nel senso che hanno scelto le note più basse che possono essere emesse dal violino, dal violoncello ecc. fino al cotrofagotto e all'organo. Poiché qualche volta in qualche opera musicale queste note saranno pure state usate, può essere utile verificare se il nostro impianto è in grado di riprodurle o le taglia proprio, e cosa cambia aggiungendo un sub.

Il test 
Molto semplicemente bisogna solo ascoltare le tracce partendo dalle più alte. Ascolteremo senz'altro senza problemi le prime due, magari la nota bassa del violoncello (65Hz) un po' attenuata. Scendendo dovremo cominciare ad agire sul volume, per compensare il roll off. La risposta in frequenza delle mie casse (Kef 103/4) è 50Hz-20KHz entro 2,5dB, e così a 43 Hz (basso tuba) ho dovuto iniziare ad alzare il volume. E ho continuato ad alzarlo fino al campione a 25Hz, l'ultimo che i diffusori riuscivano a riprodurre. Ma già da frequenze sotto i 30Hz in realtà il mio sistema uditivo non ascoltava un suono proveniente dalle casse. Quello che si percepiva era invece l'effetto delle onde sonore a frequenze molto basse. Per esempio a 29 e 27,5Hz quello che sentivo era la vibrazione dei vetri sopra la porta di un'altra stanza a diversi metri di corridoio (mentre io ascoltavo nella sala) eccitata non si sa come dalle onde stazionare emesse dalle Kef.
Da aggiungere che il volume del mio amplificatore (che è piuttosto potente, 70W) era già a 3/4 e quindi a un livello inaccettabile in un appartamento (e non so quanto dai diffusori).
Un test molto istruttivo, tra l'altro ha confermato la risposta in frequenza (misurata nei test fatti dalla rivista Stereophile), riportata in figura.
La tecnologia
Come anticipato ci sono sub in bass-reflex e altri in sospensione pneumatica.
In pratica vantaggi e svantaggi si equivalgono, nel comune obiettivo di garantire una risposta in frequenza molto estesa sui bassi con dimensioni e costi contenuti. La sospensione pneumatica ha il vantaggio di non richiedere un condotto di accordo che a frequenze basse può richiedere lunghezza e ampiezza difficili da conciliare con il mobile compatto (a volte i progettisti usano per risovere il problema un woofer passivo). La estensione, ovvero la compensazione del roll-off, si ottiene facilmente con l'equalizzazione (lo stesso vale per i bass-reflex) e la potenza necessaria (elevata) non è un problema ora con il generale utilizzo per i sub di amplificatori in classe D.

Il vantaggio per i bass-reflex è invece il costo, meno stringenti a parità di prestazioni di targa le esigenze di potenza dell'amplificatore, di escursione dell'altoparlante, di robustezza e indeformabilità della cassa. Quindi scelta libera a parità di serietà di realizzazione, anche se chi cerca bassi il più possibile controllati (come me) preferirà probabilmente sub a sospensione pneumatica, visto che esistono e sono abbastanza diffusi, a differenza di quello che avviene tra i diffusori.

In sintesi
Quindi è tutto chiaro. Basta trovare un sub con ingressi e uscite e qualità adeguata che non costi uno sproposito, e provare.

Ancora un modello T della REL Acoustic, qui in versione bianca, in camera anecoica

Appendice. Guida alla installazione e messa a punto di un subwoofer per un impianto audio


1. Posizionamento: la posizione ottimale per il sub è in uno degli angoli dietro i diffusori principali. Questa posizione fornisce 9 dB di amplificazione meccanica e consente la diffusione più lineare delle basse frequenze, grazie alla possibilità di sincronizzare il sub sulla lunghezza maggiore della stanza e quindi generare anche le forme d’onda delle frequenze più basse.

2. Il processo da seguire. Per iniziare il processo di set-up, scegli un brano musicale con una linea di basso ripetitiva che abbia una frequenza molto bassa. Ti consigliamo la traccia 4 dalla colonna sonora di Sneakers (Columbia CK 53146). Questo ha un battito di batteria sul basso ripetitiva che dà molto tempo per spostare il sub cercando la posizione ottimale, ma ancora più importante, la sede della registrazione era abbastanza grande per questa registrazione, e quindi ha una immagine dei bassi molto profonda ed ampia. Questo tipo di traccia è perfetto per il processo di set-up e dovrebbe essere riprodotto al più alto livello ragionevole previsto per la riproduzione del sistema. Lavorare con un partner, uno nella posizione di ascolto e uno vicino al sub che opera sui controlli, è il modo più efficace ed efficiente per impostare il sub. Se si lavora da soli, i passaggi iniziali nel set-up possono essere eseguiti in modo molto efficace dalla posizione del sub. Cercando di ignorare tutta l'altra musica nella traccia, ascolta la cassa della batteria e il suo effetto nella stanza d'ascolto.

3. Messa a punto della fase: una volta installato e attivato il sub dobbiamo regolare la fase. Questo potrebbe essere il passo più critico, e poiché è in realtà molto semplice, è spesso affrontato con troppa preoccupazione. Tieni a mente: la fase corretta è quella in cui il suono è più forte o più pieno. Mentre si riproduce musica con veri bassi profondi, regolare il crossover in un punto in cui il sub e l'altoparlante condivideranno sicuramente le frequenze (circa a metà del potenziometro del crossover ovvero a ore 12 o leggermente più in alto per i diffusori più piccoli. A questo punto ruotare il controllo di volume HI / LO in modo che sia il sub che i diffusori abbiano un volume approssimativamente uguale e quindi commutare lentamente, usando il potenziometro di fase, da posizioni di fase "0" a "180". Ancora una volta, qualunque posizione sia la più alta o la più piena, è la posizione corretta. Cioè, quando la posizione funziona in armonia con i diffusori principali, rinforzando i bassi e non cancellandoli.

(Nel caso frequente di sub che hanno invece solo un interruttore di fase con due posizioni, 0° o 180°, le istruzioni sono diverse, queste sono del Velodyne Impact:
Questo controllo consente di "invertire" la fase del segnale di uscita del subwoofer di 180 ° per correggere per quanto possibile mancata corrispondenza e risultante annullamento tra il subwoofer e i diffusori principali. Per regolare la fase, semplicemente ascoltare il sistema con la riproduzione musicale, quindi premere l'interruttore di fase da una posizione all'altra e ascoltare come cambia il livello di uscita dei medio bassi. La posizione corretta avrà una quantità maggiore di medio bassi. Se le impostazioni sembrano simili, lasciare la posizione "0".)

4. Posizionamento: il passo successivo è determinare con esattezza quanto lontano dall'angolo debba essere posizionato il sub per ottenere l'uscita più efficiente, così come la risposta in frequenza più bassa. Con il sub completamente nell'angolo, e puntando verso l'esterno lungo la diagonale uscendo dall'angolo, continuando a suonare la musica, spostare lentamente il sub dall'angolo sulla diagonale, equidistante da entrambi i lati e dalla parete posteriore. Ad un certo punto (a volte solo pochi centimetri, in rari casi un piede o poco più) l’uscita del sub arriverà più in basso, suonerà più forte, e, se lo blocchi nella stanza e il sub la riempie completamente di suono, l'aria intorno al sub sembrerà essere energizzato, allora fermati proprio lì! Questa è la posizione corretta dall'angolo per il sub.

5. Orientamento: una volta stabilita la posizione dall'angolo, l'orientamento del woofer deve essere determinato ruotando il sub da un immaginario punto centrale sul retro. Quando il sub viene spostato da un lato all'altro, si ascolta il massimo livello di uscita e la linearità del basso. In effetti, il sub dovrebbe essere lasciato nella posizione in cui sta suonando più forte e con la più ampia estensione verso il basso.

6. Impostazioni del crossover e del volume: per determinare il punto di taglio del crossover, portare il volume del sub (usando il controllo del livello HI / LO) completamente verso il basso e posizionare il crossover su 25 Hz. A questo punto, riporta lentamente il volume del sub al punto in cui hai raggiunto un equilibrio appena accennato, cioè il punto in cui puoi sentire il REL anche se i diffusori principali suonano. Ora porta il taglio del crossover fino al punto in cui è troppo alto; a questo punto portalo alla giusta impostazione intermedia inferiore. A tutti gli effetti, questo è il punto di crossover corretto. Una volta raggiunto questo livello, è possibile apportare lievi modifiche al volume e al crossover per fornire l'ultimo bit di integrazione completa e senza discontinuità. Con ciò, il set-up è completo.

Suggerimento: potrebbe esserci una tendenza a impostare il punto di crossover troppo alto e il volume del sub troppo basso nei primi passi di integrazione del sub con l’impianto, il timore è di sopraffare i diffusori principali con i bassi. Ma così facendo, il set-up risultante sarà privo di profondità e dinamica dei bassi. Il corretto punto di crossover e l'impostazione del volume aumenteranno invece le dinamiche generali, consentiranno l'estensione delle basse frequenze e miglioreranno il realismo del palcoscenico virtuale. Nota, il volume deve essere regolato insieme alle modifiche del crossover. In generale, quando si seleziona un punto di crossover inferiore, potrebbe essere necessario alzare il volume.