mercoledì 24 settembre 2014

La differenza che interessa

La differenza che interessa e suscita dibattito nel mondo della musica (riprodotta e non) è quella tra i formati compressi e non compressi, e tra i formati in qualità CD e in alta definizione. Una differenza che evidentemente si può apprezzare solo all'ascolto, e all'ascolto abbiamo dedicato numerosi approfondimenti negli ultimi tempi (in fondo ci sono tutti i link agli altri post).

Un articolo relativamente recente sul quotidiano inglese The Guardian ha rilanciato il tema, sostenendo (non sono i primi) che la differenza non si sente. Possibile? Tante informazioni in più ma, a differenza che nel cinema e nella fotografia digitale, il nostro pur raffinato sistema uditivo non riesce ad individuarle e ad utilizzarle? Ci torno sopra partendo da alcuni test eseguiti da istituti universitari statunitensi e tedeschi nei dipartimenti che si occupano dell'ingegneria dell'audio.

Premessa: come eseguire un test a confronto
La progettazione di un test influenza il risultato e lo rende più o meno attendibile, questo è noto ed è verificabile in qualsiasi test soggettivo, con questionari e partecipanti umani. Nel nostro campo il test tipico e più intuitivo è la prova a confronto, si ascolta un estratto di 10-20" in un formato e poi lo si riascolta subito dopo per il formato da confrontare. Per rendere la prova più oggettiva si evita di dichiarare quale formato si sta ascoltando (doppio cieco) e poi (ma questo è obbligatorio) si normalizza il volume tra i due test (il nostro sistema di giudizio tende a preferire il suono più forte, come noto).
Più efficace è il metodo basato sul confronto istantaneo, che avevo applicato nel primo test a confronto pubblicato su questo blog. I due formati sono riprodotti in parallelo da due sistemi di lettura diversi, con il medesimo programma musicale, sincronizzati e con il volume normalizzato, e l'ascoltatore può passare dall'uno all'altro più volte, alla ricerca delle differenze.
Entrambi gli esperimenti che presento qui adottano la tecnica degli ascolti successivi a confronto su un panel di più partecipanti.

Il test dell'Audio Engineering Society (AES)
L'AES, in collaborazione con il  McGill Audio Quality Lab della omonima università di Montreal, ha svolto nel 2009 questo interessante test, progettato per un convegno internazionale e citato da diverse parti e per il quale, soprattutto, è disponibile una esauriente documentazione. Il test si chiama "Subjective Evaluation of MP3 Compression for Different Musical Genres". Lo scopo era determinare se gli ascoltatori erano in grado di percepire la differenza tra musica riprodotta a qualità CD e la stessa compressa in formato MP3 a 96, 128, 192, 256 e 320kbps.
Il test utilizzava estratti di musica in diversi generi che veniva fatta ascoltare in doppio cieco con un impianto hi-fi di elevato livello, ad un panel di ascoltatori differenziato per esperienza di ascolto: ascoltatori esperti (tipo noi che partecipiamo a questo blog), musicisti, tecnici del suono.
Un testo apparentemente un po' datato ma molto interessante, perché il fatto che una differenza sia avvertibile tra CD e MP3 è stato raramente messo in discussione.

La McGill University di Montreal

I risultati
Cominciamo dai risultati e poi vediamo come sono stati ricavati. Dalla presentazione (che si può leggere integralmente seguendo i link in fondo) apprendiamo che: a) aumentando la esperienza di ascolto aumenta la capacità di riconoscere senza incertezza il suono non compresso: gli ascoltatori esperti riconoscono con sicurezza la differenza tra formato CD e MP3 fino a 96Kbps, i musicisti fino a 128Kbps, i tecnici del suono fino a 256Kbps; b) la preferenza è avvertita più con la musica di genere pop e rock che con la musica acustica; c) la compressione in MP3 a 96Kbps viene riconosciuta come peggiore anche rispetto all'MP3 a 320Kbps con la stessa percentuale rilevata per il CD (>70%); d) i tecnici del suono riconoscono i campioni CD come superiori a quelli compressi nell'80% dei test complessivamente, la percentuale scende per le altre due categorie.


Se ne deduce quindi che con questa modalità di test il formato MP3 a 320Kbps è difficilmente distinguibile dal CD, e anche che risultano più rivelatori delle differenze estratti di musica creata in studio con strumenti elettronici piuttosto che musica acustica. Infine, anche la specifica conoscenza di un genere musicale non ha aiutato nel riconoscimento rispetto all'ascolto con un genere musicale o con un brano non noto.

Risultati quindi che in parte confermano le aspettative (il peggioramento con l'MP3 si sente) ma in parte le smentiscono, portando l'MP3 a bitrate elevato allo stesso livello del CD (buona notizia per Spotify e soci, e per le case discografiche, se fosse vero) e smentendo la nostra preferenza per la musica acustica nei test (almeno se lo scopo è il confronto tra formati).
Ma il test sarà stato veramente efficace?

La modalità di effettuazione del test
A differenza di altri storici ed opinabili test qui si è partiti da ascoltatori che almeno avevano gli strumenti per valutare un messaggio musicale, quindi in primis, ascoltatori di musica. Il panel era abbastanza ampio: 13 ascoltatori esperti (età media 28 anni), 4 musicisti, 9 tecnici del suono. I generi musicali scelti erano 5 (Pop, Metal, Contemporanea, Orchestra, Opera) con brani poco noti, 1 per genere. La tecnica usata per il test era molto semplice: ogni partecipante entrava nella sala di ascolto attrezzata con un impianto di elevata qualità (Classè e B&W 902D) e dava il via al confronto. Veniva presentato in modo randomico, e quindi in doppio cieco, uno dei possibili confronti e alla fine doveva scegliere il migliore tra i due. Ogni confronto, di durata di 10" circa, veniva presentato due volte, in ordine inverso, e l'intera prova si concludeva dopo aver completato il totale delle possibili combinazioni previste, 150 in tutto.
In più, alla fine di ogni ascolto veniva chiesto di indicare con un questionario i difetti (artifacts) del campione giudicato peggiore.

L'impianto usato per i test alla università di Montreal

L'efficacia del test
Una prima osservazione riguarda l'assenza di test orientati alla voce maschile o femminile non impostata (e non filtrata) e alla mancanza di test orientati alla ricostruzione spaziale. Uno dei due campioni audio di musica acustica (quello per l'opera) è addirittura registrato in camera anecoica (penso per far concentrare l'ascolto sulla voce) mentre l'altro è per grande orchestra mahleriana, che puntava ad un amalgama del suono secondo la scuola di Wagner, come noto.
Sono invece i tipici test che si fanno (e che adotto anche io) per evidenziare al massimo le differenze più individuabili. D'altra parte in 10" non sarebbe stato possibile far attenzione anche a questo.

Un'altra osservazione nasce dalla curiosa maggior efficacia del pop e del rock per evidenziare le differenze. Anche qui occorre ricordare che la compressione MP3 tra le altre cose comprime anche la dinamica, e che una dinamica più ristretta comporta una impressione di suono "più forte". Dando per scontato che il volume nei due confronti sia stato normalizzato (la presentazione non lo dice), è possibile quindi che la differenza avvertita meno per la musica acustica, nasca dal fatto che il campione in MP3 sia stato "migliorato" soggettivamente all'ascolto (così breve) dalla compressione dinamica. Effetto minore per i campioni pop / rock già presumibilmente più compressi all'origine. E minore incidenza per gli ascoltatori più esperti che difatti riescono con maggiore sicurezza ad individuare il campione compresso.

Gli altri tre campioni di musica pop, rock e contemporanea rappresentano scelte difficili da valutare: a parte il brano dei Rage Against The Machine sono infatti brani quasi sconosciuti di autori molto poco noti. Comunque introvabili sia su YouTube sia su Spotify e quindi difficile da valutare quanto siano adatti ad evidenziare le differenze. Il brano rock è un classico pezzo metal con chitarre distorte e basso elettrico in evidenza e a mio parere (e come confermano i risultati) le differenze possono essere individuate solo da un ascoltatore molto esperto.

I campioni musicali selezionati per il test AES

Infine si nota uno strano andamento nei giudizi tra i musicisti, con l'MP3 a 320Kbps valutato allo stesso modo del 128 (ma il 256Kbps migliore del CD al 70%). Sembrerebbe che qualcuno dei 4 musicisti sia crollato dopo decine di test e abbia dato risultati a caso.

Gli "artifatti"
E' interessante riportare anche l'elenco delle distorsioni che si chiedevano di individuare, e che sono state individuate dai partecipanti al termine delle brevi sessioni di ascolto. In ordine di segnalazioni riportate (vedi il dettaglio nella slide) sono:
- distorsioni a frequenze elevate
- distorsione in genere
- transienti distorti o non realistici
- immagine stereo non stabile
- compressione della gamma dinamica
- riverbero eccessivo o innaturale
- rumore di fondo

Questo elenco può essere anche un buon suggerimento in ascolto sugli aspetti a cui prestare maggiore attenzione durante un confronto per qualsiasi scopo.



In sintesi
Meno test, più lunghi e più mirati penso che avrebbero dato risultati diversi e fatto emergere la superiorità in genere da tutti riconosciuta del formato non compresso su quello compresso. Rimane il fatto oggettivo che la compressione normalmente usata comporta un degrado avvertibile e che però già a 320Kbps la differenza si avverte, ma solo con un ascolto attento e continuativo. Da notare inoltre che altri formati di compressione (Ogg Vorbis soprattutto) sono superiori come qualità al più anziano MP3.

Il test dell'Istituto di musicologia dell'Università di Amburgo
Questo test invece è stato effettuato per una tesi di laurea collettiva. Più recente, risale al 2011, il titolo è "Subjective audibility of MP3-compression artefacts in practical application". In fondo all'articolo anche in questo caso il link per leggere integralmente il report. La modalità di rilevamento dei dati è molto simile, con prove a confronto di breve durata, una differenza significativa è rappresentata dal sistema di riproduzione, che in questo caso è una cuffia dinamica di elevata qualità (Senheiser HD 800, nella foto sotto) e nel panel dei partecipanti che è rappresentato (come c'era da aspettarsi) da studenti della stessa facoltà (2 dei quali musicisti e tecnici del suono).

Più o meno simile il numero di partecipanti (21), più ampia e variegata invece la lista dei campioni musicali (12 per 4 generi: elettronica, rock, classica, jazz). Le restanti modalità di test sono molto simili, incluso i campioni di 10", da notare solo che era incluso per confronto un "falso" test di controllo CD-CD e che è esplicitamente citato il livellamento preliminare del volume. Il report fa anche un riepilogo degli altri test effettuati nel mondo a questo scopo (incluso quello dell'AES) ed evidenzia anche la variabilità dei risultati e la dipendenza dalla tecnica di test.

I risultati del test effettuato in Germania
Sono apparentemente anche più netti di quelli del test precedenti, relativamente alla difficoltà di individuare le differenze, almeno con questo sistema di misura, ma le elaborazioni sul campione dei partecipanti forniscono alcune interessanti spiegazioni a questo risultato inaspettato.
Il test individua il confine tra differenza individuabile con certezza ancora più in basso, a 48Kbps, già a 96 e a 128Kbps la variabilità e il numero di "false" risposte è simile a quello ottenuto dai test di controllo CD-CD.

L'auditorium della università di Amburgo

Veniva richiesto però anche in questo caso di compilare un questionario sulle differenze individuate tra i campioni e da questo ulteriore elemento si è verificato che sia a 96 sia a 128Kbps la grande maggioranza dei partecipanti individuava differenze con sicurezza tra i due campioni ascoltati. Il fatto è che queste differenze non venivano valutate come indicatori di un suono "migliore". Spesso la differenza introdotta dalla compressione (ad esempio la compressione dinamica, penso io) veniva interpretata come migliorativa.
I risultati sono stati quindi correlati con le abitudini di ascolto dei partecipanti (come non pare abbiano fatto quelli dell'AES) e hanno verificato una marcata differenza tra gli ascoltatori che usavano in prevalenza per l'ascolto lettori portatili e musica compressa e quelli abituati ad ascoltare in qualità CD. Scoprendo che chi individuava con maggior sicurezza la differenza erano questi ultimi.

I tesisti e il prof. Rolf Bader che ha guidato la ricerca nelle conclusioni ipotizzano quindi che la spinta psicologica ad individuare comunque una differenza (anche quando non c'è: test CD-CD) e la familiarità col suono ottenuto della compressione MP3 (compresso e "semplificato") hanno condotto al giudizio che possiamo considerare "falso" in termini tecnici, ma non soggettivi, ma che la differenza comunque gli ascoltatori la percepiscono.

Sintesi finali
Non c'è molto da aggiungere ai risultati dei due test che sono trasparenti ed oggettivi nella loro esecuzione, ma ovviamente soggettivi nelle valutazioni. Che peraltro ognuno può verificare sul proprio impianto e con le proprie orecchie, perché è un test molto facile da replicare. Come evidenziato dalle conclusioni del test tedesco, che condivido, molto dipende dalla educazione all'ascolto dei partecipanti ai test, confermando anche l'opinione di un professionista e tecnico del suono come Masciarotte citato in precedenza. Una maggiore qualità del media rappresenta quindi sempre un miglioramento e una volta acquisito questo livello di qualità è più difficile tornare indietro.
Vale lo stesso anche nel successivo upgrade da CD a HD? La risposta ha provato a darla un successivo test sempre dell'AES che commenterò in un successivo post.

Appendice 1 - Gli altri articoli sull'ascolto


Appendice 2 - I link ai due test commentati











giovedì 28 agosto 2014

Equo compenso, streaming e download

Il mondo della musica continua ad anticipare le rivoluzioni nel nostro modo di vivere che una tecnologia sempre più potente e sempre più accessibile, che chiamiamo per semplicità "digitale" sta portando con se'.

Quello che affronto ora  qui, per un usuale punto della situazione, è il cambiamento in corso nella produzione dei contenuti e nel compenso per chi li produce, un cambiamento che probabilmente farà da apri pista al mondo della letteratura e forse del giornalismo.

Nell'era dei supporti fisici la gran parte dei compensi per tutti quelli che producevano musica, in qualsiasi ruolo, provenivano dalla vendita dei supporti, dischi, cassette o CD, in misura minore dalla diffusione via radio e in misura ancora minore dalla vendita di spartiti e dai concerti.

La vendita dei supporti è in calo costante e si ridurrà presto ad una nicchia di mercato, e lo stesso sta accadendo per la loro versione in digitale, il download. In crescita è invece la diffusione, ma in forme del tutto diverse, in prevalenza on demand. È il cosiddetto streaming. In sviluppo anche tutto il settore dei concerti, non più costosi e oberati da effetti speciali sempre più spettacolari e sostanzialmente promozionali (e in perdita) ma coperti dai profitti di LP e CD. Ora sono produzioni che puntano al profitto. Il problema è che la crescita in questi settori non bilancia il calo e non può garantire, almeno nelle previsioni a breve-medio termine, di recuperare il mancato fatturato derivante dall'ulteriore calo previsto nella vendita dei supporti.

I concerti
Sono passati, come accennato prima, da attività ad elevato costo non copribile dal costo dei biglietti (e in alcuni casi celebri anche gratuiti) quindi giustificate essenzialmente come promozione della vendita degli album, ad attività con un conto economico in positivo. Una delle principali fonti di reddito per molti musicisti che si impegnano a ritmi molto intensi, come Ben Harper con i suoi 200 e più concerti all'anno (fonte anche di ispirazione verifica della sua proposta grazie alla interazione continua con il pubblico). Una attività , come è evidente, non piratabile. Ma non alla portata di tutti.


Guadagnare con lo streaming
Se Spotify o Sony Music Unlimited o Deezer o Google Music Unlimited con circa 10 € al mese consentono di scegliere e ascoltare in buona qualità quasi tutta la musica del mondo, sobbarcandosi i costi dei server e delle connessioni, si suppone che non possano garantire grandi royalties per i detentori dei diritti delle musiche selezionate dagli utenti. Molti musicisti hanno accusato Spotify di lasciare profitti irrisori ai musicisti. Secondo analisi fatte dal sito AudioStream questo è vero solo in parte.
Per musicisti che riescono a generare numeri elevati in streaming e che gestiscono direttamente i loro diritti, come Ron Pope ritratto nella immagine iniziale, o il cantautore impegnato inglese Billy Bragg, i ricavi non sono disprezzabili, grazie alla vastità del pubblico contattabile sulla grande rete e ai servizi diffusi universalmente (come appunto Spotify). Diventano molto inferiori a quelli garantiti un tempo dai CD, quando il contratto che lega il musicista all'editore è sbilanciato verso questo canale rispetto alla diffusione, o per generi musicali a minore diffusione, quindi in primis per la classica e il jazz. Ma questo ultimo fatto avveniva già per le vendite di CD e quindi non c'è alcuna novità. In ogni caso il passaggio allo streaming assieme al forte incremento della produzione (e quindi della scelta per i consumatori di musica, consentita dalla continua diminuzione dei costi di produzione e dalla globalizzazione culturale) comporta un inevitabile calo dei guadagni per chi vive di musica, di qualsiasi fase del ciclo si occupi. Con le solite eccezioni.


Riduzione, non annullamento
Se tutti vogliono ascoltare musica quasi in ogni ora della giornata (e forse anche durante il sonno) non c'è dubbio che la domanda ci sia e sia consistente, e chi produce musica (una creazione non alla portata di tutti) è logico che sia remunerato. I sistemi che lo garantivano un tempo sono saltati ed è vano e velleitario il tentativo delle case discografiche, riunite nella IFPI, di mantenere la legislazione attuale sul copyright magari inasprendo le leggi, senza alcun aggiornamento alla situazione attuale nei canali di distribuzione e diffusione.

Pirateria ed equo compenso
La pirateria, ovvero il download illegale, muta continuamente e continua a resistere ai tentativi di debellarla. Avviato ormai sul viale del tramonto il peer-to-peer o P2P, il nuovo sistema è il cosiddetto "cyberlocking" (ci tornerò in un prossimo post). Per i discografici è la motivazione per richiedere leggi più severe o in sottordine, l'applicazione della "copy levy" - in italiano "equo compenso". Con le annesse tradizionali polemiche. Ingiustificate, perché è difficile sostenere che sulle memorie di massa esterne o interne di PC, tablet e smartphone non ci sia musica scaricata senza pagarla o copiata da altri, in almeno il 90% degli apparati diffusi in Italia. In più, l'equo compenso bilancia oramai gli introiti anche rispetto ad altri soggetti che, legalmente in questo caso, beneficiano della distribuzione legale o illegale di musica (o film) senza pagare nulla ai produttori del contenuti.  Sono i gestori di reti fissa e mobile.

L'obiezione ovvia è che l'equo compenso colpisce solo i produttori di HW e non i gestori TLC. Ma non è più così e lo sarà ancor meno in futuro in un mondo sempre più orientato alla tecnologia mobile, dove i gestori sono collegati a filo doppio con i produttori di apparati mobili. Che divideranno sicuramente l'equo compenso con gli sconti applicati ai gestori per la vendita di abbonamenti con apparato incluso.

Il caso YouTube
Oltre allo streaming in abbonamento, esiste anche lo streaming con pubblicità. La stessa distinzione che conosciamo per la TV tra i servizi premium come Sky o Mediaset Premium e quelli cosiddetti in chiaro. Una opzione anche per Spotify, ma il servizio di questo tipo che tutti conoscono ed usano continuamente è ovviamente YouTube. In questo caso i guadagni dei detentori dei diritti musicali sono unicamente una percentuale delle tariffe pubblicitarie riscosse da Google / YouTube, nel caso in cui gli annunci siano inseriti in video accompagnati da contenuti musicali sotto copyright. Ho trattato a suo tempo il modello di business di YouTube per gli inserzionisti e per i creatori di contenuti in questo articolo a cui rinvio per approfondimenti.

Appare evidente che essendo una frazione della frazione quello che rimane al musicista in questo caso sarà apprezzabile solo per grandi volumi, che però su YouTube sono anche possibili.
Una preoccupazione speciale è riservata invece all'annunciato servizio in abbonamento senza pubblicità che YouTube sta lanciando. Qui secondo le anticipazioni Google grazie alla forza dei numeri sta imponendo percentuali molto basse per i detentori dei diritti musicali e in particolare per le etichette indipendenti (la fonte è sempre AudioStream). Ma come sempre bisognerà vedere come andrà veramente e se poi YouTube a pagamento avrà un vero peso commerciale.

In sintesi
Chi produce musica e vuole vivere di musica non può fare altro che adattarsi al mondo attuale e cercare di piegarlo a proprio favore. Compensare con i concerti e con le attività collaterali il calo di fatturato ( e la progressione sparizione) dei ricavi da supporti fisici. Diventare popolare sul web o attraverso altri canali (TV in primis) per generare streaming (o trovare buoni sponsor se è un musicista classico) e sostenere e cercare di rendere effettivamente equo per sé (ma non vessatorio per gli utenti) l'equo compenso. I servizi in abbonamento sono destinati a crescere sia come numero di abbonati sia come spesa per abbonato come già avviene nella TV, e quindi è prevedibile che anche la "torta" per i musicisti sarà più ricca. Ma dovrà essere divisa tra un numero di produttori di contenuti sempre più grande.

(nelle immagini i musicisti citati: Ron Pope, Ben Harper e Billy Bragg)

giovedì 17 luglio 2014

Prima dell'analogico, meglio dell'analogico: i music rolls Ampico

L'analogico in musica evoca tecnologie vintage (il vinile, i nastri magnetici) ma di ottima reputazione, in grado di restituire l'evento musicale originale con maggiore fedeltà e naturalezza, secondo alcuni. Sono tecnologie dell'era dell'elettronica, che precedono l'attuale era digitale. Eppure anche nell'era tecnologica precedente, quando i componenti elettronici attivi, valvole e transistor, erano ancora oggetti del futuro e l'unica automazione possibile era elettro-meccanica e magnetica, sono stati messi a punto sistemi di riproduzione della musica persino migliori dei migliori sistemi successivi, direi quasi perfetti.
E sono persino utilizzati ancora oggi dagli appassionati, seppur non più in produzione sin dagli anni '20 del XX Secolo.

La registrazione e riproduzione elettro-meccanica
Tutto parte dagli strumenti a tastiera, e in particolare dal più diffuso e importante tra essi, il pianoforte. Uno strumento a tastiera implementa già all'origine una codifica dell'evento musicale, riconducendolo ad un insieme di note ad intonazione fissa, a differenza degli strumenti ad intonazione continua (archi, fiati ecc.). Si presta quindi bene per una possibile automazione, nel senso che i parametri con cui si compone il suono sono sostanzialmente tre: le note (l'altezza del suono), eventualmente sommate tra loro (accordi), il valore delle note (la loro durata), la intensità con cui vengono suonate (piano-forte).
Basterebbe registrare questi tre parametri (più il pedale e il pedale tonale) per cogliere in modo totale il contenuto musicale. E il modo per farlo può essere suggerito da un antico giocattolo meccanico inventato a fine Settecento e che tutti conoscono: il carillon. Dove un rullo continuo suona una melodia molto semplice mediante una sequenza di note di durata costante. Lo stesso principio usato poi nella sua evoluzione: l'organetto a  manovella usato dai suonatori ambulanti fino a qualche decennio fa

La meccanica Ampico applicata su un pianoforte di produzione Bosendorfer

Partendo da questo spunto a fine ottocento numerosi inventori da varie parte del mondo (Italia inclusa) si sono ingegnati a mettere a punto un sistema di registrazione in grado di catturare (registrare) questi parametri da un pianoforte, ovviamente mentre viene suonato. Allo scopo di riprodurre poi quanto registrato su un secondo pianoforte riproduttore dotato di appositi congegni. Un pianoforte che quindi suonerà da solo, senza esecutore.

I rulli musicali o music rolls
Il supporto di registrazione che la maggior parte delle aziende hanno adottato è il rullo di carta perforato. Un sistema molto semplice, economico ed efficace che peraltro è arrivato sino all'era dell'informatica (era la cosiddetta "zona", utilizzata per la inizializzazione o bootstrap dei computer sino all'inizio degli anni '70). Rulli di carta speciale particolarmente resistente al tempo e all'usura dato che questi music rolls sono ancora disponibili sul mercato dell'usato, anche su eBay, e a prezzi non elevati, a testimonianza della loro diffusione all'epoca, e sono ancora in grado di suonare.
In pratica ogni music roll era l'equivalente di un disco, di un nastro o di un CD dei tempi successivi, e per suonarlo, invece che un impianto hi-fi, si usava un piano-riproduttore (Player Piano) compatibile con il formato dei rulli. Che era per il resto un piano normale (a mezza coda al minimo per poter ospitare gli ingranaggi) utilizzabile anche da un esecutore umano.

La Ampico
Acronimo di American Piano Company, la Ampico è probabilmente l'azienda più nota del settore e quella di cui si trovano ancora più facilmente rulli e riproduttori compatibili. Attiva dal 1908 al 1929 ha brevettato i sistemi per la registrazione che poi ha adottato e in più ha curato la scelta del repertorio e degli esecutori, inclusi celebri musicisti dell'epoca, coprendo anche il ruolo di una moderna casa discografica.
Il sistema di registrazione adottato dalla Ampico prevedeva l'utilizzo di due rulli separati per la registrazione delle singole note sulle due zone della tastiera (bassi - alti, chiave di basso e chiave di violino o mano sinistra - mano destra) e sul secondo rullo di registrazione, per ciascuna di esse, della dinamica (la intensità) e della durata. Queste informazioni venivano poi passate ad un settore di post-produzione dove veniva controllato il risultato ed effettuato l'editing in caso di anomalie nel sistema di cattura di questi valori. Che era di tipo elettro meccanico con magneti disposti vicino ai martelletti, quindi con possibili inesattezze. Le informazioni erano poi riportate su unico rullo di carta dove una linea continua indica la durata della nota e una parte iniziale più spessa la intensità, e la posizione della linea l'altezza della nota stessa.
Una descrizione dettagliata dell'ingegnoso sistema elaborato da Charles Stoddard della Ampico, assieme alla storia dell'azienda, si può leggere sul sito del Pianola Institute, in questa pagina. Sullo stesso sito la storia delle altre soluzioni contemporanee (Welte-Mignon e Duo-Art le principali) e della pianola in senso stretto, che richiedeva però anche l'intervento di un esecutore umano.
Da aggiungere che in altri sistemi (quello della Duo Art) la dinamica veniva registrata manualmente da un esperto musicista che si affincava all'esecutore. Non era quindi una "fotografia" dell'evento musicale come per il sistema Ampico automatico.

Un piano Ampico in funzione
Ma meglio della lettura di queste fonti informative le possibilità di questo sistema di registrazione e riproduzione si possono verificare su YouTube, vedendo e ascoltando questi Player Piano in funzione, restaurati da appassionati e alimentati con i music roll della Ampico o di altre case. Basta fare una ricerca con Ampico per trovarne diversi. Consiglio di iniziare da questo video inserito da un musicologo, Mike Kukral, che presenta brevemente la tecnologia e la storia di questo sistema, e che vede un player piano Ampico in riproduzione dei celebri rulli incisi da Sergei Rachmaninov in persona (sugli esecutori torno dopo). All'inizio del rullo la Ampico ha inserito una lunga descrizione in puro stile marketing sulle caratteristiche uniche del loro prodotto che dice molto anche sulla diffusione e la importanza commerciale del settore nei primi decenni del secolo scorso.




Per chi è interessato al funzionamento e ai meccanismi del player piano è interessante questo altro video nel quale la camera mostra in sequenza i vari e complessi meccanismi, tipicamente primo novecento, in azione per muovere i martelletti, le corde e gli altri meccanismi interni del piano a coda. Infine per chi volesse ascoltare in HD il music roll Ampico con numero di catalogo 69253-H contenente la Elegia, Op 3 No 1 di Rachmaninov suonata da lui stesso, consiglio questo altro link.

Riportare gli esecutori originali tra noi
E' questo l'aspetto più affascinante della tecnologia basata sui music rolls. Il piano suona da solo, come si può vedere nei video su YouTube, come se seduto sullo sgabello ci fosse l'uomo invisible o un fantasma, e questo già suscita curiosità. Ma in realtà il piano sta riproducendo proprio i tasti e i pedali che l'esecutore originale ha premuto, e con la stessa intensità e gestione degli intervalli di tempo. Quindi è come se lui fosse veramente qui tra noi. E l'esecutore può essere Paderewski o il già citato Rachmaninov più altri esecutori celebri dell'epoca. Un riproduzione senza intermediazione di una catena di riproduzione, una specie di cinematografia musicale che attraversa il tempo. L'unico dubbio sulla fedeltà completa all'evento originale rimane circoscritto alla attività di post-produzione che anche i sistemi più automatizzati, come quello della Ampico, richiedevano. Non sappiamo come i tecnici-musicisti siano intervenuti in caso di deviazioni percepibili a orecchio o di occasionali carenze di informazioni, nè quanto siano state frequenti. Ma le testimonianze e anche e soprattutto l'ascolto, su piano riproduttore o su disco dopo registrazione audio, fanno ritenere che le esecuzioni siano riportate con una buona precisione.

Il catalogo Ampico sezione Player Piano, del 1926

La fedeltà del suono
Qui polemiche e distinguo non sono possibili, la fedeltà come hi-fi è un obiettivo raggiungibile asintoticamente all'infinito, ma qui è già raggiunta per definizione. Un pianoforte ascoltavano coloro che partecipavano alla registrazione negli anni '20, e un pianoforte sentiamo noi. Sarà diverso l'ambiente, sarà diverso il pianoforte, ma entrambi potranno essere ricondotti agli originali o approssimarli notevolmente. L'unica tecnologia di riproduzione musicale di fedeltà assoluta. Con un solo limite, è applicabile solo agli strumenti a tastiera e nella pratica al piano e in parte all'organo.

mercoledì 9 luglio 2014

Arriva lo streaming lossless con Qobuz

Pare quasi incredibile, pensando alla situazione di pochi anni fa, ma dopo l'offerta sempre più ampia di servizi in streaming in "media definizione" (compresso, ma non troppo) è ora disponibile (da qualche mese) anche un servizio con un buon catalogo e tutto in qualità CD, 16bit e 44.1KHz, quindi lossless, accessibile anche a noi italiani. È una iniziativa dei francesi di Qobuz, che già si distinguevano per la vendita a buon prezzo in Europa di musica in download in qualità CD e soprattutto in HD.

Ho scritto "accessibile" dall'Italia e non disponibile perché ufficialmente, a quanto è dato di capire, Qobuz non estende il suo catalogo anche al nostro Paese ma, come ho sperimentato anche io dopo la segnalazione di un visitatore del blog, è sufficiente registrarsi al servizio Qobuz e poi chiedere di autorizzare l'acquisto dall'Italia e a quanto pare la risposta è sempre positiva (vedere i commenti del post sui servizi di download in HD) e sicuramente lo è stata nel mio caso. I lettori del blog potranno comunque sperimentare, e confermare o smentire.

Una volta registrati si può selezionare la opzione streaming che è offerta in tre modalità: lossy (MP3 320kbps) per solo desktop o anche dispositivi mobili, lossless solo classica e lossless per tutto il catalogo. Rispettivamente a 5, 10, 15 e 20 € al mese (meno un centesimo come al solito). L'abbonamento al servizio consente inoltre sconti (il 7% per ora) per il download del materiale in HD. In più per il lancio del servizio, il primo mese è gratis. Il pagamento è con PayPal ma bisogna accettare l'attivazione del pagamento periodico, che può dare qualche apprensione (e bisogna ricordarsi di disattivare se poi si rinuncia).


Il servizio per il resto è simile agli altri già noti, per la scelta della musica e l'ascolto sono disponibili delle app per desktop, smartphone e tablet. Io ho provato quelle per iPhone e iPad, sono molto ben fatte, funzionati e veloci, con tutte le funzionalità presenti in Spotify o quasi ma con una interfaccia tutto sommato più gradevole e meno complessa nell'uso, e quindi anche molto superiore a quella di Google Play Music Unlimited (dovrebbero decidersi anche a trovare un nome più semplice se vogliono che il servizio abbia successo).

L'unico limite è che tutto, sia in ambiente desktop sia mobile, è in francese. Conseguenza inevitabile del supporto non ufficiale per l'Italia. Per Qobuz dopo l'accettazione sono in Francia, almeno come nazione virtuale. Guardando però il sito nelle altre lingue per i paesi dove il servizio è disponibile ufficialmente (UK, Germania e altri), sembra che parte delle informazioni e dei menu siano in francese e che alcune parti siano gestite col traduttore automatico. Il tutto vale ovviamente anche per le app. Comunque siccome i servizi in streaming sono più o meno tutti simili anche chi non conosce bene la lingua se la può cavare. Però se qualcuno sta imparando il francese può anche fare con l'occasione un po' di esercizio.

Almeno questa sezione del sito Qobuz è disponibile
anche in inglese

Prova pratica
Nelle videate seguenti il test di utilizzo della app per iPhone (anche questa in solo francese, naturalmente). Da notare la indicazione della qualità in riproduzione (ovviamente, è il punto di forza del servizio) e le note su autori e interpreti, un plus rispetto a Spotify. Ho iniziato con il jazz vocale più noto, e di Diana Krall ci sono tutti gli album. Poi vediamo qualcosa di indie rock, proviamo i Beirut, e anche qui c'è tutta la produzione. Passo poi come al solito a qualcosa di datato ma meno noto, i Pentangle, e anche qui non manca nulla, e restando nel folk inglese d'epoca, anche Anne Briggs è presente.



Come si vede nel secondo screenshot in alto è possibile, come al solito, selezionare diverse opzioni (paramètres), tra cui la qualità di riproduzione tra MP3 320Kpbps e CD 16/44.1 (compresso lossless in FLAC), la modalità offline (déconnecté) e l'archiviazione in locale (stockage local) per copiare album sul dispostivo mobile quando siamo connessi in wi-fi per un ascolto in condizioni di scarsa copertura in seguito. Anche la possibilità di accedere in 3G o meno è selezionabile. Ovviamente essendo i file audio mediamente più voluminosi questo aspetto, almeno sino all'adozione generalizzata del 4G, è importante. Tutto all'incirca come Spotify, una interessante funzionalità in più rispetto a servizio svedese è però il comando per svuotare questa cache locale (supprimer la musique en cache)  operazione niente affatto semplice con Spotify, almeno nelle release attuali. Negli altri screenshot l'ascolto della musica selezionata e le prime ricerche effettuate.

L'importazione in locale
Una osservazione importante riguardo al download in locale (import): per evitare che si blocchi inspiegabilmente dopo pochi  minuti bisogna disattivare la opzione "blocco automatico" presente su iPad e iPhone e di solito impostata su 2 o 5 minuti. Qobuz si mette in pausa l'importazione se il dispositivo si mette in blocco, e la eventualità è probabile perché la importazione è piuttosto lenta per via della dimensione dei file lossless, seppur compressi in FLAC. Lo stato della importazione sulla app per iPad è mostrato con la piccola icona della nuvola in alto a destra (vedi la immagine seguente) con i soliti simboli universali di pausa o di attività mediante i quali si può controllare cosa succede. Naturalmente se si disabilita il blocco automatico poi bisogna ricordarsi di ripristinarlo.


Su iPhone invece per visualizzare lo stato dell'importazione c'è una voce apposita sul menu principlae (import en cours) che apre una videata con lo stato del download in corso.


La ricerca su iPad
Qui di seguito altri due screenshot della app per iPad, altrettanto ben progettata e con il vantaggio di sfruttare la superficie più estesa dello schermo. Sono mostrate le ricerche sulla produzione disponibile e ascoltabile per Paolo Fresu e Norah Jones.




Il catalogo
È l'elemento determinante di ogni servizio streaming, quelli maggiori, di Google, Sony e Spotify, dichiarano 10 o 20 milioni di brani, per Qobuz non è dichiarato il numero, ma sicuramente è inferiore a questi numeri uno del settore. Bisogna vedere però cosa c'è veramente in questi cataloghi, quanta musica commerciale, quanti duplicati e interpretazioni fake.

Un test più esteso è ovviamente impossibile, come sempre io faccio un test a campione simulando un uso reale, cioè una ricerca di contenuti attuali e meno commerciali, prendendo spunto dalle recensioni di Audio Review sezione musica, nell'ultimo numero in edicola.
Il risultato confrontato a Spotify è accettabile: per le recensioni di rock le ultime uscite di Eels, Ben Watts (quello degli Everything But The Girl), Paolo Nutini, Neil Young, Ben Harper con la madre Ellen ci sono, manca invece l'ultimo di Jack White e l'ultimo di Keb Mo, e dell'atteso esordio di Sam Smith solo estratti in preascolto, ma non c'è neanche su Spotify (solo i singoli). Sul lato jazz le assenze sono più ampie, Paul Bley dal vivo a Oslo c'è, ma l'ultimo di Fresu no è la novità del pianista cubano Alfredo Rodriguez c'è solo in preascolto, mentre su Spotify ci sono. Di questi musicisti comunque c'è su Qobuz buona parte degli album pubblicati. In rete ci sono altri test più estesi (ma comunque ben lontani dall'essere esaustivi) che confermano queste conclusioni di massima. E' peraltro evidente che in caso di affermazione del servizio il catalogo si espanderà, come avvenuto per tutti gli altri.

Da testare la disponibilità di classica, ma se prevedono un abbonamento ad hoc immagino che il catalogo sia ampio, e d'altra parte è il punto debole degli altri servizi lossy.



In queste altre due immagini l'applicazione per desktop, ambiente Windows. La videata iniziale e un esempio di ricerca per i Tindersticks.

L'ascolto in mobilità
Anche se per ora, come premesso, l'ascolto in streaming (anche per Spotify e soci) non sempre è fluido e ininterrotto con le attuali reti 3G, e quindi la fruizione principale dovrebbe essere in wi-fi (si spera in estensione nei luoghi pubblici) ho provato comunque anche l'ascolto in mobilità e in 3G, ovviamente alla massima qualità CD 16/44.1. Come avevo fatto per Spotify l'ascolto era in auto nel tragitto casa-lavoro nella città di Roma, alle 9 di una mattina qualsiasi e in varie zone della città, inclusi passaggi in galleria e con tratti a discreta velocità, gestore Tim. Non ho rilevato alcun problema, l'ascolto era fluido e pronto (oltre che di eccellente qualità), soltanto una micro-interruzione (pochi secondi) in galleria e in seguito alcune interruzioni di più lunga durata che rendevano difficile l'ascolto. In questi casi è impossibile sapere se siano problemi dei server del fornitore del servizio o della rete mobile (più probabile la seconda motivazione). Per maggiore sicurezza soprattutto in casi di copertura variabile come quello del test è consigliabile scaricare in precedenza gli album che si vogliono ascoltare con una connessione wi-fi. Nessuna particolare differenza rispetto a Spotify, quindi, in questo breve test.

In sintesi 
Con l'abbonamento a Qobuz non si rimane certamente a corto di buona e interessante musica, si troverà sempre qualcosa di nuovo da scoprire o qualcosa di dimenticato da riascoltare. Non c'è però quella possibilità consentita da Spotify di trovare praticamente tutto, di avere a disposizione tutta la musica del mondo o quasi. A noi la scelta non facile tra la maggiore qualità all'ascolto e il catalogo, olter alla valutazione del costo aggiuntivo (che raddoppia).
Già, la qualità, cioè il plus principale: si sente veramente la differenza con Spotify? Vale la pena? A questo tipo di test e ai limiti dell'ascolto a confronto ho dedicato un post recente e quindi non mi cimento nuovamente qui in questa difficile operazione. Ho ascoltato l'ultimo lavoro di Diana Krall ad esempio e la voce della pianista e cantante canadese era ottimamente presente, i bassi potenti e definiti, la chitarra acustica accurata e realistica, un ascolto molto piacevole (l'impianto era quello, custom, della mia auto). Posso quindi dire che la impressione è molto buona, come era da attendersi, sempre ricordando che la differenza, se c'è, si sente e si interiorizza sul medio-lungo periodo.

Quindi in conclusione, l'ultima fase, l'abbandono definitivo dei supporti fisici e anche del download e dell'archiviazione in locale sembra essere concretamente iniziata.

(il post è stato aggiornato e arricchito con altre informazioni sulla importazione in data 15.9.2014)


sabato 28 giugno 2014

La musica liquida e' eterna?

Anni fa sulla posta di TNT-Audio era stata pubblicata una lettera involontariamente comica di una visitatrice del sito ossessionata dalla ipotesi che i suoi CD invecchiassero o diventassero inservibili per il degrado del supporto. Non sapeva che quello che invecchia non è solo il supporto.
Da qualche parte ho ancora un DAT che ho portato via lasciando ormai più di 15 anni fa una società multinazionale di computer per passare al settore delle TLC. C'erano tante informazioni che sarebbe interessante recuperare, come l'indice della rete Easynet, una vera e propria anticipazione di Internet.


Il supporto sono convinto sia ancora perfettamente valido, come d'altra parte lo sono i nastri magnetici di fine anni '50 che ho acquistato anni dopo da eBay. Il problema è il formato con cui sono scritti i dati, in questo caso ad esempio servirebbe per leggerli un sistema VAX/VMS, un eccellente computer, forse uno dei migliori mai prodotti, ma fuori produzione da anni e comunque inaccessibile, perché non era un sistema personale, ma un sistema dipartimentale che costava all'epoca centinaia di milioni di lire.

Queste considerazioni dovrebbero preoccupare ancor più i detentori di vasti archivi di musica liquida, acquistata dalla rete, da siti che vendono materiale HD, o derivata dal ripping di CD o vinili. I più attenti e previdenti pensano di mettersi al sicuro acquistando storage server di tipo NAS, ma non basta. Quello che serve è un vero e proprio sistema di conservazione, come quello previsto dagli standard inclusi nel nostro paese dal Codice della Amministrazione Digitale (CAD) per la conservazione dei documenti informatici sia nativi (creati e trattati sempre digitalmente) sia derivanti dal trasferimento in digitale (conservazione sostitutiva) di documenti cartacei.

Son cose noiose, ma bisogna pensarci prima o poi
Bisogna pensarci se non vogliamo correre il rischio di perdere quello che abbiamo acquistato (caso di di download a pagamento) o di dover ripetere il ripping (magari centinaia di ore di lavoro). Certo, grazie ai sistemi di streaming nella gran parte dei casi la musica la potremo ascoltare comunque, anche se magari non con la stessa qualità, non è come perdere un certificato di nascita o un passaggio di proprietà, ma potrebbe anche trattarsi di musica rara o non più reperibile (o nostra) e comunque mai vorremmo trovarci un questa situazione.

Ma non basta un NAS?
No. Un cosiddetto NAS è uno storage server che adotta la tecnologia RAID cioè utilizza un numero di dischi magnetici superiore al necessario (ridondanti) e un software di controllo che permette di non perdere i dati anche se uno di essi non funziona più bene (spiegazione terra terra, perché chi vuole approfondire può farlo senza problemi su wikipedia: evitiamo ripetizioni inutili). Questo evento, il disco che si guasta, non è poi il più frequente, altrettanto frequente è l'errore umano o il guasto dell'elettronica di controllo del sistema dischi o dell'interfaccia. Eventi comunque abbastanza rari e per i quali è possibile una azione di recupero da parte di un buon laboratorio (non gratis). Tranne che per l'errore umano, che può essere anche non riparabile o solo parzialmente riparabile (cos'è l'errore umano? Quando cancelliamo noi accidentalmente i nostri stessi file magari per riorganizzarli meglio). Il sistema di conservazione deve guardare più avanti, molto più avanti.

Il sistema di conservazione
Vediamo cosa prevede il CAD citato prima per i documenti che non possono essere persi, e come si possono applicare questi principi anche alla conservazione della musica liquida.

1. Identificazione certa del soggetto che ha creato il documento
2. Integrità del documento digitale
3. Leggibilità:
3.1. Contenuto
3.2. Metadata
3.3. Informazioni di registrazione
3.4. Informazioni di classificazione
4. Rispetto delle misure di sicurezza per l'accesso al documento e per la sua conservazione (backup)

(Per i più attenti e pignoli si può leggere la descrizione completa sul sito dell'Agid)

Identificazione del soggetto

Sembra banale, se si tratta di un disco esterno sul quale abbiamo lavorato solo noi archiviandoci i contenuti. Ma i principi della conservazione devono considerare tutti i casi, anche quelli (che saranno comuni nelle organizzazioni) di più soggetti in parallelo o nel corso del tempo. E, soprattutto, la conservazione non si pone limiti temporali. Se il suddetto disco esterno dovesse arrivare ai pronipoti dei nostri pronipoti probabilmente non sarebbe così banale ne' superfluo sapere chi fra gli antenati lo ha preparato. E il nickname forse non basterebbe ad individuarlo. Non è certo l'elemento essenziale ma non costa nulla aggiungere una scheda in txt con queste informazioni di base.

Integrità del documento
Questo requisito nella musica è meno stringente. Noi infatti archiviamo in realtà sempre copie di brani musicali il cui originale è archiviato da qualche parte a cura dell'editore. Tranne casi rarissimi di musica nostra e non registrata a un editore. Se anche il nostro documento (un file audio) non fosse integro per errori hardware o di trasferimento nella stragrande maggioranza dei casi non sarebbe una perdita grave, come lo sarebbe invece per un certificato di nascita o un certificato di proprietà.

Leggibilità: contenuti e metadata
Si suppone che tutto quello che archiviamo lo ascoltiamo anche, almeno una volta, e quindi la verifica di leggibilità è implicita. Nel caso non fosse così si ricadrebbe nella situazione precedente. Più o meno lo stesso discorso vale per i metadata.

Informazioni di classificazione
Se abbiamo archiviato migliaia di brani musicali, probabilmente li abbiamo anche organizzati su disco con qualche logica, per genere, per anno, per autore, per risoluzione, per nazionalità o con qualsiasi altro criterio. Chiaramente si potranno sempre cercare con una ricerca libera, ma per recuperare ed utilizzare un archivio fatto da qualcun altro anche la documentazione sulle scelte della archiviazione e sulla organizzazione dei dati è molto utile. Anche in questo caso una semplice guida in formato universale txt è già una soluzione sufficiente.

Informazioni di registrazione
Qui arriviamo al punto centrale. Ed è opportuno fare prima un passo indietro, riconducendoci agli archivi di cui abbiamo esperienza, una libreria o una discoteca. Nel caso della libreria, a parte le ovvie attenzioni all'umidità o altre forme di danneggiamento fisico non dobbiamo preoccuparci di nulla, fino a che ci sarà qualcuno in grado di leggere la lingua italiana il contenuto di ogni libro continuerà ad essere fruibile. Per una discoteca tradizionale su vinili o su CD la situazione non è molto diversa, serve in più soltanto un lettore, cioè un giradischi (più un pre phono) o un lettore CD. Che sono componenti hardware e quindi non richiedono aggiornamenti o di essere ospitati in uno specifico ambiente operativo per fare il loro lavoro. Anche tra cento anni quando saranno andati totalmente in disuso (ma il vinile forse no) basterà, avendone uno a disposizione, leggere le istruzioni per farli funzionare ancora. Quindi per la conservazione è necessario associare alla libreria anche un giradischi completo e/o un lettore CD e le istruzioni per farlo funzionare (ma anche nel lontano futuro ci sarà Wikipedia).
Per accedere ai contenuti del nostro storage server la situazione è più complessa. Per estrarre un file audio devono infatti operare in sincronia quattro elementi: un software che decodifica il formato del file audio, un file system che consente di accedere al file, una interfaccia o una porta di rete  che connette lo storage server ad un computer, e il computer.

La obsolescenza programmata
Basta andare con la memoria a non molti anni or sono per rendersi conto della veloce obsolescenza di questi elementi. Che sono per loro natura soggetti a evoluzione continua, e non sempre è garantita la compatibilità all'indietro, nel senso che un software di alcuni anni fa potrebbe non funzionare più sulle versioni più recenti del sistema operativo (ci capita spesso di sperimentarlo), più tutte le altre combinazioni possibili di incompatibilità tra interfaccia e file system.

La soluzione potrebbe essere quella di realizzare anche in questo caso una vera e propria stazione di codifica / decodifica autosufficiente, composta ad esempio (oggi) da un PC Windows 7 o 8, da un software di codifica / decodifica, ad esempio Foobar2000, un router per collegare in rete lo storage server (a meno di usare uno storage server USB). O gli equivalenti in ambiente Mac. Una sorta di "fotografia" dell'ambiente nel quale gestiamo ora la nostra musica liquida. Il problema è che dovremmo tenerlo costantemente aggiornato e allineato al nostro ambiente di lavoro principale. Il che non è un compito banale se pensiamo al ritmo vorticoso con cui vengono proposte sempre nuove versioni dei software e delle interfacce e a quanto sia obsoleto oggi non dico un ambiente Windows 2000 ma anche il successivo XP. E anche all'obiettivo di mettere assieme qualcosa che all'occorrenza consenta l'accesso ai contenuti con la stessa facilità non dico di un libro, ma almeno di un giradischi analogico. Quindi è chiaro cosa bisognerebbe fare in teoria: mantenere costantemente aggiornato un ambiente di riferimento, del tipo di quello accennato, e corredarlo di un vero e proprio manuale d'uso completo ed esauriente, possibilmente da testare facendolo usare a qualcuno diverso da noi per recuperare un campione dei contenuti. Nell'ultima versione, anche se fossero sospesi l'utilizzo e gli aggiornamenti, sarebbe sempre in grado di consentire l'accesso ai contenuti.

Quello che si dovrebbe fare, al minimo
La soluzione indicata per sommi capi sopra è quella definitiva ed ideale. Ma possiamo fare alcune semplificazioni pensando che tutto sommato siamo in un contesto sociale, la nostra preziosa libreria musicale non dovrà essere fruita su un'isola deserta ed isolata dalla civiltà o nell'ultima enclave del mondo civilizzato dopo una catastrofe a scelta tra le molte proposte ciclicamente dal cinema e che portano alla estinzione quasi totale dell'umanità. Possiamo quindi fare un minimo di affidamento sul fatto che, rivolgendosi a laboratori specializzati, si possa accedere sempre ai contenuti anche se codificati e memorizzati con software obsoleto e abbandonato da tempo, e al limite convertirli, un po' come succede anche ora per i film in VHS o su pellicola chimica. Certo se i costi fossero come quelli attuali per i formati citati passerebbe subito la voglia.
Qualche accorgimento semplice lo metterei comunque in atto :
  • un software il più semplice possibile per la conversione in un formato digitale standard e a meno probabilità di obsolescenza (in wav) del formato che utilizziamo (che sarà probabilmente Flac o Alac); escluderei quindi Foobar2000 che è piuttosto complesso da assemblare e consiglierei una applicazione che fa solo questo mestiere come dBPowerAmp;
  • un backup (vedi dopo) dei contenuti su un sistema di archiviazione che adotta una diversa tecnologia;
  • un manuale di istruzione il più completo possibile e testato.
Misure di sicurezza e backup
Non ci pensiamo proprio a mettere password sulle cartelle o sul volume (sul disco) perché sarebbero le prime cose che se, andassero perse, renderebbero inaccessibile tutta la libreria  musicale. E non hanno senso come non avrebbe senso chiudere a chiave una libreria tradizionale. Sono precauzioni necessarie per documenti di ufficio ma non per la musica.
Invece a un backup bisognerebbe pensarci. Come anticipato l'adozione di un NAS rende meno probabile la eventualità di un guasto hardware che comprometta l'accesso ai contenuti, anche se non copre tutti i possibili malfunzionamenti. Per stare veramente sicuri bisognerebbe adottare una vera e propria strategia di "disaster recovery" come per gli archivi informatici professionali.
Nel nostro mondo sarebbe semplicemente una seconda copia su un secondo storage server separato, possibilmente su tecnologia diversa (ad esempio di tipo USB se il principale è un network storage server e viceversa). Un ulteriore adempimento un po' noioso da seguire con costanza, ma in fondo una copia anche consistente può procedere da sola senza bisogno di noi.

In alternativa il backup può essere proprio il supporto fisico. Nel caso dei CD rippati possono essere i CD stessi (da non buttare via), nel caso dei download sarebbe una copia su disco, CD o DVD, da eseguire con regolarità. Un'alternativa preferibile se il materiale "rippato", magari anche da SACD o DVD-Audio (o vinile) è prevalente.

In sintesi
E' un compito in più che con la musica non ha molto fare e che anzi sottrae tempo all'ascolto, ma per librerie sempre più grandi, per chi non cede all'alternativa radicale dello streaming, è un compito necessario. Non assolutamente indispensabile, si può anche decidere che il rischio non vale l'impegno di ridurlo.

(Le immagini sono tratte dal booklet della versione in DVD Audio di un ottimo album di Diana Krall, forse il migliore della pianista e cantante jazz canadese. Un esempio di contenuti che vale la pena di preservare.)

venerdì 20 giugno 2014

Audirvana Plus per audio DSD e non solo


Le relazioni pubblicate su TNT-Audio e Audio Review sulla recente fiera di Monaco di Baviera (High-End 2014 Show) e diversi articoli recenti sul sito Audiostream testimoniamo di un forte interesse per il nuovo (o meglio, ritrovato) formato DSD. Sembra quasi una nuova moda audiofila sul modello del vinile una quindicina di anni fa. Una notizia attesa da anni dai produttori di elettronica, se poi effettivamente oltre che nei blog e nelle fiere i prodotti "full-DSD" arriveranno nelle case, almeno in quelle dei sopra citati audiofili. Anche la Linn penso che dovrà adeguarsi più prima che poi.

Quali sono i prodotti che l'audiofilo convertito da PCM a DSD deve procurarsi?
In pratica sono solo due, un player software in grado di trattare file audio in formato DSD in modo nativo, senza passare per il PCM, e un DAC in grado di effettuare la decodifica in analogico appunto usando lo standard DSD. Network player al momento, a parte il solito letttore universale della benemerita Oppo, ancora nulla. La novità, gradita ai produttori e un po' meno agli appassionati, è che i player non sono gratuiti e tra i DAC non ci sono quei prodotti made in China a basso costo che hanno consentito a molti appassionati di cominciare a sperimentare la musica liquida e di aspettare anche che uscissero i modelli più perfezionati. I DAC disponibili alla data di questo post non scendono sotto i 400 € e quelli più citati si avvicinano pericolosamente ai 1000 (i top non li menziono neanche, anche 20.000 € e più). Con l'aggravante che probabilmente si tratterebbe di una sostituzione di un DAC solo PCM magari anche di elevata qualità e costo. Insomma il passo avanti dovrebbe essere veramente tale per giustificare l'upgrade.

Quindi sembrerebbe che gli audiofili, che in generale erano scettici sulla possibilità di sentire le differenze tra CD e HD e per questo non passavano all'HD (anche se in pratica il costo era ed è lo stesso), ora sono tanto convinti della superiorità e quindi dell'avvertibile differenza tra due formati HD da investire in questo upgrade cifre non proprio irrisorie, anche se non esagerate. Vedremo se andrà veramente così, ma la spinta sembra forte.

La gamma dei player
Foobar2000, iTunes, Media Monkey e altri media player gratuiti non bastano più. Solo Foobar2000 e solo per Windows, con opportuni component (vedi post precedente) può gestire file DSD o interi contenitori ISO. Per sfruttare appieno i vantaggi veri o presunti del DSD, ed anche su Mac, occorrono player che hanno questa funzione, e però sono tutti a pagamento e neanche troppo economici, oppure forniti soltanto assieme al DAC. Uno di essi (del primo gruppo) è Audirvana Plus, che ha ora anche questa funzionalità (anzi sembra ormai la più enfatizzata) e al quale è dedicata questa breve prova sul campo. Come noto, è un player per solo per ambiente Mac.

Audirvana Plus: caratteristiche principali e costo
Disponibile da alcuni anni, è prodotto a quanto pare da una società che ha lo stesso nome e che nulla di più comunica sul sito, se non la sua impegnativa mission (The sound of your dreams). Esisteva a suo tempo anche in versione free con funzionalità ridotte, ma ora sembra disponibile solo la versione a pagamento Plus. E' però possibile un trial con funzionalità complete (ottima idea, non ho mai capito a cosa servano i trial con funzionalità ridotte, è come se ti facessero provare una macchina nuova ma senza la possibilità di inserire la quinta o la sesta) per una durata di 15 giorni. Il software è acquistabile anche in Italia e il costo alla data del post è 59 € + IVA, quindi 71,39 € totali (in America pare che non sappiano che l'IVA da noi è passata al 22%, ma cambia di poco). Non tanto economico, per l'eventuale acquisto sarà da considerare l'alternativa con JRiver Media Center, che costa 50$ e include anche la libreria (Audirvana si appoggia a iTunes) ma dovrebbe avere meno funzionalità di elaborazione e gestione del segnale nel dominio digitale, pur godendo comunque di una eccellente fama audiofila.

Come si presenta Audirvana operativo, in modalità playlist.

Funzioni base
La interfaccia utente e anche l'aspetto sono molto simili a quelle scelte da Audiofile Engineering per Fidelia. Si presenta come un componente hi-fi virtuale (più semplice graficamente di quello di Fidelia, un po' in stile dimesso-minimalista alla Naim) dal quale si controllano col mouse comandi e volume. I file audio si possono selezionare in modalità playlist (semplicemente spostandoli col mouse sul pannello) oppure si può selezionare la integrazione con la libreria iTunes.
I controlli più raffinati e complessi si devono impostare in modo tradizionale con una serie di schede per le preferenze di configurazione.
Qui è arrivata una prima sorpresa perché il lettore con la configurazione di default si rifiutava tenacemente di suonare in connessione con il DAC anche i file audio in formato standard CD. Di solito nella configurazione base tutto funziona e poi si va a modificare i parametri per ottimizzare le prestazioni. Qui invece è stato necessario individuare (per tentativi, documentazione particolarmente evasiva se non assente) quali parametri di default non andavano d'accordo con il DAC. DAC che non era certo un modello esoterico o con particolari configurazioni, perché è, come forse qualcuno ricorderà, un Music Streamer II della HRT, quindi uno dei primi DAC 24/96 su USB, in commercio da anni e molto diffuso, che non prevede un driver specifico e per il quale non è richiesta alcuna configurazione.

I parametri per un DAC standard
Sta di fatto che i file audio suonavano solo con la scheda audio inetrna del Mac, quindi era un problema di configurazione del DAC e dopo molti tentativi per esclusione ho verificato che i parametri che andavano in conflitto erano quelli relativi alla modalità di gestione DSD, alla massima frequenza di campionamento e alla gestione del volume.
La modalità di gestione DSD di default è "auto detect" ma forse va bene per i DAC compatibili DSD, con un DAC solo PCM bisogna impostare "None: convert to PCM". Il default per la velocità era "no limit", ma bisogna invece impostare la massima del DAC (96KHz in questo caso). Infine il controllo di volume che di default è impostato su DAC ma se, come in questo caso, il DAC non ha alcun controllo di volume deve essere impostata su "only software" o entrambi. Attenzione che questa modifica ha effetto solo spegnendo e riaccendendo il player. A complicare le cose la mancanza totale di messaggi di errore che comunichino quello che manca al player per suonare e che possano suggerire in quale direzione agire.
Comunque alla fine dopo qualche decina di minuti di tentativi la configurazione finale (vedi le videate in fondo al post) era stata individuata e il player eseguiva finalmente il compito che il suo nome dichiara.



Prove con vari formati di file
L'obiettivo era provare il funzionamento con file DSD ma ovviamente ero partito per conferma con file audio in formato CD 16/44.1 e in alta definizione 24/96 e 24/192. Come si vede nelle videate, Audirvana sul display virtuale mostra parecchie informazioni sul file in esecuzione (a differenza di Fidelia) e anche sul DAC. Riproducendo ad esempio materiale in formato HD 24/192 informa anche che la frequenza del file è 192KHz ma che il DAC eseguirà la decodifica a 96KHz.



Per il formato DSD ho utilizzato diverso software demo dai vari siti che lo mettono a disposizione, 2L, Blue Coast, Native DSD. Da questo ultimo ho potuto scaricare anche brani codificati in DSD a qualità ancora più elevata, DSD128 e DSD256. Inoltre ho provato sia codifica DFF che DSF (con metadata, vedi post precedente su questo argomento).

In tutti i casi tranne uno l'ascolto parte senza problemi e anche con tempi di attesa inferiori a quelli di Fidelia (ma probabilmente perchè non ho impostato il buffer alla massima capienza).
E' importante notare che i file DSD una volta trasferiti in PCM (ricordo che il DAC che usato era solo PCM) mantengono la frequenza di campionamento equivalente. Come si può vedere nel primo screenshot in alto, quello di Diana Krall, la frequenza di campionamento utilizzata sul DAC è 88.2KHz (coerente con la codifica DSD64) mentre nella riproduzione del DSD128 qua sotto è utilizzata la massima disponibile sul DAC, 96KHz. Ne consegue che se fosse usato un DAC 24/192 sarebbe selezionata la corretta frequenza 172,4KHz. Da notare che oltre al display su Audirvana la selezione di queste frequenze era confermata anche dagli appositi LED sul decoder HRT.


Il formato non supportato è come prevedibile il DSD256, dove l'effetto è strano, suono attenuato mischiato a rumori elettronici. Non so quindi se si tratta di un mancato supporto lato software o di insufficienti risorse di sistema del Mac Mini non recentissimo seppur aggiornato (4GB + Lion) che sto usando o ancora di una insufficiente prestazione della porta USB di un modello non recente. Un problema comunque relativo, perche DAC compatibili DSD256 praticamente ce ne sono pochissimi e quei pochi costano attualmente dai 10.000 € in su.

Ne approfitto anche per tornare su questi affascinanti acronimi, che vengono di solito spiegati come "64 volte la frequenza del CD". Il che è vero da un punto di vista numerico, perché la frequenza del SACD, quindi della codifica DSD64, è effettivamente 2.882.400Hz  = 64 * 44.100Hz e così via per i bitrate superiori. Ma questa elevata frequenza è relativa ad un campionamento a un bit, mentre il formato PCM del CD adotta campioni da 16 bit l'uno. Non è quindi assolutamente "64 volte superiore".

Prova con i famosi file ISO
I maligni sostengono che il vero motivo della popolarità del DSD sia legato alla disponibilità dei file ISO. Che poi sarebbero i dischi SACD trasferiti in digitale grazie all'incauta decisione della Sony di qualche anno fa di inserire nella Playstation 3 la possibilità di leggere i suddetti SACD. Quindi i SACD che all'epoca nessuno comprava anche se costavano come i CD, ora sarebbero così desiderati da giustificare tutto questo interesse. Va bene che sono gratis ma tutto il marchingegno per riprodurli non lo è. Se fosse così, ancora una volta il motore dell'innovazione tecnologica sarebbe rappresentato dalla musica più o meno illusoriamente gratuita, come ai tempi eroici di Napster e dell'MP3. Non so se sia veramente così, non credo, ma a parte queste considerazioni di sociologia spicciola o forse di antropologia dei popoli moderni, vediamo come si comporta Audirvana con file ISO magari trasferiti in musica liquida e magari proprio mediante la propria Playstation allo scopo adattata o addirittura acquistata usata su eBay (non è più in produzione da anni).

Allo scopo me ne sono procurato uno, in questo caso legale perché il contenuto musicale è di oltre 50 anni fa e quindi di pubblico dominio in Italia, e perché comunque lo possedevo già. E' un classico di Miles Davis addirittura in mono, Relaxin' With The Miles Davis Quintet, una delle famose registrazioni Prestige con Coltrane al sax.
Un file ISO è una immagine disco pronta per essere masterizzata, e questo è un possibile scopo (quindi duplicazione, magari anche legale se a scopo di backup per chi possiede l'originale) oppure archiviata su un disco per un uso "liquido". Molti player sono in grado di leggere direttamente le tracce dal file ISO, anche se normalmente i singoli brani sono estratti per un uso più libero, usando il formato DFF (che è l'equivalente DSD del WAV). Una operazione che può fare tranquillamente anche Foobar2000 installando il component che legge i DFF. La qualità all'ascolto tra un DFF e la lettura diretta dell'ISO ovviamente non può cambiare e quindi questa funzionalità non è altro che una comodità in più. Da aggiungere che i file ISO ricavati da SACD sono tutti in formato standard quindi DSD64.


Con Audirvana (come con Foobar2000) tutto è molto semplice, basta trasferire il file in formato ISO nel pannello della playlist in esecuzione e vengono automaticamente riconosciute le tracce con i metadata disponibili. Dopodiché si può avviare l'ascolto con le solite modalità, playlist o iTunes integrato (come nell'immagine mostrata sopra).

La integrazione con iTunes
Con una semplice opzione del menu principale si può selezionare l'alimentazione dei file audio da riprodurre da una playlist gestita manualmente (come in tutti gli esempi fatti in precedenza) oppure dalla libreria iTunes. Con questa seconda opzione la integrazione è molto semplice ed efficace (più di quella di Fidelia), in pratica come si vede in figura iTunes può continuare ad essere utilizzato per visualizzare e cercare la musica da ascoltare, poi quando si attiva l'ascolto il player Audirvana prende il posto di quello incluso in iTunes, bypassando anche tutte le eventuali configurazioni presenti per la sezione audio del Mac.

Audirvana in funzionamento integrato con iTunes. Selezionando un album parte la riproduzione
e sul display vengono mostrati tutti i dati significativi sul brano, incluso l'autore
Essendo Audirvana un prodotto che ormai punta decisamente a servire il nuovo promettente mercato della musica in DSD viene il dubbio che questa efficace integrazione serva solo in parte, poiché iTunes non supporta file in formato DSD (e neanche in Flac) e non può archiviarli. Ma Audirvana Plus dalla versione 1.2 ha anche questa funzionalità, un upgrade alla libreria iTunes per ospitare tutti i file in questo formato (DFF, DSF e ISO) . Costituisce quindi insieme ad iTunes "upgradato" un media player completo compatibile con il formato DSD e con player "audiofilo".

Solo un paio di avvertenze: 1) come in tutti gli altri casi in cui a iTunes si connettono librerie gestite da un software esterno, bisogna evitare di selezionare le opzioni "Keep iTunes Media folder organized” and “Copy files to iTunes Media folder when adding to library" per evitare che iTunes scompagini l'organizzazione dell'archivio aggiuntivo controllato da Audirvana; 2) il sistema che adotta iTunes è basato su file intermedi (proxy files) che non è molto lineare ed è criticato per alcuni malfunzionamenti in casi particolari; nel caricamento lasciare tutti i parametri di default, soprattutto la frequenza di campionamento per il proxy; aumentandola ho sperimentato che i file di output venivano troncati; non toccando nulla funziona.

In appendice gli screenshot sul caricamento, qui di seguito Audirvana che suona un file DSF caricato in iTunes e nella immagine mostrata sopra, una traccia del file ISO di prova, quello di Miles Davis, suonata tramite iTunes.

Un file DSF con il duo folk Keith Greeninger e Dayan Kai della Blue Coast Records,
caricato su iTunes con il sistema dei file proxy e suonato come tutti gli altri

Elaborazione e personalizzazione del suono
Altra importante caratteristica di un player "audiofilo" è la possibilità di intervenire sulla elaborazione del suono, scegliendo modalità di filtraggio diverse o upsampling a frequenza di campionamento superiore o processamento del segnale. Sotto questo punto di vista Audirvana ha una dotazione molto completa, più ampia della versione "base" di Fidelia ma equivalente alla versione advanced. Interessante è il pannello che consente di disattivare le impostazioni di default del sistema operativo Mac che possono influenzare negativamente la fase di processamento del file audio. Sono quei consigli di configurazione su cui si diffonde Oliver Masciarotte nel suo noto libro "To Serve & Groove" e che con Audirvana si possono gestire nel modo più semplice e a prova di errore.
Per un dettaglio sulle funzionalità di elaborazione e personalizzazione rimando all'appendice.

L'utilizzo da remoto

Sia iTunes sia Fidelia consentono di scegliere la musica da ascoltare e controllare la riproduzione mediante una app installata su smartphone o su tablet. In questo modo ci si dimentica del computer e del suo monitor e si può navigare sull'intera libreria musicale usando questi apparati mobili come raffinati telecomandi. Una possibilità non prevista per Audirvana che quindi, come si vede in questi screenshot, deve essere gestito da computer, fisso o portatile che sia, ma con il monitor sempre acceso.

Sì, ma come suona?
Ho scritto nelle settimane precedenti almeno altri due post sulle attenzioni da tenere nell'ascolto a confronto e quindi eviterò accuratamente di fornire "prime impressioni" o sensazioni d'ascolto prima di una sessione approfondita. Tra l'altro secondo tutti gli estimatori del DSD (ad esempio Marco Benedetti su AR) la vera svolta si ha col DSD nativo. Posso solo dire che l'ascolto è molto soddisfacente, che non manca apparentemente nulla e che a parità di condizioni è molto arduo individuare differenze con il player Fidelia che normalmente uso. Per un quadro completo poi dovrebbero essere anche sperimentate le numerose possibilità di personalizzazione del suono che il player Audirvana include.
Da ricordare sempre che il bello di questi test, a differenza di quelli dei componenti hardware, è che possono farli tutti, anche i lettori del post, senza spendere nulla se non qualche mezzora del loro tempo. E farsi quindi la loro personale opinione e valutazione.

In sintesi
L'obiettivo principale del post era effettuare una verifica delle funzionalità di un player dalla ottima reputazione e per questa strada sperimentare anche cosa comporta oggi la scelta di utilizzare (anche) materiale DSD. Si può dire che Audirvana è un prodotto molto completo e anche semplice nell'uso, una volta vinta la battaglia iniziale per l'interfacciamento con il DAC. La tecnologia utilizzata e la versatilità di configurazione garantiscono a livello teorico le migliori prestazioni anche per l'ascolto, almeno per quanto può essere influenzato dal player, e dal test, che invito comunque tutti i lettori a replicare, non sono emersi limiti di sorta. La "architettura" complessiva del prodotto mostra alcune contraddizioni ed il costo è piuttosto elevato se confrontato con un prodotto completo e apprezzato da molto tempo come JRiver Media, rispetto al quale può avere un vantaggio in termini di semplicità d'uso (è solo un player) soprattutto per chi ha già investito il suo tempo nella organizzazione di un'ampia libreria iTunes. Rispetto a Fidelia è l'elemento prezzo che fa la differenza, per il resto le funzionalità e la qualità paiono equivalenti e Audirvana presenta qualche vantaggio in termini di semplicità e flessibilità d'uso, e invece una limitazione nell'uso da remoto, non prevedendo una app per smartphone / tablet.

Appendice: i parametri di configurazione
Vista la scarsità di documentazione del prodotto, aggiungo qui i pannelli di configurazione principali con le opzioni possibili e il mix di opzioni che consente ad Audirvana Plus di operare correttamente con il DAC HRT Music Streamer (e probabilmente con tutti gli altri DAC dello stesso tipo).

Il pannello iniziale mostrato alla installazione  per la scelta del DAC e la selezione dei file audio.
Il DAC presente e collegato in USB è riconosciuto automaticamente. 
Il tipo di controllo di volume da selezionare.
Il default DAC Only non va bene con DAC di tipo "streamer" e va modificato.
I parametri di default per la configurazione del sistema audio driver + DAC.
In base alla scheda audio o al DAC vengono indicate in verde le frequenze di campionamento supportate.
Le opzioni disponibili per il parametro Native DSD Capability

Le opzioni disponibili per il parametro DSD to PCM Algorithm
Le opzioni individuate per consentire il funzionamento con un DAC PCM di tipo streamer.
Devono essere modificate per Native DSD Capability, DSD to PCM Algorithm e Max sample rate limit.

Il pannello che consente le altre personalizzazioni di lettura.
Le varie opzioni disponibili per l'upsampling e il downsampling
Gli effetti di modifica dell'audio disponibili nella sezione AudioUnits
L'inserimento (add) di file DSD su iTunes dall'apposito selezionabile dal menu principale
di Audirvana Plus. Gli esempi sono di file DSF e DFF tra cui quello della Blue Coast della immagine precedente.

L'inserimento in iTunes di un intero caricatore ISO. Basta spostare con il mouse l'intero file ISO nell'area di ricezione
e vengono riconosciute le tracce già disposte per il caricamento. Attenzione al parametro modificato come test a 88,2KHz, deve invece restare a 44.1 (tanto non ha effetto, riguarda il proxy file). Attenzione anche al tempo di caricamento, per file grandi quindi DSD128 (ricordiamo che è un formato non compresso) servono diversi minuti.