sabato 24 gennaio 2015

Un altro streaming lossless: Tidal

Parliamo oggi di un altro servizio streaming lossless disponibile in Italia (ma non per tutti) che si aggiunge a Qobuz di cui abbiamo già parlato in più occasioni. Con questo per ora avremmo finito l'elenco perché a livello mondiale sono due in tutto, a quanto ne so.

Tidal è un servizio nato da una iniziativa norvegese (la società si chiama Aspiro Music AS) lanciata lo scorso ottobre come "reborn" del precedente servizio Wimp (della stessa compagnia) ed è disponibile attualmente in USA, UK e Canada oltre che in diversi paesi del Nord Europa: Norvegia, Svezia, Danimarca, Finlandia, Germania, Polonia, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Irlanda.

E' inoltre disponibile negli altri paesi (credo tutti, in Italia almeno sì) tramite i partner hi-fi, ovvero i produttori di network audio player (o music server) che rendono possibile l'accesso al servizio di streaming sul loro componente, in aggiunta al popolare Spotify. Questo significa che nella app di controllo del network player tra le sorgenti che si possono selezionare c'è anche Tidal. Che però può poi essere usato anche indipendentemente dal network player. Questo è il caso sicuramente della partnership con Linn, che ho avuto modo di provare, che sia così anche per gli altri è da verificare. Quindi una volta installato ed abilitato Tidal, ad esempio, sul vostro iPad (è supportato però anche Android) si può ascoltare direttamente dal tablet e anche scaricare la musica e ascoltare offline sul tablet, come si fa con Qobuz o Spotify. Idem se si usa invece uno smartphone.

I partner Hi-Fi sono elencati nelle FAQ della pagina di supporto e al momento sono, oltre a Linn: Meridian, Electrocompaniet, McIntosh, Wadia, Amarra sQ, Mirage, Squeezebox, Sonos (Beta), Bluesound, Auralic, Simple Audio. Personalmente ho visto promozione di questa possibilità solo per Sonos e Linn e quindi sarebbe da valutare caso per caso la effettiva disponibilità nel nostro paese. Linn però è ben presente da noi e da qui anche il senso di questo articolo.

La partnership da' diritto all'accesso ed include due mesi gratis di abbonamento al servizio. Dopodiché per proseguire a beneficiarne bisogna sottoscrivere l'abbonamento personale che ha un costo di 20 € al mese (19 e qualcosa come sempre) quindi come Qobuz.

Come si presenta
Vediamo come si presenta il servizio nei paesi dove è disponibile (in Italia il sito si chiude subito sulla pagina in figura che dice "da voi no", eccesso di zelo scandinavo, ma basta accedere alla cache di Google per vedere anche le altre).


Nella seconda pagina viene enfatizzato il plus di Tidal rispetto a Spotify, ovvero la qualità CD, dichiarata però come bitrate: 1411 Kbps (16 x 44.1 x 2 = 1411). La qualità massima di Spotify è 320Kbps e questa differenza è ovviamente rimarcata nel sito (ed è il motivo, penso, per cui hanno scelto di presentare questa unità di misura anziché "qualità CD").


La pagina che annuncia la partnership con Linn. Si capisce quindi che acquistando un network player della casa scozzese viene fornito un vaucher che consente di accedere al sito e alle app Tidal.


Non mancano i riferimenti alle recensioni positive da parte di diverse testate specializzate e non. Sul lato sinistro anche un iPhone con la app Tidal. Le app sono ovviamente molto simili a quelle di Qobuz condividendo la stessa impostazione più "seria". Playlist e simili comunque ci sono.


In questa pagina successiva vengono messi in evidenza i tre punti di forza di Tidal secondo la compagnia, quindi suono in qualità CD con un catalogo di 25 milioni di brani, download video in HD  (video, non audio) e "curated edition" cioè contenuti testuali e informazioni ulteriori sul materiale disponibile, che è una peculiarità di Tidal. Forse utile, una versione "dematerializzata" dei booklet dei CD e degli LP. Anche se sul web, tra Wikipedia e Allmusic si trova già di tutto e di più.


La app è scaricabile da App Store. Ovviamente è gratuita, ma per attivarla occorre fare login e quindi essere registrati. Dovrei comprare un network player Linn per poterlo fare e quindi pubblico per una volta uno screenshot tratto dal web, da una recensione di What Hi-Fi in particolare, che mostra come si presenta la app su vari formati di smartphone e tablet da 7" e 10". Molto semplice e visuale sul modello iTunes ultimo, direi.



Il catalogo
Non ho potuto fare prove (d'altra parte fare prove di copertura è assai arduo e dipende dai gusti musicali personali, quello che si ritiene fondamentale e quello no). A quanto mi hanno detto (e d'altra parte se sono 25 milioni di brani ci deve essere molto) la copertura è buona, più sul materiale nuovo con qualche buco sui classici (si parlava di classici del rock, però). Insomma una situazione non diversa quantitativamente da Qobuz ma con approfondimenti in parte diversi sui generi musicali.
Vale quindi sempre la valutazione che facevo per Qobuz: la quantità di musica valida e interessante che c'è è più che sufficiente per saturare (ed oltre) il tempo sempre limitato che possiamo dedicare ad essa.

Una breve prova pratica
Ho potuto effettuarla in occasione di una presentazione del nuovo sistema all-digital Linn Exact di cui conto di riferire presto. Dalla app di controllo del network player Linn (il top Climax Exact in questo caso) tra le funzioni / source disponibili appare anche Tidal. Scegliendo questa sorgente si avvia la app sul tablet o sullo smartphone e si possono selezionare singole canzoni o interi album che si possono individuare come playlist per ascolti successivi, lo stesso sistema di Spotify e Qobuz. L'output però esce direttamente dal network player e viene acquisito in rete da questo componente, non trasmesso dal tablet via wi-fi, Si comporta quindi come un comando remoto. Faccio questa precisazione perché i network player Linn supportano anche il protocollo airplay e quindi possono eseguire qualsiasi flusso audio generato su un tablet o su uno smartphone connesso con questo protocollo. 

Il suono? Ovviamente tutto bene, su questo blog promuoviamo la diffusione del suono un alta definizione perché non c'è alcun motivo per non sfruttare al massimo la tecnologia, quando non ha in sostanza costi aggiuntivi, ma la qualità CD con sistemi di riproduzione validi già fornisce un ascolto eccellente. 

martedì 13 gennaio 2015

Perché le case discografiche ostacolano lo streaming lossless e l'alta definizione

Appare un controsenso economico la strategia delle case discografiche (major e indies unite, con poche eccezioni) rispetto a streaming e HD. Il mercato si basa sul bilanciamento tra domanda e offerta, i consumatori di musica tutti chiedono lo streaming che hanno già con la TV satellitare o in rete con YouTube e stanno velocemente abbandonando il download. I consumatori più esigenti stanno accettando la musica liquida in HD dopo le diffidenze iniziali e anzi pare stiano scoprendo un nuovo Nirvana musicale con il formato DSD, e ovviamente sono molto interessati ad uno streaming in qualità CD o addirittura HD.

Quindi la domanda c'è, ma c'è anche il prodotto per soddisfarla, e in quantità virtualmente infinita, perché la tecnologia digitale non ha costi di realizzazione del prodotto singolo e non richiede materie prime: non richiede fabbriche di stampaggio, confezioni e distribuzione via nave o via camion. La musica è il primo bene di consumo che è stato smaterializzato e questo è un vantaggio non da poco per chi la vende.

Quindi perché vendere solo in pochi paesi, non vendere in altri (e in particolare in Italia), mettere in vendita solo parte della produzione, quella più datata e meno appetibile, non il contrario, e preferire i generi che hanno meno mercato? Tutte pratiche commerciali illogiche, apparentemente, come se una casa di mode nel suo sito e-Commerce mettesse solo la produzione dell'anno prima, o lo stesso facesse Ikea, costringendo la gente ad andare in negozio per comprare le novità. L'e-commerce invece serve per ampliare virtualmente i negozi, e costa infinitamente meno rispetto ad una distribuzione capillare. Oltre ad essere aperto H24.

La spiegazione che ho sentito spesso, e che pare ancora echeggiare nei siti dei discografici (per esempio in quello della IFPI), tira in ballo la pirateria. Il timore che il materiale in HD legale entri nel circuito illegale e azzeri il mercato. Ma non credo che sia così e che neanche i discografici più tetragoni ci credano ancora.

I due segmenti di mercato
Il mercato della musica lo possiamo suddividere tra due sotto-mercati, il mercato molto ampio della musica di consumo, dove la qualità del suono ha una importanza relativa, dove anche la qualità musicale è sostituita dalla sorpresa di un brano con una piccola idea originale, dal nome dell'interprete o dal traino di film, fiction, video o eventi cui il brano è legato. Con un approccio "usa e getta" nei confronti degli innumerevoli gruppi e interpreti che ruotano incessantemente e si moltiplicano. Non vale neanche la pena sapere chi siano e da dove vengano, quasi sempre. La musica è una forma di intrattenimento da consumare possibilmente in forma gratuita, anche se i consumatori di questo segmento sono entrati ormai nella logica televisiva dei contenuti "premium" e quindi una propensione all'acquisto, se non altro per una fruizione libera dalla pubblicità, c'è.

L'altro mercato, di nicchia, è quello degli ascoltatori esigenti, di classica e jazz, ma non solo, che hanno una grande attenzione verso la qualità del suono e anche a quella musicale, seguono gruppi e autori specifici, sono esigenti. E sono in maggioranza adulti e con maggiore possibilità di acquisto e propensione a spendere per la musica.

L'offerta per i due segmenti
Per il primo segmento l'offerta pare che si stia consolidando, dopo oltre 10 anni di terremoti e di assestamenti. Per chi non vuole spendere proprio nulla e non ha interesse particolare alla qualità del suono c'è YouTube (e derivati, incluso Spotify gratuito), si regge sugli inserzionisti come la TV in chiaro, parte degli introiti vanno alle case discografiche e ai detentori dei diritti d'autore e va bene a tutti. Per gli utenti più esigenti, quelli che vanno in giro con le cuffie e non più con gli auricolari e a casa hanno uno Zeppelin della B&W o simili ci sono i servizi in streaming di tipo "premium", con Spotify e Deezer in testa, e Apple e Google in arrivo.

A questi si aggiungono o si sovrappongono quelli che stanno passando all'ascolto tramite playlist, con anche la opzione di condividerle o diffonderle, oppure all'ascolto "radio" nel senso nuovo del termine, nel senso di associazioni libere e casuali originate (ma dal servizio, non dall'ascoltatore) dalle scelte iniziali e dalle preferenze espresse. Un on-demand a sorpresa. Qui Spotify e Deezer o gli analoghi servizi di Google e Sony sono la soluzione (parlo sempre di quello che è disponibile in Italia), alle case discografiche va benissimo anche questo e concedono senza problemi i loro cataloghi a tutti quelli che lo chiedono, se garantiscono buoni introiti o contratti partenariato profittevoli, come fanno sicuramente questi giganti del mercato.
Infine c'è il download, ovvero iTunes, che va lentamente a sparire. Ma che ormai è ammortizzato quindi per quanto sia poco (ma ancora è molto) è tutto guadagno, sia per Apple sia per le case discografiche.


Per il secondo segmento invece la strategia è opposta, o meglio è la stessa dei remoti tempi pre-iTunes, ovvero, apparentemente, ostacolare il più possibile i pochi soggetti che tentano di aprire questo mercato. Il fatto è che qui i margini sono molto più alti, l'alternativa illegale meno ricercata e meno attraente (nessun audiofilo manderebbe al suo prezioso impianto l'audio di YouTube), e c'è la propensione a spendere anche senza motivo apparente se non la qualità del suono (concetto da sempre poco compreso dal marketing discografico) come dimostra il ritorno del vinile.

Un mercato quindi da tutelare, finché dura, popolato oltretutto da persone adulte o, per dirla tutta, anziane, poco propense al cambiamento e alle novità. Perché cedere per malintesa modernità? Meglio resistere finché si può con i CD, distribuiti nei negozi oppure (massima cessione alla modernità) per posta, e magari tentare qualcosa di nuovo ma sempre di fisico (vedi la incredibile vicenda del Pure Audio Blu Ray).

Il segmento degli ascoltatori esigenti
Se proprio qualcuno vuole tentare la vendita su questo esigente mercato di nicchia di musica liquida, deve pagare chi possiede la musica da vendere. Le case discografiche hanno qualcosa di indispensabile per lui, il catalogo, e quindi lo vendono al miglior prezzo possibile. E per paese, un po' in base alla propensione alla pirateria dei suoi abitanti (ma sono tutti propensi, come sappiamo). Ma molto di più per frazionare i costi di ogni singolo contratto di partenariato e quindi alzarli complessivamente.



Qui i soggetti sono tutti piccoli (HDTracks, Qobuz, HighresolutionAudio, Pono ecc.) e con forza contrattuale scarsa. Da qui la scelta obbligata di concentrare lo sforzo dell'investimento iniziale su pochi paesi dove la domanda di questo particolare segmento è più forte e che comunque può garantire, forse, un ritorno. Di più non potrebbero fare. Da qui la scelta di HDTracks di sbarcare in Europa solo in UK e Germania o le scelte analoghe di Qobuz. In Italia il segmento "alto" è particolarmente ridotto e quindi passiamo in secondo piano, anche se siamo tanti.

In sintesi le case discografiche non è che abbiamo timore della pirateria, cercano semplicemente di spremere al massimo gli operatori del settore imponendo le condizioni economiche più favorevoli per loro a soggetti più deboli di loro. Quello che non hanno fatto o non hanno potuto fare alla nascita di iTunes. Sfruttando al massimo un mercato che per loro è marginale e sul quale non puntano, preferiscono aspettare che maturi da solo, non vogliono sprecare le risorse che hanno (e che sono in costante diminuzione) qui. E beneficiando della diminuzione del fenomeno della pirateria grazie all'effetto calmieratore di YouTube.

Il Pono Player HD lanciato da Neil Young e dai suoi soci

I grandi rimangono alla finestra
Resta però aperta un'altra domanda: perché solo piccoli operatori sono interessati a questo mercato? Che comunque a livello globale garantirebbe ottimi fatturati e con ampie possibilità di crescita, come dimostrato dalla progressiva scoperta della qualità del suono che si sta osservando anche tra i giovani (e che è testimoniato dall'improvviso successo di un componente fino a poco tempo fa quasi abbandonato: la cuffia stereo).

Ce lo chiediamo da tempo per la Apple e magari diamo la colpa alla triste prematura scomparsa di Steve Jobs, ma lo stesso fanno gli innovatori di Google e la Sony dal ritrovato dinamismo. Penso però che la risposta sia molto semplice. Sono corporation che operano in altri mercati, la musica è un mezzo per sviluppare il loro core business (l'hardware per la Sony, mentre la Sony Music ragiona esattamente come le altre case discografiche). I fatturati che hanno grazie alla musica sono più che sufficienti o sono di presidio (Google, che presidia il suo vero asset nel settore, YouTube). Quando la domanda si sposterà verso l'alto saranno pronti, non servono investimenti particolari, basta volerlo. Comprando magari i soggetti già esistenti come Qobuz o Tidal, e come Google ha già fatto, per fare un esempio, molte alte volte (inclusa la fortunata acquisizione di YouTube).


(Le immagini presentano alcuni dei coraggiosi operatori sul segmento di mercato negletto per le case discografiche, Qobus, HigresAudio e Pono, più iTunes che negletto decisamente non è)






domenica 4 gennaio 2015

Il punto su Qobuz nel 2015

Qobuz, il primo servizio per musica in streaming in qualità CD (e in download HD), ha inviato una lettera a tutti i suoi sottoscrittori annunciando le proprie strategie di sviluppo e illustrando l'attuale situazione del gruppo francese. Poiché è l'unico servizio in streaming in qualità non compressa disponibile con qualche acrobazia in Italia (di Tidal parlerò in un prossimo post) penso sia interessante fornire qualche informazione tratta da questa lunga lettera (che è allegata integralmente nel seguito), anche perché nell'anno appena passato il servizio francese ha dovuto affrontare difficoltà economiche che hanno richiesto anche un periodo di amministrazione controllata. Il che ha fatto temere per il futuro dello streaming in alta qualità (vedere per approfondimenti l'articolo di qualche mese fa su AudioStream).

Cosa c'è di nuovo
La lettera accenna velocemente a queste vicende e si sofferma sugli elementi positivi e in particolare sulle forte crescita del fatturato durante l'anno (a quanto pare sono cresciuti però anche i costi, soprattutto per gli investimenti richiesti) ed è permeata, come ovvio, di ottimismo. Non fa invece alcun accenno, purtroppo, alla disponibilità ufficiale del servizio al di fuori di Francia, Germania. Olanda e Gran Bretagna, e quindi anche da noi (o in Spagna), non confermano (né smentiscono) quanto diplomaticamente rispondono se la domanda viene posta via email.
La lettera fornisce indirettamente una spiegazione a questo ritardo citando verso la fine (sempre diplomaticamente) la miopia delle case discografiche diffidenti verso i 24bit e l'HD con le quali Qobuz ha dovuto contrattare una per una le condizioni di vendita (e i vincoli); ci sono voluti tre anni per arrivare all'attuale catalogo abbastanza ampio (e solo per i paesi citati prima). Confidano però che il forte sviluppo della domanda stia facendo loro gradatamente cambiare idea e considerare che c'è un futuro oltre la musica lossless. Io, nonostante le ultime novità (ma molto parziali) di Sony di cui ho riferito nel precedente post rimango moderatamente pessimista. Non è qui la sede per approfondire, tornerò su questo punto in un prossimo post.

Infine enuncia in modo molto chiaro la strategia di Qobuz per i prossimi anni: un servizio in streaming in qualità CD dal quale è possibile anche acquistare musica in download in qualità HD, a prezzi scontati per i sottoscrittori. E niente streaming gratuito con pubblicità stile Spotify o Deezer, solo servizio "premium".

Le novità che annunciano
Vediamo quindi cosa ci sarà di nuovo per i clienti Qobuz nell'anno appena iniziato:
  • App rinnovate per iOS e Android e nuova app per WindowsPhones;
  • Su desktop, possibilità di ascolto in streaming qualità CD anche via browser, senza installare il webplayer;
  • Nuovi accordi con partner per integrare il lettore Qobuz in altre applicazioni web (e probabilmente / auspicabilmente anche in player fisici, dove invece è presente solo Spotify);
  • Ridisegno del sito web mettendo in evidenza lo streaming, coerentemente con la nuova strategia;
  • Interfaccia desktop anche per ipovedenti;
  • Supporto anche del formato DSD da quest'anno (importante novità visto il forte interesse per questo formato, sarebbero avanti ad HDtracks che invece sembra disinteressarsi al fenomeno e lasciare spazio ad altri siti specializzati);
  • Evoluzione delle app per aggiungere funzioni di tipo social, condivisione di playlist e recensioni e simili, sul modello già sperimentato con successo da Spotify (già realizzata nella nuova app Qobuz Music già disponibile su Apple Store, che sostituisce in pratica la precedente)
  • In particolare, nuove funzionalità per la creazione sempre più agevole di playlist e per costituirne cataloghi per genere (anche questa è una direzione strategica interessante perché lo streaming rende obsoleto l'ascolto per album ed è l'ideale per un più attuale ascolto organizzato su playlist).
Molte interessanti novità che non so quanti potranno apprezzare in Italia, perché alcuni visitatori del sito ci segnalano che la estensione su richiesta non è stata concessa. Forse è opportuno chiederla prima per il download e fare qualche acquisto e poi in seguito, una volta entrati tra i clienti effettivi, sottoscrivere anche il servizio streaming. Speriamo che non siano in vista novità negative.

Ma come va il servizio?
Dopo quasi un anno d'uso aggiungo per completezza alcune sintetiche impressioni sperimentate in pratica. Lo streaming in mobilità funziona bene anche in 3G, nonostante l'esigenza di scaricare una quantità di dati molto maggiore. Ovviamente non va bene per chi ha contratti da un GB al mese perché un solo album o playlist consuma 200-300MB. Problemi si rilevano nelle condizioni più difficili, quindi in mobilità vera e propria e in particolare in auto, dove a volte si verificano interruzioni. Per tutti questi casi la soluzione (ma è così anche per Spotify) è scaricare musica o playlist in memoria sul tablet o sullo smartphone quando sono collegati in wi-fi (e il wi-fi gratuito ormai si trova un po' ovunque). Con il vantaggio rispetto a Spotify che poi liberare la memoria una volta ascoltata la musica è semplicissimo.
Nessun problema invece, ovviamente, se l'ascolto avviene tramite desktop collegato in rete, anche se in questo caso manca una app per il comando da remoto come quella disponibile (terze parti) per Spotify.

Il catalogo si conferma abbastanza ampio anche se non al livello di Spotify. In concreto, a volte, sulle novità e per etichette non convenzionate (come la ECM), è possibile solo ascoltare un estratto. A parte alcuni casi che ci interessano proprio (e che si possono ascoltare anche con Spotify, magari in versione gratuita) o per persone interessate solo ad alcuni generi specifici, non dovrebbe essere una grande problema. Il tempo che abbiamo per ascoltare la musica, con tutto quello che ci sarebbe da ascoltare, è il vero problema.

La app (per iOS, quella che uso) è molto ben fatta e agevole nell'uso, anche la creazione e modifica di playlist è semplice e veloce e quella nuova è ancora migliore, oltre che esteticamente molto gradevole, non stracolma e caotica come quella di Spotify. Il limite come ho già scritto è che per noi italiani aggiunti è solo in francese. Non occorre però una conoscenza approfondita della lingua per usarla. Qualche limite nella ricerca un po' troppo semplificata e con molte ripetizioni nei risultati, ma è una funzionalità che promettono di migliorare.
Per una rassegna completa delle funzionalità con esempi rimando al post pubblicato a suo tempo che rimane sostanzialmente attuale.

La nuova interfaccia per la gestione delle playlist nella app per iPad

La lettera di Qobuz ai sottoscrittori e clienti
Per finire eccola lettera inviata e che condivido qui.

Une lettre de l’équipe de Qobuz à ses abonnés et utilisateurs
Chers Clients, Chers Abonnés,
Chers Amis,
Toute l’équipe Qobuz vous adresse ses vœux les plus amicaux pour la Nouvelle Année. Que 2015 comble les attentes et les souhaits qui sont les vôtres et ceux des êtres qui vous sont chers !
Nous nous emploierons toujours plus en 2015 à accompagner au quotidien votre amour de la musique. Nous aurons à cœur, quels que soient vos goûts musicaux, de porter le service qu’attend votre passion au niveau d’exigence qui est le vôtre, en nous autorisant les audaces qui vous permettront de belles découvertes mais en respectant toujours votre libre-arbitre.
La musique disponible auprès d’un service tel que Qobuz est un vaste océan, chaque jour enrichi de centaines de nouvelles productions parmi lesquelles nos disquaires essaient de valoriser ce qui en vaut la peine — de sauver parfois… —, pour vous aider dans vos explorations. C’est un travail digne de Sisyphe, tant déferlent sur nos serveurs des contenus mal renseignés, non contextualisés, dont on croit savoir que beaucoup de ceux qui nous les livrent ne les écoutent jamais !
Notre mission semble être, entre autres, en fabriquant Qobuz au quotidien, de faire progresser les standards de la musique en ligne – tant il y a de services disponibles aujourd’hui, mais si peu différenciés les uns des autres.
***
L’année 2014 a été pour Qobuz l’année de tous les extrêmes. Les difficultés auxquelles nous avons dû faire face, et que nous nous employons encore à résoudre avec un optimisme et une énergie inoxydables, ont mis notre équipe au défi de réaliser des prouesses.
La première d’entre elles fut de prouver que les fondamentaux de notre travail (qualité de son, qualité de documentation, qualité de recommandation) rencontraient un vrai désir des amateurs de musique – contrairement à ce que nous avons tant entendu depuis si longtemps. La preuve ? Notre chiffre d’affaires a bondi de 55% entre l’année civile 2014 et l’année civile 2015. C’est une performance unique au monde dans l’industrie. Plus encore, depuis mai dernier cette progression est spectaculaire, entre +4 et plus 13% chaque mois !
Poursuivre nos innovations et même les accélérer fut la seconde des prouesses — non la moindre, au cours d’une période si difficile ! À cet égard, ce n’est pas sans fierté que nous avons récemment lancé nos nouvelles applications pour IOS et Android, rapides, efficaces, et belles de l’avis général ; que nous avons intégré le streaming Qualité CD FLAC 16bit/44,1 kHz dans le navigateur sur le site Qobuz directement et sur notre Webplayer. Nous avons aussi publié de nouveaux widgets pour l’usage de nos partenaires et multiplié les accords et intégrations dans les appareils audio-connectés. Pour ce faire, nous avons enrichi et continuons à développer chaque jour les possibilités de notre API.
C’est d’abord à vous, qui êtes notre première raison d’être, que nous voulons réserver la primeur des premiers mois de notre copieuse feuille de route 2015 :
Nous allons entièrement refondre notre site web, afin de le rendre cohérent avec le modèle économique qui sera de plus en plus le nôtre dans le futur : un service de streaming qui propose aussi le téléchargement.
Nous veillerons à ce que nos développements soient conformes aux meilleurs normes relatives aux déficients visuels.
Nous améliorerons encore nos outils de recherche
Nous produirons (enfin) une application pour les WindowsPhones. On en connaît quelques-uns à qui cela fera plaisir…
Nous proposerons en téléchargement les formats DSD avec un catalogue exclusif et en partie inédit
Nous compléterons notre système d’applications d’un nuage additionnel d’applications dédiées, proposant de la sorte sur vos devices, en intérieur ou en mobilité, une expérience complète et surtout très pratique des contenus exclusifs que nous produisons chaque jour.
Nous re-fonderons complètement le coeur du compte utilisateur, afin de le brancher sur la “communauté interne Qobuz”, conscients que nos utilisateurs ont tant de connaissances et de goûts à partager – et cela dans le plus strict respect de leur liberté et de leur intimité.
Enfin, nous développerons le nombre et la facilité d’usage à nos playlists, sur le web et sur les applications. C’est un point sur lequel nous étions en retard. Les playlists seront un élément important de notre service désormais, nous deviendrons une véritable “fabrique à playlists”, afin d’aider nos utilisateurs, qui le réclament souvent, à explorer un catalogue si touffu. Nos experts sauront les surprendre. D’ailleurs, pour la Nouvelle Année 2015, ne manquez pas ces propositions amusantes !
***
Grâce à la multiplication de ses partenariats, Qobuz rencontre aujourd’hui une notoriété qui lui manquait, faute d’avoir pu y investir davantage de moyens, en face de la déferlante financière de nos concurrents. Cette notoriété est venue grâce au caractère unique de notre service, unique au monde par sa formule, et par l’innovation que nous avons constamment poursuivie.
L’innovation prend pourtant parfois des détours étonnants :
Nous avions il y a presque trois ans travaillé à développer un catalogue d’albums 24-bit parce que nous voulions prouver par l’absurde que la musique en ligne pouvait non seulement dépasser le MP3 mais même offrir mieux que la qualité CD. À l’époque, il a fallu convaincre les labels un par un de nous livrer des fichiers au format 24-bit ; aujourd’hui, cette qualité dont Qobuz est le leader mondial devient un standard grand public grâce autant au développement des parutions en 24-bit qu’à la multiplication des appareils permettant d’en profiter.
On voit donc que l’exigence de qualité de son ne sera pas réservée dans le futur à une élite mais tout simplement aux gens de goût, ce qui n’a rien à voir avec un quelconque privilège. L’ambition de Qobuz, c’est la qualité pour tous, à un prix acceptable pour tous en contribuant aussi, de manière éthique, aux revenus des artistes et des producteurs. Le lancement de notre abonnement Qobuz Sublime, qui combine abonnement Qualité CD et remises importantes sur le 24-bit, est un premier pas vers le Qobuz de demain, et la possibilité pour les producteurs d’inventer des modes d’exploitation rentable avec les plateformes.
***
Nous saisissons cette occasion pour vous remercier chaleureusement de votre soutien sans faille.Vos abonnements, vos achats sont, bien sûr, précieux pour soutenir notre travail qui est à certains égards un véritable combat, et nous donner les moyens de le poursuivre.
La progression forte et linéaire de notre chiffre d’affaires au cours des six derniers mois est d’ailleurs décisive. Pour aider Qobuz, il existe un moyen simple à votre disposition: nous aider faire connaître notre service auprès de vos amis. C’est facile et sans risque, puisque chaque nouvel abonné reçoit une période gratuite d’un mois sans engagement.
Et quant à ceux qui auraient des moyens remarquables à mettre au service du développement d’une entreprise culturelle qui marche déjà fort et essaie de donner du sens à nos jours ici-bas – qu’ils n’hésitent pas à nous contacter aussi !
Bonne année 2015 à tous de la part de toute notre équipe et…
Rendez-vous dans dix ans (au moins) !

domenica 23 novembre 2014

Le major iniziano a promuovere l'alta definizione (almeno la Sony)

Dopo averla spinta con grande timidezza ad inizio 2000 con il tentativo SACD, dopo averla abbandonata a favore della musica compressa seguendo una compagnia che non era una major (la Apple con iTunes, che grazie alla musica ha posto le basi per diventare la numero uno al mondo), dopo aver contrastato in ogni modo il download (e anche lo streaming) in qualità CD (figuriamoci in HD), introducendo barriere doganali nello spazio libero di Internet, sembra che le major, o almeno una, stiano iniziando un ripensamento. Dopo quasi 15 anni di osservazione del mercato (calante) forse qualche dubbio sulla strategia sinora seguita è riuscito a riaffiorare. Ma non è detto, come vedremo.

Una inaspettata e-mail nella newsletter Sony
Nella NL dedicata ai clienti è arrivato qualche giorno fa un messaggio con un oggetto inaspettato: "Sound all'avanguardia con l'audio ad alta risoluzione di Sony". Non l'ho tradotto, era proprio in italiano, come tutta la newsletter, quindi sembra che fosse rivolto anche a noi, paese notoriamente inaffidabile per le major. Il claim è molto semplice, ripete in fondo il concetto ripetuto anche diverse volte su questo blog, riconducendo il plus a qualcosa di noto e visibile: "L'alta definizione ha trasformato il modo in cui guardi la televisione. L'audio ad alta risoluzione farà lo stesso con la tua musica.". Il tutto accompagnato da una serie di immagini accattivanti.

Il nuovo marketing per l'alta definizione
La campagna del 2000 era molto più subliminale e puntava in genere a giovani uomini (non donne, l'alta fedeltà è soprattutto al maschile, per motivi che sono sempre rimasti ignoti) facoltosi e di successo, ma informali, che si beavano dell'ascolto del suono perfetto del SACD. Qui si va invece più sul concreto, anche se sempre con messaggi semplificati, non rivolti al piccolo mondo (anche abbastanza litigioso) dei cosiddetti audiofili. Vediamo tutte queste infografiche che forse diventeranno "storiche". Come si vede, molto pragmaticamente perché è lì che sta andando il mercato, c'è anche, e in evidenza, il formato DSD.

Stavolta puntano su una giovane donna.






E dove si trova questa famosa musica in alta definizione?
La Sony come noto vende dal suo sito Sony Classical solo qualità CD e solo in USA e in pochi altri paesi. Sony Unlimited è invece solo in formato compresso AAC. Nella successiva slide si passa al concreto, cioè dove è possibile comprarla (è implicito e neanche sottolineato che si trovi solo in rete). Vediamo se c'è un cambio di direzione oppure no. L'invito è "Cerca ora".
Cercando ora, però, non si trova proprio niente di Sony, che pure è anche una casa discografica. Quello che viene mostrato, sempre con una grafica di prim'ordine, è una lista di siti specializzati in download in HD:
  • HighResolutionAudio
  • Bleep
  • Cybele
  • Gimell
  • hd-klassik
  • Linn Records
  • Naim Label
  • 2L
  • 7Digital
Il primo è il più noto e anche il più affermato e seguito. E' tedesco e sapevamo che non si poteva acquistare dall'Italia. Un semplice test di acquisto mostra che ora si può (buona notizia) ma subito dopo si scopre anche che ciò non vale per tutta la produzione. Resistono, le ottocentesche barriere doganali nella testa dei discografici. Tre degli altri li conosciamo bene, anche nei loro limiti (Linn, 2L, Naim) gli altri sono minori e 7Digital sembra proprio un intruso, perché vende musica pop in formato compresso MP3 320Kbps. O almeno non sono riuscito a trovare niente neanche in qualità CD in qualche ricerca a caso, e comunque a logica dovrebbe essere evidenziato dalla home page. Nessuna evidenza anche, nonostante le premesse, e il fatto che sia una tecnologia "made in Sony", di siti che vendono anche musica in DSD.


Però c'è l'hardware
Trovare materiale HD con queste indicazioni e limitazioni non è facile, e si spera che gli interessati si rivolgano invece a Google  (o a questo post). Nessun aiuto concreto su questo versante. Sony ha invece pensato a soluzioni concrete sul versante dell'hardware, per chi trova materiale HD da ascoltare. Qui si scopre che è disponibile un network player anche dalla casa nipponica (che appare dalle specifiche un prodotto molto interessante), uno "speaker" all-in-1 (wireless e con DAC incluso) sul tipo del Mu-so della Naim, e il supporto dell'alta definizione anche per gli smartphone della Sony. Uno schiaffo (meritato) alla Apple, che continua a limitare gli iPhone e iPad alla qualità CD. Innovativi in tutto ma nella musica no.

Viene quindi il fondato sospetto che la promozione del formato HD non sia spinta dal settore media della Sony (case discografiche e editori musicali) ma dal settore hardware. In cerca di nuova clientela che si sta accorgendo che le limitazioni del suono compresso si possono sentire (e superare). Forse anche grazie a cuffie e DAC (degli smartphone o dei tablet) di qualità sempre crescente.




In sintesi
Poco di nuovo sul versante della offerta di contenuti in HD. Di nuovo c'è l'attenzione di una delle corporation più importanti nell'alta definizione anche estesa alla musica e non solo alle immagini.

Per finire
Il test sull'acquisto dall'Italia dal sito HigResAudio.
Cominciamo con la pagina di ricerca. Si può selezionare l'offerta per genere e scelgo come test il folk.


Offerta ampia e di qualità, prezzi standard. Le pagine di default sono visualizzate in tedesco, ma è possibile selezionare l'inglese e tutte le pagine sono anche disponibili anche in questa lingua. Scelgo per il test il recente album di Natalie Merchant, la brava cantante e front woman dei 10000 Maniacs. L'etichetta è Warner Music Group.


Tutto bene, si può selezionare e comprare senza problemi anche dall'Italia, come si vede dal successivo screenshot. Bisogna solo registrarsi preventivamente al sito.


Proviamo con qualcosa di più commerciale, l'ultima fatica dei Pink Floyd di nuovo insieme o quasi.



Bene, anche qui nessun problema. Chi vuole proprio comprare questo album può farlo.

Un successivo test smorza però l'entusiasmo. Pur essendo un meno commerciale album di classica (anche se con una pianista diva, la cinese Yuja Wang), pur pagando noi italiani sempre in Euro, la risposta è la solita incongrua "non te lo voglio vendere". Da precisare che è un disco DG e che quelli del sito come distributori accettano una prenotazione, quando la DG si deciderà a venderlo anche ai non americani e non tedeschi avvertiranno loro.


Ulteriore informazione sul formato, il primo album del test è 24/88.2, gli altri sono 24/96.
Infine segnalo una interessante sezione di questo sito, chiamata "Quality Guarantee", dedicata a chi nutre dubbi sui file in HD, se siano registrati effettivamente in alta definizione o ottenuti con up-sampling. Loro affermano ovviamente che tutto il materiale che vendono è HD autentico, ma è interessante che si diano da fare per provarlo con supporto di approfondite analisi di spettro.



martedì 28 ottobre 2014

La differenza che interessa - II

Prima di presentare l'altra prova a confronto tra CD e HD, effettuata in doppio cieco su un panel di ascoltatori è opportuno fare il punto su un aspetto importante: cosa stiamo confrontando realmente. Facendo riferimento anche al breve editoriale di fine settembre 2014 di TNT-Audio che si pone domande sulla effettiva qualità all'origine di quello che HDtracks, Linn e altri vendono come alta risoluzione.

Nelle prove a confronto che abbiamo discusso nel post precedente su questo tema, non c'era alcun dubbio che gli ascoltatori confrontassero i medesimi (brevissimi) brani musicali: si trattava di campioni musicali identici, in originale in qualità CD, quindi compressi in formato MP3 a vari livelli di compressione, con il codec Lame (usato per entrambi i test).

Un classico registratore multitraccia analogico da studio: Ampex ATR-100

Le alternative
Nelle prove a confronto CD-HD non è così semplice. In alcuni casi si è adottato lo stesso criterio: un brano in HD (in formato PCM) ricampionato ad una risoluzione minore, ovvero in qualità CD. Non si tratta però di una compressione effettuata con un algoritmo che utilizza criteri di psicoacustica per eliminare le informazioni ridondanti o meno importanti, e codificarle in un diverso formato, ma di una riduzione di risoluzione, da 24 a 16 bit per ogni campione (eliminando quindi i meno significativi) e della frequenza di campionamento (da 96 o 192KHz a 44.1KHz). Se il master invece era in DSD si passa attraverso una ricodifica in un formato diverso, il PCM del CD, riducendo anche in questo caso la risoluzione.
Se l'operazione di riduzione di risoluzione la facessi io con un programma che fa questo mestiere, come R8brain (free) non c'è dubbio che l'unica operazione possibile sarebbe il troncamento, la eliminazione delle informazioni meno significative, ma non è detto che avvenga così per i CD commerciali, come vediamo nel seguito.

Il mastering
Per prima cosa ci sono le scelte di Mastering. Il processo non è documentato nelle note che accompagnano gli album, non esiste probabilmente una procedura standard, le scelte variano in base al tipo di musica e al mercato, ma è noto che prima del trasferimento al master CD (da cui saranno stampate le copie) in studio si effettua un remastering orientato a far suonare al meglio il prodotto sui sistemi di riproduzione più comuni, in uso al potenziale cliente. E qui si innesca la vicenda della loudness war e del mastering orientato a esaltare bassi e acuti e a comprimere la dinamica, per essere ascoltabile con più efficacia con cuffiette infraurali o mini casse da PC. Scelte di mastering che possono essere molto diverse nella versione in HD (ammesso sia prevista), dove si suppone che l'impianto sia di maggiore qualità. Un esempio di master differenziato lo offre proprio Apple, con la scelta per iTunes tra masterizzazione standard e la versione "masterizzato per iTunes", per la quale vengono forniti appositi strumenti di conversione orientati a preservare maggiormente la qualità dell'originale, pur convertendolo alla fine sempre in formato compresso AAC. Sorvolo sulla efficacia di questo processo che non ha suscitato grandi dibattiti in rete. Lo cito solo come esempio di differenziazione del mastering.

Più masterizzazioni dallo stesso master di studio
Le decisioni in merito delle case discografiche sono sicuramente variabili in base al prodotto musicale, ma teoricamente dallo stesso master originale creato in studio, e registrato in PCM 24/192 oppure DSD64 o 128 potrebbero essere ricavati:
  • un master ottimizzato per l'ascolto in formato compresso (da fruire via download o streaming indifferentemente);
  • un master ottimizzato per l'ascolto in formato CD, o standard definition (SD), anche in questo caso lo stesso per i vari canali di distribuzione (supporto fisico, download o streaming);
  • un master ottimizzato per l'ascolto in HD, in questo caso solo per download, tranne il SACD per la classica.
In più, il tutto si moltiplica per due se il master originario era registrato con tecnica multicanale (come avviene spesso per la classica).

Ancora l'Ampex ATR-100 in una pubblicità anni '70

HD (o CD) autentico e certificato
Un altro dubbio che è più volte stato espresso in forum e articoli vari è se il materiale HD in vendita sia veramente HD e non un upsampling di materiale CD. In proposito aveva anche scritto un visitatore del blog ed in risposta avevo inserito un post con una serie di test che puntavano ad una verifica strumentale di quello che si può misurare facilmente (la banda di frequenza). Sembrava che non fosse così.
Lo stesso dubbio però era presente nella fase di lancio dei SACD, che erano praticamente sempre ibridi (quindi anche con uno strato CD) e consentivano quindi un confronto dallo stesso dischetto. Invariabilmente dal confronto, almeno a leggere gli articoli, risultava vincente, e di molto, lo strato SACD e da qui il dubbio di alcuni che il successivo processo di decodifica penalizzasse troppo il CD (o addirittura che ci fossero forzature).

L'importanza del DAC
Da qui nasce un ulteriore elemento di complessità per un confronto alla pari. Sappiamo che il DAC, la tecnologia usata e la generazione tecnologica dei chipset incide parecchio sul risultato. Usare lo stesso identico processo di decodifica è impossibile perché il percorso di decodifica è forzatamente diverso, ma si può usare lo stesso componente, essendo tutti i DAC HD in grado di convertire anche i CD. Una alternativa sarebbe però mettere i due sistemi di codifica nelle migliori condizioni. Usare quindi DAC diversi, e in particolare un DAC (o un lettore) specializzato per CD, progettato per estrarre il massimo dal vecchio formato standard. Come alcuni modelli alto di gamma di Accuphase o Audio Research promettono di fare.

Informazioni mancanti
Anche per registrazioni di etichette "audiophile" come Chesky Records, nulla o quasi viene detto sulla tecnica di registrazione: il numero di microfoni, il tipo di mastering adottato nelle diverse edizioni, l'utilizzo di due tracce o più, di sovraincisioni e così via, al massimo si dichiara un "remaster" successivo, ma non è chiaro puntando a cosa o correggendo cos'altro. A comprova le scarne informazioni di due produzioni Chesky, il classico The Raven di Rebecca Pidgeon, e il recente album binaurale di Amber Rubarth.

L'influenza della registrazione
Nell'articolo dedicato alla ritrovata fortuna del formato DSD citavo un sample distribuito in rete gratuitamente in grado di evidenziare in maniera particolarmente efficace la qualità d'ascolto (Keith Greenigger & Dayan Kai di Blue Coast Records). Ascoltandolo è impossibile non restare ammirati per il realismo, il dettaglio e la musicalità di quello che si sta ascoltando. Si tratta in realtà di quelle registrazioni, oculatamente scelte o addirittura create alla scopo, che presentano le caratteristiche ideali per evidenziare la qualità di un impianto o di una riproduzione. Non però ricorrendo alla difficoltà di riproduzione di alcune caratteristiche particolari del suono, come la gamma molto bassa o la interferenza tra strumenti diversi, ma evidenziando le caratteristiche più facilmente accessibili a tutti.
Sono un po' l'equivalente dei filmati dimostrativi che vediamo nei grandi centri commerciali quando viene presentato l'ennesima nuova tecnologia per i monitor TV (HD, Ultra-HD, 4K e così via). Macchine di Formula 1 che sfrecciano a Montecarlo in una giornata di sole, ragazza orientale che si aggira tra prati fioriti e cesti di frutta dai 1000 colori, splendidi scorci naturali in luoghi esotici e così via. Colori vividi e grandi contrasti che esaltano le caratteristiche della nuova tecnologia ma che, se opportunamente sfruttati e a parità di condizioni, sarebbero pienamente efficaci anche con la precedente.

In musica avviene in parte lo stesso, con l'aggravante che il confronto è in serie e non in parallelo ed è quindi molto più arduo, e necessita di maggiore competenza (leggi qui l'articolo in proposito).
In sintesi con questi brani "audiofili" le differenze in realtà si accorciano e anche un MP3 può sembrare sorprendentemente buono, magari con il piccolo aiuto della compressione dinamica insita nell'algoritmo di compressione fisica del file.

Un mixer digitale anni '90 della serie V-Mix della Roland

Confronto alla pari
Da tutte le considerazioni fatte sinora emerge che esiste un rischio reale di confrontare cose che suonano diverse perché sono diverse all'origine, indipendentemente dal formato e dalla risoluzione, perché la differenza tra una masterizzazione ed un'altra è probabilmente più avvertibile di quella tra un formato ed un altro (la scelta di quale sia la migliore è un'altra cosa ancora).
In pratica chi vuole confrontare CD e HD ha solo due scelte: creare "in casa" la versione CD con un downsampling oppure utilizzare due versioni commerciali dello stesso brano.
Nel primo caso con ogni probabilità si penalizza il formato CD per quanto detto prima, mentre nel secondo lo si mette presumibilmente nelle condizioni di spremere al massimo le potenzialità del formato, se scegliamo ovviamente brani prodotti puntando alla qualità.

In sintesi
Non è facile mettersi nelle condizioni di un confronto veramente "ad armi pari" tra qualità CD ed alta definizione. Bisognerebbe avere due edizioni con lo stesso mastering inteso anche come obiettivo sonoro, ma prodotte specificatamente per ognuno dei due formati a confronto. Oltre a scegliere campioni musicali adatti ad individuare le differenze attraverso l'ascolto di un breve brano di musica, se si vuole seguire un approccio che punta ad una media statistica su un numero elevato di ascoltatori con diverse esperienze musicali.

Tirando le somme
Un confronto tra il formato CD e l'alta definizione per essere oggettivo deve tenere conto di parecchi punti di attenzione:
  • Mastering diverso tra il campione HD e quello CD
  • Processo di decodifica in analogico diverso tra i due campioni
  • Influenza delle scelte in registrazione che possono enfatizzare o ridurre le differenze udibili
  • Versione in HD effettivo o simulato
  • Caratteristiche dei due DAC utilizzati o del comportamento nei due formati dell'unico DAC, se si opta per questa soluzione
  • Scelta tra campioni CD originali o derivati dal campione HD
A mio avviso la scelta più efficace, almeno per un confronto "home made" rimane quella che avevo adottato utilizzando diverse versioni commerciali degli stessi brani di Diana Krall o di John Coltrane pubblicati in diversi formati (CD e DVD-Audio, ma sempre in PCM) ma con mastering presumibilmente uguale (non erano dichiarate versioni speciali). Si ha in questo modo anche il vantaggio di un confronto immediato tra un formato e l'altro. Al peggio si accorciano le distanze a svantaggio dell'HD. Per una ancora maggiore oggettività servirebbero informazioni più approfondite sulla tecnica di registrazione. Oppure, per chi ne ha la possibilità, produrre in proprio i campioni.

venerdì 3 ottobre 2014

Come *non* installare un impianto alta fedeltà

Un tipico problema con cui deve fare i conti il cosiddetto audiofilo (che di solito è maschio per motivi mai spiegati e neanche indagati a fondo) è il famoso WAF (Wife Acceptance Factor). Ma altrettanto efficace se non di più, per quanto riguarda gli ostacoli ad un ascolto almeno decente tra le pareti domestiche, è l'azione di architetti ed arredatori in genere.
Dall'ultimo numero di D-Casa, supplemento a Repubblica del sabato, ecco un esempio particolarmente illuminante in tal senso, che consente di riassumere in un sol colpo quasi tutti i possibili sistemi per peggiorare il suono di un impianto (non importa quanto costoso) fino a vanificare ogni residua pretesa di "alta fedeltà".

Quello che viene presentato è l'appartamento parigino, peraltro molto bello e gradevolmente vivibile, dell'attrice Charlotte Gainsbourg e del marito attore e doppiatore Yvan Attal. La proprietaria di casa è peraltro figlia di un notissimo musicista e dovrebbe, almeno in teoria, avere un occhio di riguardo per il buon suono.


Una serie di utili esempi
C'è veramente di tutto. Cominciamo dai diffusori, due bookshelf di buon livello, a quanto sembra (non riesco a individuare marca e modello ma forse qualcuno dei visitatori del blog può aiutare a riconoscerli). Sono progettati per essere montati in verticale, con il tweeter all'altezza delle orecchie di chi ascolta (seduto, normalmente), e orientati leggermente verso il punto di ascolto. Li vediamo montati in orizzontale (poco male, fosse solo questo), ad un metro più in alto delle persone sedute ed orientati in modo diverso tra loro.

Ma c'è di più, sono casse compatte ma presumibilmente abbastanza pesanti, come tutte le casse di qualità, e il woofer è piccolo (15-17 cm, sembra) ma non piccolissimo, un buon generatore di vibrazioni, quindi. Che richiede un supporto stabile, il più possibile esente da vibrazioni. Invece vedete dove li hanno appoggiati e quanto può oscillare una struttura come quella. Certo, si può fare solo una valutazione a vista, magari sono componenti speciali ultra rigidi realizzati in realtà in titanio e leghe speciali, e la colonna è in piombo e ghisa e pesa 100Kg, ma all'apparenza non sembra proprio, paiono oggetti progettati per altri scopi, per sostenere soprammobili e libri (leggeri).

Sul lato destro vediamo poi un giradischi. Il vinile è un must e un giradischi vintage come quello che vediamo (anche qui non sono riuscito a individuare marca e modello) montato su una sottile mensola retta da un solo braccio, uguale a quella della cassa sovrastante. Ma ad essa collegata per la trasmissione delle vibrazioni grazie alla colonna verticale. E anche qui sono riusciti ad infrangere un'altra delle regole auree, disaccoppiare il giradischi, oggetto meccanico suscettibile alle vibrazioni, da un componente hi-fi il cui scopo è generare onde sonore mediante vibrazioni.

Vicino alla cassa di destra c'è un po' di posto e hanno pensato di mettere lì l'amplificatore, modello compatto (così sembra). Sulla stessa sottile mensola sorretta come si diceva da un solo supporto metallico. Ma, appoggiato direttamente sopra la cassa vediamo un altro componente, per il quale evidentemente un altro posto non si trovava. E' il lettore CD. Pensare che c'è chi si ingegna di ridurre le vibrazioni dei lettori con piedini speciali o materiali esoterici da installare con appositi "tweakings" al suo interno, e qui lo appoggiano con nonchalance proprio sulla cassa.

Niente da dire invece sui gusti musicali dei padroni di casa. Sulla sinistra si scorgono due chitarre elettriche vintage e dietro il giradischi (non so se si vede nella riproduzione) fa bella mostra il vinile originale di Tutu di Miles Davis.

L'arredatrice, sicuramente dotata di buon gusto, ma molto meno interessata al gusto musicale, si chiama Florence Lopez e tra i suoi clienti, dice la rivista, c'è anche Nicole Kidman e altri nomi noti. Non si sa però molto del suo intervento qui riguardo all'impianto, perché nell'articolo si citano solo le scelte relative alle sedute, al tappeto e al tavolino visibili nell'immagine.

mercoledì 24 settembre 2014

La differenza che interessa

La differenza che interessa e suscita dibattito nel mondo della musica (riprodotta e non) è quella tra i formati compressi e non compressi, e tra i formati in qualità CD e in alta definizione. Una differenza che evidentemente si può apprezzare solo all'ascolto, e all'ascolto abbiamo dedicato numerosi approfondimenti negli ultimi tempi (in fondo ci sono tutti i link agli altri post).

Un articolo relativamente recente sul quotidiano inglese The Guardian ha rilanciato il tema, sostenendo (non sono i primi) che la differenza non si sente. Possibile? Tante informazioni in più ma, a differenza che nel cinema e nella fotografia digitale, il nostro pur raffinato sistema uditivo non riesce ad individuarle e ad utilizzarle? Ci torno sopra partendo da alcuni test eseguiti da istituti universitari statunitensi e tedeschi nei dipartimenti che si occupano dell'ingegneria dell'audio.

Premessa: come eseguire un test a confronto
La progettazione di un test influenza il risultato e lo rende più o meno attendibile, questo è noto ed è verificabile in qualsiasi test soggettivo, con questionari e partecipanti umani. Nel nostro campo il test tipico e più intuitivo è la prova a confronto, si ascolta un estratto di 10-20" in un formato e poi lo si riascolta subito dopo per il formato da confrontare. Per rendere la prova più oggettiva si evita di dichiarare quale formato si sta ascoltando (doppio cieco) e poi (ma questo è obbligatorio) si normalizza il volume tra i due test (il nostro sistema di giudizio tende a preferire il suono più forte, come noto).
Più efficace è il metodo basato sul confronto istantaneo, che avevo applicato nel primo test a confronto pubblicato su questo blog. I due formati sono riprodotti in parallelo da due sistemi di lettura diversi, con il medesimo programma musicale, sincronizzati e con il volume normalizzato, e l'ascoltatore può passare dall'uno all'altro più volte, alla ricerca delle differenze.
Entrambi gli esperimenti che presento qui adottano la tecnica degli ascolti successivi a confronto su un panel di più partecipanti.

Il test dell'Audio Engineering Society (AES)
L'AES, in collaborazione con il  McGill Audio Quality Lab della omonima università di Montreal, ha svolto nel 2009 questo interessante test, progettato per un convegno internazionale e citato da diverse parti e per il quale, soprattutto, è disponibile una esauriente documentazione. Il test si chiama "Subjective Evaluation of MP3 Compression for Different Musical Genres". Lo scopo era determinare se gli ascoltatori erano in grado di percepire la differenza tra musica riprodotta a qualità CD e la stessa compressa in formato MP3 a 96, 128, 192, 256 e 320kbps.
Il test utilizzava estratti di musica in diversi generi che veniva fatta ascoltare in doppio cieco con un impianto hi-fi di elevato livello, ad un panel di ascoltatori differenziato per esperienza di ascolto: ascoltatori esperti (tipo noi che partecipiamo a questo blog), musicisti, tecnici del suono.
Un testo apparentemente un po' datato ma molto interessante, perché il fatto che una differenza sia avvertibile tra CD e MP3 è stato raramente messo in discussione.

La McGill University di Montreal

I risultati
Cominciamo dai risultati e poi vediamo come sono stati ricavati. Dalla presentazione (che si può leggere integralmente seguendo i link in fondo) apprendiamo che: a) aumentando la esperienza di ascolto aumenta la capacità di riconoscere senza incertezza il suono non compresso: gli ascoltatori esperti riconoscono con sicurezza la differenza tra formato CD e MP3 fino a 96Kbps, i musicisti fino a 128Kbps, i tecnici del suono fino a 256Kbps; b) la preferenza è avvertita più con la musica di genere pop e rock che con la musica acustica; c) la compressione in MP3 a 96Kbps viene riconosciuta come peggiore anche rispetto all'MP3 a 320Kbps con la stessa percentuale rilevata per il CD (>70%); d) i tecnici del suono riconoscono i campioni CD come superiori a quelli compressi nell'80% dei test complessivamente, la percentuale scende per le altre due categorie.


Se ne deduce quindi che con questa modalità di test il formato MP3 a 320Kbps è difficilmente distinguibile dal CD, e anche che risultano più rivelatori delle differenze estratti di musica creata in studio con strumenti elettronici piuttosto che musica acustica. Infine, anche la specifica conoscenza di un genere musicale non ha aiutato nel riconoscimento rispetto all'ascolto con un genere musicale o con un brano non noto.

Risultati quindi che in parte confermano le aspettative (il peggioramento con l'MP3 si sente) ma in parte le smentiscono, portando l'MP3 a bitrate elevato allo stesso livello del CD (buona notizia per Spotify e soci, e per le case discografiche, se fosse vero) e smentendo la nostra preferenza per la musica acustica nei test (almeno se lo scopo è il confronto tra formati).
Ma il test sarà stato veramente efficace?

La modalità di effettuazione del test
A differenza di altri storici ed opinabili test qui si è partiti da ascoltatori che almeno avevano gli strumenti per valutare un messaggio musicale, quindi in primis, ascoltatori di musica. Il panel era abbastanza ampio: 13 ascoltatori esperti (età media 28 anni), 4 musicisti, 9 tecnici del suono. I generi musicali scelti erano 5 (Pop, Metal, Contemporanea, Orchestra, Opera) con brani poco noti, 1 per genere. La tecnica usata per il test era molto semplice: ogni partecipante entrava nella sala di ascolto attrezzata con un impianto di elevata qualità (Classè e B&W 902D) e dava il via al confronto. Veniva presentato in modo randomico, e quindi in doppio cieco, uno dei possibili confronti e alla fine doveva scegliere il migliore tra i due. Ogni confronto, di durata di 10" circa, veniva presentato due volte, in ordine inverso, e l'intera prova si concludeva dopo aver completato il totale delle possibili combinazioni previste, 150 in tutto.
In più, alla fine di ogni ascolto veniva chiesto di indicare con un questionario i difetti (artifacts) del campione giudicato peggiore.

L'impianto usato per i test alla università di Montreal

L'efficacia del test
Una prima osservazione riguarda l'assenza di test orientati alla voce maschile o femminile non impostata (e non filtrata) e alla mancanza di test orientati alla ricostruzione spaziale. Uno dei due campioni audio di musica acustica (quello per l'opera) è addirittura registrato in camera anecoica (penso per far concentrare l'ascolto sulla voce) mentre l'altro è per grande orchestra mahleriana, che puntava ad un amalgama del suono secondo la scuola di Wagner, come noto.
Sono invece i tipici test che si fanno (e che adotto anche io) per evidenziare al massimo le differenze più individuabili. D'altra parte in 10" non sarebbe stato possibile far attenzione anche a questo.

Un'altra osservazione nasce dalla curiosa maggior efficacia del pop e del rock per evidenziare le differenze. Anche qui occorre ricordare che la compressione MP3 tra le altre cose comprime anche la dinamica, e che una dinamica più ristretta comporta una impressione di suono "più forte". Dando per scontato che il volume nei due confronti sia stato normalizzato (la presentazione non lo dice), è possibile quindi che la differenza avvertita meno per la musica acustica, nasca dal fatto che il campione in MP3 sia stato "migliorato" soggettivamente all'ascolto (così breve) dalla compressione dinamica. Effetto minore per i campioni pop / rock già presumibilmente più compressi all'origine. E minore incidenza per gli ascoltatori più esperti che difatti riescono con maggiore sicurezza ad individuare il campione compresso.

Gli altri tre campioni di musica pop, rock e contemporanea rappresentano scelte difficili da valutare: a parte il brano dei Rage Against The Machine sono infatti brani quasi sconosciuti di autori molto poco noti. Comunque introvabili sia su YouTube sia su Spotify e quindi difficile da valutare quanto siano adatti ad evidenziare le differenze. Il brano rock è un classico pezzo metal con chitarre distorte e basso elettrico in evidenza e a mio parere (e come confermano i risultati) le differenze possono essere individuate solo da un ascoltatore molto esperto.

I campioni musicali selezionati per il test AES

Infine si nota uno strano andamento nei giudizi tra i musicisti, con l'MP3 a 320Kbps valutato allo stesso modo del 128 (ma il 256Kbps migliore del CD al 70%). Sembrerebbe che qualcuno dei 4 musicisti sia crollato dopo decine di test e abbia dato risultati a caso.

Gli "artifatti"
E' interessante riportare anche l'elenco delle distorsioni che si chiedevano di individuare, e che sono state individuate dai partecipanti al termine delle brevi sessioni di ascolto. In ordine di segnalazioni riportate (vedi il dettaglio nella slide) sono:
- distorsioni a frequenze elevate
- distorsione in genere
- transienti distorti o non realistici
- immagine stereo non stabile
- compressione della gamma dinamica
- riverbero eccessivo o innaturale
- rumore di fondo

Questo elenco può essere anche un buon suggerimento in ascolto sugli aspetti a cui prestare maggiore attenzione durante un confronto per qualsiasi scopo.



In sintesi
Meno test, più lunghi e più mirati penso che avrebbero dato risultati diversi e fatto emergere la superiorità in genere da tutti riconosciuta del formato non compresso su quello compresso. Rimane il fatto oggettivo che la compressione normalmente usata comporta un degrado avvertibile e che però già a 320Kbps la differenza si avverte, ma solo con un ascolto attento e continuativo. Da notare inoltre che altri formati di compressione (Ogg Vorbis soprattutto) sono superiori come qualità al più anziano MP3.

Il test dell'Istituto di musicologia dell'Università di Amburgo
Questo test invece è stato effettuato per una tesi di laurea collettiva. Più recente, risale al 2011, il titolo è "Subjective audibility of MP3-compression artefacts in practical application". In fondo all'articolo anche in questo caso il link per leggere integralmente il report. La modalità di rilevamento dei dati è molto simile, con prove a confronto di breve durata, una differenza significativa è rappresentata dal sistema di riproduzione, che in questo caso è una cuffia dinamica di elevata qualità (Senheiser HD 800, nella foto sotto) e nel panel dei partecipanti che è rappresentato (come c'era da aspettarsi) da studenti della stessa facoltà (2 dei quali musicisti e tecnici del suono).

Più o meno simile il numero di partecipanti (21), più ampia e variegata invece la lista dei campioni musicali (12 per 4 generi: elettronica, rock, classica, jazz). Le restanti modalità di test sono molto simili, incluso i campioni di 10", da notare solo che era incluso per confronto un "falso" test di controllo CD-CD e che è esplicitamente citato il livellamento preliminare del volume. Il report fa anche un riepilogo degli altri test effettuati nel mondo a questo scopo (incluso quello dell'AES) ed evidenzia anche la variabilità dei risultati e la dipendenza dalla tecnica di test.

I risultati del test effettuato in Germania
Sono apparentemente anche più netti di quelli del test precedenti, relativamente alla difficoltà di individuare le differenze, almeno con questo sistema di misura, ma le elaborazioni sul campione dei partecipanti forniscono alcune interessanti spiegazioni a questo risultato inaspettato.
Il test individua il confine tra differenza individuabile con certezza ancora più in basso, a 48Kbps, già a 96 e a 128Kbps la variabilità e il numero di "false" risposte è simile a quello ottenuto dai test di controllo CD-CD.

L'auditorium della università di Amburgo

Veniva richiesto però anche in questo caso di compilare un questionario sulle differenze individuate tra i campioni e da questo ulteriore elemento si è verificato che sia a 96 sia a 128Kbps la grande maggioranza dei partecipanti individuava differenze con sicurezza tra i due campioni ascoltati. Il fatto è che queste differenze non venivano valutate come indicatori di un suono "migliore". Spesso la differenza introdotta dalla compressione (ad esempio la compressione dinamica, penso io) veniva interpretata come migliorativa.
I risultati sono stati quindi correlati con le abitudini di ascolto dei partecipanti (come non pare abbiano fatto quelli dell'AES) e hanno verificato una marcata differenza tra gli ascoltatori che usavano in prevalenza per l'ascolto lettori portatili e musica compressa e quelli abituati ad ascoltare in qualità CD. Scoprendo che chi individuava con maggior sicurezza la differenza erano questi ultimi.

I tesisti e il prof. Rolf Bader che ha guidato la ricerca nelle conclusioni ipotizzano quindi che la spinta psicologica ad individuare comunque una differenza (anche quando non c'è: test CD-CD) e la familiarità col suono ottenuto della compressione MP3 (compresso e "semplificato") hanno condotto al giudizio che possiamo considerare "falso" in termini tecnici, ma non soggettivi, ma che la differenza comunque gli ascoltatori la percepiscono.

Sintesi finali
Non c'è molto da aggiungere ai risultati dei due test che sono trasparenti ed oggettivi nella loro esecuzione, ma ovviamente soggettivi nelle valutazioni. Che peraltro ognuno può verificare sul proprio impianto e con le proprie orecchie, perché è un test molto facile da replicare. Come evidenziato dalle conclusioni del test tedesco, che condivido, molto dipende dalla educazione all'ascolto dei partecipanti ai test, confermando anche l'opinione di un professionista e tecnico del suono come Masciarotte citato in precedenza. Una maggiore qualità del media rappresenta quindi sempre un miglioramento e una volta acquisito questo livello di qualità è più difficile tornare indietro.
Vale lo stesso anche nel successivo upgrade da CD a HD? La risposta ha provato a darla un successivo test sempre dell'AES che commenterò in un successivo post.

Appendice 1 - Gli altri articoli sull'ascolto


Appendice 2 - I link ai due test commentati