lunedì 23 settembre 2013

A volte ritornano: la digital radio

Tutti conoscono e hanno seguito la lunga e complicata vicenda della televisione digitale terrestre, o DTT, ma ben pochi sanno che la stessa migrazione da analogico a digitale era prevista anche per la radio. Si chiamava DAB, Digital Audio Broadcasting, e il sistema di trasmissione non era dissimile a quello adottato dallo standard DTT, trasmissione di un segnale digitale via onde radio, quindi ancora con una architettura broadcast, da una antenna a molti ricevitori.
La storia in sintesi del DAB, del suo stentato avvio, della promozione insufficiente, e poi del progressivo ma mai definitivamente ufficializzato abbandono, si può leggere sulla pagina che abbiamo dedicato al digitale terrestre su Musica & Memoria.

Una storia che qualcuno sembra intenzionato a riaprire nonostante il flop passato, con una sperimentazione iniziata in una regione italiana, il Trentino Alto Adige, e il rilancio sostenuto anche da una campagna promozionale (via radio ovviamente). Vediamo in sintesi chi è interessato, perché è fallito il primo tentativo, che vantaggi ci sarebbero e che probabilità (secondo me) ci sono per il secondo tentativo e che cosa stanno facendo gli altri in Europa.



Chi ne trarrà giovamento
Diciamo subito che il nuovo standard può dare vantaggi solo agli operatori del settore. Il nuovo standard consente di ridurre i costi di trasmissione, migliorare la qualità e la copertura senza mettere mano a un complicato riordino delle frequenze (sostituito da una specie di sanatoria), e di mantenere almeno all'inizio le posizioni di mercato acquisite. Il passaggio alle web radio sarebbe invece un percorso molto più impegnativo ed a rischio per le radio attuali, che si troverebbero ad affrontare una concorrenza molto più estesa.

Dal punto di vista degli ascoltatori la qualità non sarebbe superiore, l'audio rimarrebbe compresso come è già per la maggior parte delle radio, e addirittura inferiore per le pochissime radio che trasmettono ancora in FM puro, senza compressione (come la benemerita FD5 della Rai). Sarebbe invece migliorata la situazione sul lato dell'ascolto e della riduzione dei disturbi e delle sovrapposizioni, sarebbe questo il "suono perfetto" (già sentita questa) degli annunci pubblicitari. Senza disturbi, non si parla di qualità audio. Ma il problemi della ricezione non è un limite dello standard FM, bensì della tradizionale incapacità organizzativa italiana, a cui si è aggiunta la battaglia per le frequenze da liberare, e che invece erano occupate da una certa rete TV privata, creando il cosiddetto "caos delle frequenze" che si trascina da venti e più anni. E che sarebbe risolto, anche in questo caso, non mettendo ordine, ma cambiando sistema, come è avvenuto per la DTT.



Perché è fallito
Il caos delle frequenze citato e la prevalenza totale della TV in Italia, anche per le note ragioni politiche, sono la prima causa dello stallo che ha fatto dimenticare dopo pochi anni il tentativo DAB (iniziato ormai il ... secolo scorso). Ora con lo switch over al digitale completato questo problema non dovrebbe esistere più. Ma rimane il secondo problema: la incompatibilità dello standard con i ricevitori attuali. In casa non era e non sarebbe un grande problema, perché gli ascoltatori sono ormai molto pochi, e sarebbe stato sufficiente l'acquisto di un nuovo ricevitore (prezzi accessibili). Il problema erano e sono le autoradio. Un grosso problema perché l'ascolto della radio era (ed è ) quasi tutto in auto. Teoricamente anche qui si potevano utilizzare decoder esterni. Ma una soluzione così scomoda è stata accettata (con proteste) per la DTT solo perché la migrazione era imposta per legge (la famosa legge Gasparri). E questo è l'ulteriore motivo del flop, qui nessun obbligo c'è mai stato.



Perché ora dovrebbe riuscire
L'unico passo avanti è che ora ci sono le frequenze disponibili. Inoltre in altri paesi europei, soltanto due in realtà, Germania e UK, la migrazione è andata avanti, senza raggiungere però il completamento, e alcuni produttori di auto hanno inserito tra gli optional per l'autoradio di serie la compatibilità col DAB. Che tutto ciò possa bastare è assai improbabile, perché questi optional sono molto costosi e molto poco diffusi. Così come i decoder che in più rendono più complicato l'uso in auto, un ambiente dove invece tutto deve essere semplice e diretto. Gli automobilisti si accollerebbero spese e scomodità solo se obbligati, o per vantaggi eccezionali offerti dalla tecnologia. Vantaggi che proprio non si vedono, anzi non si sentono. All'ascolto una radio DAB è una radio.

In più c'è la situazione delle emittenti, quasi tutte in difficoltà finanziarie per la riduzione degli introiti pubblicitari, derivante non solo dalla crisi ma anche dalla incredibile vicenda di Audiradio (anche su questo aspetto si può consultare Musica & Memoria). Una situazione che rende molto difficile per la maggior parte delle stazioni affrontare nuovi investimenti in infrastrutture tecnologiche. Nonostante ciò alcune radio, inclusa anche Radio 24, pare che ci credano e hanno iniziato a trasmettere in DAB+ (successore, ovviamente non compatibile, del primo DAB). Sono del settore, avranno fatto i loro calcoli, ma vedo che tra gli addetti ai lavori prevale lo scetticismo totale.




La situazione in Europa
Qualcosa continua a muoversi, sulla spinta evidentemente delle emittenti attuali. UK è il paese più avanti, aveva raggiunto anni fa una penetrazione del 50% ma poi il trend si è fermato per la concorrenza dei servizi via web, ormai sempre più integrati con il sistema audio-navigatore delle nuove auto. In Germania la situazione è simile anche se la migrazione è ancora più indietro. La Francia ha sperimentato ma non ha fatto quasi nulla, situazione simile alla nostra. Ben poco negli altri paesi. Si registra la intenzione dichiarata del paese più ricco d'Europa (la Norvegia) di passare al digitale terrestre. Ma nonostante la loro capacità di investimento il programma parla di uno switch over completato nel 2017. Prospettive incerte anche qui, in sostanza.

I vantaggi

Ci sarebbero anche. Per l'ambiente, in prospettiva. Se fallisce anche il secondo tentativo per la radio digitale terrestre la soluzione inevitabile, lo standard che prima o poi sostituirà la FM sarà la radio via web. Che funziona ma è tecnologicamente un assurdo, perché richiede una connessione punto a punto per ciascun ascoltatore. Le reti di ora non sarebbero in grado di sopportare tutte le auto di una città collegate via web contemporaneamente e in ascolto di stazioni web radio. In futuro forse lo saranno (la stessa criticità riguarda la web TV) ma con una efficienza molto minore del razionale sistema broadcast. E conseguente spreco di energia. È molto probabile però che anche sul web quando sarà necessario verranno messe a punto (in parte già ci sono) tecniche di trasmissione "uno a molti" più efficienti sul modello broadcast.

In sintesi

La cenerentola dei media rimane nel cono d'ombra. Temo che ancora per molto in Italia gli ascoltatori dovranno lottare contro il caos delle frequenze e le trasmissioni fuori norma, e si conferma che purtroppo la qualità audio non è una priorità per nessuno.




(Nelle immagini i siti web della nuova iniziativa Digital Radio, e dei consorzi di radio che la supportano: ClubDab, Eurodab, RaiWay-Ras e infine il più importante dopo tutto, DBTAA del Trentino-Alto Adige. Da notare che il sito EuroDab alla data di questo post non è ancora attivo e che anche sul sito principale Digital Radio le informazioni sono molto poche).

lunedì 9 settembre 2013

Google Play Music Unlimited è in Italia

Chi temeva che la possibilità di ascoltare tutta la musica del mondo in streaming, in modo legale, sia in casa sia in mobilità, ad un ragionevole costo di 30 centesimi al giorno, potesse essere solo una occasione momentanea dovuta a una congiunzione favorevole, può tranquillizzarsi. Anche se il servizio Spotify, iniziatore della universalizzazione di questa formula di abbonamento (subscription) estesa all'Europa e persino all'Italia dovesse fallire (è una compagnia svedese non ancora consolidata del tutto come modello di business) rimarrà qualcuno di ben più solido a proporre questa, che probabilmente è la soluzione del futuro.

Dopo solo pochi mesi dal lancio in USA è disponibile infatti anche in Italia il servizio Google Play Music Unlimited, che aggiunge la funzionalità di streaming (a pagamento) alla funzione tipo cloud, tipo iTunes Match, già disponibile e di cui ho riferito qualche mese fa.
Non è gratis, costa i soliti 9,90 € al mese (7,99 nell'attuale fase di lancio) ma nel frattempo anche Spotify in versione base e free è stato ulteriormente ridotto. Solo 10 ore al mese di ascolto e poi stop.

Le differenze principali con Spotify sono due: la disponibilità limitata a desktop e dispositivi Android e l'assenza di integrazione con le piattaforme social FB e Twitter. Il nome è cambiato, almeno in Europa, in origine era ancora più lungo (Google Play Music All Access).

Come funziona
Aiutandoci sin da subito con qualche videata vediamo come funziona il nuovo servizio, per il quale Google ha continuato con una impostazione minimalista e con comandi visibili ridotti al minimo.
Il servizio si aggiunge a Google Play (che è un prerequisito) e agli utenti viene proposto l'upgrade.
Quella che viene mostrata è la versione desktop (su Windows con IE9). Più avanti proveremo quella Android.


Il secondo passo è la sottoscrizione. Come sempre (come a suo tempo per il quasi omonimo Sony Music Unlimited, apripista in Europa e in Italia dei servizi in abbonamento) è richiesta una carta di credito per attivare la sottoscrizione al servizio, anche se nel primo mese non verrà caricato alcun importo.




Una volta avviata la sottoscrizione il servizio si presenta in modo analogo a Spotify, con le novità sponsorizzate e in più una selezione di playlist proposte dagli altri utenti, che possono essere selezionate e ascoltate col mini player del browser, come si vede nella seconda immagine.


Passiamo alla ricerca di un brano che non abbiamo e desideriamo ascoltare. Proviamo con i Tidersticks. Ci sono tutti i loro album, ne selezioniamo uno ed un brano e ascoltiamo. Tutto molto veloce, anzi istantaneo, interfaccia efficace, meno elegante ma più pratica e reattiva di quella di Spotify, a mio avviso.




Dopo l'ascolto il brano (o l'album) viene automaticamente aggiunto alla raccolta personale per altri ascolti. In altre parole la parte "cloud" di Google Play (la nostra musica caricata sul servizio di Google) e la parte streaming sono integrate. Cosa ovviamente non possibile tra Spotify e iTunes Match.



Catalogo
Spotify dichiara 20 milioni di brani nella sua libreria musicale, Google Play MU ne dichiara 18, nessuno credo si è messo a verificare questi dati o a cercare in modo sistematico quello che non c'è in assoluto, ma il test che viene spontaneo fare è la ricerca di quello che NON c'è su Spotify. In particolare, a parte i Beatles, come sanno tutti, 3-4 artisti che, preparando le playlist di Musica & Memoria per Spotify, mi sono accorto che mancavano.

La prima era Amy Winehouse. Che qui invece c'è e con tutta la produzione. Accordi diversi con l'editore, evidentemente.


La seconda era Cindy Lauper. Su Google Play MU c'è, anche se non tutta la produzione è presente, ma Time After Time si può ascoltare senza problemi.


Niente da fare invece per Eva Cassidy. Nessun accordo per la "regina delle cover", grande e indimenticata artista, la cui produzione deve essere per forza scaricata da iTunes e simili. Questa è la scelta della sua casa discografica.


Infine una videata della produzione di un gruppo noto ma non certo universalmente conosciuto  come i Pentangle, tutta presente.


Un check anche per la musica classica, dove la vastità del catalogo e la numerosità delle piccole etichette rende la ricerca e la individuazione delle carenze meno significative.
Per il noto pianista star Lang Lang nessun problema.


Invece per il grande direttore Nikolaus Harnoncourt, iniziatore delle esecuzioni filologiche e della riscoperta del barocco, solo antologie (è tutto quel che c'è).



Impostazioni e altri comandi
Pochissieme le possibilità di personalizzazione. Meglio così. L'importante è trovare la musica e ascoltarla. Non perdere tempo con lo strumento.


Qualità
Il formato di compressione è MP3 come per All Access, e la qualità massima è 320Kbps. Su desktop è regolata automaticamente e se la connessione è ADSL, come nel 99% dei casi, sarà alla massima qualità possibile (vedi quello che dice la guida). Su una unità mobile Android invece, in dipendenza delle prestazioni della connessione, si potrà ridurre la qualità fino a 192Kbps.

Quando riproduci la tua musica dalla cloud, Google Play rileva la velocità della connessione Internet e regola la velocità in bit in base alla larghezza di banda disponibile. Se la connessione Internet è veloce, la musica viene riprodotta a una velocità in bit superiore (fino a 320 Kbps).

Google Play offre la possibilità di riprodurre in streaming solo brani in alta qualità, indipendentemente dalla larghezza di banda correntemente disponibile.
•Accesso all'applicazione Google Play Music sul dispositivo
•Tocca il pulsante "Menu" sul dispositivo e seleziona "Impostazioni".
•Seleziona la casella "Streaming alta qualità".

Se scegli di riprodurre i brani in streaming alla massima qualità indipendentemente dalla disponibilità di larghezza di banda, potresti riscontrare un aumento del tempo di buffering e ritardi quando passi a un altro brano. Per mantenere questa alta qualità senza buffering, potresti essere interessato a lasciare la musica sempre visualizzata per l'ascolto offline.

In sintesi
Una alternativa interessante per la disponibilità di musica e la facilità d'uso. Interessante ovviamente solo per chi pensa di utilizzare il desktop e in mobilità ha solo dispositivi Android. E che utilizza sia il cloud per la propria libreria personale, sia lo streaming per quello che non c'è. Priva d'interesse per il vasto mondo di smartphone e tablet Apple. Per ora e probabilmente ancora per molto, visto che sono concorrenti. A meno di cambi di strategia.

mercoledì 4 settembre 2013

La casa del futuro

Nei film e nei libri di fantascienza degli anni '60 e '70 la casa del futuro era di solito tutta bianca, con pochissimi armadi (tanto vestivano tutti uguali) molta tecnologia, schermi televisivi giganti e la cucina non c'era quasi mai, perché si mangiavano cibi sintetici, ma iper proteici.

Ora che nel futuro ci siamo abbondantemente arrivati, sappiamo che l'unica cosa che è veramente tra noi è il televisore a forma di quadro (anche con i comandi vocali come nel film di Spielberg) ma per il resto la casa di oggi assomiglia moltissimo (e vuole assomigliare il più possibile) alla casa del passato, con mobili vintage, tappeti, oggetti etnici da ogni parte del mondo e parquet di vero legno ovunque. E la cucina anziché sparire è diventata il centro della casa, attrezzata come quella di un ristorante di lusso, per milioni di aspiranti chef alla riscoperta della cucina regionale rivisitata (in genere italiana), sulle orme di Gordon Ramsey e Jamie Oliver.


Una dimostrazione che "Fare previsioni è una cosa molto difficile, specialmente se riguardano il futuro", come sosteneva il fisico Niels Bohr, e difatti la invenzione che veramente ha cambiato la nostra vita, il telefono cellulare poi diventato nel tempo smartphone dall'uso universale, includendo anche immagini e video, che ci rende sempre connessi, non la troverete in nessun libro e in nessun film di fantascienza dell'epoca.

Un radicale cambiamento
Qualcosa però sta per cambiare e renderà in tempi brevi la casa del futuro molto diversa dalla casa di oggi e dalla casa di ieri. Sparirà qualcosa che la tecnologia rende già ora superfluo, e che inevitabilmente superfluo diventerà, una cosa che in termine tecnico si chiama "supporto", un oggetto il cui unico scopo è trasportare fino a noi e alla nostra capacità cognitiva un contenuto creato da una o più persone in un altro luogo. Un processo che ha avuto la musica come apripista involontario e primo esempio universale, e che si chiama "dematerializzazione".

La dematerializzazione
Un testo, che sia prosa, poesia, manuale tecnico o documento burocratico, una immagine, un video, un brano musicale, acquistano un senso quando noi li guardiamo, li ascoltiamo, li comprendiamo con il nostro complesso e raffinato sistema di acquisizione e scambio di informazioni. Per trasportarli abbiamo avuto bisogno sino ad oggi della carta o di supporti che, assieme ad un lettore, fossero in grado di ricreare parlato, musica o immagini in movimento. Del lettore, tranne che per i testi, continuiamo ad averne bisogno, ma del supporto non più.
La dematerializzazione in azienda o nella pubblica amministrazione ha vantaggi che nessuno mette in discussione, costi ridotti, accesso facilitato, comunicazioni in tempo reale. Nessuno di noi ha nostalgia di bollette, estratti conto o certificati e, una volta appurato che si può fare a meno della copia cartacea, non abbiamo problemi a smettere di archiviare religiosamente ogni settimana bollette o documenti della banca, se possiamo passare tutto online.
Nella musica la rivoluzione è già arrivata
Per la generazione del CD o addirittura del vinile una casa senza CD e senza vinili non sembra una casa. Ma tra i giovani, anno dopo anno, diminuiscono quelli che danno una qualsiasi importanza al CD o che addirittura ne hanno mai maneggiato uno.

La prima casa di un giovane sarà senza CD (e DVD).
La musica e i film saranno per qualche anno (o mese) ancora memorizzati su hard disk rimovibili, unità USB, dischi di rete o altri sistemi di archiviazione fisici. Ma stanno sparendo anche questi sistemi, sostituiti dallo stesso spazio disco, ma fisicamente localizzato da qualche parte nella rete mondiale, sul cloud, come si definisce ora.
Ma non è ancora l'ultimo passo. L'ultimo passo è la smaterializzazione completa non solo dei contenuti, ma anche del possesso. Con la combinazione abbonamento + streaming cade anche la necessità di scegliere e costruire nel tempo il nostro particolare "sezionamento" dell'immenso universo della musica registrata. Già ora con Spotify o con Google Play Music Unlimited (e presto con iTunes, secondo le anticipazioni) è annullata la distanza temporale e fisica tra il momento in cui viene voglia di ascoltare un certo brano e il momento in cui lo si ascolta. Quasi annullata, perché il suddetto brano deve trovarsi nel vasto catalogo dei due servizi, che però sono già molto ampi (20 o 18 milioni di brani rispettivamente) e non c'è dubbio che potranno solo estendersi.

Senza contare il servizio di ascolto e di visione che già tutti usano, apparentemente gratis come la TV generalista (si paga con la pubblicità), cioè il notissimo YouTube. Che fornisce la stessa funzionalità e un catalogo di dimensioni ignote ma probabilmente anche più estese.
Di cosa avrà bisogno il giovane nella sua nuova casa? Può bastare anche uno smart TV, un tablet e un paio di casse attive. O soluzioni più articolate e complete per chi vuole di più, che non mancano e non mancheranno di certo.
Niente CD e discoteche per casa, niente archivi su hard disk e necessità di scaricare più o meno legalmente la musica, impiegando nella operazione una parte del nostro tempo prezioso. Tempo zero tra la volontà e il risultato.

Cose belle ma inutili
Le nostre case si differenziano dalla casa del futuro anche perché continuano ad essere piene di cose belle ma inutili, quadri, soprammobili, vasi, collezioni di oggetti privi di ogni utilità pratica e disposti strategicamente in vetrinette apposite, acquari (passati parecchio di moda, però), libri d'arte negligentemente abbandonati (ma a bella posta) sul tavolino della sala, come nel film Carnage di Polanskyi. Oggetti che trasmettono messaggi di identità a chi entra nel nostro spazio, o di conferma e rassicurazione per noi stessi. Tra questi oggetti comparirà sempre più spesso il giradischi, accompagnato dai suoi vinili, e magari anche il registratore a bobine. Neanche del tutto inutili e superflui se i servizi in streaming accennati prima rimarranno ancora a lungo in bassa qualità (anche se loro la dichiarano "massima", nientemeno). Il giradischi sarà l'unica sorgente in alta qualità nella casa dematerializzata. Per una piccola parte della musica, purtroppo. Scenario tecnicamente assurdo ma non del tutto improbabile, viste le altre illogiche evoluzioni del mercato della musica.


Il passo successivo (e definitivo)
La dematerializzazione della musica, ormai avviata e, penso, inarrestabile, è solo il primo passo per la completa dematerializzazione dei contenuti di qualsiasi genere. Ne rimane un altro che ancora facciamo fatica a concepire in modo globale, ma che arriverà prima o poi. In teoria poteva essere il primo, perché la difficoltà tecnica era molto inferiore che per la musica e per il video. Ma la resistenza delle case editrici si è dimostrata ben più coriacea ed efficace di quella tentata dalle case discografiche. Come ha sperimentato persino il gigante Google con il suo progetto Books e la marcia indietro che ha dovuto subire ed accettare (ben altri e più ambiziosi erano gli obiettivi iniziali).

Dove Google ha fallito ha invece avuto successo Amazon, con un approccio più graduale e prudente, e ormai anche il libro può essere del tutto dematerializzato, con Kindle e i suoi epigoni.
Non ci sono qui ancora servizi in abbonamento, ma non sarebbero una novità, sarebbero l'equivalente della biblioteca nel mondo digitale. E' quindi possibile e anche probabile, in tempi anche non troppo lunghi, lo scenario di una casa senza libri. Che però non sarebbe uno scenario da incubo, come quello immaginato nel famoso libro di Ray Bradbury Farenheit 451 (e nel celebre film che ne trasse Francois Truffaut). Perché la stessa casa potrebbe essere abitata da incalliti lettori. Diversi da noi solo perché non accumulano in casa nel corso degli anni i libri che hanno letto, e che difficilmente leggeranno una seconda volta.
Ci saranno invece in molti casi gli equivalenti dei vinili. Libri d'arte o di fotografia. Libri antichi, edizioni rare. Belli di per sè, per il piacere di possederli.



Una casa vuota
La tecnologia ci conduce e in parte ci ha già accompagnato (per la musica e per i film) verso una casa vuota, dove non c'è traccia visibile del consumo culturale. La traccia è solo quello che è stato accolto e memorizzato nella nostra mente. Più quei pochi contenuti che consideriamo altamente simobolici e caratterizzanti la nostra identità e che vorremmo a tutti i costi mantenere "fisici".
Uno scenario inquietante? Non si può dire ora, anche se fa impressione l'idea di non potere (almeno non facilmente come ora) lasciare la nostra impronta, con la biblioteca e la discoteca che rimarrà a disposizione dei nostri figli. E che già ora, che sono ancora in casa, lo è, trasmettendo loro almeno in parte le nostre scelte e il nostro imprinting educativo. Come ha fatto mio padre con me e come sto facendo con mia figlia. Ancora una volta, è solo una questione di decidere se usare tecnologie e funzioni che già ci sono. Nella musica si chiamano "preferiti" o "playlist". Molto meno poetiche, meno immediate, ma volendo gli strumenti ci sono.




(Nelle immagini: una ambientazione futuristica dal film "2001 Odissea nello spazio", un giradischi Pro-Ject (6 Perspex), una scena dal film Carnage col tavolino rivelatore, due ambientazioni per una stanza audio video tra passato e futuro di B&O)

mercoledì 7 agosto 2013

L'ascoltatore post-hi-fi

Non c'è dubbio che l'alta fedeltà non sia in un momento felice della sua storia, iniziata negli anni '50 del secolo scorso negli USA. Una crisi che può essere verificata anche senza grandi analisi marketing ma con una sola osservazione che possiamo fare tutti: un impianto hi-fi (buono o cattivo che sia) non è più nella lista dei desideri tecnologici da avere in casa per chi, single o giovani coppie, si appresta ad iniziare la sua vita autonoma.

La TV a schermo piatto c'è, a volte anche con un suo impianto audio dedicato (Bose, di solito), la reflex o mirrorless digitale, che fa anche i film per il figlio che arriverà, c'è, il notebook, il tablet e gli smartphone c'erano già, la playstation anche, poi ci sarà la palestra casalinga Techno Gym con computer di bordo, i robot da cucina o il Roomba per pulire i pavimenti. Inutile continuare con la lista dei desideri in tema di gadget o status symbol, l'impianto hi-fi come lo definisce l'appassionato medio di mezza età non c'è, non c'è più nella lista. Fino a qualche anno fa c'era (molto in basso nella scala dei desideri) il "coordinato hi-fi", triste oggetto da supermercato di elettronica, con qualche rara eccezione. Ma ormai è sparito anche da Media World e simili.

Il motivo è semplice, è sparita la sorgente. Il CD è in estinzione. I giovani sopra ai 20 anni ne hanno comprato o regalato ancora qualcuno quando erano adolescenti, e i CD superstiti sono ancora nella loro camera sino a che non se ne vanno. Quando se ne vanno li lasciano lì. Quelli sotto ai vent'anni ne conoscono vagamente l'esistenza ma non ne hanno mai comprato uno. Al massimo ne hanno ricevuto qualcuno in regalo da zii un po' fuori del tempo.Per gli uni e per gli altri e sempre più per quelli che stanno crescendo, che usano l'iPhone e l'iPad già dalle medie, la sorgente è il PC, il tablet o lo smartphone. L'impianto stereo quindi è un sistema audio dedicato a queste sorgenti, che sia un auricolare, una cuffia stereo, uno speaker system per collegare direttamente smartphone o tablet, o un sistema 2.1 per il PC.

L'alta fedeltà e' arrivata anche qui, sotto forma di cuffie stereo chiuse o semi chiuse di media o alta qualità, di speaker system progettati e prodotti da case di grande esperienza nel l'hi-fi. Non è alta fedeltà in termini assoluti (non lo dovrebbe essere mai, in realtà) ma in termini relativi, nel senso che questi componenti consentono di ascoltare con una qualità "più alta" dei componenti che si usavano agli inizi, auricolari o cassettine da PC con un piccolo sub.


Si può fare di più
Più alta e spesso anche di ottimo livello, con componenti di pregio come lo Zeppelin Air della B&W o alcuni suoi emuli, almeno per quanto riguarda la timbrica corretta in gamma media e la bassa distorsione. Per non parlare delle cuffie stereo dove si possono raggiungere prestazioni molto buone anche solo connettendosi alla uscita audio di tablet di pregio come il diffuso iPad o l'iPhone. Ma ancora migliori usando su PC o notebook un micro DAC come il DragonFly, il Music Streamer di HRT o lo HiFace DAC della italiana M2Tech.

Un vero impianto hi-fi, anche entry level, consentirebbe però molto di più in termini di realismo nella riproduzione: dinamica, estensione alle basse frequenze, ricostruzione spaziale. prestazioni impossibili per uno speaker system per quanto raffinato e costoso. Il giovane e meno giovane ascoltatore post hi-fi però non ci pensa proprio a complicarsi la vita con l'acquisto e la installazione di un impianto hi-fi. Forse perché ritiene che sarebbe troppo costoso, forse perché non ne sente la necessità, si sente appagato da come ascolta con il suo speaker system e la sua cuffia.



Peccato, perché non è mai stato così facile e così poco costoso ascoltare bene
Negli anni '70 quando la "catena" hi-fi era diventata uno status symbol e si facevano le rate per comprarla e piazzarla in evidenza nel salone, il costo era piuttosto basso e dello stesso ordine di grandezza di un TV color, ma anche la qualità lo era, e soltanto alcuni ingenui di oggi ritengono che quei componenti audio di grande serie e grandi compromessi costruttivo consentano di scoprire un audio "vintage".
Negli anni la tecnologia si è invece molto evoluta e la struttura produttiva si è estesa a paesi con il costo del lavoro molto basso. Con cifre assai ridotte anche in valore assoluto si possono ottenere risultati irraggiungibili per quelle catene hi-fi e anche per impianti di medio livello di 10-15 anni fa.


Un esempio per il nostro ascoltatore post hi-fi
Che avrà probabilmente in casa un notebook come sorgente della musica. Al quale collegherà poi il suo iPhone o iPad per alimentarli con la musica che ha scaricato. Per un impianto hi-fi di ottimo livello gli servono solo tre componenti: un media player sul notebook, un DAC da collegare al notebook per la conversione in analogico, una coppia di casse attive.
Il media player potrebbe essere Foobar2000, il migliore per uso audio di qualità, il DAC potrebbe essere il Music Streamer di HRT, che in questo momento ha un rapporto qualità / prezzo difficilmente superabile, le casse attive potrebbero essere le M-Audio BX8 D2 provate recentemente con responso molto positivo da TNT-Audio. Il Music Streamer costa circa 130 €, le M-Audio 350 €, Foobar2000 non costa nulla, aggiungendo un buon cavo si superano di poco i 500 €, meno di uno smartphone buono (il minimo indispensabile per nostro figlio), meno dell'assicurazione annuale dello scooter, per avere un impianto che ha già tutto; con buon materiale audio SD o HD e una installazione appena appena attenta, dinamica, bassi, correttezza timbrica, bassa distorsione sono già a un livello eccellente. Migliorabile certo, come tutto in hi-fi, ma ricordiamoci a che livelli di prezzo siamo.



Perché così poco interesse?
Qui comincia la ricerca dei colpevoli. Che secondo molti, tra cui la già citata rivista online TNT-Audio, con la quale sono quasi sempre d'accordo, ma non in questa occasione, sono senza dubbio le case discografiche. Che hanno abbandonato la stereofonia e il CD per puntare per motivi speculativi prima all'alta definizione con il SACD, poi al multicanale e ora al Pure Audio Blu Ray. Indipendentemente da quello che si pensa di queste tecnologie,  con il superamento e l'abbandono dell'hi-fi non c'entrano nulla. L'ascoltatore post hi-fi, l'uomo della strada, non ha mai avuto neanche il più vago sentore di questi tentativi molto poco convinti.
Le motivazioni sono altre, probabilmente lo spostamento verso altre forme di entertainment, la preferenza verso forme d'intrattenimento che richiedono meno tempo di preparazione e meno impegno per ottenere il risultato.


Il paradosso
Sta di fatto che la situazione è paradossale: viviamo in un mondo dove si ascolta sempre più musica, dove anzi è difficile sottrarsi alla musica che invade tutto, dove la tecnologia e i suoi costi sempre più bassi consentirebbero di ascoltarla con la migliore qualità di sempre, ma dove la si ascolta molto al di sotto delle sue possibilità, e dove la maggior parte delle persone non sospettano neanche che esistano queste possibilità, e quindi non sono interessate a scoprirle. Mentre invece nel settore video assistiamo ad una rincorsa spasmodica e condivisa dai clienti (noi) ad una qualità d'immagine sempre più alta, con l'alta definizione appena affermata e già superata dall'ultima Ultra-HD (tecnologia 4K) che rimpiazza peraltro anche il 3D. Va bene che la qualità dell'immagine è più riconoscibile della qualità audio, ma chiunque può avvertire la differenza tra un impianto stereo vero e un 2.1 da PC. Anche con materiale compresso e magari di Fabri  Fibra o Bruno Mars.


Ritornerà?
Per ora non si vedono al l'orizzonte possibili inversioni di tendenza. L'alta fedeltà appare destinata a diventare un settore di nicchia, per appassionati interessati alla cultura della musica e/o all'esercizio tecnologico, divisi tra quelli che ricercano le soluzioni più ottimizzate ricorrendo anche all'usato e all'auto-costruzione e/o alla sperimentazione consentita dalla tecnologia informatica applicata alla musica, e i danarosi pronti a spendere cifre imponenti per coltivare il loro hobby esclusivo. Entrambi non possono costituire un modello e un'attrattiva per il mercato di massa.

Che tornerà ad interessarsi all'audio e a rimettere uno stereo da casa quando l'offerta soddisferà tre condizioni: una estetica coerente, un costo paragonabile agli altri desideri casalinghi (impianti TV in primis) una promozione estesa ed efficace. Oltre la qualità senza incertezze e la completa conformità con la musica liquida, ovviamente. Le casse attive che ho citato prima sono ad esempio esteticamente grezze, da studio di registrazione, non riuscirebbero ad entrare in un appartamento abitato da persone "normali", al massimo potrebbero avere accesso allo studio - territorio esclusivo dell'appassionato. Prodotti che rispondono almeno ad alcuni di questi requisiti ci sono anche. Quelli proposti dalle case del Regno Unito Linn e B&W o dalla danese B&O per esempio. L'impegno economico richiesto e però ancora troppo alto per poter uscire dalla nicchia. E di conseguenza anche la promozione risulta mirata ai consumatori cosiddetti "affluent". Non per tutti, mentre potrebbe essere veramente per tutti.


(Nelle immagini una piccola scelta di componenti che avrebbero tutte le carte in regola per diventare oggetti del desiderio per qualunque persona interessata anche in modo non intenso alla musica; dall'alto una delle nuove cuffie B&W, la P5, una ambientazione con arredamento di design delle B&W Diamond 805 in elegante versione "black glossy", il pre digitale e analogico della Linn Klimax-Kontrol (un nome che forse in Italia andrebbe cambiato), i raffinati diffusori omni direzionali Beolab 5 della danese B&O in un raffinato loft, ancora la Diamond 805 in versione "ciliegio" e uno dei network player della Linn, il modello Akurate DSM, infine una ambientazione che non ha bisogno di commenti per l'ultima versione delle Guarneri di Sonus Faber. Se solo costassero 5 o 10 volte di meno non c'è alcun dubbio che sarebbero già oggetti del desiderio)

domenica 14 luglio 2013

Alta fedeltà in auto

Il nuovo corso della rinata rivista Audio Review ha imposto a parecchi appassionati di alta fedeltà un certo numero di pagine dedicate all'alta fedeltà in auto, curate dai redattori della ex rivista Audio Car Stereo (ACS), incappata, come AR, nel fallimento della casa editrice dello storico magazine (leggi in questo precedente post e nei commenti la storia).
La maggior parte dei cultori dell'hi-fi rifiuta a priori il concetto di ascoltare la musica preferita in una situazione così poco favorevole, a quanto si sa. Ma qualcuno, forse mosso dalla curiosità, potrebbe porsi la domanda se l'alta fedeltà, o qualcosa che vi si avvicini, sia possibile in queste condizioni.

Una delle poche vetture che può fare a meno di
un impianto hi-fi custom, perché monta di serie un raffinato sistema
audio B&O: la BMW Serie 6 (con la consorella serie 7).
Chi non ne ha una in garage può provare a leggere questo post.
Gli ostacoli
Effettivamente parecchi impedimenti si frappongono al raggiungimento di questo obiettivo: a) un ambiente d'ascolto ingombro di ostacoli fisici (i sedili, i poggiatesta, gli stessi passeggeri) b) la disponibilità di una sorgente di energia (la batteria) limitata a 12V c) la mancanza dello spazio fisico per collocare l'impianto ed in particolare i diffusori per le basse frequenze d) l'elevato rumore di fondo in movimento che limita la gamma dinamica disponibile, e) la posizione laterale di chi ascolta e, infine  il più recente e forse ormai prevalente: f) la presenza ormai generalizzata di un impianto di serie spesso integrato con il navigatore e il computer di bordo, non modificabile e non sostituibile.

I vantaggi
Esistono però anche alcuni elementi a favore di un impianto car auto rispetto ad uno fisso: a) lo spazio limitato dell'abitacolo, che rende più facile raggiungere livelli di pressione sonora adeguati, soprattutto alle frequenze inferiori, b) la disponibilità del luogo: almeno per i non single, per ascoltare a casa la musica bisognerà fare i conti con gli altri componenti della famiglia, se l'impianto è nella stanza del televisore principale, o se, in caso diverso, si vuole evitare di passare per asociali, c) la possibilità di ascoltare generi musicali non graditi ("le donne non amano il jazz, non si è mai capito il motivo" cantava in una canzone di qualche anno fa Paolo Conte).

Un'idea da non scartare a priori
Può valere la pena, quindi, prendere in considerazione il montaggio di un impianto hi-fi sulla nostra auto, soprattutto per chi viaggia di frequente e con percorsi non troppo corti e da solo (o con compagni di viaggio con gli stessi interessi). Essendo però preparati ad investire una cifra non indifferente. Un impianto car audio che si possa definire hi-fi parte infatti da livelli di costo più elevati di un impianto di casa, e richiede di rivolgersi ad un installatore professionale.
Senza voler entrare nei dettagli e senza voler scrivere qui una guida (inutile se si ricorre ad un installatore) ma con l'obiettivo unicamente di fornire le informazioni di base, vediamo come sono stati superati negli anni gli ostacoli (quelli superabili).

Ambiente d'ascolto
Per quanto grande sia l'auto non sarà mai l'ambiente ideale per ascoltare una ricostruzione spaziale realistica. Occorre rinunciarvi. Anche le casse posteriori non aiutano, non sono lì per l'ambienza, ma per far ascoltare la musica anche ai passeggeri seduti dietro. I processori digitali consentono però di riposizionare l'immagine stereo collocandola al centro per chi guida.

Alimentazione a 12 Volt
Limita la potenza disponibile per un amplificatore di tipo tradizionale (come quelli di casa) a 4-8W. Da anni però il problema è risolto con varie tecnologie (come il survoltore) e sono disponibili in commercio amplificatori per auto di potenza anche superiore a 100W. Ma che costano ovviamente di più, in proporzione alla qualità, di quelli da casa che funzionano a 220V.

Un amplificatore per auto da 450W della casa tedesca
specializzata Gladen Zero

Lo spazio fisico
I diffusori anteriori e posteriori devono essere sostituiti, ma quelli nuovi con caratteristiche hi-fi possono utilizzare gli stessi vani e cavità usati per quelli di serie. Tutto il resto deve però trovare posto nell'abitacolo o nel bagagliaio, dove però non sono previsti spazi per componenti aggiuntivi. Che, in dipendenza della struttura dell'impianto, possono essere anche 3 o 4. Ad esempio due amplificatori (a 4 e/o 2 canali) per i diffusori anteriori e posteriori, un processore digitale (vediamo dopo a che serve), un subwoofer amplificato (o due, magari con propri amplificatori). In generale si può dire che gli impianti per auto sono di livello e complessità più elevati di un impianto di casa anche medio alto. Amplificatori dedicati per ogni canale, crossover elettronico, subwoofer attivi, processori dedicati, altoparlanti realizzati con le più recenti tecnologia sono la norma. L'installatore esperto progetterà l'impianto personalizzato per l'auto e individuerà la posizione ottimale per i componenti concordandola con il proprietario. Parte dello spazio sarà sacrificato, ma con componenti scelti tra la vasta produzione mondiale specializzata si potranno salvaguardare le funzionalità di base (posti a sedere, trasporto di bagagli) e l'impianto originale. Vediamo brevemente come.


Un altoparlante specializzato per sub car-audio della francese Morel

L'impianto originale
È composto per la parte audio da una o più sorgenti (radio, lettore CD, ingresso analogico aux, spesso interfaccia per iPhone) un decoder digitale analogico e una sezione di amplificazione. Idealmente bisognerebbe collegarsi all'uscita del DAC ma quasi mai ciò è previsto dal costruttore dell'auto. Intervenire sull'unità e' altamente sconsigliabile e fa decadere la garanzia su tutta la parte elettronica e quindi non è applicabile sulle auto nuove. La soluzione più semplice e' collegare un processore digitale all'uscita della sezione di amplificazione, per ognuno dei 4 canali normalmente esistenti. Può sembrare una soluzione poco audiofila, perché il segnale subisce due conversioni e una amplificazione inutile da parte di un componente non di qualità eccelsa come il sintolettore di serie, ma è la più pratica, e quasi l'unica, e il risultato è valido musicalmente.
Anche perché in questo modo le successive complesse operazioni necessarie per il filtraggio tra le tre vie e la equalizzazione del segnale saranno svolte nel dominio digitale dal processore, che piloterà poi direttamente i canali dei vari amplificatori finali.

Un potente processore digitale della italiana Audison
I componenti custom-fit
In alternativa per alcune marche e modelli sono realizzati da case specializzate componenti progettati esattamente per sostituire il navigatore più unità audio-video di serie. Sono progettati specificamente perché ogni casa automobilistica adotta protocolli di comunicazione e standard di installazione diversi. Sono disponibili ad esempio per buona parte della produzione Volkswagen. Il componente di serie sarà poi reinstallato al momento di vendere o restituire l'auto. Si tratta di una soluzione tecnicamente superiore, anche come interfaccia utente, ma ovviamente anche molto più costosa.

I finali
L'impianto di un'auto standard ha quattro canali (2 anteriori e 2 posteriori) ciascuno dei quali normalmente a 2 vie (woofer e tweeter). L'impianto custom aggiunge sempre un sub woofer e quindi una via e due canali in più. Un impianto di buon livello con crossover attivo richiede quindi 6 finali stereo. Usando per maggiore semplicità un crossover passivo per i canali posteriori si possono ridurre a 3, e a 2 utilizzando un subwoofer attivo.
I finali per auto sono realizzati in modo da ridurre al minimo l'ingombro, quindi di solito "a sogliola" pochi centimetri di altezza per 60-80 di lunghezza. Ma trovare il posto per 2 o 3 unità più il processore digitale non è semplice. Lo spazio di può trovare riducendo il bagagliaio con un doppio fondo o rialzando il pavimento per i sedili posteriori.

Gli altoparlanti
Nelle auto ci sono già, ma sono quasi sempre di qualità accettabile solo per ascolto di parlato o di musica da sottofondo, non per un ascolto impegnativo. Devono essere quindi tutti sostituiti. Gli altoparlanti hi-fi per auto sono progettati per gli stessi alloggiamenti standard e quindi la sostituzione non presenta problemi. Non si tratta però normalmente di una sostituzione con lo stesso tipo di componenti. Ad esempio sui canali posteriori, dove potrebbero essere stati montati di serie altoparlanti a larga banda, saranno installate unità coassiali a due vie con intuibili vantaggi.

Il subwoofer
È il componente che differenza maggiormente l'impianto rispetto a quello di serie consentendo una avvertibile estensione della riproduzione verso il basso. È anche il componente di più complessa installazione perché richiede per motivi fisici un volume di 13-15 litri e più, che vengono tolti inevitabilmente alla capienza del bagagliaio. Nelle berline e coupé il posizionamento tipico e nella cappelliera, ricavando però il volume nel bagagliaio con una struttura fissa. Più complessa la soluzione nel caso di una station wagon o di un mono volume o in ogni caso di auto con portellone posteriore e vano di carico trasformabile. Qui una struttura fissa limita in modo definitivo la flessibilità d'uso dell'auto. Per la mia auto precedente (una sw con capacità anche non molto ampia, Alfa 156 SW) la soluzione trovata, di compromesso, e stata una unità sub mobile di forma cilindrica, all'occorrenza staccabile). Ulteriore soluzione di compromesso sono i sub compatti installati nelle portiere posteriori, o sub "piatti" da mettere sul fondo del bagagliaio.
Da aggiungere che il sub ha il vantaggio, se tagliato molto in basso, di poter essere sistemato ovunque nell'auto, perché le frequenza inferiori non sono direttive e la sua posizione non è quindi percepibile.
Negli impianti più raffinati i sub possono essere anche due, il secondo più compatto posizionato nel cruscotto lato passeggero (a scapito del vano porta oggetti) potenziando così in modo più efficace anche i bassi fino ai 100Hz.

L'impianto di serie d'alta classe
Le vetture alto di gamma offrono spesso, tra le altre cose in più, anche un impianto audio dichiarato di qualità e solitamente curato (almeno a livello marketing) da nomi importanti dell'Hi-fi come B&O, Mark Levinson o Harmann Kardon. La BMW sulle serie6 e 7 monta ad esempio un impianto progettato da B&O con 16 altoparlanti attivi e processore digitale, sulla serie 3 impianti marcati Harman-Kardon con altoparlanti selezionati, la Lexus per le serie GS e LS monta impianti a 7+1 canali progettati da Mark Levinson.
Non sono sufficienti per un audio di qualità ?
Si è no. Garantiscono un ascolto migliore sicuramente, soprattutto grazie al fatto che gli altoparlanti non sono quelli di serie utilizzati per le produzioni di massa. Ma non possono raggiungere per limiti fisici le due prestazioni che caratterizzano un impianto custom e che, come abbiamo visto, richiedono spazio sottratto all'abitacolo: elevato livello di pressione sonora indistorta (finali) e estensione verso il basso (subwoofer). spesso
Nelle vetture alto di gamma citate difficilmente troverete finali ad alta potenza (non in classe D) dedicati e sub e quindi neanche queste prestazioni. Ma impianti con distorsione inferiore che possono beneficiare della silenziosità superiore (almeno se non si guida sui "sampietrini") di queste raffinate e costose autovetture.

Nelle due immagini la sistemazione degli altoparlanti per i bassi e
per il canale centrale  anteriore (a scomparsa) nell'impianto a 16
altoparlanti attivi con digital processing progettato dalla danese B&O
per le BMW Serie 6 e Serie 7
Nella immagine sotto invece l a architettura dell'impianto a  15 vie e
19 altoparlanti progettato da Mark Levinson per la Lexus LS

Il rumore di fondo e la dinamica
Un limite dell'ascolto in auto, come premesso, è il rumore di fondo. In una stanza di casa silenziosa o in una sala di concerto con pubblico disciplinato è intorno ai 35dB e quindi la gamma dinamica fino al massimo livello che possiamo sopportare (105dB o poco più) è dell'ordine dei 70dB (senza dimenticare mai che è una scala logaritmica e non lineare). Sufficiente per ascoltare anche le composizioni con le più ampie escursioni dinamiche, come una sinfonia per grande orchestra che passa da un pianissimo a un fortissimo (ad esempio il I movimento della IV di Beethoven). In un'auto ferma e col motore spento il rumore di fondo è dello stesso ordine di grandezza, ma muovendosi cresce e anche di molto. Il rumore è generato dal motore, dagli pneumatici con l'attrito di rotolamento, dalle sospensioni e quindi anche dal fondo stradale, dall'attrito aerodinamico e quindi anche dalla velocità, dall'eventuale apertura dei finestrini e in generale dalle caratteristiche dell'auto.
Ho fatto qualche misura sulla mia auto con il fonometro installabile sull'iPhone e si rileva che in velocità da città su fondo asfaltato normale si arriva già a 45dB, e si sale anche di 10dB se l'asfalto è quello drenante utilizzato ora largamente, che è certamente più sicuro ma una jattura per chi vuole ascoltare la musica in macchina. Ancora peggio se il fondo è sconnesso come purtroppo avviene in molte città italiane o addirittura sono usati ancora gli antistorici "sampietrini" (pavé) che difatti negli altri paesi sono usati solo nei centri storici pedonalizzati. Tranne che in Francia, ma sappiamo tutti che i francesi hanno le loro fisse.
Anche in velocità si perdono anche 20dB a velocità sostenuta ma ancora quasi legale e salendo a 180-190 si sale ancora di più (ma qui per ovvi motivi non ho fatto misure).
L'auto è una Mini BMW e quindi non la più silenziosa in commercio, caratteristiche medie. Macchine alto di gamma come quelle citate prima sono ovviamente più silenziose ma l'uso di ruote di grande diametro e la velocità superiore comporta anche in questo caso un inevitabile allontanamento dalla situazione "stanza di casa".

In sintesi in città con buon fondo possiamo contare su 50-55 dB di gamma dinamica teorica e in velocità o condizioni meno favorevoli si può scendere anche a 35dB o meno.
Che sono comunque considerazioni teoriche perché nella "stanza silenziosa" il rumore che comunque esiste non lo percepiamo, è eliminato mentalmente. Mentre il rumore del motore lo sentiamo, anzi lo ascoltiamo per decidere quando cambiare marcia o per verificare che tutto vada bene. In altre parole è una interferenza, qualcosa che si somma alla musica che tentiamo di ascoltare. Un po' come avviene per esempio in un ristorante o in un pub con musica dal vivo. In più, bisogna considerare che in auto neanche i livelli sonori troppo elevati sono praticabili per ovvi motivi di sicurezza, per la necessità di sentire senza ritardi i messaggi sonori di avviso esterni (clacson, sirene di ambulanze ecc.).
Per ascoltare musica in queste non favorevoli condizioni abbiamo quindi bisogno di un impianto in grado di produrre una pressione sonora indistorta elevata, per portare la musica fuori dal range dinamico dove sono presenti le interferenze. Per le condizioni ancora meno favorevoli, quando la gamma è troppo ristretta, è necessario però anche un compressore di dinamica, come quello provato in un precedente post.

L'installatore
Lasciando il dubbio se l'impianto di serie sia sufficiente o meno ai fortunati possessori di BMW Serie 7 o Lexus LS, per tutti gli altri l'alta fedeltà per auto passa necessariamente per un impianto custom. Che richiede l'intervento di un installatore professionista, che progetterà l'impianto in base alle nostre specifiche esigenze e preferenze musicali, al livello di sacrificio che accettiamo rispetto agli altri usi dell'auto (vedi esempio precedente). Ovviamente i più esperti potranno anche scegliere di progettare l'impianto da soli (come si fa, non sempre con successo pieno, per l'impianto domestico) ma avranno già abbandonato da tempo questo post.
L'installatore si occupa anche, quasi sempre, di installazioni che con l'alta fedeltà hanno poco a che vedere, gli impianti SPL (Sound Pressure Level) da gara, una strana cosa su cui sorvoliamo, ma se non è troppo specializzato in questo settore può progettare anche impianti che puntano ai classici obiettivi dell'hi-fi: alta dinamica, bassa distorsione, estensione in frequenza verso i bassi. Si occuperà lui di tutto, naturalmente proponendovi diverse alternative, non solo la installazione, i cablaggio, le eventuali modifiche necessarie agli interni, ma anche la vendita di tutti i componenti (tranne quelli che magari avete già voi da una precedente installazione). Basandosi su consigli di amici, referenze su Internet, colloquio con lui e impressioni ricevute, il primo passo sarà quindi la scelta dell'installatore.

Il risultato finale
Cosa si ottiene dopo tutto questo dispiego di danaro e di tempo? Un risultato che può anche sorprendere chi pensa ad un impianto per auto come ad una soluzione di compromesso. Il mio installatore, giovane ma noto operatore del settore a Roma, mi raccontava di un suo cliente, peraltro figlio di un notissimo esponente della musica leggera italiana, che il giorno dopo l'installazione è tornato stupito e perplesso al laboratorio. Pensava che qualcosa non andasse bene, invece il cliente gli ha raccontato che era rimasto sino a notte tarda ad ascoltare l'impianto in auto, una utilitaria, per la cronaca, ascoltando sempre nuova musica, perché non riusciva a capacitarsi di ascoltare e scoprire dettagli in pezzi che conosceva, e che nel suo impianto di casa d'alta classe, tutto McIntosh, non era mai riuscito a sentire. E voleva capire come mai.

Una realizzazione in pratica
I post in questo blog, quando non sono analisi di scenario, derivano dalla esperienza pratica, e passiamo quindi a descrivere brevemente un impianto reale, e cosa si ottiene all'ascolto. Come accennato l'auto è una Mini BMW e il componente principale dell'impianto è un processore digitale Audison, che riceve in input l'uscita dell'impianto di serie, quindi in analogico, allo scopo di non modificare in alcun modo la dotazione di serie dell'auto. Nel processore digitale viene effettuata una conversione in digitale a 32 bit dei quattro canali standard, il processore consente poi di effettuare nel dominio digitale le funzioni di crossover, separando i contenuti audio in base alla frequenza per suddividerlo sulle tre vie dell'impianto, di bilanciamento tra i canali e le vie, e le funzioni di post-processing, ad esempio riposizionare con una linea di ritardo i due canali frontali per presentarli in modo corretto al guidatore, o modificare la risposta in frequenza per correggere anomalie nell'ascolto dovute alla particolare forma dell'abitacolo. Per ogni via (sub, medi e acuti) è previsto uno stadio dei due amplificatori multicanale utilizzati (Hertz e Proel per il sub). Tutti gli altoparlanti di serie sono stati sostituiti, come sempre è previsto in questi impianti. Per i posteriori, che di serie sono monovia, sono previsti due vie compatti con crossover passivo (JVC). Infine il sub, che per pura comodità è un componente passivo Proel di forma cilindrica all'occorrenza amovibile o spostabile. Non la soluzione ideale ma consente di mantenere ancora, seppur in parte, la funzionalità del piccolo bagagliaio della Mini moderna (quella storica e minuscola anni '60 lo aveva più grande ...). Gli altri componenti trovano posto sempre nel bagagliaio, spostando il kit per la riparazione della ruota (e riducendo inevitabilmente la dimensione utile). Anche se la descrizione può sembrare complessa è in realtà un impianto non troppo impegnativo rispetto ad altri, sia come impatto sull'abitacolo sia come costo.

Il risultato
Uno dei primi risultati che si ottengono con un impianto multicanale e multi via con crossover attivi è un basso tasso di distorsione, premessa per restituire tutti i dettagli del flusso sonoro. Questo si può apprezzare da subito con la musica acustica o con jazz ben registrato, ascoltando il gioco di piatti della batteria, e soprattutto con le voci maschili e femminili. Con il rock è notevole la possibilità di alzare il volume senza effetti udibili sino a livelli molto elevati sul tasso di distorsione. Altra sorpresa, soprattutto per gli amanti dei raffinati mini diffusori, è rappresentata dalla presenza di bassi profondi e indistorti, che consentono di ascoltare con grande precisione, ad esempio, un assolo di contrabbasso. La ricostruzione spaziale rimane invece l'obiettivo più difficile da raggiungere, come anticipato. Tranne che per impianti molto ambiziosi, con altoparlanti aggiuntivi, è alla portata soltanto la disposizione sul piano orizzontale. Che si apprezza comunque facilmente e con precisione in questo impianto. L'impianto è progettato per un ascolto in alta fedeltà e non d'effetto, quindi niente medio bassi profondi da far ascoltare alle altre auto in fila al semaforo. D'altra parte non ascolto né techno né heavy metal. Il sub è comunque il componente meno prestante dell'impianto, come anticipato, e quindi bassi molto profondi e immanenti rimangono fuori portata per un impianto così strutturato. E in generale richiedono maggiori ingombri.

In sintesi
Al prezzo di un restringimento degli spazi disponibili nell'abitacolo e soprattutto nel bagagliaio si potrà ascoltare con soddisfazione musica pop, rock, folk e jazz. Un po' più impegnativo l'ascolto di musica classica e sinfonica, ma in condizioni buone (auto silenziosa, strade ben tenute) saranno ascoltabili in modo soddisfacente anche questi generi musicali. Non ci sarà quindi nessun bisogno di limitarsi all'ascolto unicamente della musica super-compressa che producono ora le case discografiche (vedi post sulla "loudness war").

(il post è stato aggiornato in data 10/9/2013)

venerdì 28 giugno 2013

Un impianto per la musica liquida in pratica - III - Spotify in hi-fi

Uno dei vantaggi della soluzione basata su un PC come server per le funzioni di media player, illustrata nei post precedenti (1-2), è la possibilità di collegare all'impianto hi-fi anche altri servizi normalmente disponibili in questo ambiente. Il più interessante al momento è sicuramente il servizio di streaming in abbonamento Spotify, già trattato sul blog in due post (1-2).

E' un plus interessante rispetto alle soluzioni basate su un network audio player specializzato. Alcuni modelli (esempio i music system della Linn come il Majik DS) possono collegarsi con un iPhone o un iPad dove gira Spotify e trasmettere l'audio all'impianto. Con un PC, come il Mac Mini usato in questo esempio pratico d'uso, l'architettura è invece invertita: il software Spotify si attiva sul Mac Mini e si collega via cavo anziché via wi-fi ad Internet, e l'iPhone si usa solo come telecomando per selezionare album, brani o playlist da ascoltare. Vediamo in breve come funziona.

Spotify sul Mac Mini
Premessa indispensabile è ovviamente installare l'applicazione sul Mac e poi attivarla con le credenziali che avremo richiesto e ricevuto. La sottoscrizione potrebbe anche essere quella gratuita in questo caso (a differenza che con i music server Linn menzionati prima) anche se per questo uso, in cui si punta all'ascolto con un impianto hi-fi la qualità è importante, e la massima qualità (320Kbps con formato Ogg Vorbis, ricordiamo) è disponibile solo nella versione premium. Che potrebbe anche essere quella ridotta (4,99 € / mese) per solo accesso da PC, ma alla comodità di un ascolto libero dal nostro smartphone o tablet difficilmente rinunceremo. L'unica altra operazione che dovremo fare è attivare l'avvio automatico di Spotify all'accensione del PC, come abbiamo fatto per iTunes. A questo punto il servizio è utilizzabile pienamente.

La gestione da remoto
Come abbiamo già visto però non vogliamo utilizzare il PC come un vero PC, con la tastiera e lo schermo (che poi sarebbe il TV) se non per l'accensione e per le operazioni di manutenzione, deve sparire completamente e lasciarci solo con la nostra musica, e quindi ci serve una app per comandare Spotify da remoto, un "telecomando". Il produttore di Spotify, cioè la corporation svedese Spotify AB, non ha realizzato una propria app per comando da remoto, la più diffusa e (quasi) gratuita, disponibile solo per iPhone e Mac, si chiama Spot Remote della Appreviation AB e funziona abbastanza bene. E' composta da due parti, una da installare sull'iPhone (gratis) e una sul Mac (a pagamento, 0,89€). Quella su Mac deve anch'essa rimanere sempre attiva e fa da "ponte" tra i comandi provenienti dallo smartphone e il flusso musicale verso l'impianto.

L'installazione su iPad o iPhone
Dopo aver installato l'app sul Mac si passa all'app sullo smartphone e/o sul tablet. Che ovviamente deve essere collegato via wi-fi alla stessa rete dove è connesso il Mac Mini. Come prima cosa viene mostrato un tutorial in tre passi su cosa fare. Il primo pannello propone il server da collegare (avevo lasciato il nome standard) e selezionandolo, ce ne sarà ovviamente solo uno, si passa al secondo pannello nel quale dovremo inserire le nostre credenziali per il servizio Spotify. Le videate seguenti sono relative alla app per iPad.




Dopo queste operazioni iniziali Spot Remote è pronto all'uso. Il pannello di impostazioni dell'app si presenta così (ora passiamo a un iPhone, la grafica è quasi uguale) dopo l'operazione di connessione. Come si vede nella parte bassa, sono disponibili, oltre alle impostazioni, la funzione di ricerca, di esecuzione delle playlist (create con l'applicazione Spotify completa) e la "toplist" con le novità proposte dal servizio.



Vediamo subito la funzione di ricerca. Cerchiamo l'ultimo album dei Mumford & Sons, grande e inaspettato successo nel 2012 (è raro, ma a volte il talento paga).


Selezionato album e brano desiderati non resta che mandare in esecuzione quest'ultimo e dal PC via DAC il file audio arriverà all'impianto che riprodurrà (molto bene, la compressione Ogg Vorbis a 320kbps è molto efficace, almeno per questo genere musicale) quello che volevamo ascoltare.


Altro test con l'ultimo album tutto acustico, Invisible Empire, della cantautrice scozzese KT Tunstall, dobbiamo provare gli altri comandi associati alla funzione di player.



Il comando di volume e gli altri comandi non sono visibili nel pannello standard, bisogna attivarli toccando l'immagine e appaiono (a proposito: nessun problema con cover e immagini qui, a differenza che con iTunes e altri player che lavorano sulla nostra libreria, qui appaiono sempre automaticamente).


Come si vede sono disponibili le funzioni che consentono di aggiungere il brano a una nostra playlist, di inserirlo tra i preferiti, di condividere con altri l'ascolto, di avviare un ascolto passivo tipo radio partendo da questo stile di canzone, oltre alle classiche funzioni di avanti e indietro, ripetizione e shuffle (che eviterei). Più il volume.
Che però all'inizio sembrava non funzionare bene, con solo due posizioni, tutto o niente. Dopo un po' capisco il motivo, nel settaggio mostrato prima il flag "Control system volume" deve essere disattivato. Con il flag on sono abilitati i tasti di controllo volume dell'iPhone. E' appunto una scelta lasciata all'utente, non comune agli altri "telecomandi" (come Remote della Apple) che forniscono la funzione nel modo più diretto e intuitivo.
Selezionando l'opzione giusta tutto funziona correttamente e si può regolare o azzerare il volume dal terminale mobile.

L'ascolto procede piacevolmente e avendo tutta la musica del mondo a disposizione o quasi, non c'è che l'imbarazzo della scelta. Per un momento di relax in compagnia ad esempio cosa c'è di meglio dei Nouvelle Vague?


Su iPad
Sul tablet della Apple tutto funziona nello stesso modo e anche la grafica è sostanzialmente simile alla versione per iPhone, non sfrutta quindi lo schermo più grande per fornire funzionalità più estese.
Completiamo con alcune videate nel corso dell'uso su iPad. Aggiungo che le scelte musicali, incluse quelle precedenti, non sono esempi fine a sé stessi, ma altrettanti suggerimenti per percorsi musicali fuori dalle strade più conosciute.



 
 
Gli altri articoli che descrivono questa configurazione completa per la musica liquida:

Prima parte: Lo storage server e la rete
Seconda parte: Il media player
Terza parte: L'ascolto in streaming con Spotify
Quarta parte: Il player Hi-Fi Fidelia in prova
Quinta parte: L'esperienza di utilizzo in pratica