domenica 20 maggio 2012

Le riviste di alta fedeltà

Negli anni '70 il boom dell'alta fedeltà in Italia è nato con le riviste specializzate. L'alta fedeltà è diventata in pochi anni, da tecnologia conosciuta e acquistata da pochissimi super appassionati, una passione per moltissimi giovani, che proprio in quel periodo scoprivano e apprezzavano le complesse trame musicali del genere progressive e, attraverso questa mediazione, anche la musica classica e, poco dopo, la musica barocca. E si accorgevano che solo con un impianto adeguato si potevano godere in pieno. Ancora pochi anni e, complice l'abbassamento dei prezzi (e della qualità. purtroppo) grazie alla produzione di massa, l'impianto hi-fi è entrato, se non in tutte le case, in molte, un alro "elettrodomestico" da avere obbligatoriamente, dopo la lavatrice e il TV.

Audio Review
Settembre 2002
Le riviste creavano il bisogno, lanciavano le novità tecnologiche, recensivano e davano i voti ai vari prodotti, proponevano impianti di varie fasce, partendo dal super economico, sul modello della rivista alpha tra i mensili specializzati in Italia, Quattroruote. Soprattutto, costavano molto meno di quello che proponevano o pubblicizzavano, e consentivano di sentirsi esperti anche senza possedere alcun impianto. E arrivavano così a tirature che rivaleggiavano con quelle della sopra citata Quattroruote, e ai primi posti tra i mensili, anche a 100 mila copie e più, e con tariffe e raccolta pubblicitaria conseguente.
Riviste che ad oggi in Italia sono tre (quelle dedicate unicamente all'audio): AudioReview, Suono e Fedeltà del Suono.

Le riviste oggi
Hanno ancora senso con l'alluvione di informazioni e notizie che si possono trovare su Internet per questo settore (come per tutti gli altri)?
Se effettuano prove che richiedono mezzi non alla portata di privati o riviste web prive di mezzi, se i recensori e i giornalisti hanno una competenza superiore, se sono indipendenti dai produttori, la risposta non può che essere affermativa. Ma è così?

Le misure
Suono Stereo
Marzo 1976
Le principali riviste sono nate, penso su modelli stranieri, proprio attorno al laboratorio per le prove. L'aspettativa dei primi potenziali acquirenti di soluzioni hi-fi era di leggere prove a confronto sorrette da misure oggettive che potessero stabilire il valore di amplificatori, giradischi e così via. Come avveniva nel mondo dell'auto dove si misurava la potenza effettiva del motore, la velocità massima, il consumo e così via.
Le prime riviste, che hanno avuto modo di intercettare più pubblicità in un settore in crescita, hanno potuto investire negli strumenti di misura e nelle misure necessarie e hanno quindi potuto mettere a punto in pochi anni una serie di test anche complessi che raccoglievano una vasta gamma di misure di parametri che potevano influenzare il suono. Con relativo corredo di polemiche tra riviste concorrenti su quali fossero i parametri più significativi.
A una standardizzazione delle misure non si è poi mai arrivati, a parte quelle di base (come risposta in frequenza, potenza e distorsione) le varie riviste italiane e internazionali continuano a misurare parametri in parte diversi.
Il fatto è che dagli anni '90 qualcuno ha incominciato a notare che esistevano componenti, come gli amplificatori a valvole o i giradischi in vinile che, pur ottenendo misure molto inferiori al più economico amplificatore a stato solido o lettore CD, all'ascolto suonavano meglio anche in maniera sensibile. A questo apparente paradosso ho dedicato un post a suo tempo e quindi non ci ritorno.

Il declino dei misuroni
Audio Review
Settembre 1995
Hi-fi in buona salute (258 pagine)
Alcune riviste ed esperti del settore hanno quindi iniziato a contestare i "misuroni", quelli che pretendevano di giudicare un componente solo in laboratorio, contrapponendo ad essi l'ascolto come unico metodo di valutazione. Alcune riviste hanno abolito i test di laboratorio. Altre nuove non li hanno più considerati necessari. Abbassando peraltro in questo modo sensibilmente i costi editoriali, e facendo sorgere il sospetto nei "misuroni" che ci fosse anche una convenienza dietro a queste contestazioni.
Erano gli anni in cui si passava dall'alta fedeltà per tutti all' "hi-end", settore per pochi raffinati (e facoltosi) che si distinguevano dalla massa. Nel quale, grazie anche all'assenza di qualsiasi riscontro oggettivo, si potevano anche produrre (e vendere) componenti dal costo spropositato rispetto al contenuto. La cosiddetta alta fedeltà esoterica, a cui ho dedicato a suo tempo un altro post.

E le riviste?
Le più diffuse dovevano convivere con il fenomeno, quindi affiancavano una sezione di prove di solo ascolto (come "Audio Club" di AudioReview) alle prove di laboratorio, che comunque non abbandonavano e anzi sviluppavano (per esempio sul digitale) per non perdere specificità e competenze riconosciute nel tempo. E anche perché fatalmente le vendite in edicola erano diminuite di molto dagli anni del boom e i lettori che rimanevano erano in gran parte quelli affezionati da sempre, che alle misure erano abituati.

Gli ascoltoni
Fedeltà del Suono
Ottobre 1995
Small size, la rivista italiana
ascoltoni (no test)
Il giudizio e il consiglio che il lettore cercava acquistando la rivista era quindi in gran parte demandato al recensore, in grado (a differenza di lui) di percepire e descrivere le differenza tra i componenti, e anche di avere il tempo e gli impianti per farlo con più comodità di quanto si possa fare in un negozio.
Chiaramente dopo l'ennesima recensione entusiastica con corredo di parole auliche a descrivere il suono "trasparente" le "tende che sembra spariscano davanti alla musica", il "micro dettaglio da primato" a qualcuno è venuto il dubbio se questi esperti negli ascolti fossero veramente tali e chi avesse dato loro questo titolo.
E' rimasta in questo senso celebre la lettera di un lettore che chiedeva la curva audiometrica di un noto recensore di una delle principali riviste, per avere una controprova oggettiva che possedesse veramente quelle "orecchie da pipistrello" che si attribuivano ai cosiddetti ascoltoni.

Richiesta disattesa ma comunque ingenua, il maestro Abbado sicuramente non ha l'udito di un ventenne senza la sua cultura musicale, ma sicuramente sa cogliere meglio di lui la stonatura di un violino in seconda fila.
Resta il fatto che nelle riviste non vengono mai pubblicati né i titoli né le referenze e competenze degli esperti che firmano le recensioni sugli ascolti, sappiamo a volte chi sono e cosa fanno leggendo le recensioni stesse (che di solito spaziano su vari temi) ma non sappiamo quasi mai, ad esempio, che cultura musicale abbiano, se conoscano la teoria musicale o sappiano suonare uno strumento, elementi che sembrano fondamentali per fornire giudizi ad altri. Ci aspettiamo, ad esempio, che un recensore di una rivista di auto sappia guidare, e magari abbia fatto anche qualche corso di guida veloce e qualche giro di pista.

Il test alla cieca
Altro elemento classico di dubbio è il rifiuto sistematico di effettuare test alla cieca. Nessun dubbio che un orecchio allenato possa riconoscere i dettagli e le sfumature tra due preamplificatori phono, così come un liutaio li riconosce tra un violino prima e dopo la revisione. Ma saremmo più confidenti se queste sfumature le riconoscesse anche con un test alla cieca.
Che però non vengono più effettuati sin dagli anni '70 da nessuna rivista, almeno a mia conoscenza.

La indipendenza
Audio Review
Dicembre 2000
L'elemento massimo di polemica rispetto alle riviste è però, come è logico, la indipendenza rispetto agli inserzionisti. Nel periodo d'oro delle grandi tirature era più facile sicuramente. Ora che le riviste dipendono in gran parte dagli inserzionisti il sospetto diffuso è che difficilmente un recensore stroncherà o anche solo criticherà blandamente un prodotto proposto da uno di essi.
Sospetto che potrebbe essere confermato dal fatto che le recensioni non sono mai negative. Tutti i componenti provati sono promossi a pieni voti, capita solo ogni tanto che, tra le righe, vengano evidenziati alcuni marginali difetti, ma in genere questo avviene per componenti economici, dove la economicità stessa giustifica la presenza di qualche limite alle prestazioni.

Si potrebbe addirittura dedurre che tutta la produzione del settore è eccellente e quindi si può acquistare in assoluta tranquillità, trascurando anche l'esigenza di comprare le riviste, salvo che poi nelle recensioni il componente di turno (ottimo) viene spesso confrontato genericamente con altri meno buoni ("... c'è anche un filone meno corretto tra molti sedicenti monitor, ma non è questa la sede per approfondire ...", "... questa del dettaglio apparente ottenuto con una gamma altissima in leggera salita è una tecnica adottata da molti progettisti ed ottiene immediatamente un effetto accattivante, ma alla lunga genera fatica acustica ...", due esempi tratti da AudioReview n. 333). Soltanto che non ci fanno mai i nomi di questi "sedicenti monitor" e dei "molti progettisti" che ricorrono a questi accorgimenti. Sarebbe interessante saperlo, per evitare incauti acquisti.

Annuario Suono 2008
Tra le righe o a lettori che chiedono il motivo di questa perenne positività viene risposto che le prove sono concentrate sui componenti che vale la pena di provare e di cui consigliare almeno un ascolto.

Chi fornisce i componenti da provare
C'è anche questo aspetto, e riguarda anche le riviste on-line senza pubblicità. Non vengono comprati in modo anonimo in qualche negozio, ma forniti gratuitamente per un periodo di tempo dal distributore o dal costruttore. Con i costi che hanno la maggioranza dei componenti hi-fi non c'è molta alternativa. Se è anche un inserzionista la recensione negativa è problematica, ma anche per un cortese distributore che consente di pubblicare la rivista non sarà facilissimo. Magari si chiederà una messa a punto e un secondo test di prove, immagino.

La rivista ideale
Tirando le somme come dovrebbe essere fatta la rivista ideale? Da quello che ho scritto dovrebbe: a) fare anche test e analisi di laboratorio, almeno quelli universalmente riconosciuti, per valutare il corretto rapporto tra il prezzo e la componentistica usata e a scanso di abbagli all'ascolto; b) comprare in modo anonimo i componenti da testare in negozi sempre diversi, anche a costo di limitarsi a soli componenti di prezzo medio; c) pubblicare il curriculum dei recensori delle prove di ascolto; d) affiancare alle prove di ascolto singolo anche prove in cieco; e) pubblicare anche i test di componenti che presentano aspetti negativi;  d) pubblicare le inserzioni pubblicitarie, in presenza dei punti precedenti la loro efficacia sarebbe anzi rafforzata.
Una rivista così non credo ci sia nel mondo, on-line o tradizionale che sia  e penso anche che sarebbe difficile ci fosse con un mercato ridotto come quello attuale, per i costi troppo elevati.

Le riviste reali
In conclusione conviene comprarle ancora? O basta fare riferimento a forum o riviste on-line?
A parte la sezione di recensioni musicali che, almeno per Audioreview, curata da Federico Guglielmi, è eccellente e giustifica l'acquisto, la mia opinione è comunque sì.  I test di laboratorio e gli approfondimenti tecnici sono al di fuori della portata di qualsiasi rivista on-line e sono utili per i motivi che indicavo prima. Le prove di ascolto devono essere lette con attenzione, e anche tra le righe, ma qualcosa di interessante si può provare ad ascoltarlo anche da noi in un negozio. La gamma di test è più completa sulla produzione attuale. Una lettura che deve essere consapevole dei vincoli che le riviste hanno, ma comunque utile.

1 commento:

  1. Anonimo16/12/23

    Ehh.... ad Audio Review ho chiesto via email se un vecchio ampli tedesco (ASR Emitter del 2007), definito a suo tempo dal recensore ottimo sui carichi 'difficili', potesse andar bene sulle difficilissime ibride elettrostatiche Martin Logan. Nella risposta dello stesso recensore, pubblicata poi sulla rivista, ha scritto l'opposto della sua vecchia recensione, criticando quell'ampli con una serie di osservazioni tecniche... ora mi chiedo come si possa dar credito a ciò che scrive questo recensore? Forse nel 2007 non era abbastanza erudito in materia? Ma allora tutti i suoi test di quegli anni erano incompleti/inesatti? Del resto ricordo anche la 'boutade' di Stereoplay con lo scontro McIntosh/Pioneer... Il Mac con tensione richiesta di 240V venne provato con i nostrani 220V, adducendo la scusa che noi in Italia quella tensione abbiamo (avevamo)... Come se chi comprasse un Mac non avesse i soldi per comprarsi un trasformatore 220>240 :-))) Al di là del costo assurdo che aveva il Mac (il 6100 mi pare che fosse) rispetto al Pioneer, ma che senso ha provarlo con una tensione di alimentazione inferiore????

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