lunedì 29 ottobre 2012

Audio Review: fine di un'epoca

A sorpresa, senza che nei numeri precedenti fossero anticipate criticità di sorta, nell'ultimo numero di Audio Review uscito in edicola nei giorni scorsi, il numero 337 di ottobre 2012' l'editoriale del fondatore Paolo Nuti e quello in ultima pagina del direttore Roberto Lucchesi annunciano la chiusura della storica rivista, da molto tempo se non da sempre la principale del settore in Italia. Solo l'editoriale del responsabile della (ottima) sezione musica, Federico Guglielmi, parla dell'eventualità in termini ipotetici, ma aveva preannunciato problemi il mese scorso e ospita una lunga lettera preoccupata di un lettore. Una chiusura peraltro, a quello che si legge, definitiva, e che rimanda al sito ma solo come memoria storica dei numeri pubblicati.

Con la chiusura di Audio Review finisce veramente un'epoca per l'alta fedeltà in Italia. La rivista infatti nasce da una scissione, dalla costola di Suono Stereo, la rivista nata negli anni '70 per iniziativa, tra gli altri, proprio di Paolo Nuti, e che ha accompagnato la crescita tumultuosa del settore. Talmente ricettivo da consentire la creazione di una rivista derivata di taglio più "popolare", con prove semplificate e più orientata ai neofiti, Stereoplay. Oltre a varie riviste concorrenti. Con Audio Review (o semplicemente AR) e' proseguita la linea di Suono, incentrata soprattutto sulle misure di laboratorio, con aggiornamenti dettati dalla evoluzione del mercato e delle priorità degli appassionati, con la introduzione di una sezione Audio Club di prove di ascolto senza test e la progressiva espansione della parte musicale, prima affidata a Maurizio Crisostomi e poi a Guglielmi.

NB: Come riportato più diffusamente nei commenti, nelle settimane successive alla pubblicazione di questo post un gruppo di redattori ha rilevato il periodico e ha potuto far proseguire le pubblicazioni, assieme a quelle delle riviste del gruppo Audio Costruzioni e Car Stereo, con una revisione della linea editoriale e la definitiva uscita di Nuti e Ferrarese. Ad oggi (marzo 2014) le pubblicazioni proseguono con la formula "tre riviste in una" a cura della coop dei redattori.


Cosa e' successo?

Non voglio fare qui una una storia della rivista o dell'editoria del settore in Italia ne' considerazioni sulla validità o meno delle riviste tradizionali, che ho già inserito in un post diverso tempo fa. La situazione e' questa, il mondo e' cambiato e fare considerazioni sul buon tempo andato, ammesso poi che fosse veramente migliore, non penso sia molto utile. Mi spiacerà non poter proseguire l'abitudine di leggere ogni mese la rivista che il mio edicolante mi mette da parte regolarmente. E mi spiace soprattutto per tutti quelli che vi hanno lavorato sino ad ora in vari ruoli, incluso il mio ex compagno di liceo Dario Tassa, storico curatore della linea grafica della rivista (e, prima, di Suono).

Più interessante e' capire come mai non sia possibile, in un paese dove esistono e resistono centinaia di riviste mensili specializzate, e dedicate ad ogni argomento anche veramente di nicchia (mi risulta che esistano ben due riviste specializzate sulla caccia al cinghiale, non so cosa possano scrivere tutti i mesi) non c'è spazio per una rivista che tratta degli strumenti per ascoltare la musica, un interesse che accomuna milioni di persone, tenendo anche conto che le altre due riviste rimaste, Suono nella nuova edizione più orientata alla musica, e Fedeltà del suono (FDS) sempre più ridotta nei contenuti, non sembrano in ottima salute, ed una nuova rivista molto ben fatta e che trattava anche AF Digitale, ha chiuso anch'essa pochi mesi fa.

Il colpevole sarebbe sempre il solito, Internet. Dove si trovano le stesse informazioni, recensioni, prezzi, nuovi prodotti, discussioni e confronti, per di più gratis e indipendenti, non condizionate dagli inserzionisti, acquirenti degli spazi pubblicitari, principale fonte di ricavo per le riviste. E poi naturalmente la crisi.

Non sono convinto che sia così. Le riviste online sono strutturate in modo diverso e anzi ben poche sono strutturate in forma di rivista così da costituirne una alternativa. Sono prodotti editoriali ben diversi che potrebbero convivere, almeno sino a quando resisterà la carta stampata. E basta entrare in una edicola per verificare che resiste eccome.

Penso invece che il motivo sia legato a questo specifico settore, ed in particole ad un elemento che cita nel suo editoriale proprio Federico Guglielmi: la mancanza di di ricambio nel parco-lettori. Con una aggiunta, la progressiva riduzione in numero e peso specifico dei distributori-importatori, che sono poi i naturali inserzionisti per queste riviste.

Una rivista impostata come AR ha un costo elevato, soprattutto per la necessità di effettuare prove di laboratorio con strumenti di misura complessi che richiedono redattori e tecnici competenti. E si aggiunge a questo la scelta di coprire a 360 gradi il settore, dalle novità al vintage, dal vinile alla musica su computer, dai prodotti high-end fuori dalla portata per il 99,76% degli italiani (in base alle ultime dichiarazioni dei redditi ufficiali) ai prodotti entry level, dalle grandi mostre internazionali alle visite ai produttori. Quindi una redazìone ampia e costi elevati che possono essere coperti soltanto da vendite in edicola coerenti (nella seconda metà dei '70 se ben ricordo vendeva oltre 100 mila copie, era ai livelli di Quattroruote) e inserzioni numerose e a tariffe elevate.

Con gli anni i lettori interessati sono costantemente diminuiti. Dispersi in parte gli appassionati nelle varie tendenze ( o sette) dell'high-end, per nulla interessata al l'hi-fi, all'ascolto lungo e concentrato, all'ascolto open-air la generazione MP3 e quindi lontanissima anche solo dall'idea di acquistare una rivista. Poi l'antitesi alle riviste troppo sensibili agli interessi commerciali, le alternative gratis su Internet. Un calo fisiologico e inarrestabile.

Sul lato degli inserzionisti i grandi nomi dell'elettronica di consumo hanno abbandonato il settore (Pioneer) o l'hanno mantenuto per veicolarlo tramite gli stessi canali del "nero" e non vedevano alcun ritorno dalla pubblicità su una rivista specializzata e fatalmente orientata alla produzione specializzata, high-end, non di massa, che interessava ai suoi lettori. Pur se AR su questo versante ha continuato a garantire una presenza.

Gli importatori / distributori di marchi specializzati si sono ridotti di numero e peso perché alcune case più importanti hanno raggiunto una dimensione sufficiente a curare la distribuzione e la promozione in proprio, e la riduzione del mercato, sempre più frammentato, con sempre meno appassionati disposti a spendere cifre importanti per la heavy rotation dei componenti ha fatto il resto.

In conclusione, lettori in calo e senza possibilità di risalita, inserzionisti in calo numerico e tariffe pubblicitarie in diminuzione come per tutta la carta stampata (e come conseguenza della riduzione delle tirature) e costi interni non comprimibili sotto una certa soglia senza stravolgere l'impostazione della rivista, e si è arrivati così alla conclusione. Come d'altra parte scrive un po' tra le righe lo stesso Nuti.

Si poteva contrastare il calo dei lettori?

Condizioni per una ripresa del settore potevano essere negli anni passati il passaggio dal CD all'alta definizione, con il SACD, o il passaggio dalla stereofonia al multi canale. Due rivoluzioni nel settore che avrebbero richiesto un rinnovo quasi totale degli impianti e quindi un rilancio del mercato e, con esso, delle riviste. Ma sappiamo che non è andata così, neanche per lontana approssimazione. Le prime a non crederai sono state le case discografiche, che non hanno prodotto ne' promozionato nulla o quasi nei nuovi formati, che sono poi rimasti, come sappiamo, solo nel piccolo giardinetto della classica, che certo non poteva garantire un indotto tale da influire sui numeri complessivi del settore. E neanche dai produttori di hardware, che hanno seguito un approccio wait & see, e sono rimasti a guardare.

AR ha seguito e ha cercato di spingere entrambe le transizioni, pubblicando per anni una sezione di nuove uscite su SACD e sforzandosi di vedere, negli editoriali di Nuti e negli articoli, uno sviluppo che nella realtà, come si è visto non c'era. E che una rivista comunque di nicchia da sola non poteva creare. In questo modo ha perso anche qualche punto tra gli appassionati duri e puri, che l'hanno (ingiustamente, a mio parere) catalogata subito come troppo sensibile agli interessi commerciali delle case discografiche e dei produttori di elettroniche. Quali interessi non saprei proprio, visto che avere un ritorno commerciale senza mettere sul mercato nulla e, nel caso che lo facessero, senza fare nessuna promozione pubblicitaria, non è proprio possibile nel mondo conosciuto. In realtà non ci hanno mai creduto e dopo le prime analisi di mercato hanno stimato che il ritorno dei cospicui investimenti (soprattutto pubblicitari) non ci sarebbe stato e hanno lasciato perdere.

Da ultima la musica liquida (una definizione introdotta proprio in casa AR ) a cui peraltro è dedicato in gran parte anche questo blog. E anche qui, come sappiamo, promozione e adesione un po' più convinta da parte dei produttori di hardware ma zero coinvolgimento da parte delle majors, dopo 2-3 anni e' ancora un settore di nicchia.

La passione di AR per queste nuove tecnologie era puramente tecnologica, in coerenza con la linea seguita sin dai primi anni '70, da positivisti entusiasti della tecnologia applicata alla musica. Se avessero seguito i loro interessi commerciali avrebbero dovuto casomai convertirsi al vinile e ridurre le prove con misure o eliminarle del tutto. Ma sono stati invece sempre coerenti, anche contro i loro interessi, a dispetto delle accuse ripetute di inclinazione commerciale. Che peraltro non è una colpa in se', una rivista specializzata e' anche una impresa e deve produrre un utile. Certo, rimanendo imparziale nei giudizi. Considerazioni comunque molto facili con il senno di poi e mi scuso se sembrano troppo nette.

Il vero problema

Il vero problema che la chiusura di Audio Review evidenzia rimane però la progressiva marginalizzazione dell'audio. Mentre nel video si assiste ai continui lancio di nuove tecnologie, accolte più o meno favorevolmente dal mercato, ma sempre accolte perché c'è un interesse e un desiderio di vedere sempre meglio, in modo più realistico (alta fedeltà ?) le immagini in movimento di film e documentari, e lo stesso avviene per la fotografia digitale. L'audio rimane invece bloccato e sembra non riuscire ad uscire, almeno per il mercato di massa, neanche dalla compressione. I colpevoli? Sempre loro, le case discografiche principali, le majors, e la loro incapacità (che si è ritorta pesantemente contro i loro stessi interessi) di gestire la rivoluzione della musica su Internet e le grandi opportunità che proponeva ( e che qualcun altro ha saputo cogliere in pieno).



domenica 21 ottobre 2012

I libri in prestito nell'era del Kindle

Dopo la musica liquida sta arrivando, e anche con maggiore velocità, la letteratura liquida. I libri si comprano dematerializzati, sia i romanzi, sia a breve, si spera, i libri di scuola e di studio. A prezzi inferiori, con molte funzioni di lettura in più, senza problemi di riempire le case (come la mia) di biblioteche e mensole che non bastano mai, e portandosi dietro solo un lettore leggerissimo e non tutto il contenuto da leggere su carta. Tra l'altro, è anche ecologico perché si consuma zero carta.

Si prevede un boom tra i regali di fine anno, ma nei libri "liquidi", a differenza che nella musica liquida, manca qualcosa di molto importante: la possibilità di prestarli o di regalarli a qualcuno dopo che li abbiamo finiti. Quello che facciamo da sempre per condividere qualcosa che abbiamo apprezzato e letto con piacere.

Per i libri acquistati tramite Amazon con Kindle sostanzialmente non si può. Teoricamente è possibile, ma con forti limitazioni se vogliamo prestarlo a qualcuno fuori dalla nostra famiglia.

La condivisione in famiglia
Perché faccio riferimento alla famiglia? Perché in famiglia possiamo supporre che ci sia un solo account Amazon, collegato ad una carta di credito del capo famiglia o di qualsiasi altro componente della famiglia o addirittura una carta comune attivata allo scopo, e che si scambi tra i componenti stessi la password per acquistare i libri, il cui costo sarà caricato sulla carta di cui sopra.

A questo punto il libro digitale acquistato, che è protetto molto bene con DRM, potrà essere letto su più dispositivi o app Kindle associati allo stesso account, così come i libri della biblioteca di casa sono accessibili a tutti quelli che vogliono leggerli, o i libri di scuola possono passare dal fratello o dalla sorella maggiore a quello/a minore, se vanno nella stessa scuola e se nel frattempo il testo non è cambiato.

Il prestito
Ma il prestito è anche per un amico o un'amica, una potenziale fidanzata, un collega di lavoro, uno studente a cui il professore con quel libro vuole aprire nuovi orizzonti, o qualsiasi altra situazione che possiamo prendere dai film o dalla nostra esperienza di vita. E' un ottimo modo per non rivedere più il libro, a meno che siamo quei tipi pignoli che si segnano i prestiti e poi li richiedono, questo lo sappiamo, ma a volte è prevalente il piacere di condividere la propria esperienza positiva (o magari negativa e dissuasiva).

In ambiente Kindle non è che non ci abbiano pensato. Non subito, ma qualche tempo dopo il lancio hanno previsto per gli editori una caratterizzazione per i libri digitali. Nel senso che sono gli editori che decidono se per un libro il prestito è ammesso o no. Chiaro che se è possibile prestarlo, pensano gli editori, è più facile che entri nel giro dei libri in circolo sul circuito P2P dopo la eliminazione delle barriere DRM con le apposite applicazioni semi-legali che anche in questo settore, dopo musica e video, sono state prontamente messe a disposizione dei copiatori / distributori. In ogni caso è una scelta e una responsabilità degli editori, non di Amazon che ne esce pulita, la possibilità l'ha data.

Quindi possiamo attenderci che sia una caratteristica non sempre selezionata dagli editori, e certo molto meno per i libri più recenti e/o di maggior successo. Ma per qualche libro è una possibilità che esiste ed è elencata tra le azioni possibili per i libri che abbiamo acquistato e che sono elencati nella sezione "La mia libreria Kindle".
Ma non da noi in Italia. Solo in USA, e non si sa quando (nessun annuncio trovato) da noi.

Quindi attualmente il prestito non è implementato proprio in Italia e quindi non è possibile, neanche per i libri venduti a zero Euro (vedi immagine successiva). Che sia per non implementazione della funzione o per scelta dell'editore, rimangono leggibili solo sui Kindle associati all'account o sulle App Kindle per iPad o altri tablet. Lo so che esistono anche altri sistemi per superare questa limitazione, ma su questo blog non si parla di applicazioni aggira DRM.




Prima o poi però la funzione sarà disponibile anche in Italia. Ma allora scopriremo un'altra limitazione che ognuno potrà valutare se pesante o meno: un tempo massimo per la lettura, pari a 14 giorni (2 settimane, quindi). Puoi prestare il libro, ma chi lo riceve deve sbrigarsi a leggerlo in 14 giorni, poi se proprio si è appassionato e vuole sapere chi è il colpevole, o lo compra o se lo fa dire da chi lo ha prestato. Bisogna anche vedere che libro è, se è Seta di Baricco 14 giorni bastano anche a me, che sono un lettore riflessivo, diciamo così, ma se è L'uomo senza qualità o Il pendolo di Foucault mi sembrano oggettivamente un po' poco. E vanificano il concetto stesso di prestito.

Nella musica non è così
Per la musica liquida invece queste limitazioni non ci sono. Almeno in una cosa la musica e le case discografiche sono più avanti. Il sistema di distribuzione di musica liquida che domina il mercato mondiale (e che è l'unico sostanzialmente disponibile da noi, iTunes di Apple, ovviamente) consente di esportare i contenuti musicali con una semplice masterizzazione su CD. L'operazione si può fare un massimo di 3 volte, ma il CD masterizzato è senza DRM e quindi se ne può fare poi quello che si vuole. Tra cui prestarlo per farlo ascoltare a un amico. Che certo dovrebbe restituirlo, come per il libro fisico, o cancellare il suddetto CD o i file musicali derivati. E magari se alla fine non gli è piaciuto poi tanto, potrebbe anche farlo.
Il problema coi libri è che una funzione di masterizzazione su carta non è possibile (se non usando potenti sistemi di stampa dal costo accessibile solo da grandi organizzazioni, ora e penso ancora per molto tempo).

In sintesi
I libri digitali sono certo molto comodi, ma chi ritiene la limitazione sul prestito importante può anche continuare a tenere in considerazione i libri tradizionali e la loro libertà di utilizzo. Il costo peraltro, almeno per ora, non è molto superiore.

domenica 7 ottobre 2012

L'agenda digitale e la musica

Giovedì 4 ottobre, dopo una lunga attesa e parecchi rinvii (doveva essere pubblicata il 30 giugno scorso) il governo ha approvato l'agenda digitale per l'Italia. Si spera che questa volta arrivino a breve anche le cosiddette "regole tecniche" e i decreti attuativi che consentono effettivamente di mettere in pratica le innovazioni, quelle che spesso arrivavano in ritardo (o mai) nelle iniziative precedenti come il CAD (codice dell'amministrazione digitale).

Potrebbe essere uno stimolo importante per l'economia, o almeno consentire a cittadini e imprese di dedicare più tempo ai loro affari e meno alle pratiche con l'amministrazione pubblica, ma cosa c'entra con la musica? C'entra perché uno degli obiettivi principali dell'agenda digitale è dematerializzare i documenti. E per raggiungere questo obiettivo è essenziale la diffusione della banda larga e larghissima, e infatti l'agenda digitale dei vari paesi europei di solito definisce un calendario, un'agenda appunto, per la diffusione di accessi a velocità sempre superiori per una percentuale della popolazione o del territorio.

Obiettivo della musica liquida è dematerializzare la musica, mantenendo la stessa qualità, e anche per questo scopo la banda larga è essenziale. Ma non per consentire download più veloci (non rappresentano un problema neanche ora) ma per passare ad un sistema di diffusione e di fruizione della musica più avanzato, verso il quale fatalmente ci si dirige, come già avviene per altre forme di intrattenimento come il cinema o i libri: lo streaming o music on demand.

Digital divide, last mile e NGN
Il piano nazionale per la banda larga, che si può consultare sul sito del ministero dello Sviluppo Economico oppure qui se dovessero cambiare il link, punta a tre obiettivi principali: connettere alla infrastruttura di rete nazionale le "aree bianche", quelle dove non è presente, per semplificare, neanche l'ADSL, rendere più facile e diffusa la connessione alla infrastruttura di rete nelle "aree grigie", quelle dove non tutte le abitazioni sono collegabili (interventi sull'"ultimo miglio" o "last mile") e infine porre le basi, con la diffusione sul territorio di componenti intermedi "backhaul", per il passaggio in tempi brevi alle reti di nuova generazione, o Next Generation Network, quelle che consentono di arrivare a velocità di connessione superiori ai 100Mbs. Le aree bianche e quelle grige sono quelle dove è presente un divario digitale ("digital divide") relativamente all'accesso alle nuove tecnologie.
Il piano in realtà è già in ritardo perché doveva arrivare a coprire tutto il territorio italiano con connessioni da 2 a 20 Mb entro la fine del 2012, secondo gli obiettivi stabiliti nel 2009, ed è slittato per le note vicende macro-economiche. Ma ora appunto viene rilanciato con la già citata Agenda Digitale.

LTE e 4GIn parallelo al programma che punta ad una connessione completa, comune a tutte le nazioni della Comunità Europea (è un obiettivo europeo) i gestori privati nel settore della telefonia mobile stanno passando alle reti di quarta generazione (fourth generation networks o 4G) con una tecnologia che viene chiamata comunemente LTE (Long Term Evolution) e che consiste in una evoluzione tecnologica dello standard UMTS già utilizzato nelle reti 3G che ben conosciamo, perché sono quelle utilizzate negli smartphone che utilizziamo, e la cui sigla compare sul display quando si riesce ad agganciare la cella con queste prestazioni.

Il nuovo standard 4G è già supportato dagli smartphone di ultima generazione come l'iPhone 5 recentemente presentato dalla Apple, e secondo le anticipazioni dei gestori, per esempio di TIM, consentirà già al momento del lancio (inizio 2013, probabilmente) connessioni con velocità di 100Mb in download e 25Mb in download. Velocità di trasferimento che, come sempre, non sono garantite ma di picco, ma comunque di molto superiori a quelle attuali.
Le cosiddette "killer application" per spingere il passaggio dei numerosi appassionati possessori di smartphone (a metà 2012 in Italia hanno sorpassato in numero i telefonini tradizionali) a questa nuovo livello di prestazioni saranno ancora incentrate sul video: film, fiction TV, dirette sport o altro, anche in alta definizione, sia per visione diretta su tablet o sui nuovi smartphone "bridge" (più grandi di uno smartphone ma più piccoli e portatili di un tablet) sia collegati in wi-fi ai moderni apparecchi TV con connessione wi-fi.

Per la diffusione sul territorio del nuovo standard dovranno essere messe a disposizione frequenze liberate da altri usi, gli accordi prevedono un impegno dei gestori a fornire in cambio una copertura sul territorio che comprenda anche le aree meno profittevoli, ovvero meno popolate, e quindi una copertura nazionale adeguata (fonte: sito key4biz). D'altra parte un'area poco popolata in inverno può essere molto popolata d'estate (o viceversa) e, come si è già visto nella telefonia mobile, è interesse economico dei gestori principali estendere il più possibile la copertura di rete.

Scenari futuri per la infrastruttura di rete
Sia che sarà ottenuto mediante il dispiegamento nei tempi previsti del piano per la banda nazionale larga e ultralarga, oppure attraverso l'ulteriore sviluppo della rete di telefonia mobile, primato nazionale che non richiede propulsione governativa od europea, è prevedibile che nel corso del 2013 o al massimo dell'anno successivo le possibilità di connessione in rete ad alta velocità, per usufruire di servizi sempre più avanzati, aumenteranno di molto.
Io penso che il piano europeo nasca già vecchio per le applicazioni home (e anche per quelle business meno impegnative) perché le prestazioni del 4G sono sufficienti nella maggior parte dei casi, e che una diffusione basata sul wireless ha, inoltre, costi di infrastruttura ridotti per il last mile. Ma vedremo come andrà.

A parte questa considerazione, l'altro punto delicato sarà la copertura effettiva in 4G. Già ora il 3G, con la moltiplicazione degli smartphone e l'abbassamento dei costi di connessione (Wind alla data di questo post offre 1GB al mese, sufficienti per un uso medio, a 4,5 € / mese con la formula ricaricabile, senza abbonamento, Vodafone e TIM 3GB a 9 €/mese alle stesse condizioni) la capacità delle celle si esaurisce presto e di frequente questo livello di prestazioni non è accessibile in aree affollate. Sarà con ogni probabilità una transizione progressiva, ma facilitata dal fatto che gli apparati 4G nei primi mesi non saranno molti.

E la musica in tutto ciò?
Tornando alla musica dopo queste premesse tecnologiche (forzatamente sintetiche, rimando alle molte voci in Wikipedia o ai dossier sul sito del Ministero Sviluppo Economico per gli approfondimenti), la disponibilità di connessioni di rete a velocità sempre più elevata e costi sempre più bassi rende possibile il passaggio ad una diversa modalità di accesso ai contenuti, timidamente iniziata in questi anni e ormai concretamente possibile. Una transizione facilitata anche dal fatto che il target principale, il video, ha esigenze di banda molto più elevate, e per la musica, anche in HD, di conseguenza è tutto più facile.

Da quando è iniziata l'era della registrazione e distribuzione della musica riprodotta (inizio '900) il meccanismo è sempre stato lo stesso: il cliente finale compra una copia memorizzata su un supporto per il trasferimento e la riproduce a casa sua o (da qualche anno) su un dispositivo mobile. Anche la musica liquida segue questo sistema, il download da un sito specializzato come HDtracks sostituisce il negozio, l'hard disk di rete o del computer sostituisce i supporti fisici, ma lo schema rimane lo stesso, una discoteca, o libreria musicale come la chiamano nei paesi anglosassoni, selezionata da noi nel corso del tempo e di nostra proprietà, anzi proprietà della nostra famiglia e da condividere e poi passare in eredità ai nostri figli e nipoti, sul modello delle librerie fatte di libri. Con la differenza che il "lettore" in questo caso non siamo noi, ma un oggetto in grado di leggere il supporto con la codifica della musica, oggetto che col tempo può diventare anche fuori produzione e di non facile reperibilità (vedi dischi a 78 giri, musicassette, DAT ...).

La discoteca personale e la discoteca universale
La rete mondiale alla quale ormai accedono tutti i produttori di musica e la facilità e rapidità con la quale si possono acquisire i contenuti musicali che ci interessa ascoltare consente ora un approccio totalmente diverso. Lo possiamo chiamare streaming o music on demand ma in sostanza quello che ora abbiamo a disposizione è una discoteca universale. Possiamo saltare la fase della selezione e creazione di una nostra personale discoteca, e passare direttamente alla fase dell'ascolto di quello che in un dato momento ci interessa sentire.
Un modello in divenire, perché la musica liquida che si può acquistare o acquisire nel nostro paese passa ancora, almeno per ora, per il meccanismo del download e del consolidamento di quanto abbiamo selezionato in una media library. Fuori dall'Italia o dall'Europa però questo diverso sistema si sta diffondendo, per ora ancora in qualità limitata (musica compressa) ma prima o poi, speriamo presto, le paranoie delle case discografiche e dei detentori dei diritti saranno travolte dalla possibilità di accedere ad un mercato potenziale molto più vasto (solo in Italia, come abbiamo visto, ci sono già più di 20 milioni di smartphone).

Un modello che è stato anche teorizzato alcuni anni fa, addirittura dal MIT, che lo ha chiamato Open Music Model, pensato anche per superare il modello economico basato sui diritti d'autore collegati alla vendita del singolo contenuto musicale, che come si sa è parecchio in crisi. Un nuovo modello che consiste molto semplicemente in un abbonamento che consente di collegarsi ad una libreria musicale contenente una scelta molto vasta della musica prodotta (teoricamente potrebbe anche essere tutta quella pubblicata) e di ascoltarla quando lo si desidera, ma senza scaricarla sul proprio PC o scaricandola solo per poterla risentire più agevolmente, per un numero limitato di giorni.

Cosa è disponibile oggi
Ad oggi, ottobre 2012, il modello è applicato solo da un numero ridotto di società del settore, e solo due (o uno e mezzo) dei servizi di questo tipo è disponibile in Italia. Riproponendomi di tornarci sopra  in seguito, con un approfondimento su quanto offrono, i servizi di abbonamento per la musica in streaming on demand principali, quindi in grado di offrire una libreria musicale abbastanza vasta da poter essere esaustiva, sono Rhapsody, Spotify, Qriocity (Music Unlimited) e iTunes Match.
Rhapsody è disponibile solo in USA mentre Spotify (svedese) è disponibile anche in alcuni paesi europei, ma non in Italia. Music Unlimited di Sony e iTunes Match di Apple sono stati recensiti in precedenza (segui i link) e non ci sono state variazioni rispetto alle descrizioni già inserite in questo blog. Nessuno di questi servizi fornisce musica in formato non compresso.

Il movimento verso questo modell,o che a mio parere diventerà prevalente rispetto a quello tradizionale nel giro di pochi anni, sia per la musica sia per cinema e video, è quindi ancora lento ma avrà con ogni probabilità una accelerazione con le reti a banda larga e ultra larga, che proprio di questo hanno bisogno di affermarsi, servizi "consuma banda".

Solo un chiarimento su iTunes Match, che è basato su un modello di download, quindi acquisto tradizionale dei brani, ma che consente anche di creare librerie musicali di famiglia o per gruppi di amici in modalità cloud, consentendo sino a 10 accessi alla stessa libreria condivisa. Quindi 10 amici con, ipotesi, 500 album ciascuno, caricando ciascuno la propria libreria fisica potrebbero avere a disposizione in piena legalità una libreria di migliaia di brani (a meno che abbiano i medesimi  gusti musicali).

(Le immagini mostrano alcuni degli smartphone 4G già in distribuzione o prossimi all'arrivo in Italia. Dall'alto il ben noto iPhone 5, il Samsung Droid Charge, HTC EVO 4G, LG Revolution VS910 4G)

giovedì 4 ottobre 2012

Le casse attive

Le casse attive, o diffusori amplificati, o active loudspeakers, sono lo standard in campo professionale ma rarissime negli impianti hi-fi casalinghi. Una certa tendenza che si coglie in giro a puntare di nuovo su questa soluzione tecnologica mi ha suggerito questo post. Perché i professionisti del suono sono ovviamente molto esigenti e se preferiscono questo sistema non e' solo perché e' più comodo da installare e trasportare, ma anche perché in teoria garantisce risultati migliori.

I punti critici in un diffusore, o sistema di altoparlanti come lo definiscono altri, sono diversi, e' il componente di una catena audio che deve svolgere il compito più difficile, ma almeno a due elementi critici la tecnologia attiva consente di dare una valida risposta. Il primo e' la rete di crossover, necessaria per tutti i sistemi a due o più vie, ovvero con altoparlanti specializzati per le diverse bande di frequenza, per inviare appunto all'altoparlante solo la banda di frequenza che e' in grado di riprodurre senza distorcere. Si tratta quindi nella accezione più semplice di un filtro passa-basso per il woofer e di un passa-alto per il tweeter, che nelle casse passive ( quelle comunemente usate) e' realizzato con un circuito elettrico, ovviamente passivo, i cui componenti sono tipicamente resistori, condensatori e induttori e che deve operare sul segnale elettrico già amplificato.Il compito del crossover non e' semplice e uno dei punti a favore dei sistemi a larga banda e' proprio poterne fare a meno.

Il secondo punto critico e' l'accoppiamento tra l'altoparlante che richiede più potenza, il woofer, e l'amplificatore, due componenti realizzati tipicamente da costruttori diversi e progettati per adattarsi ad una vasta gamma di componenti di altre marche.
Invece, in una cassa attiva
In una cassa attiva, come si vede nello schema riportato sopra, entrambe queste criticità di connessione sono risolte ricorrendo ad una diversa architettura.

Dynaudio Xeo 5
Per prima cosa il crossover e' attivo, realizzato quindi con componenti elettronici e a monte dell'amplificazione. I componenti attivi consentono di raggiungere tassi di distorsione molto inferiori e di agire con molta maggiore flessibilità sulle caratteristiche del circuito di crossover (frequenza di taglio e pendenza), adattandolo maggiormente alle caratteristiche degli altoparlanti utilizzati.

Come seconda cosa gli amplificatori (ne serviranno ora uno per via per ogni diffusore) potranno essere progettati esattamente come richiesto dal sistema di altoparlanti, e dallo stesso costruttore. Sia come potenza erogata sia come modo di erogarla. Non dovranno essere una soluzione di compromesso in grado di adattarsi a carichi di lavoro anche molto diversi.

Inoltre si può anche pensare di accoppiare ancora più strettamente l'amplificatore alla sezione bassi, inserendo un circuito di controreazione che tramite un sensore comunica all'amplificatore quando l'altoparlante o gli altoparlanti stanno uscendo dalla zona di linearità e quindi iniziano a distorcere. Questo e' il sistema introdotto dalla Philips negli anni '70 con il nome di motional feedback e poi anni dopo ripreso per la realizzazione della maggioranza dei subwoofer attivi, aggiungendo anche una equalizzazione sui bassi che compensa il calo fisico dell'altoparlante alle frequenze inferiori, limitando al minimo la distorsione che si aggiunge in questo modo ed estendendo così la risposta sui bassi. Un sistema che richiede il caricamento del woofer in sospensione pneumatica (cassa chiusa) e non applicabile ai sistemi bass-reflex oggi più diffusi.

Infine, introducendo una linea di ritardo, si possono mettere in fase gli altoparlanti specializzati per gli acuti, i medi e i bassi senza dover costruire un mobile per il diffusore "a scalini" o ad altoparlanti coassiali.

Casse attive digitali
A questi vantaggi di base si aggiungono altre possibilità consentite dalla tecnologia digitale. Se nella cassa (che ormai include quasi tutto l'impianto hi-fi) viene inserito anche un convertitore digitale analogico, un DAC, anche il collegamento tra il diffusore e la sorgente può essere digitale, e quindi anche wireless. Un vantaggio quindi di installazione notevole: niente cavi. Se poi si aggiunge un processore digitale, un DSP (Digital Signal Processor) prima della conversione e' possibile inserire ancora altre funzionalità, come la correzione della risposta degli altoparlanti per renderla più lineare o anche la correzione della risposta in ambiente.

Il risultato all'ascolto sarà poi effettivamente superiore?
Meridian DSP 7200
Sicuramente sarà più facile raggiungere un risultato eccellente, con tutti questi elementi di vantaggio, e difatti le casse attive godono di buona fama e a memoria non ricordo recensioni o pareri anche in rete che non siano più che positivi, ma sulla storia dei tentativi di proporle anche in ambito nome e sulla situazione di mercato attuale torno più avanti. In generale comunque si può affermare che l'accoppiamento personalizzato tra gli amplificatori e i driver e il ricorso a tecniche di controreazione può consentire di raggiungere una dinamica molto elevata mantenendo la distorsione e la non linearità ai minimi livelli, riuscendo a garantire in un solo sistema i vantaggi dei sistemi ad alta efficienza, che spesso devono ricorrere a componenti a tromba, e quelli dei sistemi elettrostatici.

A quale prezzo?
Si e' già intuito dall'architettura delle casse attive: a prezzo della moltiplicazione degli amplificatori. Che da uno, stereo, diventano quattro mono in sistemi a due vie e sei mono in sistemi a tre vie. Ma questo non e' l'ostacolo principale alla diffusione, si tratta comunque di componenti elettronici il cui costo e' funzione della diffusione, ma e' piuttosto la minore flessibilità. Componenti che sicuramente hanno una sensibile influenza sul suono e sui quali e' in corso un progresso rapido o molto rapido. Amplificatore o anche, eventualmente, il DAC sono legati al diffusore e potranno essere aggiornati a modelli migliori soltanto assieme ad esso. Un limite forte per molti appassionati di hi-fi che puntano a torto o a ragione ad una evoluzione continua dell'impianto. Sta di fatto che sinora questi due limiti sono stati all'origine della scarsa diffusione di questi sistemi in ambito home.

La soluzione di compromesso
Ho già accennato al fatto che questa tecnologia e' invece uno standard per i subwoofer, dove i vantaggi sono tali da superare qualsiasi remora. Diversi produttori hanno quindi pensato ad una soluzione di compromesso derivante da questa anche per i sistemi a gamma intera. Soltanto la via per la riproduzione dei bassi e' attiva, con amplificazione incorporata. Le altre due o una via sono invece gestite tradizionalmente, con crossover passivo e amplificatore esterno.

In questo modo si preservano buona parte dei vantaggi consentendo pero' un più facile inserimento in impianti tradizionali. Nel quale si avrebbe il vantaggio di poter usare un amplificatore meno potente, e quindi anche modelli a valvole o in classe D di bassa potenza, ma di alta qualita sonora, almeno secondo le aspettative, che altrimenti sarebbero di difficile utilizzo su un gamma intera passivo.

La fortuna delle casse attive
Genelec 8260A
Almeno un diffusore di questo tipo ha raggiunto una indiscussa fama e critiche universalmente positive, anche se non una grande diffusione per via del costo elevato. Si chiamava Acoustat X ed e' stato prodotto negli anni '70 dalla omonima casa americana. Era un sistema elettrostatico a gamma intera di grandi dimensioni e aveva incorporato un amplificatore a valvole progettato ad hoc per le particolari esigenze di carico dei pannelli elettrostatici. Non più in produzione da moltissimi anni e' diventato nel tempo una specie di mito nel mondo hi-fi. Non so se reggerebbe il confronto con i migliori diffusori ancora oggi, io ho potuto ascoltarle in qualche fiera specializzata e la impressione e' che suonassero molto bene, meglio degli altri modelli proposti da altri costruttori all'epoca. Ma non si trattava di prove oggettive o a confronto ma di semplici ascolti liberi.

La scelta di casse attive oggi e' limitata a pochi costruttori e parte da un livello di prezzo abbastanza elevato, che deve essere confrontato con il costo di una accoppiata ampli + casse. Costo elevato che comunque e' un altro motivo della scarsa diffusione.

Rimandando ad un successivo post per approfondimenti sulla offerta, i principali produttori del settore che hanno una offerta rivolta anche al mercato home sono la finlandese Genelec, con più gamme di diffusori professionali e semi-professionali, anche con DSP, la inglese Meridian, la danese Dynaudio, con una produzione professionale consolidata a cui si sono aggiunti recentemente modelli per ambito casalingo, la linea Xeo, che adotta la soluzione wireless, a cui possiamo aggiungere la inglese Linn come esempio di produttore di casse ibride, attive solo per la sezione bassi.

Linn Majik 140



(E l'immagine dell'Acoustat X? Mi spiace ma non ne ho trovata una decente in Internet e purtroppo non ne ho un paio da fotografare ...)