giovedì 23 maggio 2013

Un impianto per la musica liquida in pratica - Storage e rete

Abbiamo visto in post precedenti come si può comporre un impianto per la musica liquida, ora vediamo  come si può realizzarlo in pratica, partendo dalla soluzione che prevede l'utilizzo di un PC dedicato, in particolare un PC particolarmente adatto a questo scopo, un Mac Mini. Come negli altri articoli di questo tipo quello che viene descritto è un impianto reale composto e realizzato dal sottoscritto, seguendo in parte le indicazioni del noto testo specializzato To Serve & Groove di Oliver Masciarotte, che propone questa configurazione come la più efficiente per la musica liquida (si ritornerà dopo sulla motivazione di queste e delle altre scelte).

Lo schema dell'impianto
La configurazione utilizza i componenti indicati nel seguìto; utilizzando il modello la classificazione DLNA possono essere definiti:
  • Digital Media Server (DMS)
  • Digital Media Player (DMP)
  • Remote Digital Media Player


I componenti scelti e che descriverò in questo post e nei successivi come esempio pratico di un impianto completo per la musica liquida, sono:
  • DMS: Lacie Cloudbox
  • DMP: Mac Mini + DAC HRT Music Streamer II + Media player iTunes (in alternativa: Fidelia)
  • Remote DMP: iPad con app Apple Remote o Fidelia Remote (in alternativa iPhone)
  • Rete: wired (tecnologia powerline) con access point wi-fi


In questo primo articolo parliamo dei componenti di base: lo storage server e la rete locale.

La scelta dello Storage server
Lo storage server dovrà contenere tutta la musica liquida di nostra proprietà, quella precedente che abbiamo acquistato su supporto fisico digitale (CD o formati HD) e che pazientemente trasferiremo in digitale e quella già in formato digitale che abbiamo e/o che acquisteremo in seguito. La prima scelta  riguarda quindi il sistema di memorizzazione, che può essere ridondante in tecnologia NAS (con dischi duplicati, per dirla in modo semplice, la tecnologia si chiama RAID) oppure standard. Nel primo caso il costo sarà circa il doppio ma si avrà una maggiore sicurezza di non perdere i dati. Se però i file musicali sono già di per se' duplicati, provenendo da CD esistenti (che non intendiamo certo gettare via) e se anche i file musicali che compriamo da HDtracks o da Hyperion li duplichiamo su un altro disco, la esigenza di sicurezza non è così stringente.

Bisogna poi decidere se lo storage server sarà dedicato solo alla musica o se potrà essere anche un archivio multimediale utilizzabile per altri scopi, ad esempio le foto, i video e i film di tutta la famiglia. In questo caso dovrà essere conforme ad un protocollo di comunicazione che consenta di vedere i contenuti anche da altri "lettori", e questo protocollo si chiama DLNA (Airplay di Apple come dice il suo stesso nome è solo wireless e per la musica in alta definizione o anche in definizione a standard CD non è adeguato).

Da notare che il Mac Mini è un PC e può "vedere" i file musicali anche da uno storage per PC, ma se si decide di usare invece un Network Player (Marantz NA7004, Oppo BDP-95 o successivi) la conformità al protocollo DLNA è obbligatoria. Quindi questa funzionalità è necessaria anche per essere pronti a sviluppi futuri.

La scelta è caduta appunto su uno storage server DLNA per archiviare e utilizzare anche gli altri contenuti digitali della famiglia, e su uno storage server di tipo semplice, perché di tutti i contenuti in digitale avrò sempre un'altra copia. L'unica altra scelta che rimane da fare è sulla capienza e sul modello. La capienza al momento è standardizzata su 1TB (1000GB) o 2TB, con 1TB si possono archiviare 4000 album in qualità CD compressi lossless ma la versione da 2TB costa il 15-20% in più (poco meno di 200 € al momento nei vari modelli in commercio) e quindi la convenienza di avere più spazio è evidente.

I modelli integrati disponibili al momento (cambiano continuamente) con tutte queste caratteristiche distribuiti in Italia non sono moltissimi, l'alternativa era in sostanza alla data del post tra il Buffalo Linkstation e il Lacie Cloudbox, che hanno caratteristiche quasi equivalenti, e la mia scelta è caduta su quest'ultimo anche perché è stato più facile da trovare. A questo componente sono quindi dedicate le indicazioni e le prove successive.

Installazione e configurazione
Il Lacie Cloudbox si presenta molto bene, un parallelepipedo bianco, senza luci e comandi a interrompere la superficie lucida. Dichiara di essere un componente plug & play, dovrebbe essere sufficiente seguire i pochi passi indicati con chiarezza sulla confezione per avere lo storage server installato e visibile in rete. Effettivamente è così e in un tempo anche inferiore al dichiarato il nuovo componente è visibile da tutti i PC della rete, fissi o mobili che siano.
Di default viene creata una directory "Family" con tre sottodirectory "Music", "Photo" e "Video" dall'intuitivo scopo.
La directory Family è preconfigurata su protocollo DLNA e il Cloudbox si presenta quindi già alla installazione come un digital media server secondo questo protocollo, pronto quindi a "servire" altri componenti secondo la classificazione (digital media player, digital media controller, digital media renderer). Ed effettivamente il mio televisore, smart TV come lo chiamano ora (un Sony Bravia) ha visto subito e senza problemi la nuova unità. Sui formati supportati è un'altra storia ma ci tornerò in un altro post.
Non bisogna quindi fare nulla, creare altre cartelle o rinominarle. Anzi penso che sia meglio evitare qualsiasi modifica. Non resta che riempire il server con i contenuti multimediali.

Strategia di archiviazione
Lo storage server è visto da PC (Mac o Windows) come un disco e quindi le operazioni di creazione delle cartelle, spostamento dei file audio da altre unità di memoria, o trasferimento in digitale (ripping) possono essere eseguite come sul PC stesso. In particolare ho utilizzato per il ripping Foobar2000 con le modalità descritte in un post precedente dedicato a questa operazione.

Come organizzare le tre cartelle di default è una scelta che spetta a noi. E che dipende anche dall'uso condiviso che se ne potrebbe fare in famiglia. La ricerca sarà comunque possibile per cartelle e per metatag (es. artista, album, brano nel caso della musica) e quindi si tratta solo di individuare la modalità di archiviazione più comoda e naturale per noi.
Nel caso della musica la strategia di archiviazione più semplice e consigliabile è per generi, o meglio macro-generi (classica, jazz, pop-rock, italiana). La ricerca come vedremo è semplice e la decisione di inserire un artista in un sottogenere (tipo new folk o fusion) può variare nel tempo complicando le cose anziché aiutare nelle ricerche.

Trasferire la discoteca
Altra scelta riguarda cosa fare dei CD che già abbiamo. Se sono pochi conviene trasferirli tutti quanti, si avrà così un unico archivio dematerializzato con tutti i vantaggi noti. Se sono molti occorre considerare che con la modalità "accurate rip" (che è consigliabile, l'obiettivo è chiaramente di avere la massima qualità compatibilmente con i tempi necessari) occorre pianificare una media di 15' a CD. Non è necessario fare nulla durante questo tempo ma a volte può essere necessario analizzare la situazione e fare una seconda operazione se il ripping si conclude con problemi. Basta fare due conti e si vede che per una collezione media di un migliaio di CD occorrerebbero 250 ore di lavoro, quindi potrebbe servire anche un anno occupandoci di questa cosa quasi tutti i giorni.
A questo occorre poi aggiungere la ricerca delle copertine, elemento non strettamente indispensabile per l'ascolto ma al quale nessuno pare rinunciare, altra operazione che può essere notevolmente complessa. Pur essendo tecnicamente banale, se c'è in mezzo un protocollo come il DLNA le varie implicazioni non lo sono affatto e i risultati sono tutt'altro che certi e prevedibili. Ci tornerò sopra dopo.

Il direttore marketing di Audiogamma, Valletta, che ha gestito le "Lezioni d'ascolto" di cui ho parlato nei precedenti post, ci riferiva di un appassionato di musica, un notaio, che aveva incaricato una persona, pagandola, per fare questa operazione di "liquefazione" sulla sua ampia discoteca. Non tutti siamo agiati notai e temo che non sarà una soluzione applicabile per molti. Magari chi ha figli maschi molto pazienti e precisi (non io) invece del solito extra per lavare la macchina potrebbe provare a proporre questo servizio per arrotondare la paghetta.
Per tutti gli altri l'unica soluzione sarà procedere per priorità, alcuni generi o autori particolarmente e frequentemente ascoltati, oppure quando viene la voglia di ascoltare un album in particolare. Basterà pazientare 10-15', ma progressivamente si arricchirà l'archivio su file.

La scelta del formato di compressione
Avendo scelto come piattaforma un computer Mac anche la scelta del formato audio di archiviazione viene di logica conseguenza. Il formato lossless previsto da Apple e dal suo media player standard iTunes è ALAC (Apple Lossless Audio Codec) e tutto diventa più semplice adottando questo standard. Sarebbe in teoria utilizzabile il formato Flac abbandonando iTunes e ricorrendo a un media player diverso, si tratta però di prodotti a pagamento (il più quotato è Amarra, non molto economico) e vantaggi nell'uso di Flac al posto di Alac dal lato dell'ascolto non ce ne sono. Quindi la mia scelta è caduta sulla strada più comoda.
L'unica esigenza sarà la conversione di eventuali file audio che già abbiamo in Flac, ma è una operazione che richiede meno di 2' ad album con Foobar 2000, e a meno di avere già moltissimo materiale audio di questo tipo non è una penalizzazione pesante.

La scelta del materiale audio da archiviare
Altra scelta importante è quale materiale audio archiviare sullo storage server. Tutto quello che abbiamo, indipendentemente dalla sua provenienza, sembrerebbe la risposta più ovvia. Ma con l'arrivo dei servizi in streaming la scelta può essere meno ovvia. Il servizio Spotify è disponibile da tempo anche in Italia, costa molto poco in versione "premium" (9,90 al mese) ma su PC è disponibile anche gratuitamente, con solo il disturbo di un po' di pubblicità, e consente di ascoltare una parte consistente della musica mondiale (20 milioni di brani dichiarati alla data), e in buona qualità (320Kbps con formato Ogg Vorbis nella versione premium). Inoltre, non rimarrà l'unico perchè Google, che finalmente ha reso disponibile anche in Italia il servizio concorrente di iTunes Match (Google Play Music) ha già lanciato negli USA l'alternativa a Spotify (Google Play Music All Access).
Possiamo quindi evitare di perdere tempo a trasferire sullo storage server i nostri eventuali MP3 e occuparci delle non brevi attività di post-produzione (a cui sono dedicate le sezioni successive), e utilizzare semplicemente questi servizi streaming. Con un consistente risparmio di tempo che impiegheremo utilmente ad ascoltare e godere della nostra musica.
La strategia che appare a mio parere più conveniente in questa fase quindi è:
  • archiviazione sullo storage server di tutto il materiale audio in alta definizione (HD) e in qualità standard CD (o standard definition: SD);
  • archiviazione sullo storage server del materiale audio in formato compresso solo se non disponibile su Spotify (essenzialmente musica classica, folk e world pubblicato in tempi lontani o solo in alcune aree geografiche, oltre alla intera produzione dei Beatles, almeno per ora, che però si spera che abbiamo in formato non compresso);
  • utilizzo dei servizi streaming per tutto il resto.
Post-produzione: la sistemazione della libreria
Con il trasferimento o il ripping, che pure si è visto tanto breve non è, non finisce l'opera. Per avere una libreria che sia poi efficacemente utilizzabile non solo dal media player principale che abbiamo scelto, ma anche da altri dispositivi compatibili DLNA (in primo luogo iPad o iPhone o equivalenti del mondo Android) occorre controllare e spesso sistemare i metadati associati ad ogni file.
Nei file audio acquisiti in download dalla rete dovrebbero essere già presenti, in quelli ottenuti da un nostro CD dovrebbero essere ricavati prima del ripping, se usiamo Foobar2000 o lo stesso iTunes, da uno dei DB mondiali che esistono a questo scopo (freedb o gracenote sono i principali).
Ma non sempre i dati sono esatti e non sempre sono adatti allo scopo. Senza impantanarci in inutili perfezionismi consiglio di limitarsi solo a due operazioni di controllo sul nome dell'artista (artist name) e sul nome dell'album. Potrebbero essere inesatti o dettagliati eccessivamente come spesso avviene per l'artist name (nel senso che potrebbero essere indicati oltre all'artista principale anche altri performers). In questo caso risulterebbero poi poco efficaci le ricerche che vengono più naturali, quelle appunto per artista e per album.

Nella figura seguente si vede con un esempio come si può controllare velocemente e a colpo d'occhio questo aspetto usando Foobar2000. Si fa semplicemente una ricerca per artista con "album list" e si vede subito che in un album del popolare crooner canadese Michael Bublé freedb inserisce come artista anche le orchestre impegnate, in alcuni casi. Nel ricercare in seguito l'album comparirà accreditato a più artisti e sarà meno facilmente identificabile. Conviene rinunciare a questo dettaglio e modificare il valore nel campo (tasto destro > tagging > properties) impostando sempre lo stesso nome per l'artista (Michael Bublé in questo caso). Stessa cosa è consigliata per la produzione di musica classica, dove si verifica più di frequente questa situazione.


Le immagini delle copertine (cover)
Altra operazione impegnativa, lunga, e noiosa è l'aggiunta di un ulteriore metadato che freedb e simili  non trattano: l'immagine della copertina. Non è assolutamente necessaria né per l'ascolto né per la ricerca (anche se in questo caso aiuta) ma ormai dai tempi dell'iPod in qua non se ne può fare a meno. Per inciso la Apple con incomprensibile decisione ha abbandonato la visualizzazione cover flow nelle ultime versioni di iTunes. Altri punti in meno per l'azienda della mela. Speriamo non si stiano "microsoftizzando".

A parte questa osservazione critica iTunes è l'unico media player o quasi che questa funzione la fa o cerca di farla automaticamente (per ricercarli tutti in un colpo solo: menu principale > libreria > ottieni illustrazioni album). 
È un utile ausilio ma non risolutivo perché alcune copertine non riesce a trovarle, soprattutto se di classica. In questo caso dobbiamo cercarle noi su Internet con "ricerca immagini" di Google e inserirle a mano. La ricerca richiede pochi secondi nel 99,9%  dei casi (in Internet ormai si trova tutto) e l'inserimento è molto semplice e intuitivo: tasto destro > informazioni > trascinamento dell'immagine sul campo "illustrazione" previsto per la cover.


Il tempo che occorre per queste operazioni, pur automatiche o semplificate, non è affatto breve. iTunes associa la stessa immagine della cover a tutte le canzoni dell'album e questa operazione di aggiornamento negli indici nel DB di iTunes non so come sia realizzata, ma di certo non è ottimizzata, e richiede più di un minuto per album (anche 2-3) pur su un PC superpotente, e quindi anche più di dieci minuti per l'operazione automatica, se riguarda 100-200 album. Inoltre, non è interrompibile. L'aggiornamento e quindi l'aggiunta delle cover si vedono solo quando ha elaborato con successo l'ultimo album. Armarsi di pazienza è necessario.

Dopo parecchio lavoro la libreria musicale dalla app Remote
su iPad si presenta finalmente così
Non finisce neanche qui, perché se vogliamo usare un media player diverso da iTunes, per accedere direttamente allo storage server ad esempio da un altro lettore (come uno smartphone o un tablet con cui ascoltare direttamente la musica) le immagini nella libreria di iTunes non si vedono e bisogna  aggiungerle una per una nella stessa directory che contiene i brani. Modificando anche il nome perché il sistema veramente basic, che è usato dalla maggior parte dei media player (come Foobar2000 o media:connect). si basa appunto sulla individuazione di un file con estensione JPG (non JPEG, non PNG) con un nome predefinito, come "folder" o "cover". E neanche li riconosce sempre, per motivi misteriosi e non documentati, soprattutto media:connect è molto schizzinoso. Su questa operazione sarà utile forse ritornare dopo ulteriori ricerche. Occorre armarsi di pazienza doppia.

La rete
Ho lasciato per ultima la scelta della rete per non deviare l'attenzione nella parte iniziale del post dal componente di archiviazione. Anche per la rete esistono però precisi vincoli. Il primo e principale è che la connessione non può essere di tipo wi-fi, la più diffusa, se si vuole utilizzare anche materiale in alta definizione. La necessità di sincronizzazione con i volumi di file richiesti in questo caso richiede una connessione senza potenziali interruzioni e quindi su cavo. Anche per materiale audio a standard CD è comunque preferibile.
In una abitazione non c'è tipicamente una cablatura di rete locale Ethernet come negli uffici e l'unica soluzione tecnologica disponibile è rappresentata dalla tecnologia powerline, che utilizza la rete elettrica di casa per trasmettere anche i dati. Disponibile da anni ed ormai molto affidabile, consente anche trasmissione ad alta velocità, fino a 300Mb o 500Mb, come le reti locali "da ufficio". Diversi fornitori offrono questi prodotti, che non sono altro che adattatori che si inseriscono nelle prese a muro e consentono la connessione di PC, router o altri componenti di rete con il cavo standard Ethernet. I produttori principali e più facilmente reperibili al momento sono Atlantis Land (che consiglio), TP-Link, DLink. È più facile descrivere la configurazione di rete tipica con uno schema che continuare con una descrizione a parole.


Lo storage server deve movimentare grandi quantità di dati e per questo motivo è preferibile che sia connesso direttamente al router. Se il PC non è nella stessa stanza, come potrebbe avvenire di frequente, si utilizzerà una connessione powerline come in figura. Un hotspot wi-fi, sempre connesso alla rete powerline, consentirà anche l'interazione con smartphone o tablet usati come telecomando remoto del media player o come cuffia (o speaker) senza fili connessi alla libreria musicale sullo storage server.

In sintesi
Scegliere, acquistare e riempire di musica lo storage sterver che conterrà progressivamente tutta la musica di nostra proprietà è un processo piuttosto semplice per chiunque abbia un minimo di dimestichezza con il mondo dei PC e l'archiviazione dei file. Ottenere come risultato una libreria anche ben organizzata e pronta per sopportare gli sviluppi futuri richiede qualche attenzione in più, e nel post sono forniti alcuni suggerimenti in questo senso, e soprattutto richiede l'investimento di una quota non trascurabile del nostro tempo prezioso. Non è però un requisito indispensabile per iniziare ad ascoltare la musica, e la strategia migliore consiste probabilmente nel procedere per gradi e in parallelo.

(Nota: La configurazione adottata, utilizzando alcuni componenti Apple, non è completamente conforme al protocollo DLNA, in particolare non sono DLNA la connessione tra Remote DMP e DMP e tra DMP e DNS; faccio riferimento al modello soltanto per semplicità di esposizione e perché il componente di base, lo storage server, li supporta e potrebbe quindi essere inserito in configurazioni alternative solo DLNA, realizzate ad esempio con Foobar2000 e con un PC Windows o con un network audio player Marantz, Denon o altri)

Gli altri articoli che descrivono questa configurazione completa per la musica liquida:

Seconda parte: Il media player
Terza parte: L'ascolto in streaming con Spotify
Quarta parte: Il player Hi-Fi Fidelia in prova
Quinta parte: L'esperienza di utilizzo in pratica

lunedì 29 aprile 2013

Lezioni d'ascolto n.2

La seconda lezione d'ascolto condotta con il supporto dell'impianto top B&W + Classe' Audio installato nello Studio 3 dell'Auditorium di Roma era dedicato ad un confronto di grande attualità tra gli audiofili in questi ultimi anni, vinile contro digitale. All'inizio doveva essere tra incisioni in vinile e su CD tratte dallo stesso master analogico e digitale, usando un lettore CD di fascia altissima della Esoter, ma nell'incontro precedente avevo proposto al competente e simpatico Giancarlo Valletta, direttore marketing di Audiogamma e conduttore della serata, di incentrare invece il confronto sul digitale in alta definizione, per renderlo più equo. E l'invito era stato accolto, potendo ascoltare così a confronto proprio il master a 24/96 sia derivante da un trasferimento ed editing dell'originale analogico, sia nativo in digitale.


Il materiale musicale utilizzato era in buona parte lo stesso del precedente incontro, proveniente da master realizzati da Peter Gabriel, che collabora come noto con la B&W da diversi anni, e un altro realizzato proprio all'Auditorium utilizzando l'impianto da studio che stavamo ascoltando per mettere a punto la resa sonora, e dedicato a performance recenti di Gino Paoli accompagnato dal pianista jazz Danilo Rea e dalla sua sezione ritmica, un set rigorosamente acustico.

Protagonista della serata era anche il giradischi. Un nome che va un po' stretto ad una macchina da musica costruita con le tolleranze di un componente di una navetta spaziale (e costo proporzionale), prodotta da una società inglese specializzata in meccanica di precisione per il settore automotive (tra i clienti principali e' citata l'Aston Martin) ma il cui proprietario e' anche appassionato di musica e di analogico. La marca e' la ben nota Avid e il modello Acutus, il monumento al disco nero in vinile nella foto qui sopra, che non è neanche il top della gamma, ma è decisamente lontano dal concetto di entry level. Testina a bobina mobile Ortofon e pre phono sempre Classe Audio, se ricordo bene.

Di classe decisamente diversa il set digitale. Un convertitore della HRT, il modello Music Streamer HD con uscite bilanciate (ca. 500 €), buon componente ma certo non al top tra i DAC, e un MacBook Air con VLC come player. Meglio così, se si voleva verificare la potenzialità dell'alta definizione in quanto tale.

Il materiale musicale era ancora una volta proveniente dai master analogici e digitali di Peter Gabriel, che collabora da anni con la B&W, e da recenti registrazioni di Gino Paoli accompagnato dal pianista jazz Danilo Rea con la sua sezione ritmica, tutto rigorosamente acustico, messe a punto utilizzando proprio il notevole impianto dello Studio 3 che stavamo ascoltando. Anche questa volta ero con mio fratello, ascoltatore esperto che predilige musica operistica barocca, ma che non rifugge dal pop e dal rock. E con altri 50 appassionati, tra cui questa volta anche una discreta presenza femminile. La sala era del tutto piena. Potenza evocativa e presente del vinile.

Gli ascolti come la volta precedente erano in sequenza e dichiarati, quindi niente blind test e niente confronti immediati, difficili da organizzare con così tante persone e avendo poco tempo a disposizione per le sessioni di ascolto, più difficile sfuggire alla forza della suggestione, era necessaria grande concentrazione e astrazione.


Il primo ascolto era dedicato a Don't Give Up, il duetto di Gabriel con Kate Bush, master digitale da cui è stato tratto anche un vinile (da 180 grammi, prima qualità) ascolto prima del vinile e poi del master in HD. Diversi dei presenti hanno dichiarato di preferire il vinile. Ma si trattava a mio parere di una suggestione. Più lineare, musicale ed equilibrata la riproduzione in HD, si percepiva un alone di eco sulla voce di Kate Bush che prima non c'era, il basso era più netto e preciso. Anche se qualcuno aveva giudicato più naturale quello meno netto e lievemente gonfio del vinile. Sfumature ovviamente, ma la differenza a un orecchio appena attento non sfuggiva.

Il secondo ascolto a confronto partiva invece da un master analogico di parecchi anni prima, Shock The Monkeys, questa volta rimasterizzato in digitale. Qui era il vinile ad uscire meglio, più equilibrato, in linea con quello che ci si aspetta da un brano di forte impatto. Qualche asprezza e qualche forzatura avvertibile nel digitale, sempre a mio parere (ma condiviso) pur nei limiti di un brano pieno di suoni sintetici.

Conclusione: può essere che l'editing sia una operazione rischiosa e che sia meglio scegliere la tecnologia master originale? Mi guardo bene dal tirare questo tipo di conclusione con soli due ascolti.

Altri ascolti da un vinile di The Wall dei Pink Floyd da cui abbiamo ricavato che è una favoletta la storia delle B&W non adatte al rock (impressionante l'impatto nella grande sala, certo, avevano a disposizione 600W in multiamplificazione) e Gino Paoli a volume un po' troppo elevato per poter dare un giudizio sul realismo della riproduzione.

Quindi viva il vinile per chi ha tempo e risorse per dedicarsi a questa affascinante tecnologia vintage, ma avanti col digitale in alta definizione per chi mette al primo posto la conoscenza e l'ascolto della musica e un passo più indietro la scelta e la cura dell'impianto.

 

giovedì 11 aprile 2013

Ascolti a confronto all'Auditorium

I negozi di alta fedeltà si riducono di numero o si dedicano a mercati paralleli come l'Home Theater o gli strumenti musicali, ma i distributori, in partnership con gli stessi negozi  o con strutture pubbliche benemerite dedicate alla musica a 360° come l'Auditorium di Roma (in Italia ogni tanto si realizza anche qualcosa di nuovo che è anche destinato a durare) intervengono a coprire in qualche modo lo spazio rimasto scoperto, per fornire risposte e stimoli agli appassionati dei buoni ascolti.

All'Auditorium sono riprese anche quest'anno le "Lezioni d'ascolto" curate (almeno le ultime due) dall'importatore del più importante marchio hi-fi per i diffusori (e uno dei più importanti in assoluto), mi riferisco ovviamente alla Bowers & Wilkins. Che è anche partner dell'Auditorium perché ha fornito la sonorizzazione di alcune sale studio. Tra cui quella dello Studio 3 dove sono organizzate per l'appunto queste serate, di cui riferisco alcuni risultati che ritengo interessanti, perché non capita di frequente l'opportunità di ascoltare un impianto di sonorizzazione al massimo livello, che difficilmente potremo avere nella nostra abitazione, ma di impostazione analoga a quello di un impianto casalingo.

Peter Gabriel mostra il suo studio compatto The Shed
al congresso della Audio Engineering Association (2007, da Wired)
Il primo incontro era dedicato al confronto tra vari formati di audio digitale in versione "musica liquida", compressi e non. Precisamente in formato compresso AAC 256K e Ogg Vorbis 320K(quello di Spotify, anche perchè proprio Spotify era la sorgente) e non compresso FLAC, in definizione standard e HD. Quest'ultima proveniente peraltro dai master, grazie al fatto che la B&W ha da anni in corso una collaborazione con Peter Gabriel, e proprio del musicista inglese, notoriamente da sempre interessato alla qualità delle registrazioni e alle tecnologie per raggiungerla al meglio, erano i brani di prova (Don't Give Up, il brano di So interpretato assieme a Kate Bush).

Il tutto veniva suonato, nella grande sala perfettamente insonorizzata con pannelli curvi in legno del Trentino, su un impianto con diffusori B&W 800 (il top della casa inglese) tri-amplificati con tre ampli professionali da 600 W e guidati da un pre a due telai della Classé Audio (la casa canadese entrata da qualche anno sotto il controllo della B&W). E cavi top, ovviamente. La sorgente era molto semplice a confronto: un MacBook Air collegato a un DAC USB della HRT (il modello con uscite bilanciate). Un impianto ovviamente molto costoso (molto, nell'ordine dei 100 mila €), analogo a quello usato negli studios Abbey Road di Londra, ma non incompatibile con un ambiente casalingo.

Gli ascolti erano in sequenza e mettevano anche a confronto tre diversi media player, iTunes "nativo", Amarra, il noto media player di fascia alta per Mac, e il gratuito VLC (o VideoLan). Gli ascolti hanno mostrato in modo abbastanza chiaro il miglioramento ottenibile con Amarra anche su file compressi  e la validità di un prodotto free come VLC. Foobar2000 era fuori gioco perché l'ambiente informatico era su Mac, altrimenti sarebbe stato un altro ascolto interessante. Da aggiungere che il curatore degli incontri, il simpatico e competente Giancarlo Valletta, responsabile marketing di Audiogamma, ha anche introdotto ogni ascolto con una spiegazione teorica, rapida ma esauriente, sui fondamenti della musica digitale.

Da precisare che gli ascolti non erano in blind test e neanche a commutazione istantanea e quindi fatalmente l'effetto suggestione poteva esserci, ma sarebbe stato probabilmente troppo complesso e dispendioso in termini di tempo un approccio diverso. D'altra parte lo scopo non era scegliere l'impianto, ma avere la possibilità di verificare realmente le sensazioni che può dare un impianto di alta fedeltà stereo perfettamente assemblato e a punto e di avere un aggiornamento sullo stato della musica liquida.

Visto che gli ascolti erano in gran parte di musica rock abbiamo anche potuto sfatare il pregiudizio che le B&W siano casse troppo neutre e asciutte per questo genere. Se opportunamente amplificate riempivano di musica ad altissimo volume, e con bassa distorsione, la grande sala con 50 persone sedute.

Una curiosità l'ascolto a confronto di un cavo di segnale buono e di uno top e costosissimo (oltre 1000 € al metro se ben ricordo), nonostante lo scetticismo generale l'uditorio (anche io e mio fratello, lo ammetto) una differenza l'ha percepita, essenzialmente, per quanto mi riguarda, costituita da un dettaglio superiore. Sfumature, ovviamente, che non saprei se giustificano la spesa e soprattutto se si ripetono in tutte le situazioni.


Lo studio anni '70 di Peter Gabriel
Come suonava in definitiva questo impianto stellare? Gli ulteriori ascolti utilizzavano come sorgenti file audio sempre provenienti dai master, registrati nello stesso auditorium in occasione della performance di Gino Paoli accompagnato dal pianista Danilo Rea, con scelte mirate su classici dei cantautori italiani (incluso Paoli stesso ovviamente), che hanno consentito di mettere alla prova l'impianto anche con musica suonata con strumenti acustici, più adatta, secondo me, a evidenziare le capacità di riproduzione fedele dei componenti audio. Il pianoforte in particolare veniva fuori con grande realismo. L'ascolto comunque, come sempre in questi eventi, era una specie di assaggio delle potenzialità, perché è difficile sistemarsi nella posizione ideale, c'è il "muro" delle persone davanti e il volume è sempre fatalmente troppo alto e non realistico (Paoli neanche a 20 anni avrebbe cantato così forte). Sempre interessante comunque.

Il secondo incontro era dedicato al confronto tra vinile e alta definizione, e ne parlerò nel prossimo post.

lunedì 18 marzo 2013

Spotify II parte

Qualche dato in più su Spotify ripreso dal numero in edicola di Wired, che presenta il servizio musicale  come il prossimo winner nel settore.
Intanto chi c'è dietro al successo, non soltanto il gruppo di sviluppatori svedese guidato da Daniel Ek ma anche Sean Parker, già alla guida di Napster 2.0 (un servizio ad abbonamento che esiste da molti anni, disponibile solo in USA). Con il suo contributo sono arrivati gli accordi con le case discografiche e con Facebook. I primi hanno consentito a Spotify di mettere a disposizione una libreria con 20 milioni di titoli con un ritmo di aggiornamento di 100-200 mila brani al giorno (per questo si trova quasi tutto) e in seguito l'estensione ad altri paesi europei incluso il nostro ( assieme a Polonia e Portogallo, evidentemente godono della stessa reputazione).
L'accordo con FB ha consentito di dotare il sistema delle versatili funzioni di socializzazione che sono state all'origine della rapida affermazione di Spotify, piuttosto che l'ampiezza del catalogo, secondo l'opinione di Wired, che quindi differisce dalla mia (ma forse hanno ragione loro, dal punto di vista del consumatore medio di musica).

L'annuncio per lo sbarco in Italia

Social Spotify
In effetti realizzare e condividere playlist con amici vecchi e nuovi che hanno gusti musicali simili o anche diversi e' divertente e stimolante. FB e' il media che trasmette il link alla playlist e tutto ciò che resta da fare e' mettersi in ascolto, saltando magari le selezioni che ci piacciono meno, oppure fare modifiche o integrazioni alla playlist proposta, della quale manteniamo l'idea il filo conduttore.
L'altra funzione principale, quella di accedere alle moltissime stazioni radio, flussi continui di musica create da appassionati o da software che analizzano i nostri gusti musicali, può anch'essa essere desiderabile per molti, penso ad esempio all'accompagnamento di sottofondo (brutta abitudine, se è intesa per sonorizzare un ristorante o altri luoghi dove un po' di silenzio piuttosto che musica imposta sarebbe preferibile, ma questa e' un'altra storia). Si avrà a disposizione un gran numero di stazioni a tema, senza interruzioni pubblicitarie, con qualità audio in genere superiore a quella delle web radio, raggruppate tra loro e facilmente cercabili.

I fondatori di Spotify Martin Lorentzon e Daniel Ek

Un vero premium
Il succo però è che su Spotify i servizi disponibili con l'opzione premium, a differenza di molti altri ambienti dove è presente anche un'opzione gratuita, sono effettivamente percepiti come un valore in più e, considerando il costo non eccessivo (anche solo 4,99 € al mese per chi usa solo PC e Notebook, ma è difficile rinunciare ai plus di uno smartphone o di un tablet, e qui si arriva ad un ancora ragionevole 9,99, peraltro interrompibile a piacere). E questo spiega il successo mondiale di Spotify nel mercato della musica digitale, dove si avvia ad essere un player competitivo con l'"incumbent" iTunes; un successo che ha consentito in poco tempo di aprire sedi in 20 paesi al mondo con 700 dipendenti (di cui ora qualcuno anche italiano). Con un contributo all'industria della musica non marginale, si parla di 500 milioni di dollari di diritti d'autore sinora versati alle case discografiche, a cui finiscono, secondo Spotify, il 70% dei ricavi del servizio.
Gli abbonati al servizio a pagamento al 31 dicembre 2012 erano (fonte Spotify) 5 milioni di cui 1 milione negli USA, quindi si può avere una idea del fatturato, tra i 30 e i 40 milioni di Euro solo per gli abbonamenti, a cui si aggiunge la raccolta pubblicitaria. Che e' diretta agli altri 15 milioni di utenti che utilizzano il servizio free. Non si sa quanti siano attivi, ma sono un bel numero e dovrebbero garantire tariffe per le inserzioni piuttosto consistenti.

Numeri elevati ma che, considerando l'ampiezza della rete e il vento in poppa per questo nuovo servizio (nuovo da noi, ma anche in assoluto, e' al quarto anno di attività) garantiscono un notevole potenziale. Vedremo.



E iTunes ?
In realtà queste funzioni di condivisione, pubblicazioni di playlist e simili ci sono anche sul portale di Apple, sia con la funzione Genius, per la generazione automatica di playlist (che funziona bene) sia con la possibilità di condividere (pubblicare) le playlist. Con una fondamentale limitazione però, che lavora solo sulla musica che si trova nella nostra libreria, non nella libreria universale. Oltre a non essere così integrata con Facebook e neanche con i dispositivi mobili.
Non c'è partita quindi, e secondo molti commentatori il futuro della musica liquida, anzi il sistema che renderà veramente liquida e de materializzata la musica sarà proprio Spotify o suoi eventuali epigoni. L'obiettivo di Spotify e' in effetti superare iTunes in un paio di anni e già ora secondo alcuni analisti ha superato tutti gli altri competitori del portale e sono il contributore esterno numero due dell'industria discografica, anche se a notevole distanza (il fatturato della sola parte musicale di iTunes per il 2012 non è facile da trovare, ma era 6,2 miliardi di $ nel 2011 e la parte musicale e' rimasta prevalente anche nel 2012, dovrebbe essere dell'ordine di grandezza di 5 miliardi, quindi 10 volte considerando anche che il contributo all'industria della musica del portale Apple e' stato di 3,2 miliardi).

Un dubbio
Ma tutto ciò avverrà subito o quando? Un plus per iTunes rimane, e' ampiamente in attivo e genera profitti per la Apple, anche solo come portale di e-commerce musicale. Marginali per il gigante Apple (sotto al 10%) ma consistenti in assoluto. Non così Spotify, almeno per l'ultimo anno, in base ai dati in parte resi noti o ricavabili da Internet (TechCrunch in particolare). Il fatturato e' stato consistente nel 2012, primo anno di quasi attivo, ma detraendo i diritti da passare a editori e case discografiche, il 70% di cui si parlava prima, e i costi di struttura il margine lordo era di 40 milioni di $. Con gli investimenti per la espansione l'anno si è chiuso, secondo queste fonti, ancora in rosso per 60 M$. Non è una novità per le start-up su Internet, un certo periodo di tempo a carico dei venture capitalists. Ma, ancora una volta, sorge la riflessione sulla miopia delle case discografiche che devono solo sperare che questa nuova scialuppa di salvataggio (per loro) resista abbastanza a lungo alle loro pretese, evidentemente fuori mercato.

Negli uffici della Spotify

Prova pratica in mobilità
Tornando alle funzionalità rimaneva da provare l'uso con uno smartphone e in mobilità. Poco da dire, l'interfaccia è ben fatta e si usa con buona facilità anche sullo schermo da 4 pollici di un iPhone. Ho testato l'uso più interessante che può fare, come sorgente inesauribile di musica, da ascoltare in cuffia in viaggio o in momenti di relax, oppure collegata all'impianto dell'auto, anche con un semplice cavo stereo mini-jack sull'ingresso aux se l'impianto non è uno di quelli ultimi e raffinati con la connessione per iPhone (che peraltro ha assurdamente cambiato standard). Un uso analogo a quello possibile con iTunes Match e che avevo provato a suo tempo. Solo che qui la libreria a cui attingere non è quella nostra personale, ma quella di Spotify con i 20 milioni di brani di cui dicevo prima, magari già esplorata e trasformata in accattivanti playlist da amici o parenti (mio fratello inesauribile produttore, nel mio caso). Le prestazioni in numerosi trasferimenti nella città di Roma, anche in qualità massima e a velocità sostenuta sono del tutto soddisfacenti, l'ascolto procede senza intoppi come per iTunes Match con solo occasionali interruzioni del flusso audio, dovute con ogni probabilità alla rete 3G (operatore Tim nel mio caso) leggermente più frequenti che con iTunes Match, ma è probabile che si tratti di una casualità e non delle prestazioni dei server.

Il download
Per ovviare a questo problema potenziale (soprattutto in aree congestionate o poco coperte) anche Spotify permette un download in locale e l'ascolto offline. Il fatto è che su iTunes Match quello che scarichiamo è già nostro (o così si spera) mentre per Spotify si tratta di una forma particolare di noleggio, e in ogni caso i contenuti musicali dovrebbero rimanere a nostra disposizione solo fino a che è attivo l'abbonamento. Il sistema ideato è la memorizzazione in una struttura di cartelle complessa e nascosta e con formati probabilmente crittografati. Inutile dire che volonterosi programmatori si sono già ingegnati con alterne fortune ad aprire la "scatola" entro la quale Spotify archivia provvisoriamente i materiali audio per l'ascolto offline. Non hanno capito che stiamo entrando nella nuova era della musica quando serve, ma molto oltre i confini del vecchio juke-box, e della liberazione dalle librerie musicali personali, da accumulare (oltre le capacità fisiche di ascolto) e da incrementare  per il puro ed effimero piacere del possesso.



mercoledì 13 marzo 2013

La ricostruzione spaziale - II Parte

Per chi ha effettuato i test proposti nel precedente articolo e ha percepito in modo più o meno conforme alle premesse gli effetti dichiarati, magari chiedendo conferma a famigliari e amici con la tecnica del blind test, in questo post è proposto un tentativo di analisi sulle premesse e possibilità della ricostruzione spaziale nell'audio.

Ingannare l'orecchio
Come è possibile ottenere da due semplici diffusori le riproduzioni apparentemente a 3D provate nel post precedente? In tutti i casi è stato, ovviamente, ingannato il nostro sistema uditivo. Così come una serie di fotografie in sequenza rapida da' l'impressione del movimento, o una serie di riflessioni delle onde sonore da' l'impressione che il suono provenga da una direzione diversa (l'eco), anche in questi casi si sono utilizzate tecniche mirate, come la somma di segnali sonori, l'abbassamento progressivo del volume o altri artifici legati alle riflessioni in ambiente o alle somma di suoni in contro fase, che vanno sotto il nome di "3D audio effects" o "3D sound synthesis". Il più semplice e ovvio dei quali è inviare lo stesso segnale a tutti e due i diffusori, ottenendo come risultato una sorgente sonora, tipicamente il cantante o la cantante, apparentemente in mezzo alla stanza e davanti a noi, dove non c'è nessun diffusore.

Un compendio efficace di cosa si è realizzato in questo campo si può leggere in questo articolo pubblicato sul sito di una università americana (di Washington D.C.). Se il link fosse modificato nel frattempo e' possibile anche leggerlo qui. Ben fatta, pur se molto sintetica, anche la voce di Wikipedia versione inglese sui "3D audio effect".
Sono sviluppi in parte sperimentali, che hanno però in massima parte scopi diversi dalla riproduzione di musica. In particolare, riuscire a posizionare i suoni nello spazio in modo efficace può servire per creare interfacce computer e sistemi di comando e controllo per ipovedenti e non vedenti. O anche ludici, per essere inseriti in videogiochi.

Il test LEDR Lateral sulla scala temporale
Lo spettrogramma del test LEDR Lateral - Prevalenza di frequenze alte
Sistemi audio 3D in campo aperto
Con questi sistemi e con soli due diffusori si può arrivare però solo fino ad un certo livello di simulazione di suoni "tridimensionali". Per andare oltre è necessario uno spiegamento di forze superiore, ed in particolare l'utilizzo di più diffusori. Come nell'audio multicanale, che l'industria del settore propone almeno dagli anni '70 (quando si chiamava quadrifonia) con alterne fortune. Con 4 o 5 diffusori nella stanza si possono registrare e riprodurre anche le riflessioni delle onde sonore ottenendo un effetto di suono avvolgente. Con impianti 7+1 e una disposizione dei diffusori a diverse altezze si possono riprodurre con una certa efficacia gli effetti di suono tridimensionale usati spesso nel cinema (si pensi alla sequenza della battaglia nella foresta nel terzo episodio del primo ciclo di Guerre stellari).

Chi si occupa professionalmente di riproduzione audio in 3D non considera però sufficiente questa tecnologia. I diffusori, per poter riprodurre quelle composizioni di onde sonore che il nostro sistema uditivo utilizza per individuare la provenienza dei suoni (vedere l'elenco nell'articolo citato prima) secondo la maggior parte degli studi del settore devono essere posizionati in una specie di cubo sonoro ("Audio Image Sound Cube") e le registrazioni devono seguire specifici criteri. Una serie di articoli esaurienti su queste tecniche e ricerche si possono leggere sul sito di Audio Central Magazine, dedicato soprattutto alla musica elettronica, segnalato a suo tempo anche da un visitatore del blog, dove si può apprendere anche che la tecnica del cubo sonoro è stata messa a punto dallo studioso britannico Michael Gerzon, con il sistema di registrazione e riproduzione Ambisonics (parecchia documentazione in rete per chi voglia approfondire).

Il test LEDR più discusso, UpR. Come si vede i suoni non sono
emessi solo sul canale destro
Sistemi audio 3D in cuffia
Di questa alternativa ho già scritto in un precedente post dedicato all'ascolto binaurale. Utilizzando una testa artificiale (dummy head) si può catturare la maggior parte delle informazioni che il nostro sistema uditivo utilizza per individuare la provenienza dei suoni e per mezzo di un sistema di riproduzione strettamente controllato, senza riflessioni in campo aperto o regole di posizionamento particolari per i diffusori, si possono poi riprodurre per un ascoltatore. Ottenendo un risultato molto realistico, come può verificare chiunque sperimenti i molti esempi di uso di questa tecnica presenti in YouTube e in Internet.

Audio binaurale in campo aperto
Usando due diffusori invece della cuffia non si riesce a ricreare del tutto lo stesso insieme di suoni dell'evento originale a causa del "crosstalk": l'ascolto con l'orecchio destro dei suoni che erano stati registrati con il microfono sinistro, e viceversa, a causa delle riflessioni nell'ambiente d'ascolto. Questo degrado di efficacia si può diminuire modificando la disposizione dei diffusori. Avvicinando la posizione di ascolto ai diffusori e avvicinandoli tra loro, allontanandoli contemporaneamente dalle pareti, si dovrebbe, secondo alcuni articoli in rete di esperti, diminuire il crosstalk e ricreare in parte la condizione di un ascolto in cuffia. Più interessanti per un uso pratico, e studiate e proposte da anni, sono le tecniche di post-processing per ridurre o eliminare il cross-talk, il più noto sistema si chiama Ambiophonics e vi ho accennato nel post dedicato all'ascolto binaurale. E' stato implementato recentemente come DSP (Digital Signal Processor) ed è disponibile ora anche come app per iPad, consentendo quindi una sperimentazione accessibile che mi riprometto di fare prima o poi. Aggiungo solo che i primi test hanno evidenziato una notevole complessità di messa a punto.

Che utilità hanno tutte queste tecniche per l'ascolto della musica?
Nessuna. Per i sistemi più efficaci non sono stati mai proposti commercialmente sistemi di riproduzione casalinga né materiale audio per alimentarli. Per impianti multicanale 7+1 il software disponibile è rappresentato quasi soltanto da film per grande schermo. Anche l'audio binaurale è una rarità, se si parla di musica. Pochissimi titoli anche nei cataloghi delle etichette audiophile come Chesky Records e, a quanto sembra, nessun interesse neanche nel settore della musica classica.
Non mi risultano neanche esperimenti "fai da te" (che sarebbero probabilmente realizzabili) da parte di autocostruttori (magari qualcuno che capita su questa pagina mi smentirà).
Quindi l'interesse per queste tecniche è al momento puramente teorico e di sperimentazione.
Anni luce di distanza dal mondo del video e del cinema dove il 3D è stato ed è un controverso punto di forza della tecnologia attuale. Peccato perché l'audio 3D è forse anche più spettacolare, come sa chi ha assistito anche ad una demo in multicanale, solo in parte 3D.

Accontentiamoci del nostro stereo
Che non potrà offrire una riproduzione pienamente 3D (gli addetti ai lavori sono precisissimi su questo) ma utilizza raffinati tweeter con dispersione quasi a 180°, progetti che tengono conto delle riflessioni della stanza e in definitiva hanno la possibilità di restituire buona parte del contenuto informativo dell'evento musicale originario, consentendo nei casi migliori di "suggerire" in modo efficace la disposizione dei musicisti (soprattutto per chi la conosce frequentando anche concerti dal vivo e non solo a casa propria), la cosiddetta "immagine spaziale", con risultati già soddisfacenti e che non richiedono eccessive complicazioni ulteriori, come sostiene da anni la nota rivista online TNT-Audio con la campagna "real stereo" che ha ottenuto nel corso degli anni un gran numero di adesioni.

Dalla teoria alla pratica
Personalmente non sono così negativo sulle possibilità del multicanale, come ho scritto su questo blog a suo tempo. Ma la cruda realtà è in effetti dalla parte di Lucio Cadeddu e di TNT-Audio. Perché per ascoltare un suono stereo con un impianto stereo è necessario che le case discografiche producano materiale stereo, e questo negli anni '60 e '70 l'hanno fatto, abbandonando presto il mono. Ma anche per ascoltare in multicanale o con una registrazione che preservi l'ambienza dell'evento originale è necessario che avvenga la stessa cosa. Ma, con l'eccezione della solita musica classica e in minima parte del jazz, non è affatto così.

Come si registra (in stereo)
La ripresa dell'immagine spaziale non pare essere un obiettivo primario, a giudicare dal fatto che non viene mai o quasi mai dichiarata e commentata la tecnica di registrazione ed eventualmente evidenziato come un plus una ripresa fedele all'evento originale (sempre al di fuori della classica). Vediamo una sintesi delle tecniche di registrazione in uso (l'opinabile raggruppamento adottato, in un tentativo di sintesi, è mio):
  1. multitraccia studio: strumenti e voci sono registrati singolarmente, con microfoni (o con connessione diretta, se strumenti elettronici), e poi oggetto di operazioni di editing e di missaggio; le registrazioni possono essere anche effettuate in tempi diversi;
  2. multitraccia live: come sopra ma con registrazione, ovviamente in contemporanea, di tutto l'ensemble strumentale o vocale; può anche essere registrata e mixata in modo opportuno l"ambienza" per consentire di ricreare l'impressione dell'ascolto dal vivo;
  3. due tracce acustica live/studio: utilizzo di due microfoni disposti in "Blumlein pair" (o ad Y) sistemati nella posizione d'ascolto ottimale; l'obiettivo è registrare l'evento sonoro nel modo in cui l'ascolterebbe un umano nella stessa posizione, suoni diretti e riflessi assieme; 
  4. sostituendo alla coppia di microfoni una "dummy head" si può realizzare una registrazione binaurale.
La maggior parte del software musicale è registrato con le tecniche (1), inclusa parte della musica classica e jazz. La modalità (2) è usata soprattutto per la classica e il jazz, la (3) sempre per classica, jazz e acustica in genere soprattutto in produzioni "audiophile", la (4) solo per pochissime produzioni di musica vera e propria. Salvo che in pochissimi casi, confinati alla classica e alle produzioni audiophile, non vengono fornite informazioni né sulla tecnica di registrazione adottata né sulla collocazione spaziale dei musicisti nella esecuzione o nell'evento originale.
L'immagine spaziale nelle registrazioni della musica pop
Nel processo di editing, di progettazione del risultato sonoro a cui si vuole arrivare, è inserita anche la ricostruzione spaziale? Una ricostruzione che sarà evidentemente "inventata" nel primo caso e "rimessa assieme" nel secondo. L'impressione, non solo per le note polemiche sulla loudness war, è che non sia certo questo l'obiettivo durante la produzione di un album di musica pop.
Ma quello che conta è cosa viene venduto. Nel cinema il 3D, che sia poi efficace o meno, nativo o ricostruito, viene dichiarato e fatto anche pagare di più. Nella musica, come accennato prima, la ricostruzione spaziale viene dichiarata come obiettivo solo per la produzione multi canale e in genere per la produzione cosiddetta "audiophile" mentre è del tutto ignorata, e quindi priva di valore percepito, per tutta la produzione restante, quella di più ampia diffusione (ma non necessariamente di minore qualità, non faccio certo una distinzione di valore in base alla tecnica di registrazione): la musica moderna, suonata quasi sempre con un mix di strumenti acustici ed elettronici, registrata in studio e non dal vivo.

Il concerto live nella musica pop
Sembra che oltre a non essere venduto dalle case discografiche come un plus, non sia neanche cercato dagli ascoltatori / consumatori. In effetti, nella quasi totalità dei casi non esiste un riferimento per la ricostruzione d'immagine. In un concerto di musica moderna tutti gli strumenti, anche quelli acustici, sono amplificati: il suono proviene dagli altoparlanti. Che sono disposti di solito su un piano orizzontale, coerentemente con la posizione degli esecutori sul palco, che è anch'essa orizzontale con la sola eccezione, a volte, di una pedana per il batterista (che altrimenti non vedrebbe nessuno). In più gli altoparlanti sono anche disposti spesso in altezza, per raggiungere gli spettatori più lontani. In questo modo può capitare, stando tra le prime file, di ascoltare la voce del cantante, che sarebbe davanti a noi, provenire dai potenti altoparlanti in alto.
Non c'è quindi nessun riferimento reale che ponga il problema della ricostruzione spaziale all'ingegnere del suono.
L'ascoltatore di musica moderna non si aspetta niente sotto questo aspetto, a parte la collocazione sul piano orizzontale, in "stereo", e questo è un bene per l'industria discografica perché per vendere il suo prodotto non richiede al suo cliente altro che cuffie e impianti da scrivania per PC o coordinati di bassa qualità e basso prezzo.

Il concerto di musica classica
L'unico genere musicale che è ancora proposto in concerto senza amplificazione è la classica (musica barocca e antica inclusa). Il frequentatore di concerti di questi generi può quindi pretendere di ascoltare a casa una immagine spaziale che ricordi quella dal vivo. Dove di solito sui complessi strumentali più ampi i musicisti sono disposti su una gradinata, con gli archi in prima fila, i legni dietro e più in alto, gli ottoni ancora più in alto e infine le percussioni, che poi sono anche gli strumenti con i suoni più direttivi (quelli sul registro acuto, triangolo, piatti, xilofono) assieme alle trombe (vedi immagini seguenti).
Ma non sempre, per esempio in un teatro dell'Opera non è così. E non sempre chi ascolta può stare in una posizione che, anche dal vivo, possa consentirgli di riconoscere facilmente la provenienza degli strumenti. Ad esempio all'Auditorium di Roma, nella sala più grande (Santa Cecilia), una delle più ampie d'Europa, dalla platea non si vedono i suonatori in fondo, dalla galleria si vede tutto ma il palco è piuttosto lontano e la posizione degli strumenti meno direzionali si percepisce con difficoltà. Nel vecchio auditorium della RAI, più piccolo, la collocazione era invece più facile da percepire.
Una riproduzione casalinga di una registrazione con una ambienza corretta può quindi persino fornire più informazioni, grazie al diverso punto di ripresa.

La disposizione dell'orchestra nella Sala Santa Cecilia dell'Auditorium di Roma
in un recente concerto diretto da Battistoni, vista dalla prima galleria
La disposizione al Teatro Petruzzelli di Bari per il concerto di Capodanno,
con l'Orchestra della Bielorussia

In sintesi
La ricostruzione spaziale dell'immagine è possibile con tecniche esistenti da anni, accessibili, e in alcuni casi anche economiche (con riferimento in particolare all'audio binaurale). Il mercato della musica, a parte il tentativo della quadrifonia di molti anni fa ('70) non ha mai spinto la transizione a queste nuove tecnologie, a differenza di quanto fece negli anni '60 con lo stereo. Anche gli ascoltatori di musica non sembrano interessati ad ampliare l'emozione dell'ascolto con una riproduzione audio che vada oltre le potenzialità (comunque elevate) dello stereo, tranne che quando l'audio è un complemento ad un film. Non si sa se questo dipenda dalla non conoscenza delle potenzialità della riproduzione audio o da altri motivi.
Fanno eccezione gli appassionati di musica classica e acustica in genere (e, si spera, anche gli appassionati e cultori dell'alta fedeltà) che sono a conoscenza della potenzialità e la ricercano. In misura percentuale sono in numero però insufficiente, ad esclusione dei cultori della classica, per costituire un target interessante per le case discografiche.



domenica 24 febbraio 2013

Spotify arriva in Italia

Dopo Music Unlimited di Sony e iTunes Match di Apple l'embargo all'inaffidabile Italia (secondo le case discografiche) e' stato superato anche dal popolare servizio di streaming musicale Spotify, grande successo in tutto il mondo. Rimangono ancora fuori, tra quelli più noti, Rhapsody (che penso rimarrà solo USA), Google Music e Netflix (per il video) che però sembra stia per arrivare.
Spotify ha diversi punti di contatto con Sony Music Unlimited, che avevo provato diverso tempo fa ed è sempre disponibile (non so quanto diffuso). Alcune differenze ovviamente ci sono, la più evidente è che il servizio è fornito anche gratuitamente. Il servizio gratuito prevede naturalmente limitazioni, anzitutto è disponibile solo in ambiente PC e non su terminali mobili, poi alcuni servizi, e in particolare la qualità audio superiore, non sono disponibili. In più, c'è la pubblicità. In alternativa il servizio è in abbonamento alla modica cifra di 4,99 € al mese con ancora alcune limitazioni oppure a 9,99 €, lo stesso prezzo di Music Unlimited, per l'abbonamento premium.

La versione per iPad - Maschera Novità

Il catalogo
La prima cosa da verificare come sempre è il catalogo. La disponibilità con la opzione premium e veramente ampia, ho fatto come test alcune ricerche di musicisti del passato molto di nicchia come Pentangle, Shawn Phillips e Anne Briggs, o classici come Jaon Baez, e ci sono. Sui moderni ho provato Lia Ices e anche per la cantautrice americana c'è tutta la produzione. Ho provato poi qualcosa di molto recente, Privateering, l'ultimo album di Mark Knopfler, oggetto proprio in questi giorni di una interessante iniziativa della Linn di promozione delle proprie soluzioni per la musica liquida e l'HD, Linn Lounge. Poi ho continuato col progressive italiano e anche qui Banco, Alusa Fallax, Quella vecchia locanda, si trova un po' tutto. Qualcosa che non c'è però l'ho individuato, le produzioni di Rebecca Pidgeon, Ana Caram, Christy Baron, tipiche interpreti da dischi "audiophile" che cercavo appunto per un test sulla qualità. Di Sara K c'è tutto, ma manca ad esempio il noto The Raven della Pidgeon.
Ampia nel senso delle composizioni, meno degli interpreti come sempre, anche la disponibilità per la classica. Quindi a questa prima impressione appare essere, come il già citato Music Unlimited, un servizio in grado di soddisfare quasi tutte le curiosità musicali di chi lo sceglierà. D'altra parte arriva da noi ad uno stadio di maturità, dopo essere stato lanciato e poi via via sempre più apprezzato in altri paesi.



La versione free
Tutto ciò nella versione premium, pagando l'abbonamento. Con la versione free ecco l'elenco di quello che non c'è: Accesso completo sul tuo cellulare, Modalità offline, Qualità audio superiore, Accesso illimitato in viaggio, Contenuti esclusivi, Spotify senza pubblicità. Viene il dubbio che i contenuti esclusivi possano essere, ad esempio, album recentemente usciti e promozionati. A questo scopo avevo scelto quello di Mark Knopfler, che è di settembre scorso ed è venduto in due o tre edizioni tra cui una deluxe molto costosa. Ma, come si vede nelle videate di test, c'è, completo e in ascolto integrale. Con qualità 90kbps e un po' di pubblicità, la maggior parte inerente il mondo della musica, a quanto sembra. Come quella della immagine, che promuove il vincitore dell'ultimo Sanremo (e di uno degli ultimi X-Factor made in RAI), Marco Mengoni. Cosa promuove non mi è chiaro, visto che la sua ultima produzione, incluso il brano vincitore a Sanremo, L'essenziale, è ascoltabile qui su Spotify senza limiti e senza problemi, sembra anzi che tutti i contenuti disponibili a pagamento su iTunes siano disponibili anche su Spotify, gratis. Non si capisce perché mai qualcuno dovrebbe comprarli. L'unica differenza sarebbe la maggiore qualità all'ascolto, ma non sembra che iTunes o chiunque altro punti su questo. La promozione a quanto pare è sulla "comunità" (di fans), sul social e quindi sui concerti e gli eventi. Ma questo, sul business model della musica oggi, sarebbe un altro discorso.


Radio musicale
Il punto di forza e la novità di Spotify non è però tanto il servizio di musica on demand, ma la possibilità di utilizzo come una radio musicale, sia scegliendo playlist proposte da Spotify o da altri abbonati, sia lanciando l'ascolto "passivo" come una classica radio musicale. Ma senza annunciatori e senza spot. Avendo anche la possibilità di scegliere la stazione secondo i propri gusti tra una moltitudine di alternative.
Praticamente ogni utente può creare proprie "stazioni" e proporre scalette e così non resta che sceglierne una. Nell'esempio una stazione ispirata al gruppo new folk inglese Mumford & Sons, che inizia con i Kooks. Si può anche scegliere un approccio sul tipo di Genius di iTunes, che genera playlist in base ad una canzone che scegliamo. Devo dire che ho provato con i Belle and Sebastian e mi ha proposto, almeno per le prime 5-6 scelte solo brani dell'ensemble scozzese.
E' comunque un buon modo per conoscere nuova musica e per accompagnare ascolti rilassati e meno impegnati.



La qualità
Qui c'e' un importante plus rispetto a Music Unlimited, che non dichiara il bitrate, ma dovrebbe essere 90-120 pur se con un algoritmo di compressione di derivazione Atrac particolarmente efficace (anche se a breve arrivare l'alta qualità anche per il servizio della Sony). In Spotify invece le opzioni possibili (con la formula premium) sono tre (bassa, media e alta) tutte dichiarate e la più elevata (vedi figura, relativa alla app per iPad) e' pari a 320kbps, quindi adatta per avere una qualità non distinguibile dal CD almeno per la musica moderna, e ancora adeguata per la classica o la musica acustica registrata con attenzione particolare alla fedeltà. Nella versione desktop c'è solo una opzione "ascolto in alta qualità". Leggendo varie informazioni in Internet sembra essere 320kbps, a patto che l'originale lo sia, e quindi dovrebbe essere così sempre. Come iTunes, in pratica.
L'algoritmo di compressione adottato è Ogg Vorbis, quindi uno dei migliori, sicuramente superiore all'MP3. Da aggiungere che è presente anche una opzione di compressione dinamica, utile per ascolto in auto o in ambienti rumorosi, ma da eliminare per un ascolto casalingo e più accurato.



Le funzioni social
Non mancano mai e per una parte degli utenti possono essere un punto di forza. Vertono essenzialmente sulla condivisione delle playlist e quindi sono orientate sempre alla scoperta di nuovi stimoli nel mondo sempre più vasto e variegato della musica. Ci sono anche su iTunes (o Amazon) ma la mia impressione e' che per vari motivi, il principale dei quali è che Spotify è un servizio che fornisce anche musica gratuitamente, su Spotify questi servizi siano molto più utilizzati che su iTunes e quindi più interessanti e realmente un plus. C'è anche una integrazione molto più spinta con Facebook, i due account funzionano in tandem e in questo modo i vostri amici su FB potranno sapere tutto quello che fate su Spotify momento per momento, e probabilmente vi bloccheranno, esausti, dopo un po'. Spotify cerca in tutti in modi di agganciarsi al vostro account FB. Al momento della sincronizzazione vengono però dichiarati con sufficiente trasparenza i livelli di privacy. In ogni caso possiamo fare outing solo dei nostri gusti musicali, non dovrebbe essere troppo "pericoloso".



Le app
Il concetto di app si diffonde anche se tende a costituire, come ha scritto qualcuno, un mondo organizzato in giardini privati accessibili ai soli sottoscrittori o acquirenti dei prodotti di questo o quel sistema. Comunque ci sono anche qui, prodotte dai soggetti che operano nel settore e in particolare dalle case discografiche. Credo che siano tutte gratuite. Alcune sono veramente interessanti e ben fatte e danno un valore aggiunto, ad esempio da provare è quella della Blue Note, nota e storica (ma tuttora attivissima) casa discografica specializzata in jazz e ampi dintorni.


Le varie versioni
Spotify è utilizzabile su desktop e su dispositivi mobili con apposite app. Io ho provato quella per desktop Windows, quella per iPad e quella per iPhone, e le immagini si riferiscono alle prime due. La versione per desktop ha una interfaccia molto simile a quella di iTunes, e appena installata si collega alla libreria del media player di Apple, se è installato, con l'obiettivo esplicito di prendere il suo posto. Con qualche possibilità di successo, considerato che può aggiungere la possibilità dell'ascolto gratis o quasi. La operatività sulle versioni che ho provato (desktop e iPad) sembra molto buona, a livello di iTunes, si conferma che è un prodotto maturo e ben progettato. Niente a che vedere con Deezer o iMesh. Funzionale e ben fatta anche quella per iPhone.



L'account premium in condivisione
Per accedere al servizio premium si usano come sempre le credenziali, username e password che, sia su iPad/iPhone/Android sia su desktop, rimangono in memoria da una sessione all'altra e quindi non è necessario inserirle ogni volta, o dopo che si è spento o scaricato lo smartphone. Le stesse credenziali si usano su tutti gli ambienti senza alcuna complicazione. Ma con una limitazione sì, ovviamente: uno alla volta. Altrimenti con lo stesso account Spotify potrebbe ascoltare musica in modo illimitato un intero condominio, ed oltre. Il controllo non è troppo drastico, nel senso che se vengono rilevati dai server di Spotify due terminali che stanno scaricando musica dallo stesso account, solo dopo un certo tempo viene interrotta la riproduzione, con un messaggio che indica esplicitamente il motivo. Questo avviene per il sistema di caricamento su buffer, quindi asincrono. Da notare che viene inibito anche l'ascolto di eventuali playlist o album che avevamo scaricato in locale per l'ascolto offline, sempre per l'intuibile motivo di garantire una giusta renumerazione al servizio.

In sintesi
In sintesi, è un vero peccato che l'audio disponibile per questo sistema come per tutti i concorrenti sia ancora ostinatamente in formato compresso, pur se di qualità più che accettabile per la musica moderna di genere pop. Altrimenti Spotify con il suo vasto catalogo e le molte funzioni potrebbe soddisfare quasi ogni esigenza di ascolto della musica, pur se con qualche rischio di passare inevitabilmente e fatalmente ad un ascolto passivo invece che guidato dalle nostre scelte. Rimarrebbe fuori solo qualcosa di raro o specifico o il piacere dell'ascolto "eufonico" con il vinile.
Ascolto che può uscire dal mondo PC ed essere veicolato direttamente dall'iPad all'impianto Hi-Fi con un music digital streamer, come ad esempio il Linn Majik DSM, che era in funzione ieri all'evento Linn Lounge di cui ho fatto cenno prima, e che appunto è stato usato, non a caso, anche in connessione con Spotify (passando però negli ascolti successivi all'alta definizione).

mercoledì 20 febbraio 2013

La ricostruzione spaziale in stereofonia - Parte I

La stereofonia e gli esperimenti di riproduzione sonora che l'hanno preceduta sono nati per tentare di realizzare una ricostruzione spaziale effettiva, quindi in tre dimensioni, ma in un ambiente diverso da quello dell'evento originale. Senza questa esigenza, raggiungere un certo grado di realismo nella riproduzione (che poi è stato battezzato ottimisticamente "alta fedeltà"), sarebbe stata sufficiente la monofonia degli inizi, molto più semplice ed economica, che invece è rimasta (a parte alcune "sette" di appassionati) solo dove è l'unica soluzione applicabile.

Ma è veramente possibile ottenere con due soli diffusori una ricostruzione spaziale? Senza voler avere l'ambizioso, anzi irrealizzabile, obiettivo di dare una risposta definitiva o anche solo condivisa su un tema che suscita molte discussioni nel mondo ristretto e, pare, in costante riduzione numerica (forse anche per queste discussioni) degli appassionati "audiofili", dopo il precedente articolo sui risultati ottenibili con la riproduzione binaurale, metto in fila a partire da questo post alcuni elementi di riflessione.

Una prova pratica
Visto che l'obiettivo finale è l'ascolto in casa nostra con un impianto economicamente e logisticamente accessibile, la prima cosa che viene naturale fare è una prova pratica. Un test accessibile a chiunque, senza strumenti di misura che non siano il sistema uditivo di un audiofilo medio, il suo impianto (correttamente installato) e la musica o i suoni da riprodurre.

Prima prova: da dove proviene il suono
Visto che davanti a noi abbiamo due diffusori, disposti ai due vertici di un triangolo equilatero dove al terzo vertice, seduti comodamente in poltrona, ci siamo noi, se la ricostruzione spaziale non ci fosse o fosse carente ci aspetteremmo di sentire il suono provenire dai suddetti diffusori.
Se mettiamo nel lettore CD un brano semplicissimo, per voce e strumenti acustici, possiamo fare questa prima prova, apparentemente banale. Meglio una voce femminile, più sui toni acuti e più direttiva, per esempio è ottima a questo scopo la versione di Waters Of March, il celebre brano di Tom Jobim, nella esecuzione della cantante canadese Holly Cole, oppure Diana Krall in versione quasi solo acustica nel suo album Love Scenes, oppure qualsiasi altro brano di caratteristiche analoghe.

Da dove sembra provenire la voce della cantante? Dal centro della scena, quindi ben al di fuori dei diffusori, oppure da qualche punto indistinto? E anche chitarra e basso acustico riusciamo a percepirli in una zona intermedia tra i diffusori e il centro dove dovrebbe essersi "materializzata" (come scrivono di solito nelle recensioni) l'una o l'altra delle interpreti canadesi citate? Oppure sembrano provenire dal rettangolo di spazio coperto dalle casse?

Un primo test facile, dall'esito penso scontato. Ma da quale altezza dal suolo sembra provenire la voce della cantante? I suoni nell'intervallo di frequenza della voce femminile sono riprodotti in buona parte dal tweeter, e sono anche i più direttivi, il tweeter nelle nostre casse (a torre o mini diffusori da piedistallo, supponiamo, sono le soluzioni più diffuse) sono a circa 80-90 cm di altezza, un poco più in basso della nostra testa mentre siamo seduti in poltrona, e quindi se fossero percepiti allo stesso livello dei tweeter di cui sopra dovremmo avere l'impressione che Holly Cole, che pure non è molto alta, stia cantando seduta per terra o al massimo su una sedia molto bassa.
E' così, oppure la voce sembra provenire da una posizione più elevata, quella che effettivamente ci attendiamo per una riproduzione "naturale", con la cantante che canta in piedi? Discorso opposto per la chitarra, che non ci aspettiamo proprio il chitarrista imbracci alla stessa altezza del capo della cantante. Il suono appare provenire da un punto situato più in basso o anche in questo caso è alla stessa altezza dei tweeter?

Seconda prova: suoni in movimento
Utilizzando questa volta alcuni suoni 3D opportunamente sintetizzati che un cortese team di addetti ai lavori mette gratuitamente a disposizione sul sito Audiocheck, assieme a molti altri test utilizzabili per vari scopi possiamo effettuare una prova più approfondita.
Si chiamano LEDR (Listening Environment Diagnostic Recording), sono stati messi a punto da uno studioso di acustica di nome Doug Jones, professore al Columbia College e membro della Audio Engineering Society. E' possibile scaricarli in formato Wav (usando la minuscola freccetta laterale rivolta verso il basso nella figura minimalista che usano sul sito). Nel sito sono presenti anche molti altri suoni di test utili per la messa in fase e altri scopi.

Il test
Per effettuare il test il sistema più semplice è creare un CD, con i suoni di test in una opportuna sequenza che riportiamo qui di seguito.
  • Left 
  • Right
  • Center
  • LEDR: Lateral 
  • LEDR: Up: Left 
  • LEDR: Up: Right 
  • LEDR: Over 
  • LEDR: Behind 
Abbiamo aggiunto tre test iniziali molto semplici, per mettere a punto il centro della scena provato in precedenza. Quindi si parte con solo canale sinistro, solo canale destro, e infine entrambi i canali, quindi in monofonia e riproduzione centrale.
Questi 3 test audio forniti da Audiocheck sono troppo brevi per essere trasferiti su CD, li ho elaborati opportunamente (allungandoli per semplice ripetizione a 5 secondi) e si possono scaricare da questo link.
Un primo insieme di test semplice, la cosa più importante da verificare, come anticipato, è che nel terzo di essi il suono provenga effettivamente dal centro. Potremmo accorgerci che la nostra posizione di ascolto preferita non è così centrale come credevamo.

Nei test successivi un suono sintetizzato (che ricorda uno sfregamento di oggetti) si muove davanti a noi simulando  il movimento. Poiché non sono annunciati, non sarà sempre possibile individuare quando comincia un test e ne inizia un altro. Per rendere più agevole la prova  si può inserire prima di ciascuno di essi un annuncio. Allo scopo, sempre dalla stessa pagina, si possono scaricare file audio con i numeri da 1 a 5 (in inglese, in italiano col generatore che ho usato avevano un accento che non mi piaceva). Perché i numeri? Per non influenzare il test annunciando cosa si dovrebbe sentire. In questo modo si potrà anche organizzare facilmente un blind test.

Nel primo dei 5 test LEDR (che sul CD avrà la numerazione 5) la sorgente del suono si dovrebbe spostare da sinistra a destra e viceversa, su un piano orizzontale.

Con i successivi tre test passiamo dalla dimensione orizzontale a quella verticale. Lo stesso suono si dovrebbe percepire in ascesa verticale prima sul diffusore sinistro, poi su quello destro, poi in movimento secondo un arco di circonferenza da sinistra a destra e viceversa. Come descritto con la sottile ironia anglo-sassone che caratterizza il sito Audiocheck, l'effetto dovrebbe essere questo:

UP paths, Left and Right. The sound should begin at about eye level and then travel as straight as possible up to one or two meters above the loudspeaker. Use the Left and Right paths to check for symmetry. If the sound does not rise up from your loudspeakers, try using high quality headphones instead. If headphones work, your loudspeakers and/or listening environment are at fault. If not, the pinna transform embedded into the test signal is possibly too different from your own pinna transfer function; the LEDR test will then fail in this particular case.

OVER. The sound should begin at one speaker and travel in a smooth arc to the other speaker, from left to right and then return back to the left. The arc should be unbroken, smooth and symmetrical. The top of the rainbow should be as high as the Up signals.

Siete riusciti a percepire questo movimento? O tutto continuava ad essere confinato nelle casse? Se il primo test era positivo dovreste aver percepito quanto previsto anche da quest'altro insieme di test, pur se normalmente in modo meno netto rispetto al test destra-sinistra. Altrimenti, come suggeriscono quelli di Audiocheck, il problema potrebbe risiedere nel processamento del suono tra il padiglione esterno delle vostre orecchie e il vostro cervello (pinna transform).

La terza dimensione
Abbiamo provato la dimensione orizzontale, quella verticale, non rimane che provare la profondità. Questa è però più facile da simulare, perché il nostro sistema uditivo percepisce come allontanamento anche un suono che diminuisce di intensità. La percezione della profondità su normali brani musicali richiede un impianto assemblato e posizionato con grande cura ed è notoriamente una verifica cruciale per questi aspetti. In particolare, le casse devono avere un sufficiente spazio dietro di esse. Nel gruppo di test LEDR di audiocheck c'è n'è anche uno per questo scopo (Behind) che utilizza sempre un rumore sintetizzato.
Nella immagine seguente come appare all'editor audio uno dei test LEDR (lateral).


Il blind test
Poiché sappiamo già all'origine, dal titolo stesso dei test, cosa dobbiamo aspettarci, e anche che quello che il test si propone di verificare dovrebbe essere un requisito di un impianto hi-fi regolarmente composto e installato, mentalmente potremmo tentare di adeguare la sensazione uditiva alle aspettative.
Per evitare queste ipotetiche auto-suggestioni possiamo sottomettere il test a qualcuno che non sa cosa deve ascoltare, e non è neanche troppo interessato alla questione. Mogli e figlie o figli, se dotate/i della necessaria pazienza (ma in tutto sono meno di tre minuti) sono l'ideale allo scopo. Meno adatti gli amici audiofili. Il famoso test "alla cieca". Come ho fatto anche io, ricorrendo a mia moglie e mia figlia.

I risultati
Ho volutamente proposto un test molto semplice e replicabile (come peraltro quasi tutti i test di ascolto e di funzionamento su questo blog), provvedendo anche a mettere a disposizione strumenti e file già pronti per semplificarne la  realizzazione. Quindi non è necessario riferire i risultati ottenuti sul mio impianto, ogni lettore / visitatore interessato a questo tema potrà verificare la ricostruzione spaziale sul suo proprio impianto. E, se lo desidera, riferire le sue impressioni nei commenti.

Il prossimo passo
Dopo questo test saremo pronti per affrontare la successiva parte (non so se anche l'ultima) di questa serie di articoli, nel quale ci chiederemo se con un impianto stereo si può effettivamente ascoltare in tre dimensioni e con quali prerequisiti, o cos'altro è necessario per raggiungere compiutamente questo risultato.