domenica 18 febbraio 2018

Powerline, la soluzione per la musica digitale

La musica digitale e il suo impianto hanno bisogno di connessioni tra i componenti, esattamente come la musica analogica. La soluzione più immediata e più comoda è anche la più applicata, è il wireless, con tecnologia wi-fi, ovvero lo standard IEEE 802.11, con successive sotto versioni di prestazioni sempre più elevate e diversificate, oppure il Bluetooth, sviluppato dalla Ericsson nel 1994 e ora gestito dalla associazione tra produttori Bluetooth SIG (Special Interest Group). che nella versione APTX in grado di trasferire anche contenuti digitali fino alla risoluzione CD.

Niente cavi niente complicazioni, a meno che in parti della casa il segnale non arrivi o che le prestazioni non siano sufficienti per l'alta definizione audio o video.

Un'alternativa c'è
per chi ha case grandi e su più piani o con mura tradizionali un'alternativa esiste, sviluppata da tempo e incrementata nelle prestazione ben oltre le possibilità del wi-fi anche ultima versione: il Powerline.
Molti la conoscono la usano ma la maggioranza penso di no, e così al powerlink (che uso da più di 10 anni) ho voluto dedicare questo post. Tra l'altro il Powerline consente di eliminare anche un altro problema, l'inquinamento eletromagnetico del wi-fi. Che non è pericoloso per la salute, come ormai ampiamente dimostrato, se la irradiazione è a distanza corretta. Ma proprio per questo se possiamo eliminare la sorgente (il punto di maggiore irradiazione) o non avere vincoli a metterla lontano dalle stanze dove soggiorniamo più a lungo, è meglio (non mettere il router wi-fi sul comodino, per esempio).

Una immagine illustrativa dal sito della TP-Link, produttore di soluzioni Powerline
La tecnologia Powerline
Non è uno standard unico ma un insieme di soluzioni proposte da vari costruttori, tutte basate sulla tecnologia BPL (Broadband over power lines) per la trasmissione di segnali ad alta frequenza sulla rete elettrica, utilizzata praticamente da sempre dalle compagnie elettriche. Con l'avanzare della tecnologia è stato possibile trasmettere a frequenze sempre più elevate, adatte anche alla trasmissione dati e non solo a messaggi di segnalazione o monitoraggio delle linee. Lo standard di riferimento attuale è lo IEEE 1901 emesso nel 2010 ma il cui sviluppo è iniziato nel 2005. Per allineare e coordinare le varie soluzioni proprietarie è nata la Home Plug Powerline Alliance.

Brevissima storia
Sono state ovviamente in primis le compagnie elettriche ad avere l'idea di perfezionare e proporre questa tecnologia per la trasmissione dati, quando l'ADSL ancora non era diventato uno standard, e far evolvere la loro capillare rete elettrica in una rete anche per dati. In Italia ci ha provato anche l'ENEL, che proprio alla fine degli anni '90 aveva creato una propria compagnia per entrare nel settore dell'informatica e del web, si chiamava ENEL.IT. La società puntò subito alla tecnologia Powelink con una sua implementazione, e iniziò una sperimentazione in diversi quartieri di una città della Toscana, Grosseto.
Ma nè l'ENEL nè le altre compagnie elettriche ce l'hanno fatta, l'ADSL ha raggiunto prima della loro soluzione le alte velocità (per l'epoca) che costituivano un sensibile passo avanti rispetto ai modem analogici su linea commutata. Così la vittoria è andata alle compagnie telefoniche che hanno conquistato (temporaneamente) il predominio sul web.

Il Powerline a casa nostra
Di questa storia ci interessa poco ormai, e il Powerline domestico è una cosa molto più semplice: piccoli ripetitori che connettono il router ADSL alla rete elettrica realizzando anche in casa nostra una rete locale ad alte prestazioni, senza opere murarie o antiestetiche canaline a vista. Fino al contatore della luce che costituisce il "tappo" verso l'esterno (gli altri condomini non vedranno la nostra rete né noi la loro).
I ripetitori sono scatolette di varia forma e caratteristiche, di vari produttori e di varie prestazioni, che si connettono semplicemente da un lato alla presa della luce e dall'altro tramite un cavo Ethernet standard al router oppure ai componenti che devono collegarsi a Internet.

Le prestazioni sono cresciute con gli anni. i primi ripetitori che ho installato a casa mia, suggerimento di un negoziante innovatore, erano a 40Mbps massimo, poi sono passate a nuovi modelli a 200 Mbps e infine a 600Mbps, ma ce ne sono anche che arrivano a 1GBps. Naturalmente sono sempre prestazioni massime e ideali e, soprattutto, dipendono dalla velocità in ingresso al nostro router. Che, se non abbiamo un collegamento diretto in fibra fino a casa nostra, non può arrivare attualmente oltre i 200Mbps (ma tipicamente è intorno ai 100) con la tecnologia FFTC (Fiber To The Cabinet) usata alla data di questo per la connessione chiamata Ultra Fibra, o simili nomi commerciali.
Per la sicurezza i ripetitori possono essere appaiati (pair) e quindi resi incompatibili con altri eventualmente infilati nelle prese da spie che si aggirano nella nostra abitazione, oppure si può anche decidere di proteggere maggiormente la rete (che è sempre interna alla nostra casa) con una password. A parte queste eventuali operazioni tutti i modelli più recenti sono auto-installanti (si riconoscono da soli) ed è necessario solo seguire le semplicissime istruzioni fonite.
I produttori sono molti e comprendono molti dei principali, come Netgear e TP-Link. Il costo è alla portata di tutti perché i modelli standard (600Mbps) sono attorno a 40 € la coppia. Poichè usano implementazioni personalizzate della tecnologia, al momento devono essere tutti dello stesso produttore.

Le prestazioni
Misurate a casa mia su notebook nelle condizioni standard di test (tutti i programmi chiusi), in download sono (con Powerline 600Mbps):
  • Collegamento diretto al router: 115 Mbps
  • Collegamento tramite due PL da 600 connessi a presa: 65 Mbps
  • Collegamento tramite due PL da 600 connessi anche su presa multipla (o "ciabatta"): 43 Mbps
  • Collegamento wi-fi: 40 Mbps nella stanza del router (inferiore anche fino alla metà in altre stanze della casa)
I connettori sono TP-Link e il gestore è Fastweb. Ho aggiunto il test con la presa multipla perché il suo utilizzo è sconsigliato dai produttori (appunto perché abbatte le prestazioni) ma è tanto comodo. Da notare poi che le prese multiple non sono tutti uguali, consiglio di testarle sempre prima. Sarà un caso, ma i modelli a 3 prese sembrano essere più performanti.
In sintesi le prestazioni sono ampiamente sufficienti per tutti gli usi e comunque superiori a quelle del wi-fi e, soprattutto, costanti nei vari luoghi dell'abitazione.

Perché è la soluzione ideale per la musica digitale
Prima di tutto perché nelle ultime versioni è ampiamente sufficiente a trasmettere musica anche in alta definizione, al massimo infatti raggiunge 11,6Mbps (DSD256) o al limite (ma non c'è praticamente software a queste prestazioni) 23Mbps con il DSD512 o  24,5Mbps  (PCM 32bit / 384KHz), la metà circa per il PCM se si adotta il FLAC (quindi al massimo 12,25Mbps).
In secondo luogo perché è stabile e non soggetta a perturbazioni e interferenze esterne. Anche il wi-fi ultima generazione ha ormai prestazioni molto elevate ma per l'alta definizione, anche 24/96 (4,6Mbps non compresso) possono esserci problemi di interruzioni momentanee. Una soluzione quindi molto più adatta ad un impianto "serio" e, una volta configurata ed installata, a cui non pensare più, ma anche molto più semplice e altrettanto poco invasiva del wi-fi.
Con soli 4 ripetitori si può ad esempio implementare una rete completa anche con componenti di alto livello, come questa schematizzata in figura:

Dove:

  • NP: Network Audio Player
  • ASL: Acrive Speaker Left
  • ASR: Acrive Speaker Right
  • PL: Powerline adapter
  • DTEL: Doppino telefonico (presa telefono)
  • EL: Presa elettrica

Il network audio player si collega ai servizi streaming tramite il router collegato alla rete elettrica e al web tramite doppino standard (o fibra) e adattatore Powerline. Le casse attive si collegano al network audio player anch'esse tramite l'adattatore Powerline. Gli adattatori sono del tipo con presa elettrica passante come quelli in figura e quindi per ogni componente collegato alla rete locale (e che deve essere ovviamente collegato alla rete elettrica) è sufficiente utilizzare una sola presa elettrica di casa.




sabato 10 febbraio 2018

La manutenzione dell'impianto: il giradischi

Il vero appassionato di musica vorrebbe con il suo impianto fare solo una cosa: ascoltare la musica che ama. La tecnologia però ha le sue esigenze e richiede a volte di sottrarre tempo prezioso al poco che, in una normale vita piena di impegni, una persona può dedicare alla musica.
Poi ci sono anche quelli che trovano più divertente occuparsi dell'impianto o di archiviare i dischi, un po' come quelli che passano più tempo a fare manutenzione alla barca piuttosto che a metterla in mare e navigare, il post non è per loro. 

Il giradischi per il ritrovato piacere di ascoltare i vinili
Cominciamo dal componente più complicato, quello che, non a caso, è stato abbandonato con una certa precipitazione (assai eccessiva) quando l'industria della musica ha proposto un'alternativa chiamata CD. Chi non ha una collezione di vinili come prima cosa deve quindi valutare se veramente e' così fondamentale recuperare questa tecnologia. Perché oltre alla relativa complessità c'è anche il costo non trascurabile dei vinili.

Ma iniziamo con ordine, quindi dai componenti, che sono, fino al cavo di connessione di segnale, parecchi di più di quelli che compongono un lettore CD (solo uno: il lettore), sono:

  • il giradischi
  • il braccio
  • lo shell porta testina 
  • la testina 
  • la puntina
  • il preamplificatore phono
Tutti componenti acquistabili separatamente, intercambiabili e da assemblare, nel caso di giradischi di fascia alta e altissima. In un sistema di lettura moderno (consigliabile) e di fascia medio-alta invece  il giradischi e il braccio sono normalmente integrati, e il punto delicato è rimasto solo uno: la "testina", ovvero il fonorivelatore (o cartridge in inglese).

Cosa può succedere, ad esempio
Il cantilever, che sostiene la puntina, è un componente molto delicato, basta un piccolo colpo per piegarlo e renderlo inutilizzabile. Altro punto delicato sono i 4 cavetti del diametro di un capello che trasmettono il segnale elettrico generato dal fonorivelatore al pre phono. La connessione è realizzata con quattro spinotti sui quali a pressione vanno infilati i minuscoli connettori dei 4 cavetti.
Nel fare questa operazione, aiutandosi con delle pinzette, bisogna assolutamente evitare di tirare i cavetti perché potrebbero perdere la connessione o renderla instabile nei punti di saldatura con interruzioni del segnale o generazione di ronzio. Risultato: giradischi inutilizzabile e da riparare a costi non trascurabili, delicate operazioni di installazione e di taratura da ripetere.

Il Thorens TD 240-2, deriva a un modello Dual

Prevenire i problemi
La prima scelta che l'appassionato deve fare è il modello di giradischi che sceglie, quelli tradizionali con shell separato e smontabile sono i più facili da gestire, mentre i modelli più raffinati hanno ormai quasi sempre un braccio integrato con lo shell.
In un modello tradizionale come i vecchi Thorens TD 160 o TD 125 o i rari nuovi modelli con shell come il Thorens TD 240-2 (nella foto) i problemi sono pochi:

  • il braccio ha un fermo che evita spostamenti imprevisti del braccio che possono danneggiare la puntina
  • la testina può essere dotata di una protezione mobile per la puntina 
  • la puntina può essere sostituibile
  • lo shell è smontabile e l'installazione può essere effettuata comodamente lontano dal giradischi
  • i cavetti sono all'interno dello shell e se si dovessero danneggiare inavvertitamente basta comprare e cambiare lo shell.
Un giradischi moderno ad alte prestazioni
Tutte questa facilitazioni (che possono avere qualche effetto negativo sul suono) nei giradischi di ultima generazione sono state abolite e quindi le cose sono un po' più complicate. Per esempio un Pro-Ject di fascia alta come il mio:

  • non ha un blocco del braccio ma un semplice richiamo magnetico
  • ha un raffinato braccio leggerissimo in fibra di carbonio realizzato con un blocco unico
  • il braccio ha un movimento molto ridotto per ottimizzare i punti di snodo
  • la testina per evitare pesi e componenti superflui non ha una protezione mobile per la puntina
Il risultato è che un colpo al piatto può danneggiare la puntina e innescare tutta una serie di interventi.

Azioni preventive
Con giradischi moderni come questi sono opportuni quindi alcuni accorgimenti aggiuntivi:

  • un blocco fisico, anche fatto in casa, per il braccio
  • una testina con protezione integrata, come la Ortofon MC Rondo (che però non è più in produzione da poco, anche queste stanno sparendo)
  • estrema attenzione nel montaggio della testina, oppure:
  • affidare il montaggio a un tecnico specializzato.
L'alternativa è ovviamente rivolgere l'attenzione a modelli che adottano ancora il braccio con shell smontabile e intercambiabile, a patto che siano nello stesso range di prestazioni.

Una testina pronta per essere collegata con i 4 cavetti dei 2 canali
Individuare i problemi
Se malauguratamente qualcosa non funziona, si ascolta un ronzio a basso volume, funziona un canale solo, il volume è troppo basso e così via, essendo il giradischi in realtà una catena di riproduzione esso stesso, bisogna individuare l'origine del malfunzionamento. Si deve procedere per esclusioni, come sempre quando sono in gioco più elementi:

  1. escludere che il problema sia la puntina o meglio il cantilever danneggiato: basta un esame ad occhio anche senza lente d'ingrandimento; ovviamente non deve essere piegato e deve potersi muovere; attenzione a non danneggiarlo nell'esame;
  2. escludere che il problema dipenda dai cavi: basta sostituirli con cavi anche economici e, per i canali, alternarli tra destro e sinistro; se tutto continua a funzionare il problema non è nei cavi; se invece il problema sparisce siete molto fortunati;
  3. escludere il percorso a valle del giradischi: se avete un amplificatore con ingresso phono (anche vecchio, anche economico, anche prestato da un amico o recuperato dal papà o dallo zio) basta collegare il vostro prezioso giradischi all'ingresso phono; se il problema sparisce il malfunzionamento è localizzato nel vostro pre phono, se (come è probabile) persiste è proprio nel giradischi.
  4. a questo punto bisogna per forza separare il giradischi dalla testina, e quindi procedere alla noiosa e delicata operazione di smontaggio;
  5. se avete un secondo giradischi, anche molto economico o prestato, è più semplice installare la testina smontata dal giradischi principale su quello di confronto; una volta collegato al pre phono il giradischi di confronto, se il problema persiste dipende dalla testina, se (come è più probabile) sparisce, è proprio nel braccio del giradischi principale;
  6. se non lo avete a disposizione bisogna recuperare una seconda testina di confronto, va bene anche una testina dismessa per troppi ascolti o per migliorare l'impianto; anche questa può essere prestata da un amico; se proprio non si trova bisognerà comprarne una super-economica, bastano anche 25-30 €.
Una visione ravvicinata della testina e dei cavetti.
Nella realtà l'altezza della testina è circa un centimetro e
alcune testine (come la Grado che ho io) non adottano il codice colore.
A questo punto sappiamo come agire:
  • se il malfunzionamento è stato localizzato nel pre, si porta a controllare e riparare, sempre se è possibile la riparazione e se vale la pena (dipende dal costo originale del componente);
  • se il malfunzionamento è nella testina, è da escludere che la causa sia la puntina usurata, ovvero abbia letto troppi dischi: è una situazione molto improbabile oggi e anche piuttosto rara ieri, perché servono veramente moltissime ore di ascolto per avere un effetto udibile in modo evidente;
  • riparare una testina è un'operazione delicata, quasi da alta orologeria, e i laboratori specializzati sono molto rari; a meno che sia una testina di alto livello (ce ne sono che costano anche più di 5.000 €) e quindi sarete piuttosto disperati, la soluzione rimarrà solo comprarne una nuova;
  • se infine il problema è nel giradischi, e più specificatamente nel braccio:
    • per prima cosa dovrete rimontare la testina con grande attenzione (al codice colore dei cavetti per prima cosa) ri-tarare tutto con attenzione e riprovare l'impianto, può darsi che fosse un problema di montaggio;
    • se così non è, dovete individuare il riparatore autorizzato del vostro giradischi (chiedendo magari all'importatore) o cercarne uno tramite il vostro negoziante di fiducia, smontare il giradischi e portarglielo, preparando una spiegazione esaustiva e un report sintetico delle prove fatte.
  • suggerimento: se il problema è variabile, ovvero a volte sparisce, è importante tenere una specie di diario per il riparatore, descrivendo bene cosa avveniva, e possibilmente registrare ronzii e rumori non desiderati con lo smartphone.
Considerazioni finali
Non bisogna pensare che siano situazioni comuni o frequenti, per fortuna, quando capitano e se capitano è però buona cosa affrontarli in maniera sistematica e razionale, con tecniche di "problem solving". Ma da questa lettura si può comprendere l'entusiasmo di molti appassionati quando è arrivato il CD e il suo lettore tutto automatico e integrato, e con zero manutenzione.

lunedì 29 gennaio 2018

Il vinile digitale

Vinile è sinonimo di suono analogico, per questo è tornato non solo come moda ma anche come quota di mercato e di vendita. Ma non è detto che sia sempre così, neanche nei tempi d'oro in cui il CD era ancora a livello di progetto o ai primissimi e pionieristici passi.

Per esempio in questo ottimo LP della Telefunken che ho acquistato su eBay. E' un'abitudine che ho da un paio d'anni, eccezionali dischi di musica barocca, eseguiti con strumenti originali da musicisti del calibro di Nikolaus Harnoncourt, Gustav Leonhardt, Frans Bruggen, Alice Harnoncourt e così via, registrati splendidamente e stampati con cura per la mitica serie Das Alte Werk della Telefunken (o Teldec) si trovano abbastanza facilmente su eBay a buon prezzo, 15 € o meno inclusa spedizione (dalla Germania quasi sempre). E sono sempre semi nuovi o proprio mai suonati, come questo.


Ma sul retro copertina si può leggere: "This TELDEC DIGITAL RECORDING establishes new standards for optimum sound quality. Digital magnetic tape recorders were used for the recordings. In addition, a newly developed microphone technique and ultra-modern production facilities were employed. Compared with cenventional analagous recordings it is now possible to produce completely faulltless and authentic recordings. In order to retain these significant improvements of the quality on the conventional (analogous) disk, the fabrication process has been further enhanced.
This TELDEC DIGITAL RECORDING offers: - clarity and transparency of sound obtained until now only by "Direct Cut" methods, no tape hiss, high impulse fidelity, no sound compression, optimum dynamic range of the program material".

Naturalmente avrei preferito un disco registrato con "conventional analogous technology" e magari con la tecnica di incisione "direct cut" (ovvero Digital Metal Master o DMM) citata ma non usata qui, ma la incisione all'ascolto è comunque valida oltre che essere un'esecuzione storica per questo repertorio. Probabilmente però il prezzo particolarmente conveniente (4,99 £) derivava proprio da questa parola "digital". Ma a questo punto emerge una curiosità: come l'avranno registrato?

Il digitale prima del CD
E' nata assai prima del CD la tecnologia digitale PCM, come si sa, per la precisione, durante la II Guerra Mondiale, nei Bell Labs, anche come forma di crittografia per trasmettere il parlato in modo non intercettabile dai tedeschi. La tecnologia digitale per il suono (ancora parlato) è arrivata poi alle radio nel 1960 con la rete radiofonica giapponese NHK, che ha sviluppato i primi registratori PCM (erano a 13 bit come parola e 32KHz come frequenza di campionamento, neanche disprezzabili). Per l'utilizzo con la musica sono passati altri 8-9 anni e ancora una compagnia giapponese, la Denon, ha iniziato questa nuova avventura partendo proprio dalla tecnologia NHK, nel 1969.
E così è stato registrato e pubbliacato il primo disco digitale, Something di Steve Marcus (un sassofonista americano) nel 1971. Nel frattempo la Denon stava migliorando la tecnologia NHK e nel 1972 metteva in produzione un registratore digitale ad 8 canali, con risoluzione a 13 bit e frequenza di campionamento 47,25KHz (già superiore a quella del CD). La registrazione avveniva su normali nastri a bobina da computer già comuni a quel tempo. Il primo LP registrato con questa tecnologia conteneva i quartetti di Mozart K458 e K471 eseguiti dal quartetto Smetana. Ovviamente l'etichetta era Denon.

L'ingegnere della Denon Takeaki Anawanacon il registratore digitale Denon DN-023R,
il primo mdello a 13 bit.

Nel 1977 la Denon sviluppa un ulteriore modello più perfezionato, a 14 bit con enfatizzazione (corrisponde a 15,5 bit) e sempre la stessa frequenza. Prestazioni di targa quindi superiore a quelle del mio primo lettore CD Philips di qualche anno dopo (poi da me incautamente venduto) che era 14 bit e 44.1KHz, seppur con oversampling.
Negli stessi anni in USA una compagnia chiamata SoundStream sviluppava il PCM per la musica con una risoluzione maggiore, 16 bit, prima con frequenza ancora limitata a 37,5KHz (non arrivava quindi alla frequenza audio di 20KHz) ma nel 1978, con un incremento di prestazioni, sono arrivati a 16 bit / 50KHz, quindi meglio del CD e pure del DAT, e hanno anche pubblicato alcuni dischi di classica con questo formato.
In Europa un percorso analogo lo seguiva la Decca, negli stessi anni, con alcune incisioni digitali all'attivo.

Il digitale che però è analogico
Tutto questo sforzo orientato ad una registrazione digitale, quindi secondo le aspettative del tempo più pulita e trasparente (con meno distorsione conosciuta ma, come sappiamo con più distorsione ancora non conosciuta) era però abbastanza sterile, visto che poi il tutto doveva essere convertito di nuovo in analogico e trasferito su un media certo non ottimale come dinamica, rumore di fondo e distorsione, il vinile appunto.
Qui veniva in soccorso la tecnica "direct cut" o DMM messa a punto proprio dalla Telefunken assieme alla Neumann. Il master per stampare i vinili veniva prodotto con una incisione su supporto metallico anziché su una classica "lacca" con parecchi vantaggi in termini di qualità delle stampe e di minori passaggi (su Wikipedia ampie spiegazioni). Ma il vinile che avevamo a casa alla fine di tutti questi sforzi sempre quelle prestazioni aveva.

E il mio nuovo come è stato registrato?
Non ho trovato informazioni sulla tecnologia che usava la Telefunken ma, poiché l'album è stato prodotto nel 1982, anno di nascita del CD, è probabile anzi quasi certo che usassero gli stessi registratori digitali con cui si accingevano a produrre le prime registrazioni (DDD = digital recording, digital mixing, digital transfer). Quindi i primi modelli messi a disposizione delle case discografiche da Sony e Philips, 16 bit e 44.1 KHz e multicanale. Con parecchi limiti nei Codec e nei DAC, come sappiamo.

Sarebbe stato meglio non lasciare la strada vecchia per la nuova?
Certamente sì, con quello che sappiamo ora. Fantastici registratori analogici da 1 pollice e 38 cm/sec, registrazioni dirette senza mixer a 2 canali o al massimo 4, microfoni a condensatore già ai massimi livelli, stampa magari senza master, "direct-to disc", tutte cose che sono oggetti del desiderio oggi e che alla Telefunken erano lo standard, erano neglette e trascurate per creare un "quasi CD" negli anni in cui il vinile e chi lo produceva viveva un acuto complesso di inferiorità. Peccato, ma la tecnologia a volte ha corsi e ricorsi storici.

Però è lo standard di oggi, o quasi
Non possiamo più di tanto stupirci o scandalizzarci, se compriamo vinili nuovi e non vinili usati come faccio io. I vinili prodotti oggi, salvo rarissimi casi, sono prodotti nello stesso modo: una registrazione digitale che poi viene riversata in analogico.
E' molto migliore il registratore digitale, perché ora è un componente ad alta risoluzione, 32 bit e 382 KHz almeno, e anche il trasferimento su vinile è migliorato e meno soggetto a difetti di stampa (infatti i vinili nuovi costano un occhio della testa).
Quindi risultati senza dubbio buoni e all'altezza dell'alta definizione. Ma se vinile deve essere, che vinile sia, a partire dal nastro a bobina per la registrazione.

(Le informazioni sui primi passi del digitale in musica sono tratti dallo studio The Dawn of Commercial Digital Recording di Thomas Fine, pubblicato dall'ARSC Journal dell'Audio Engineering Society nel 2008)

mercoledì 20 dicembre 2017

Che fine ha fatto la sospensione pneumatica ?

Non c'entra niente con gli ascensori e neanche con le macchine francesi, ma e' invece l'argomento preferito degli appassionati negli anni d'oro dell'alta fedeltà, nei primi '70. Il sistema bass-reflex era adatto al rock e alla disco, o alle sonorizzazioni, magari aggiungendo altoparlanti a tromba per le medio-alte, ma per il jazz e soprattutto per la classica era quasi obbligatoria la sospensione pneumatica, in altre parole: il passaporto per la vera alta fedeltà. Ma a quanto pare alla lunga il bass-reflex ha vinto, perché la sospensione pneumatica (acoustic suspension, in inglese) è praticamente sparita.

Come è accaduto?
Per capire cosa è successo e se ciò è stato un male o un bene o qualcosa di inessenziale per il nostro sistema uditivo, bisogna ricordare per grandi linee di cosa si tratta. Nelle prime "casse acustiche" dell'era del microsolco ovvero dell'avvento del Hi-FI la "cassa" era effettivamente quello che il nome faceva intendere: un contenitore per l'altoparlante, spesso un larga banda. Poi sono arrivati gli altoparlanti per le alte ma è rimasto il problema della estensione verso le basse frequenze. L'altoparlante come sappiamo non è altro che un pistone che spinge alternativamente l'aria, e come la spinge in avanti verso le nostre orecchie, provocando le onde sonore che noi chiamiamo "suono" le spinge anche indietro.  Sulle basse è venuta subito l'idea ai costruttori di non sprecare quel suono e aggiungerlo a quello anteriore, aumentando così l'efficienza, obiettivo importante quando gli amplificatori erano solo a valvole e ottenere grandi potenze era complesso e costoso. Ma anche nei primi anni dei transistor il problema si spostava molto poco. 


Le AR-11, modello semplificato delle AR-10p, nell'ambientazione casalinga pensata per loro dai pubblicitari per la brochure di presentazione del diffusore.
Ma il problema vero per gli appassionati era un altro: la scarsa precisione dei sistemi di recupero delle onde posteriori. Lasciando perdere i primi sistemi quasi totalmente aperti posteriormente, nei quali le riflessioni (il recupero) erano lasciate alle pareti posteriori della stanza, i primi bass reflex utilizzavano un condotto di accordo realizzato in vari modi per "accordare" l'output posteriore con l'anteriore. Soltanto che realizzare un accordo che non fosse ben funzionante solo nell'ambiente del produttore o solo a certe frequenze non era affatto facile, non potendo modellizzare in modo corretto  né le caratteristiche dell'altoparlante ne' quelle dell'accordo. 

E così nacquero i diffusori bookshelf

Uno studioso del settore, Edgar Villchur, con il supporto di un suo allora giovane allievo, Henry Kloss, anche lui in seguito tra i fondatori della attuale hi-fi, ideò una soluzione efficace e con ulteriori vantaggi collaterali. L'idea era di utilizzare in modo diverso la emissione posteriore: non per rafforzare quella anteriore ma per controllarla e linearizzarla, riducendo la distorsione. Senza entrare in dettagli che si possono trovare ovunque sul web, la cassa era completamente chiusa e l'aria all'interno veniva usata come una sospensione, una molla pneumatica appunto, che si opponeva in parte ai movimenti del cono evitando che andassero fuori dal range ammesso. Qualcosa di analogo, se i puristi dell'hi-fi me lo consentono, agli ammortizzatori nelle sospensioni delle automobili. Maggior controllo e minore distorsione consentivano di sfruttare al massimo la estensione in frequenza dell'altoparlante dei bassi, il woofer, e quindi estendere la risposta senza dover arrivare a dimensioni importanti e invasive delle casse.

Che diventavano così di dimensioni accettabili, anche inseribili, volendo, in una libreria, ovvero su uno "scaffale per libri" (bookshelf). L'alta fedeltà poteva estendersi quindi anche agli appartamenti, e diventare non dico di massa ma avviarsi in questa direzione. Eravamo alla fine degli anni '50, Villchur fondava la Acoustic Research, o AR, che diventava in breve il produttore numero 1 nel mondo dell'alta fedeltà, se non del tutto come vendite, certamente per influenza e notorietà. E anche il primo a mettere in vendita, dal modello 3a, il tweeter a cupola (dome tweeter) diventato poi di uso universale.
(Nella pagina pubblicitaria della AR dei primi  anni '70  il testimone è Miles Davis. Che evidentemente era alla ricerca dei bassi potenti, visto il posizionamento delle casse in terra e in angolo.)
Un prezzo da pagare
AR-10
Ma uno svantaggio esiste rispetto al sistema bass-reflex: la minore efficienza, e quindi la necessità di adottare amplificatori di maggiore potenza. Che però con i sistemi a valvole migliorati grazie alla domanda crescente nella seconda metà dei '60 e poi con i sistemi a transistor dei '60, diventavano meno difficili da produrre e anche accessibili. In sintesi, la sospensione pneumatica consentiva di produrre diffusori compatti e con qualità di riproduzione superiore alle casse tradizionali dell'epoca, ma non più economici, se di fascia alta. Come le AR11 della prima foto in alto (tratta da una brochure d'epoca), modello semplificato delle 10qui a fianco, il  punto di arrivo della produzione classica AR. Ma anche di produrre diffusori molto compatti e pure relativamente economici con qualità ancora accettabile e incomparabile con i diffusori economici dello stesso periodo. Come le due vie di AR, le AR 6 e AR 7, ancora con tweeter a cono per un incrocio accettabile con il woofer sovradimensionato.
(Nella immagine a lato la AR-10ℼ, il punto di arrivo dei vari perfezionamenti seguiti allo storico capostipite delle AR di fascia alta, la AR-3 del 1958).

La cassa chiusa
Una precisione sulla "cassa chiusa" (sealed box in inglese), una denominazione che spesso è usata come sinonimo di "sospensione pneumatica", ma non lo è. Casse chiuse esistevano anche prima, ma erano dei semplici contenitori che evitavano di mandare nell'ambiente l'emissione posteriore, annullando le sovrapposizioni non richieste. Ma la emissione posteriore rimaneva ugualmente dentro la cassa, interferendo in modo non prevedibile con i movimenti del cono, che peraltro era allora praticamente sempre in cartone trattato, e quindi soggetto a deformazioni (e alterazioni nella risposta). Mentre la sospensione pneumatica era progettata secondo un modello matematico, e includeva anche un abbondante uso di materiale assorbente (allora la oggi vietata lana di vetro) (vedi precisazioni nei commenti) per controllare le riflessioni interne, assieme ad una grande rigidità della cassa, con rinforzi interni. Cassa che ovviamente non era "sigillata" perché ovviamente per avere un effetto di molla era necessario un limitato movimento d'aria, e quindi l'altoparlante, di solito dal centratore, ne consentiva un moderato passaggio.

Poi cos'è successo?
AR-91
Per qualche anno la sospensione pneumatica si è diffusa sino a dominare completamente il mercato nella fascia media e alta, lasciando al bass reflex l'utilizzo specializzato (musica rock, r&b, disco) e le sonorizzazioni, ma con adepti fedeli al suono dei grandi rivali di AR, JBL e Altec in primis. Anche i primi modelli di fascia alta della B&W come le DM-6 o le 800 prima versione erano in sospensione pneumatica. Nel frattempo alcuni produttori andavano perfezionando l'utilizzo della emissione posteriore, con woofer passivi, come le assai diffuse Kef 104, grande successo della casa inglese, o i sistemi a linea di trasmissione come le sempre inglesi TLD.

Ma la vera svolta si è avuta con l'arrivo sul mercato (grazie alla sua crescita) di molti nuovi produttori di altoparlanti, che adottavano anche nuove tecnologie e materiali, e consentivano di controllare già all'origine quelle distorsioni che erano corrette o attenuate dalla sospensione pneumatica. In pratica, diminuiva molto l'esigenza. E in parallelo l'aumento della potenza di calcolo dei PC a parità di costo ha consentito a un numero sempre maggiore di produttore di dotarsi di strumenti di modellazione più raffinati e non "a orecchio", consentendo così di calcolare in modo esatto ed ottimale per vari ambienti l'accordo posteriore.
I vantaggi della sospensione pneumatica diminuivano fortemente ma restavano gli svantaggi, e la produzione e il mercato sono andati da un'altra parte. La AR è scesa di posizioni fino quasi a sparire negli anni '80 e il numero di case che adottavano questo sistema si è ridotto velocemente a poche unità (a parte le casse attive e i sub woofer, ma dovrei allargare il discorso).
(Nella foto il "canto del cigno" della AR, per quanto riguarda la linea di diffusori ancora bookshelf: le AR-91 del 1980).

Ora si trovano ancora?
Usate certamente e molto ricercate, a parte le AR si deve citare anche la cassa acustica più famosa in assoluto, credo, il mitico mini-diffusore LS3-5A della BBC, prodotto negli anni su licenza da Rogers, Harbet, Spendor e soprattutto Kef, i cui altoparlanti erano adottati dal brillante progetto.
Nel nuovo, sempre meno, tra i produttori noti forse solo la NHT ha una gamma di speakers tutti in sospensione pneumatica, scelta tecnologica da sempre della casa, Ma ultimamente sembra esserci un ritorno di interesse, con i nuovi modelli "replica" di Yamaha (la NS-690 replica) accompagnati da mini casse acoustic suspension quasi da scrivania di cui si parla molto bene (NS B310BL).
Ed è un peccato perché probabilmente i sistemi a sospensione pneumatica avrebbero ancora molto da dare come tecnologia.

Le Yamaha NS-690 degli anni '70, considerate anch'esse dei classici della riproduzione in sospensione pneumatica, evidenziano una stretta parentela con il progetto Ar-3 e posteriori.

venerdì 10 novembre 2017

Il vinile oggi

Il vinile oggi, ha ancora un senso? O, per essere più precisi, esiste una motivazione razionale per dotarsi di questo affascinante sistema di riproduzione?
Escludendo ovviamente quelli, ragazzi degli anni '60 o '70 per lo più, che hanno una grande discoteca di centinaia o migliaia di vinili e non perseguono l'insano proposito di liberarsene.

Se la motivazione è ascoltare la musica beneficiando dei vantaggi reali o presunti del suono analogico, la risposta non può che essere negativa o almeno dubbia. Perché la produzione nuova, pur abbastanza ampia ormai, è una goccia nel mare della produzione totale.  Ed inoltre, è analogica per modo di dire, perché la registrazione e' praticamente sempre in digitale.
Più estesa la scelta tra le ristampe, anche perché il target sono essenzialmente i sopra citati ragazzi degli anni '60 e '70, che hanno la tendenza, come noto, di ricomprare sempre gli stessi dischi. In questo caso, gli LP comprati appena usciti, risparmiando sulla paghetta, poi rovinati o persino venduti, poi ricomprati in CD ora abbandonati e negletti e sostituiti con vinili da 180g.

Un ecosistema premium
Ma il vinile e tutto il suo affascinante corredo di strumenti per suonarlo, non deve essere visto come un mezzo per ascoltare la musica, ma come un ecosistema (ora si usa questa parola) che trasmette sensazioni di autostima, di differenziazione, di apprezzamento per il bello seppur per altri superfluo, di raffinata estetica. In altre parole quello che nel marketing e' indicato spesso come "premium" pensando soprattutto alle auto pensate per distinguersi e dare una sensazione di unicità ai proprietari. Sulla scia della riuscita riedizione della Mini curata dalla BMW.

La copertina folding (doppia e apribile) di un LP che è un tipico esempio di copertina da collezione, di grande impatto. Stranded dei Roxy Music.
In un mondo più vicino ai dischi si può fare un parallelo, con i libri d'arte o di fotografia. Per vedere le foto di McCurry o di Salgado ci basta un buon PC con uno schermo HD, ma il grosso e pesante libro di fotografia, appoggiato casualmente e in bella vista nella nostra libreria, trasmette messaggi positivi e gratificanti al visitatore occasionale, e fornisce anche a noi il piacere di sfogliarlo e godere delle immagini, pur ben note, in grande formato ed eccellente stampa.

Ma la nostra libreria non è costituita solo da libri d'arte, si tratta di scelte mirate, e che vogliono anche veicolare un messaggio su di noi, sulle nostre preferenze, sulla nostra cultura nel campo dell'arte e della fotografia, o della nostra originalità o capacità di essere controcorrente. Un esempio di questo uso ormai tipico del libro d'arte si può vedere nel noto film Carnage di Roman Polansky. Analoghi messaggi possono essere veicolati dai grandi LP con le loro colorate e originali copertine, come quella di Stranded che si può vedere sopra, ma anche con il messaggio insito negli artisti scelti e nei loro album. Meno esteticamente gestibili e mostrabili dei libri d'arte però, soprattutto se disposti, come richiesto dalle buone norme di conservazione, all'impiedi e di costa. Qualcuno particolarmente amato dovrà essere ben visibile.

Gli LP però hanno anche l'esigenza di non essere uno sparuto gruppetto, indice di una passione molto superficiale e poco sincera. Ne serve qualche scaffale, come mostrato in un altro divertente film con Ben Stiller e Naomi Watts (Giovani si diventa) quando il protagonista entra nella casa della sua controparte Adam Driver (il giovane) che invece che una parete di CD come lui, ha una parete di LP, ovviamente d'epoca.

Quindi per concludere questa premessa sulla possibile spinta "estetica" alla costituzione di una discoteca di LP da zero, oggi, bisogna anche preoccuparsi di acquisire una discreta collezione, cosa non difficile intercettando i non pochi che se ne vogliono liberare per motivi di spazio o di irreversibile scelta digitale.

Lo strumento giusto
Per completare il percorso verso il vinile come affascinante ecosistema d'immagine occorre anche prevedere una giusta scelta per il giradischi e i suoi necessari accessori. Qui non servono quei giradischi esagerati da mostra d'alta fedeltà, pesanti come una Harley Davidson e costruiti con leghe usate solo per le navicelle spaziali. Basta molto meno, anche se non quei giradischi super essenziali tipo Rega Planar 3 o Pro-Ject Debut, ma comunque qualcosa che mostri sostanza e peso, e materiali esclusivi o pregiati, quindi a scelta legno, perspex o acciaio. Preamplificatori phono o testine sono meno critici perché meno visibili e dall'utilità ignota ai più.

Non è il caso di mettere qui come suggerimento uno o più modelli in commercio, il blog sembrerebbe una classica rivista del settore con articoli redazionali, quindi come esempio di giradischi di sicuro effetto inseriamo qualcosa che non è più in produzione da tempo, per esempio il lineare e splendido Luxman PD 277. Una trazione diretta, alcuni appassionati storceranno il naso ma, state sicuri, il suo lavoro lo fa comunque bene.


Oppure un super-classico di sicuro effetto (e qualità sonora); un Linn Sondek LP12 usato.


Oppure, volendo spendere meno, un classico intramontabile, che può funzionare anche ottimamente se in eccellenti condizioni e posizionato perfettamente, e con testina adatta a un braccio non perfetto (o con braccio non standard): il Thorens TD160:


Oppure ancora qualcosa di tecnologicamente vintage sino ad un pizzico di bizzarria, altro classico dell'alta fedeltà d'annata, il Denon DP62L, un altro esempio perfetto della stagione d'oro del direct-drive.


La soluzione per appassionati di musica
Ma chi non è interessato alla propria immagine e ai benefici che ne possa ricavare da un oggetto affascinante come un giradischi, accompagnato da una piccola ma raffinata collezione di vinili, ma ha invece come interesse solo la musica, può seguire anche un diverso approccio per scegliere il vinile come sorgente aggiuntiva.

Il motivo sono gli LP acquistabili sul mercato dell'usato. Non si trovano forse più le eccezionali occasioni di qualche anno fa, ma i proprietari di vinili che vendono la loro collezione sono ancora molti e i negozi che fanno da intermediari altrettanto. Quindi soprattutto sulla classica o sul rock meno noto e meno oggetto di collezionismo si trova ancora molto e a costi ragionevoli.
Aggiungendo che non è vero che il vinile sia così delicato e anche gli album usati possono essere perfettamente ascoltabili, avendo le necessarie attenzioni nella scelta e nella verifica preventiva.

Così con uno sforzo economico limitato si può mettere insieme una libreria musicale analogica di tutto rispetto, anche se non costituita dai 1000 dischi citati di solito nelle lettere degli appassionati (ma sarà vero?), ma grazie alla quale si potrà ascoltare molta buona musica e anche scoprire, grazie alla casualità del mercato usato, nuovi mondi musicali.
E beneficiando, soprattutto, del suono del vinile che, per motivo mai ben spiegati, risulta al nostro ascolto particolarmente gradevole, caldo, musicale, naturale.

domenica 29 ottobre 2017

La scelta del primo impianto hi-fi

Sul blog ci sono diversi articoli dedicati a come inserire una sorgente per "musica liquida" in un impianto tradizionale, questo nuovo post è dedicato invece a chi vuole mettere insieme per la prima volta il suo impianto, a chi ha deciso di ascoltare la musica al meglio, dando ovviamente la priorità allo standard attuale, alla musica digitale.

Il questionario
La musica digitale consente una notevole creatività ai progettisti di "hardware" componendo in modi diversi i componenti essenziali, ormai arrivati in gran parte a prestazioni un tempo solo professionali con prezzi all'origine veramente ridotti. Quindi le alternative sono diverse, e l'unico modo per individuare quella che fa per noi lo strumento più adatto rimane il questionario.

Ecco quindi il primo questionario (almeno credo) per comporre il proprio impianto hi-fi per la musica liquida, con le domande e le diramazioni in base alla risposta. Con queste premesse: il questionario è orientato a un impianto stereo per ambienti medio grandi, non da scrivania, ascoltabile anche da più persone, ed espandibile, con diffusori separati e sostituibili con altri di livello superiore o di diverse caratteristiche. Non quindi a soluzioni all-in-1, speaker wireless, a cui abbiamo dedicato un precedente post

Percorso A
  1. Hai una collezione di CD?
    • No, pochi o nessuno: Vai alla domanda 2
    • Si, ma vorrei archiviare tutti i CD su uno storage e metterli via per sempre: Vai alla domanda 2.
    • Si: Vai al Percorso B
  2. Sei interessato all'HD (alta definizione)?
    • No, solo se effettivamente disponibile in Italia o in streaming: Val alla domanda finale 3
    • Si: Vai al Percorso B, Domanda 4.
  3. Ottimo: L'impianto che ti servirà sarà il più semplice e anche il più economico rispetto alle prestazioni: Vai alla descrizione dell'Impianto A nelle sue due varianti.
Percorso B
  1. Quante volte riascolti i CD della tua collezione?
    • Qualche volta, in particolare per i miei preferiti: Vai alla domanda 2:
    • Mai o quasi: Vai alla domanda 3.
  2. I dischi che riascolti sono disponibili in streaming su Tidal?
    • No, sono rari (esecutori di classica, italiani, world ...): Vai alla domanda 4
    • Si: Torna al Percorso A, domanda 2
  3. Sei interessato all'HD (alta definizione)?
    • No, solo quando sarà disponibile effettivamente in Italia o in streaming: Val al percorso A, domanda finale 3.
    • Si: Vai alla domanda finale 4.
  4. In questo caso ti serve un impianto più complesso e articolato, ma non troppo grazie alla tecnologia digitale. Vai alla descrizione dell'Impianto B.
L'impianto A
In questo caso l'impianto può essere così semplice da richiedere anche un solo componente fisico, a parte il tablet. Tutto quello che serve è:
  • Variante A1
    • Un tablet 
    • L'abbonamento a un servizio streaming in qualità CD 
    • Una coppia di diffusori attivi e wireless
  • Variante A2
    • Un tablet
    • L'abbonamento a un servizio streaming in qualità CD 
    • Un connettore / DAC Chromecast Audio
    • Un amplificatore
    • Una coppia di diffusori tradizionali
Impianto - Variante 1

Note esplicative Impianto A
La prima cosa da sottolineare è la scelta logica e conseguente di un servizio streaming in qualità CD: poiché si parte da un ridotto o semi inesistente numero di supporti in proprio possesso, è chiaro che un servizio che costa poco più di un CD al mese e consente di ascoltarne anche uno al giorno ha una convenienza economica e pratica imbattibile. Se poi non interessa l'alta definizione e si può aspettare che arrivi anche sullo streaming con MQA cade l'ultimo motivo per una soluzione più complessa (la B). Altre informazioni:
  • Il tablet è indicato solo perché più comodo, potrebbe anche essere uno smartphone. Può essere indifferentemente IOS o Android.
  • Il servizio streaming: l'unico disponibile in Italia in qualità CD e con catalogo per tutti generi al momento è Tidal (si attende l'arrivo di una versione lossless di Spotify). Un'alternativa per chi intende ascoltare solo classica sull'impianto (e/o per altri generi accetta lo streaming lossy) è l'ottimo servizio Idagio, che costa 7 €/ mese contro i 20 E / mese di Tidal.
  • Nella prima fase di messa punto e familiarizzazione dell'impianto si può anche ricorrere ad un normale abbonamento Spotify da 10 € / mese.
  • I diffusori attivi wireless: sono la soluzione più semplice immediata e "senza pensieri". La scelta però al momento non è molto ampia, se parliamo di componenti di qualità riconosciuta e non da supermercato di elettronica. Al momento sono da citare in particolare la serie Xeo di Dynaudio e le Kef LS 50, prezzi dai 1.000 ai 3.500 €, che comprendono anche gli amplificatori e DAC interni; non serve niente altro.
  • La variante 2 è adatta invece a chi punta più in alto, a diffusori di caratteristiche superiori,  o per ambienti più grandi, e a una maggiore flessibilità per future esigenze (altre sorgenti analogiche, ad esempio), o punta al contrario a componenti più economici, usati o reperiti da parenti ed amici o magari con rapporto qualità / prezzo particolarmente conveniente.
  • Tutto il lavoro di connessione e di decodifica lo fa in questo caso Chromecast Audio che ha come noto un prezzo veramente ridotto (39 €) e che per un successivo upgrade può anche essere dotato di un DAC esterno di maggiore qualità (obbligatoriamente con ingresso S/PDIF).
Impianto A - Variante 2
L'impianto B
La esigenza di utilizzare come sorgenti supporti fisici e/o file audio acquisiti in download e archiviati da qualche parte rende inevitabilmente più complesso l'impianto, anche se per fortuna esistono ormai molti lettori multiformato che gestiscono entrambe le sorgenti. Per l'ascolto si possono adottare in questo caso sia diffusori (o "casse") attivi wireless, sia la classica accoppiata amplificatore - casse passive. Per questa tipologia di impianto la seconda alternativa sarà quella più comunemente scelta. In sintesi i componenti sono:
  • Un lettore multiformato
  • L'abbonamento a un servizio streaming in qualità CD o lossy
  • Uno storage server
  • Variante 1
    • Un amplificatore stereo
    • Una coppia di diffusori stereo tradizionali, o in alternativa:
  • Variante 2
    • Un amplificatore multicanale
    • 5+1 (o 5.0) diffusori per multicanale:
      • 2 stereo anteriori
      • 1 centrale anteriore
      • 2 effetti posteriori
      • 1 subwoofer (opzionale)
Impianto B - Variante 1
Note esplicative Impianto B
Anche in questo impianto è molto utile un servizio streaming. Anche se la preferenza è verso l'acquisto della musica, su supporto fisico o immateriale, è sempre molto comodo poter ascoltare alla stessa qualità in anteprima, e ad una frazione del costo, gli album o i brano di cui abbiamo sentito parlare bene e che ipotizziamo di acquistare.
L'elemento centrale è in questo caso il lettore multiformato, che deve poter gestire:

  • Supporti fisici CD
  • Supporti fisici HD (SACD, DVD-Audio, Pure Audio Blu Ray)
  • Decoder interno e uscite stereo e multicanale
  • DAC compatibile con PCM almeno fino a 24/192 e DSD fino a DSD256
  • Supporto DLNA
  • Ingresso USB 3.0
  • Supporto streaming Tidal e Spotify
  • 2 o più ingressi analogici (pin-jack RCA)
  • 2 o più ingressi digitali (almeno 1 USB e 1 S/PDIF)
  • Connessione wireless (Wi-Fi e Bluetooth APTX)
  • Una app dedicata per comando da remoto
Quasi tutte queste funzionalità sono presenti in gran parte dei modelli presenti sul mercato. Un player che li ha tutti ed è ormai uno standard e un riferimento di mercato e tecnologia è l'Oppo BDP-105, ma se non è necessaria tutta questa versatilità sono possibili alternative. Se ad esempio non avete SACD o altri supporti HD è sufficiente in alternativa un lettore CD con uscita digitale ed un network player tipo i Marantz 6005 od 8005 o similari di Denon, Onkyo, Naim, Linn ecc.

La musica acquisita in download va archiviata in un network storage collegato al lettore multiformato o al network player. La soluzione più semplice è un hard disk esterno collegato in USB (la connessione però deve supportare tutti i formati e tutti i bitrate, senza limitazioni). La soluzione più comune e più affidabile è però uno storage server connesso in DLNA, che può essere un NAS o un hard disk (di adeguata capacità, 1 TB e oltre).
Impianto B - Variante 2 (multicanale)
Variante 2
La variante 2 in multicanale è particolarmente interessante per unire l'impianto audio con l'impianto video, cosa assai utile quando sono nello stesso ambiente. Ovviamente i costi salgono ma la praticità e la sinergia anche. Scegliendo questa soluzione (o passandoci in tempi successivi) bisogna curare in particolare la qualità dell'amplificatore multicanale e dei diffusori, che devono essere dello stesso produttore per coerenza timbrica (a meno di essere veramente molto esperti). L'investimento sarà più consistente ma non proibitivo. In questo caso è l'audio che pone maggior vincoli rispetto al video, ma il video ne avrà grande beneficio.

E l'ascolto in cuffia?
In tutte e due le soluzioni è molto semplice e già inclusi l'ascolto in qualità CD : basta una buona cuffia stereo da collegare al tablet e il servizio streaming attivato in locale. Nella soluzione B per l'ascolto in qualità HD o di file audio nello storage server è sufficiente installare sul tablet un player HD compatibile DLNA che accede direttamente allo storage server (come NePlayer recensito in questo post o similari) e ovviamente un cuffia stereo.

In sintesi
Come si vede mettere assieme un impianto che garantisce un ascolto in alta fedeltà nell'era della musica digitale e dematerializzata è molto semplice, è economico e ha anche un impatto quasi trascurabile sull'abitazione e il suo arredo (considerate che la soluzione A variante 1 è senza cavi di collegamento e anche la 2 ha solo cavi di limitata lunghezza).

venerdì 20 ottobre 2017

Stato del download HD a ottobre 2017

Come quasi tutti gli anni dall'ornai lontano 2009 (non erano ancora diffusi gli smartphone, per dire) pubblico un aggiornamento sullo stato di promozione e diffusione della musica in alta definizione in download. Aggiornamento che rispetto all'ultimo (2015) praticamente non c'è, perché la situazione si è cristallizzata sui due segmenti di mercato classica e moderna, con disponibilità sempre più differenziata. La sintesi è questa:
  • Musica classica: gli ascoltatori interessati all'HD hanno una vasta scelta di materiale audio sia su supporto fisico sia in download, in maggioranza PCM ma anche con una quota crescente di DSD. Rimangono fuori solo le uscite recenti delle major e soprattutto quelle dei divi tipo Lang Lang, Yuja Wang o Avi Avitar, ma dopo pochi mesi quando non sono più novità si possono scaricare legalmente, almeno in qualità CD;
  • Musica moderna (ovvero tutto quello che non è classica): il download in HD esiste, e sempre comunque con disponibilità di titoli non molto vasta, soltanto in USA, Canada e alcuni paesi europei (UK, Francia, Germania). Negli altri paesi e in particolare e maggiormente in Italia sostanzialmente non esiste, la disponibilità di musica in HD è una eccezione da verificare caso per caso.
Il post di aggiornamento potrebbe anche chiudersi qui, ma provo a dare qualche altra informazione e chiarimento (dopo una immagine quasi obbligatoria di Yuja Wang).


La classica
Situazione stabile: diverse etichette con produzione più o meno ampia hanno il loro negozio on-line dove è possibile acquistare sia in download sia su supporto fisico con invio via posta, sia in formato HD normalmente 24/96 (ma variabile per edizione) sia in qualità CD, sia anche lossy.
Tra le etichette con ampio catalogo da citare è sempre Hyperion Records e tra i negozi online che trattano più etichette eClassical e Presto Classical.
Per cercare quello che interessa e in particolare il materiale in DSD (che non è ancora molto diffuso) è sempre utilissimo il portale FindHDmusic che consiglio di consultare anche per verificare se si aggiungono altri interessanti negozi online.

NB: Il sito FindHDMusic ha cessato le attività ad aprile 2020

Negli stessi negozi online e nei siti delle etichette specializzate (2L Nordic Sound, ad esempio) si possono acquistare album in HD anche su supporto fisico, in maggioranza SACD e in alcuni nell'(inutile) formato Pure Audio Blu Ray. La produzione di SACD, spesso anche con il contenuto musicale in alternativa in multicanale continua quindi tranquillamente, nella classica.

La musica moderna
Qui invece nulla è cambiato, l'alta definizione ma anche la qualità CD o lossless non sono un mercato che interessa alle major (e neanche alle indies) che preferiscono non vendere se non nei 5 paesi elencati prima.
Cercando un qualsiasi nome del rock o del jazz su FindHDmusic si può ottenere l'elenco degli album disponibili in HD. Ad esempio per Ben Harper oggi sono 12 dai seguenti negozi online: AcousticSounds, HDtracks (Germany), HDtracks (UK), HDtracks (USA), HIGHRESAUDIO, ProStudioMasters.

L'unico che vende anche nel nostro paese poco amato dalle major è HIGHRESAUDIO (basato in Germania), ma per questi album (più o meno tutti quelli pubblicati dall'artista californiano) l'avvviso con tanto di scuse è il seguente:
"I`m sorry!

Dear HIGHRESAUDIO Visitor,
due to territorial constraints and also different releases dates in each country you currently can`t purchase this album. We are updating our release dates twice a week. So, please feel free to check from time-to-time, if the album is available for your country.
We suggest, that you bookmark the album and use our Short List function.
Thank you for your understanding and patience.
Yours sincerely, HIGHRESAUDIO"

Quanto sopra vale anche per la qualità CD che peraltro ha una disponibilità pari all'HD, nel senso che praticamente non esiste una distribuzione in download in qualità CD, se non per qualcosa da Qobuz (ma sempre e comunque non in Italia). Da notare, inoltre, che essendo quasi tutti album usciti 10 anni fa o giù di lì il riferimento alle date di rilascio è privo di senso.

Che fare
A parte aspettare fiduciosi e molto ottimisti come consiglia il sito tedesco (ma forse bisogna aspettare che falliscano anche le ultime 3 majors rimaste) si possono seguire, per procurarsi album in HD, solo tre strade (+ una):
  1. usare un simulatore per presentarsi come visitatore dai paesi "buoni"
  2. ricorrere ai siti illegali (vedi post precedente)
  3. comprare SACD su eBay e altri siti a caro prezzo (i SACD quando lo proponevano le major non li comprava nessuno, ora vanno all'asta da 40 € in su).
  4. abbandonare l'idea del download HD.
Inutile sottolineare che i primi due sistemi sono illegali e il primo lascia anche aperta la porta del nostro PC a spyware e malware vari, che faranno di tutto per restare con noi.

Personalmente mi rifiuto di pagare (e non poco) per qualcosa che chi la possiede non mi vuole vendere perché sono italiano, e che per di più mi richiede un'azione illegale, e seguo quindi la strada n.4. Ho comprato SACD sia in negozi sia su eBay quando costavano poco, ma ora il differenziale di costo rispetto al differenziale di qualità, facendo riferimento allo streaming in qualità CD, non è giustificato, almeno per me. Aspetto una maggiore diffusione di materiale codificato MQA (vedi recensione di Tidal) e se voglio spendere soldi per qualcosa di appagante (anche all'ascolto) allora acquisto vinili.

martedì 10 ottobre 2017

Gizmo Remote per J River alla prova

Come gli altri media center (o media library) anche J River può essere comandato da remoto da una app, che consente di selezionare l'album o la playlist o il brano singolo da ascoltare, controllare l'ascolto con i classici comandi e così via. L'ascoltatore quindi, una volta attivato il media center sul suo PC Mac o Windows usato come music server, può fare quasi tutto quello che gli serve per un ascolto piacevole ed efficace dal suo smartphone o tablet.

Per J River sono disponibili due app per la gestione da remoto, una gratuita ma solo per Android, una a pagamento (poco più di 10 €, tanto nel settore app) anche per IOS, prodotta a quanto sembra dallo stesso gruppo J River.

Entrambe le app hanno anche la funzione di ascolto in locale dallo smartphone o dal tablet, sulle cuffie stereo, e quindi svolgono anche il compito di player e possono trasformare le nostre normali cuffie in cuffie wireless (acquisto ormai inutile, seppur continuano ad essere prodotte e proposte in gran quantità). Sottolineo questa funzionalità perché le remote app precedenti, come Remote di iTunes e le equivalenti di Fidelia o Spotify provate a suo tempo non ne erano dotate.


Gizmo per JRiver
Proviamo per prima questa semplice ma ben funzionante app che si presenta in riproduzione con la grafica della immagine qui sopra. Come anticipato è solo per piattaforma Android ma anche chi usa solo iPad o iPhone a casa ha probabilmente qualche device Android, magari sostituita da un modello più recente (non sono richiesti smartphone ad alte prestazioni per farla funzionare bene, basta uno schermo decente) o poco usato. Come nel mio caso, che ho eseguito la prova su un tablet Zenpad della Asus.

Connessione e navigazione sulla libreria musicale
Gizmo all'attivazione ricerca server DLNA sulla rete Wi-Fi e sarà facile individuare J River MC come il server da collegare. per il collegamento è necessario un handshacking (scambio di un codice tra PC e tablet, ovvero tra Media Center e Gizmo). Dopodiché la app si connette e mostra la stessa architettura di navigazione del Media Center, quindi come primo menu, Audio, Video, Immagini ecc. e come secondo, dopo aver selezionato Audio, la navigazione per Album, Artista, Genere, ecc., oltre ad eventuali playlist create su J River.



Qui si incontra subito la prima delle tre limitazioni di questa app: non esiste una funzione di ricerca.


Per selezionare quindi l'album o l'artista (come in questo caso) bisogna scorrere l'elenco mostrato sullo schermo (con la immagine associata) che ovviamente è in ordine alfabetico. La app è molto veloce e lo scorrimento senza incertezze e quindi anche con librerie di discrete dimensioni (la mia è di oltre 1.000 album e oltre 12.000 brani) la ricerca è meno complicata di quanto potrebbe sembrare. Però una funzione di ricerca, estesa magari anche al brano, non sarebbe sgradita.

E' importante però che la libreria sia ben organizzata, con tutte le immagini di copertina a posto, i nomi degli album corretti e così via, per rendere effettivamente pratica e veloce la ricerca.

L'ascolto sul server
Come anticipato si può scegliere se ascoltare sul server (ovvero sull'impianto) oppure in locale sul tablet. Con la cuffia stereo ovviamente, ma teoricamente anche con gli altoparlanti interni, se la qualità d'ascolto per noi non fosse un problema (anche se perdiamo tempo con prodotti audiofili come J River).


Nell'ascolto sul server, come nello screenshot qui sopra, c'è poco da segnalare, una volta avviato si mette da parte il tablet (dove compare la immagine di copertina, ottimamente definita, vedi la immagine seguente, un plus di J River e della app, da segnalare perché la maggior parte dei player che ho provato per motivi ignoti mostrano antiestetiche immagini sgranate, partendo dgli stessi file jpg). I comandi consentono poi di scegliere le canzoni nell'album (o nella playlist), saltarne una e così via.


Il controllo del volume è la seconda limitazione di questa app, nel senso che e' ben nascosto. Non e' presente in forma grafica il solito slide come in tutti i player. Anche usando i comandi di volume del tablet nulla accade. Cercando bene si scopre  che cliccando sui tre puntini in verticale in alto a destra si apre un menu e selezionando 'command' si apre un secondo menu con i comandi play, stop ecc. ma anche volume up e down in forma testuale e ovviamente a step. Per niente pratico, forse conviene agire sull'impianto come ai bei vecchi tempi (o con il telecomando dell'ampli se è previsto sul vostro). Non so se è una limitazione del tablet che ho usato, chiedo ai visitatori / lettori se hanno esperienze diverse. In compenso ci sono le inutili stelle per dare i voti alla nostra musica e classificare la nostra preferita (nel caso che ci scordassimo di quello che ci piace).

L'ascolto in locale
Selezionando semplicemente "Here", sulla pagina di menu alla quale si accede cliccando su "tap to change" in alto a sinistra) l'album e il brano scelti sulla libreria J River possono essere ascoltati in cuffia.


Attenzione però a selezionare prima la qualità in riproduzione, che può essere bassa (90Kbps), media (128Kbps) o alta (320Kbps) come sempre (e in compressione probabilmente MP3).


E qui arriva quindi la terza limitazione del prodotto, l'ascolto compresso di file audio lossless o addirittura in alta definizione. Il vantaggio è la ricerca rapida e veloce ma esistono player alternativi che riproducono senza transcodifica in formato compresso almeno fino al CD (Foobar2000 app ad esempio, che può collegarsi direttamente anche a J River). Rimane il vantaggio della praticità e comodità di gestione e c'è sempre da considerare che la compressione a 320 Kbps è ancora a qualità sufficiente per buona parte dei contenuti musicali.

Si può superare il problema?
Alcuni commenti nei forum J River lo affermano. Gizmo infatti può selezionare per l'ascolto anche un player diverso dal proprio player interno, oppure può presentarsi come server sulla stessa device fornendo al player la navigazione sulla libreria. Se questo player alternativo fosse in grado di riprodurre senza transcodifica il problema sarebbe risolto. Il player consigliato, che peraltro nel mondo Android è quasi uno standard è BubbleUPnP, che è anche DLNA compatibile.

Su Gizmo si seleziona questa app (attivata prima ovviamente) quando si fa partire il Playing ed è possibile senza problemi configurare la riproduzione su BubbleUPnP. Peccato che nel display di esecuzione questo player mostri, se collegato con Gizmo, che il contenuto musicale è MP3 / 96KHz o 48KHz (o altre frequenze). Stessa cosa se si fa il contrario, partendo da BubbleUPnP. Ciò che si deduce, salvo approfondimenti in corso, è che Gizmo assieme a J River opera la compressione già in download verso la device, per velocizzare le operazioni. Il fatto che poi il sample rate rimanga anche oltre i 44.1KHz non significa nulla. La codifica con perdita MP3 opera a qualsiasi frequenza, ma comprime sempre il contenuto. L'effetto migliorativo è solo salvare le frequenze ultrasoniche normalmente inesistenti.

BubbleUPnP in funzione player per Gizmo. Anche se il file è in HD (24/48  in questo caso) la riproduzione è in formato compresso MP3. Notare la immagine della copertina di Diana Krall in bassa definizione come da inspiegabile abitudine di tutti i player conosciuti, tranne Gizmo.
Il test è stato però un'occasione di provare anche questo interessante e versatile player che peraltro fornisce anche la soluzione da solo per l'ascolto in HD su una device Android, a patto che i file audio siano su un network storage DLNA (come normalmente dovrebbe essere).

In sintesi
Gizmo è un prodotto molto pratico ed efficace nell'uso, una buona soluzione per avere un potente telecomando per la navigazione e l'ascolto sull'impianto. Il player in locale è un utile add-on  per ascolti veloci e verifiche, oltre che per l'ascolto delle playlist create su J River, ma è sconsigliabile per ascolti impegnativi in cuffia.
Resta quindi da provare la app ufficiale di J River che non dovrebbe avere queste limitazioni.